CAPITOLO 27 - ASPETTO

Ollie

Il giorno prima...

Camminavo per quella viuzza stretta di cui mi pareva di conoscere ormai ogni sanpietrino per quante volte l'avevo percorsa negli anni.

Ero ripartita in fretta e furia da Madrid quello stesso pomeriggio, senza voler attendere il giorno dopo, anche se, così facendo, avevo finito per arrivare in tarda serata, non potendomi recare dall'avvocato e dovendo aspettare il mattino seguente. Ma, visto che ero in anticipo, mi era parsa una buona idea andare a fare una sorpresa a casa dei ragazzi, dal momento che ero atterrata nella loro città, tuttavia non avevo tenuto conto del fatto che potessero non essere in casa.

Avrei potuto aprire con le chiavi che mi erano state regalate a Natale da loro ma, poiché non avevo provato ancora a casa di Henry, decisi di fare un ultimo tentativo da lui.

Il rumore della suola dei miei stivali era l'unico elemento ad ornare quella strada leggermente illuminata. Infilai le mani infreddolite nella tasca del piumino, avanzando verso il mio obiettivo a capo chino, ma quando il suono di un altro paio di scarpe fece la sua comparsa, sollevai la testa, vedendo una figura avvolta ancora nell'ombra venire dalla direzione opposta alla mia. Inizialmente non le diedi peso, ma quando passò sotto uno dei lampioni, permettendomi di riconoscerlo, arrestai i miei passi, aprendomi in un sorriso.

«Ehi, scimmietta, sempre a zonzo di notte, te? Ho capito che la Lega della Notte ti tiene in servizio costantemente, ma così esagerano! Io li denuncerei per sfruttamento!» mi feci beffe di lui, attirando la sua attenzione, il quale, spostando gli occhi dallo schermo del cellulare che teneva tra le mani a me, si pietrificò sul posto.

«Ollie?!?» bisbigliò incredulo.

"Sorpresa riuscita!"

Era rimasto talmente impalato da stare per andare verso di lui per sventolargli una mia mano davanti alla faccia, ma alla fine si riscosse da quello stato catatonico di cui sembrava essere caduto preda, solo in un modo che non mi aspettavo: iniziò infatti a correre a perdifiato verso di me per poi cingermi tra le sue braccia e andare a nascondere il suo viso, come era sua abitudine, tra il mio collo e la spalla.

E questa volta fui io quella che rimase qualche secondo interdetta, non aspettandomi una reazione simile. Ma mi ripresi in fretta e, dopo quel piccolo smarrimento iniziale, ricambiai l'abbraccio.

«Ti sei tagliato i capelli... » mormorai vicino al suo orecchio, accorgendomi di quel dettaglio mentre passavo le dita tra i suoi ricci scuri.

Si irrigidì leggermente, prima di distanziarsi da me e scrutarmi con quei suoi grandi occhi neri che mi trasmettevano sempre calore, iniziandosi a grattare la nuca a disagio per quel mio appunto. «Ehm... sì... gli ho dato una sistemata», mi confermò imbarazzato, portando le sue iridi verso la punta delle nostre scarpe.

«Ti stanno bene! E poi l'importante è che la matassa che ti ritrovi in alto non sia svanita, ormai mi ci sono affezionata!» commentai, scompigliandogli le ciocche ricurve che come sempre svettavano sulla sommità della sua testa, facendolo arrossire.

«Ehm... sì... grazie, credo... ma come mai sei qui? Non dovresti essere a Madrid dal tuo amico spagnolo per Capodanno?» chiese giustamente, conoscendo i programmi che avevo per quei giorni.

Stavo per rispondergli, quando qualcosa di bagnato, cadendo dall'alto sulla mia fronte, non mi fece alzare gli occhi verso il cielo plumbeo, da cui, in meno di tre secondi, cadde un'altra goccia, e poi un'altra, fino a venir giù un vero e proprio acquazzone che ci iniziò a bagnare entrambi da capo a piedi.

«Oh merda!» esclamai, presa in contro piede da quell'evento atmosferico inaspettato.

Sentii le sue dita ghermirmi il polso, per poi essere strattonata nella direzione opposta rispetto a quella in cui stavo andando. Mi ritrovai a seguire il ragazzo davanti a me che aveva iniziato a correre a perdifiato verso casa sua.

«Aspetta, Luke! Rallenta!» lo supplicai, incespicando goffamente sui miei stessi piedi a causa di quella sua reazione immediata da parte sua per portarci in salvo dalla pioggia torrenziale che ci stava inzuppando completamente i vestiti.

Si fermò di colpo, facendomi andare a sbattere contro la sua ampia schiena, rischiando anche di farmi cadere all'indietro. Si voltò e, senza dirmi nulla, mi caricò su di una spalla, riprendendo la sua folle corsa mentre io mi trovavo appesa a testa in giù.

«Ma vuoi scherzare? Mettimi giù, maledetta scimmia non ammaestrata! Non sono Ann Darrow in King Kong, o Jane in Tarzan, per la miseria!» lo ammonii, aggrappandomi al retro della sua felpa blu ormai fradicia.

«Non mi permetterei mai! Lo sappiamo tutti che sei un topino, ma andavi troppo lenta!» controbatté lui, sghignazzando sotto lo scroscio assordante della pioggia che continuava a venire giù come secchiate d'acqua.

Ci fermammo di colpo, ma non potei capire dove eravamo finché non aprì il portone del suo appartamento, dove finalmente mi fece tornare con i piedi per terra, prima di richiuderlo alle sue spalle con un calcio.

Rimanemmo uno davanti all'altro a fissarci in silenzio, sgocciolando sul pavimento in cotto dell'ingresso. Le mie labbra cominciarono a tremolare in contemporanea alle sue, tramutando quell'accenno di sorriso in una risata di pancia da parte di entrambi.

«Perdonami, scimmietta, ma il mio karma infame colpisce anche chi mi circonda, se è in mia presenza», scherzai, tra una risata e l'altra.

Scosse la testa ancora sogghignando, facendo cadere altre gocce dalla punta dei suoi capelli ora crespi. «Sarà il caso di toglierci questa roba di dosso, prima di prenderci una polmonite. Vai pure in bagno a farti una doccia, ti presto dei miei vestiti mentre lavo i tuoi e aspettiamo che si asciughino», mi esortò con ancora quella pennellata di ilarità a dipingergli le labbra.

Assecondai la sua proposta, togliendomi di dosso il piumino e le scarpe, prima di dirigermi verso il piccolo bagno a tre elementi che si trovava oltre la stanza che i ragazzi usavano come guardaroba quando davano una festa. Mi richiusi la porta laccata di bianco alle spalle, azionando il getto della doccia per far scaldare l'acqua mentre mi svestito e gettavo i vari indumenti, ormai fradici, nella cesta dei panni che si trovava tra la lavatrice e il lavello in ceramica.

Scostai la tendina blu con dei pesci gialli e verdi stampati sopra, allungando un braccio per appurare che l'acqua fosse abbastanza calda. Una volta constatato ciò, mi misi sotto il soffione, rimettendo al suo posto la tenda di plastica che produsse un rumore metallico mentre i cerchi in alto scorrevano lungo la sbarra incastrata tra le due estremità del muro.

Notando lo shampoo all'albicocca, che non poteva che essere di Henry, lo afferrai, iniziando a massaggiarmi il cuoio capelluto. Quando ormai ero prossima a terminare l'ultimo risciacquo sentii la porta aprirsi e le mie mani si arrestarono sul mio corpo nell'atto di lavar via il bagnoschiuma.

Voltai di scatto la testa verso quel velo che mi teneva separata dal ragazzo che immaginai essere entrato per lasciarmi un cambio, in attesa di sentire la porta chiudersi di nuovo. Ma i secondi passarono e nessun rumore giunse alle mie orecchie, se non quello dello sciabordare dell'acqua e del fiato che fuoriusciva dalle nostre labbra in modo sempre più irregolare, sollevandosi insieme al vapore intorno a noi e creando una sorta di nebbia intrisa di tensione e respiri rotti, che andò a imperlare la nostra pelle di vellutate gocce di tacito desiderio. Avrei voluto aprire bocca per dire qualcosa, anche se, onestamente, la mia mente era tabula rasa, tutto ciò che percepivo era il mio cuore battere sempre più forte da dietro la cassa toracica e la bocca seccarmisi di colpo, rendendo la lingua impastata dalla voglia di allungare una mano oltre quella tenda.

"CHE ACCIDENTI STIAMO FACENDO?!?"

Altri tre secondi a dilatare quel momento, giocando come funamboli in bilico su di una corda sospesa tra la voglia di lasciarsi cadere e la consapevolezza che non potevamo più sbagliare. Quando il suono che stava attendendo poco prima finalmente arrivò, rilasciai un sospiro, anche se quel formicolio sottopelle non se ne andò via con lui, rimanendo a ronzare tra le piastrelle bianche e azzurre della doccia.

Girai la manopola, interrompendo il getto in cui ero riversa per riemergere dalla tendina, afferrando uno degli asciugamani rossi appesi di lato con cui mi frizionai il corpo e i capelli, per poi rivestirmi rapidamente con gli indumenti che mi aveva lasciato, anche se dovetti rigirarmi più volte sui fianchi sia il suo boxer nero che il pezzo di giù di una tuta grigia, per evitare che mi cadessero. Una volta infilata anche la maglietta a maniche corte nera con la tipica scritta dei Sex Pistols sopra la bandiera britannica, afferrai la maniglia della porta, abbassandola piano con dita tremanti.

Sul corridoio, appoggiato contro il muro, con le mani infilate nei suoi blu jeans ancora bagnati, trovai Luke ad attendermi a testa bassa. Non appena si rese conto della mia presenza sollevò quelle sue ossidiane verso di me, incastrandole con le mie ambre. Restammo in silenzio a fissarci da quei due lati opposti, mentre la condensa che fuoriusciva dalla porta ancora aperta alle mie spalle ci avvolgeva, esattamente come il brivido provato poco prima e che tornò a riverberarsi lungo l' arteria centrale che conduceva al cuore, il quale sussultò in quei nostri sguardi colmi di passione.

Dissigillai le labbra aride, passandovi la lingua sopra per inumidirle e cercare di dirgli qualcosa, ma, al posto delle parole, viva come sempre la mia goffaggine, ne venne fuori uno starnuto.

Mi portai una mano al naso, strizzando gli occhi per il pizzicore provato alle narici e quando risollevai le palpebre trovai un mutamente nella sua espressione: l'angolo destro della sua bocca era sollevato in uno dei suoi sorrisetti laterali e canzonatori. «Mi ero dimenticato di quanto fossi freddolosa. Credo che la maglietta a maniche corte non sia sufficiente per te, topino. Vai sopra in camera mia e prenditi pure una felpa, io ci metterò un attimo», mi comandò ma con voce benevola, sorpassandomi per entrare nel bagno e facendo strusciare il mio braccio contro il suo di proposito, facendo così partire un'altra scarica ad alto voltaggio lungo tutta la colonna vertebrale al punto da drizzarla di scatto, cosa che lo fece sorridere ancora di più.

Una volta richiusosi all'interno, tornai a respirare regolarmente, portandomi una mano al petto, implorandolo l'organo che si trovava al di là di esso di stare calmo. Scossi la testa, cercando di schiarirmi le idee e anche scacciare quel ronzio di eccitazione che aveva preso possesso di ogni cellula del mio corpo.

Una volta tornata in me, mi avviai verso le scale per raggiungere la sua stanza come mi era stato detto di fare. Ma se credevo che bastassero uno o due respiri profondi per quietare il mio animo in subbuglio, mi sbagliavo di grosso, poiché, non appena misi piede nella sua camera, se prima ero solo stata investita da un onda alta di emozioni frastornanti, quello che mi trovai davanti agli occhi creò un vero e proprio tsunami che sommerse le spiagge del mio cuore, facendomi boccheggiare in cerca di ossigeno.

Quelle mura piene di scritte che conoscevo a mena dito, erano impreziosite da un nuovo elemento: foto. Decine di cornici nere sfilavano lungo le pareti, riportando al loro interno scatti che io stessa avevo realizzato in compagnia di tutti i miei amici. C'era quella della nostra prima cena di Natale insieme, tutti seduti ai piedi dell'alberello malconcio che i ragazzi avevano addobbato alla meno peggio per quell'occasione, o una delle tante scattate l'anno prima durante una delle nostre classiche serate pizza e film, o ancora quella che ci eravamo fatti il giorno del mio compleanno dopo la partita a paintball, con me, Meg, Henry e Andrew, che troneggiavamo sugli sconfitti dall'alto con un sorriso fiero in volto, mentre i tre ai nostri piedi fingevano un'espressione abbattuta.

Quella nostra piccola alcova che avevo sempre ritenuto essere il nostro rifugio dove potevamo essere noi stessi, lui l'aveva tramutata davvero in quell'universo di parole e immagini che si veniva a creare ogni qual volta entravamo in contatto.

Ma una foto tra tutte attirò la mia attenzione, spingendomi ad avanzare come strattonata da una fune invisibile verso la parete alle spalle del letto dove era affissa. Era una delle poche che ci ritraevano da soli insieme. Ricordavo alla perfezione quando Henry ce la fece: eravamo andati al lago per la prima volta e io stavo ridendo per qualcosa che Luke mi aveva detto, con la fronte poggiata sulla sua spalla, mentre lui posava un bacio tra i miei capelli con un sorriso in volto.

Gli angoli della mia bocca si issarono verso l'altro mentre i miei occhi cominciarono a bruciare sotto quei ricordi salati come l'acqua in cui ci eravamo confidati più di due anni prima. Ma non appena il mio sguardo sviò da quell'immagine colorata dai nostri sorrisi e dai nostri momenti felici, venendo calamitato dalle parole che erano riportate sotto di essa con inchiostro liquido, qualunque argine avessi eretto per tenere a freno il fiume delle mie emozioni, il cui livello si era innalzato sempre di più a ogni istantanea che mi si era presentata davanti, venne semplicemente spazzato via.

E aspetto il tuo sorriso anche questa notte.

Aspetto l'eco della tua voce tra queste mura a darmi la buonanotte.

Mura che parlano di me e di te

e che rievocano un passato che ora non c'è.

Un passato adornato dalle tue frasi insensate e dalle mie scelte sbagliate,

e che ho riempito di immagini ormai appannate.

Ho macchiato ancora una volta questa tela bianca con i nostri ricordi,

sporcandola con i miei sentimenti espressi troppo tardi.

E aspetto che il sole svanisca portandosi via un altro giorno,

cercando conforto tra lenzuola che non emanano più il calore del tuo corpo.

Aspetto che la mia primavera torni a fiorire,

portandosi via questo inverno causato dalla tua assenza che sembra essere senza fine.

Aspetto ancora un'altra ora per chiamarti,

e l'infinità del tempo che mi rimane per amarti.(*)

Respirare dovrebbe essere un'azione naturale, eppure, in quel momento, il mio corpo sembrava essersi dimenticato come si facesse a vivere. A ogni verso i miei polmoni si erano svuotati. A ogni rima i miei sentimenti si erano riversati fuori appannandomi la vista. Quel ragazzo aveva la capacita di uccidermi e farmi rinascere con ogni parola che teneva segregata in quel suo splendido mondo di onomatopee e allitterazioni, di cui più di una volta mi aveva concesso la chiave di accesso.

«Noto che sei sempre il solito topino curiosone, non è vero?!?»

Il fatto di essere stata colta in flagrante mentre mi prendevo uno scorcio su un qualcosa di così privato avrebbe dovuto farmi sussultare, ma quelle macchie di inchiostro davanti ai miei occhi si erano prese tutta la mia attenzione, tramutandomi in una statua di cerca che poteva essere sciolta solo ed esclusivamente da esse stesse.

«È... è molto bella... come tutte le altre del resto...» stesi una mano, tracciando con dita incerte quelle lettere nere che svettavano sul bianco dell'intonaco, come per poterle portare via con me. «È un peccato pensare che tra molti anni svaniranno», constatai con voce malferma al pensiero che un giorno sarebbero state coperte da uno strato di vernice da parte di chi sarebbe venuto dopo di noi.

«Questo non succederà mai!»

A quell'affermazione risoluta, mi corrucciai. «Che vuoi dire? Prima o poi tutti noi lasceremo questo posto per lavoro o per altro.»

Un lungo silenzio si profuse intorno a noi, prima che le sue parole scendessero come una ghigliottina a recidere del tutto il mio autocontrollo. «No... perché l'ho comprata!»

Ruotai su me stessa a una velocità tale da rischiare di cadere, fissandolo con occhi sbarrati e increduli per ciò che aveva appena sentenziato. «Che... che vuoi dire?»

Le sue iridi erano ferme, come anche tutto il suo corpo; non portò via il suo sguardo dal mio, come invece era solito fare quando era in imbarazzo o in difficoltà. Era inamovibile, sicuro di sé mentre ribadiva ciò che aveva appena affermato, con le mani dietro la schiena nuda e ancora leggermente bagnata e addosso solo il pezzo di giù di una tuta nera. «Quello che ho detto: ho comprato questa casa!»

Sbattei ripetutamente le palpebre, cogliendo finalmente il senso delle sue parole. «Ma che ti sei impazzito, Luke? Hai appena chiesto un prestito per prendere il locale! Ti pare il caso di accendere anche un mutuo? Anzi, no, è impossibile! Non te lo avrebbero mai concesso di questi tempi!» sproloquiai in preda alle ipotesi e alla preoccupazione per la sua situazione economica, sapendo quanto avesse lavorato duramente per ottenere ciò che aveva adesso.

«Stai tranquilla, non sto per andare sul lastrico per questa cosa. Innanzitutto ti vorrei far notare che in realtà il mutuo non lo devo neppure pagare di tasca mia, visto che i ragazzi mi versano mensilmente il loro affitto e, inoltre, è vero che una banca non mi avrebbe concesso una cosa simile così facilmente, ma all'incirca sei mesi fa ho chiesto ai miei nonni di farmi da garante. Di norma non mi piace chiedere il loro aiuto, perché ritengo che abbiano fatto anche troppo per me, ma dal momento che effettivamente non avrò problemi di alcun tipo a pagare le rate, sempre per la storia dell'affitto, ho deciso di chiedergli questo favore. Non avrei mai potuto permettere a qualcuno di cancellare i ricordi di questo posto come nulla fosse.»

E con quella sua ultima affermazione mi fece tacere una volta per tutte. Ma se le parole si erano fermate prima di riverberarsi lungo le corde vocali, le mie emozioni ormai erano del tutto fuori controllo. Era come se mi avesse infilato due dita in una presa di corrente, bruciando in un attimo tutti i miei circuiti sensoriale, lasciandone integro solo uno: quello esclusivamente dedicato a lui.

Non ce la feci più. Ero arrivata del tutto al limite, tra quello che stava succedendo con i miei genitori e lui che con le sue stramaledette parole sapeva sempre come strattonare le corde del mio cuore; sì, perché lui non le pizzicava, bensì le percuoteva con forza fino a creare una melodia talmente potente da rimbombarmi incessantemente nella testa, e tanto ormai i miei piedi si erano mossi nella sua direzione senza che io potessi far nulla per arrestarli.

Mi fermai a pochi centimetri da lui, stendendo le braccia per potergli afferrare tra le mani il volto e avvicinarmi a ciò che le mie labbra agognavano. Mi afferrò i polsi bruscamente, bloccando i miei intenti, mentre una goccia d'acqua cadde dalla punta di uno dei suoi ricci, riversandosi sul suo petto e poi scendendo lentamente lungo le vallate dei suoi addominali in rilievo.

«Ollie... io... io non so se è... » lo azzittii poggiando il pollice sulla sua bocca carnosa, da cui fuoriuscì un ansito strozzato per via del contatto.

Sapevo cosa voleva dirmi, e aveva perfettamente ragione: non ero certa neppure io se fosse il caso di lasciarci andare vista la nostra situazione in sospeso e, probabilmente, facendolo avremmo solo incasinato ancora di più le cose tra di noi. Ma l'unica certezza che avevo in quel preciso istante era che se non lo avevo immediatamente ne sarei morta, perché solo lui poteva farmi tornare a respirare... solo lui poteva insegnarmi ancora una volta ad amare.

Tolsi il dito con cui lo avevo arrestato le sue proteste, afferrandolo per i capelli e spingendolo verso di me, incitandolo a prendersi ciò di cui sapevamo entrambi avere assoluto bisogno in quel momento.

Le sue pupille si dilatarono, la notte tornò a calare sulle terre soleggiate dei miei sentimenti, avvolgendole con quel suo manto nero che emanava quel calore di cui avevo bisogno per scaldare un cuore lasciato troppo a lungo sotto una teca di vetro, esattamente come il suo petto contro cui andai a sbattere quando mi cinse con un braccio la vita, sollevando con la mano di poco la maglietta per congiungersi con la pelle della mia schiena al cui contatto con il suo palmo rovente si inarcò verso di lui.

E compimmo quel classico miracolo che solo noi eravamo in grado di fare quando le nostre labbra si ricongiungevano dopo lungo tempo: spazzammo via il freddo dell'inverno, scaldandoci con le nostre mani intrecciate l'una all'altra. Oscurammo gli accecanti raggi di un sole estivo con i nostri sospiri spezzati per via delle nostre lingue che si rincorrevano come su di una giostra ad alta velocità, lasciandoci andare all'adrenalina che scaturì da quel gioco pericoloso eppure così allettante. Facemmo riunire l'autunno con la sua primavera, creando una nuova stagione tutta nostra, in cui le foglie brune di un amore sopito, cadendo al solo, andavano a nutrire i germogli di quei sentimenti attecchiti anni orsono e pronti a sbocciare di nuovo al calar della sera tra respiri rotti e ansiti trattenuti, proprio come il suo corpo sopra al mio era pronto a morire per farmi rinascere in un ciclo eterno di vita e morte.

Quella notte, una sola parola fluii fuori dalle mie labbra, come una preghiera tacita ad Hypnos affinché non mi destasse mai più da quel magico sogno in cui due stagioni apparentemente così lontane si erano potute ricongiungere.

«Luca...»

(*)Ormai lo sapete che è qualcosa che ho scritto io. Un grazie generale e apposto così, altrimenti ogni volta voglio scavarmi una fossa! <3

Ed ecco svelato anche cosa Luke chiese ai suoi nonni sei mesi prima e di cui non aveva parlato neppure a Ollie. Mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto, ma solo domani scoprirete perché nonostante questa loro magica notte ora non siano insieme. Vi auguro a tutti una buona giornata!

E ora i saluti... mi dovrò mettere in lista per un trapianto di polmone prima o poi...

AL PROSSIMO MARIANGELO PER AUTOAMMISSIONE COGLIONE!

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top