CAPITOLO 25 - SEGRETI

AVVISO: Ho pubblicato anche ieri e credo che, impegni permettendo, lo farò ogni giorno, quindi inutile che vi ripeta ogni volta di ricontrollare il capitolo prima, ora lo sapete :) Inoltre questo capitolo è diviso in due parti, di conseguenza occhio al cambio di pov.

Ollie

"Raggiunsi la città dove sei nata, riuscendo a trovare un lavoro come cameriera di giorno in un piccolo bar e la sera in un ristorante. Con il doppio turno di giorno e di notte riuscii a mantenermi e a permettermi un monolocale, se così lo vogliamo chiamare, visto che erano venti mq, dove vivere.

Il pomeriggi che avevo liberi, se non crollavo per la stanchezza sul letto, li passavo in giro con la mia fedele Rolleiflex. Mi fermavo spesso davanti al negozio di un fotografo, rimirando gli splendidi scatti da lui realizzati; era un anziano signore che viveva solo con la moglie. Con tutte le volte che mi vide al di là della sua vetrina un giorno mi disse che se volevo guardare le sue foto non costava nulla e che potevo entrare quando volevo. Con il passare del tempo, chiacchierando e commentando vari album che mi mostrava, mi prese sotto la sua ala protettiva, iniziandomi a dare qualche nozione tecnica e rimanendo a pranzo da lui dopo le innumerevoli insistenze di sua moglie. Scoprii solo in seguito che avevano perso durante la guerra la figlia che doveva avere all'incirca la mia stessa età. Credo che un po' colmai quel vuoto che si portavano dentro e che trapelava dai loro occhi spenti in alcuni momenti. È a loro due che devo tutto, sia il non essermi sentita sola, sia tutto ciò che ho imparato sulla fotografia, rendendola in futuro la mia professione.

Comunque, come ti dicevo, spesso vagavo nei dintorni per effettuare qualche scatto, che poi stampavo con l'aiuto di Mario, il signore di cui ti parlavo. In uno di questi pomeriggi passati a zonzo per le campagne limitrofe, entrai in una casa abbandonata a causa della guerra. Era molto piccola, con solo un bagno, una stanza da letto e una piccola botola che portava alla dispensa. Dato il caos in cui riversava la cucina, immaginai che i suoi proprietari fossero scappati in frette furia a causa dei tedeschi, se non peggio. Iniziai a fare qualche foto ma, proprio in quel momento, una voce profonda alle mie spalle mi congelò sul posto. Mi voltai titubante, trovandomi davanti due occhi verdi screziati d'oro che illuminavano il duro volto di un poliziotto fasciato nella sua divisa. Lo ammetto, credo di aver sempre avuto una passione per gli uomini in divisa e quel mio attimo di perdita di parola iniziale ne fu la conferma.

Mi chiese che cosa stessi facendo lì, squadrandomi da capo a piedi con fare circospetto. Francamente non lo so che accidenti pensai in quel momento, capii solo che ero nei guai e, invece di dargli spiegazioni, da brava istintiva quale ero, afferrai uno scolapasta in rame e glielo tirai in testa, sorpassandolo e correndo all'esterno per mettermi in salvo.

Lo so che starai ridendo adesso, il problema è che il peggio venne dopo, quando, ovviamente, riuscì ad acciuffarmi e mi arrestò. Ebbene sì, la tua nonnina si è fatta una notte in cella per aggressione a pubblico ufficiale. Maledissi la mia impulsività in tutte le lingue del mondo in quel momento, ma allo stesso tempo la ringrazio oggi perché, quella che si preannunciava come una delle notti peggiori della mia vita, divenne la più bella.

Me ne stavo seduta a terra contro le sbarre di ferro dell'unica cella di quella piccola stazione di polizia, rabbrividendo dal freddo, quando una coperta mi venne passata dall'uomo che mi aveva condotto lì. Lo ringraziai, coprendomi con ciò che mi stava porgendo. Finalmente mi scusai con lui per il colpo infertogli alla testa e gli spiegai perché mi trovavo in quel posto. Mi sorrise al termine di quella mia confessione, comprendendo che non ero una delinquente o un pericolo pubblico, e il mio cuore vacillò notevolmente davanti a quelle sue labbra inarcate verso l'alto che fino a quel momento non mi aveva mostrato. Ci presentammo e iniziammo a chiacchierare, raccontandoci di noi, di cosa facessi nella vita, del perché fossi scappata di casa e lui fece altrettanto, rivelandomi di come avesse perso tutti i suoi fratelli e suo padre durante la guerra e di come sua madre si fosse pian piano lasciata morire per il dolore di quelle troppe morti che erano sopraggiunte nella sua famiglia, nonostante lui avesse fatto ritorno a casa.

Non saprei dire perché iniziammo quella confessione a cuore aperto, forse eravamo solo due anime logorate da ciò che la vita gli aveva sottratto in cerca di un luogo dove riposare, ma sta di fatto che quella notte, schiena contro schiena, con quelle sbarre fredde a dividerci, ci ritrovammo più vicini che mai, mentre sommesse risate e verità a malapena sussurrate fuoriuscivano dalle nostre labbra.

Il mattino seguente mi rilasciò, anche se io francamente non volevo andare via. Ero stata così bene quella notte, mi ero sentita così accettata e compresa come mai prima mi era capitato che ne volevo. Desideravo altri momenti come quello, altre sue parole comprensive, altri suoi racconti e così, quel pomeriggio, dopo il turno di lavoro, tornai in quella casa dove mi aveva arrestata.

Non potevo andare semplicemente alla stazione di polizia o chiedergli di uscire, ero abbastanza emancipata come donna, ma mi vergognavo ancora terribilmente ai tempi, in fondo avevo avuto solo due baci e un amore infranto. Restai ad attenderlo per lungo tempo fino al crepuscolo, ma proprio mentre stavo abbandonando ogni speranza, credendo che avessi avuto solo un'idea stupida, lo vidi comparire sulla soglia rimasta aperta.

Ci fissammo lungamente da lontano, con un sorriso timido a dipingere le nostre labbra. Nessuno dei due parlò, così mi feci coraggio e, senza dire nulla, avanzai verso di lui con le braccia tese e congiunte, consegnandomi a lui. Quando tirò fuori le manette e le fece scattare intorno ai miei polsi con le guance leggermente arrossate per l'imbarazzo di ciò che stavamo facendo, pensai che quello schiocco metallico avrebbe segnato il nostro legame per sempre e, di fatti, così fu.

Mi riportò in quella cella angusta, ma che era diventata per me il posto più confortevole al mondo, perché al di là di quelle sbarre c'era lui con la sua risata e il suo profumo di erbe selvatiche, e fu così che iniziammo un'altra notte di rivelazioni. Proseguimmo con quel tran tran per lungo tempo. Non avevamo il modo di vederci fuori, poiché essendo l'unico poliziotto della zona, era oberato di lavoro, di conseguenza era costretto a stare in servizio quasi sempre, finché non veniva qualcuno dalla città vicina a dargli il cambio per farlo riposare.

Avevamo anche creato un nostro messaggio in codice personale: se non potevamo vederci un giorno a causa di qualche impegno sopraggiunto, lasciavamo sottosopra lo scolapasta con cui lo avevo colpito la prima volta, avvisando così l'altro. Fu in una di quelle notti, tra una sbarra e l'altra a dividerci, che ci baciammo la prima volta. Mi innamorai di lui con una facilità tale che non saprei spiegare, sembrava che fossi nata per non fare altro. Ma, purtroppo, anche in quel caso sopraggiunse un imprevisto. Dopo circa otto mesi dal nostro incontro lo informarono che doveva recarsi a Bologna per l'addestramento e non eravamo certi lo avrebbero fatto tornare, perché vi era il rischio di un suo trasferimento.

La sera prima che partisse mi concessi a lui, in quella casa diroccata dove ci eravamo conosciuti, perché volevo racchiudere tra quelle mura tutti i miei momenti più importanti con lui. A te potrà sembrare una cosa naturale viversi un amore anche a livello fisico, ma ai tempi una donna non sposata che concedeva la sua verginità ad un uomo non era vista di buon occhio. Ma io me ne sono sempre infischiata del parere altrui. Sapevo di amarlo e che era l'uomo giusto per me, il resto non contava.

Lo aspettai a lungo, i mesi scivolavano via con sempre più fatica, contornati solo da sprazzi di entusiasmo quando ricevevo una sua lettera, che inizialmente mi riempiva il cuore di speranze, ma che poi allargavano solo il vuoto lasciatomi dalla sua assenza. Dopo circa un mese e mezzo dalla sua partenza, però, avvenne qualcosa di inaspettato. Bussarono alla mia porta e quando la aprii mi trovai di fronte la persona che credevo non avrei mai più rivisto in vita mia: Leo.

Ero sconvolta di ritrovarmelo davanti. A quanto pare mi aveva cercata in quei mesi, aveva provato a rintracciarmi tramite passaparola tra vari viandanti e, alla fine, mi aveva trovata. Mi chiese scusa per quel suo comportamento, disse che potevamo metterci una pietra sopra alla mia fuga, che anche se i miei genitori non mi volevano più vedere, dopo aver gettato la loro reputazione nel fango, lui era disposto a riprendermi con sé. Sai però quale è il problema delle bugie, bambina mia? Che la fiducia si spezza. Lui mi aveva tradita, aveva provato a tramutarmi in qualcosa che non ero e io, ormai, non gli credevo più.

Prima di raccontarti l'ultimo pezzo della mia storia, però, vorrei che andassi nella mia camera oscura al piano di sotto. La chiudo tutte le volte a chiave, di conseguenza, anche se dovessi morire inaspettatamente, quella porta resterà sempre sigillata. La chiave è nascosta sotto l'asse dell'ultimo gradino; ho ideato questo stratagemma per evitare che tua madre potesse entrarci, perché quello è un luogo sacro per me... "

Staccai immediatamente gli occhi dal foglio, scattando in piedi e precipitandomi scalza verso il corridoio, facendo talmente umore da richiamare l'attenzione di Henry, il quale, facendo capolino da dietro lo stipite dell'ingresso della cucina mi urlò: «Ollie, tutto bene?»

Rallentai a malapena, giusto il tempo di rispondergli un: «Sì, sì, tutto apposto! Torno subito, voi non vi preoccupare!» per poi continuare a correre, rischiando anche di scivolare sul parquet.

Raggiunta l'ultima porta in fondo all'andito la spalancai, accendendo la luce per non inciampare lungo i gradini della stretta scala che si diramava verso il basso. Arrivata nell'anticamera mi piegai sui calcagni, armeggiando con una mano sulla tavola di legno dell'ultimo gradino, come mi aveva detto di fare mia nonna e, effettivamente, si sollevò, rivelando al suo interno una piccola chiave in ottone.

La afferrai senza indugio, voltandomi verso la porta in legno che si trovava alle mie spalle. Con mani tremanti e il fiatone dovuto sia alla corsa disperata appena compiuta, sia all'agitazione che mi pervadeva nell'attesa di ciò che avrei potuto trovare al suo interno, la inserii nella toppa, girandola verso sinistra.

Un leggero cigolio accompagnò l'avanzare verso l'interno di quella lastra scura, al di là della quale trovai il buio più totale ad attendermi e l'odore pungente dei solventi che mia nonna usava per stampare le foto e che ormai associavo a lei.

Gli occhi iniziarono a pizzicarmi leggermente per via dei vari ricordi legati a lei che l'olfatto stava attivando nella mia mente, facendoli scorrere come un rullino fotografico: le volte che mi gettavo tra le sue braccia quando facevo ritorno a casa e andavo a trovarla, o quando semplicemente si sedeva accanto a me.

Scossi la testa, ricacciando indietro le lacrime che spingevano con prepotenza da dietro le palpebre, ma una volta premuto l'interruttore sulla destra, mi fu impossibile frenare quella stilla densa di nostalgia che venne tirata fuori con forza da ciò che mi ritrovai davanti: la parete sotto cui era addossato il banco da lavoro, con sopra le vaschette per il trattamento delle carte in bianco e nero, il focometro, il marginatore e l'ingranditore, era tappezzata di foto. Una ritraevano i miei nonni da giovani davanti ad una piccola casa malconcia, in un'altra erano in posa in quello che immaginai essere il giorno del loro matrimonio, in un'altra ancora erano seduti sul divano al piano di sopra con in braccio un neonato che immaginai essere mia madre. Ma le immagini che fecero più male in assoluto e bene al tempo stesso, furono quelle che la ritraevano con me da piccola, come quella che mi immortalava sulla mia bicicletta rossa con cestino annesso sul davanti, quando mi aveva insegnato ad andare senza rotelle, o quella in cui mi teneva stretta tra le sue braccia sedute sul tappeto di casa, mentre mostravo fiera all'obiettivo la piccola Kodak con il cartoncino arancione che aveva solo dodici scatti disponibili, ma che fu in assoluto il più bel regalo che avessi mai ricevuto.

Mi cedettero le gambe davanti a quella valanga di ricordi che mi travolsero come se il sole che sorgeva dietro quei nostri sorrisi ormai lontani, avesse fatto distaccare del tutto la neve in cui li avevo tenuti avvolti per cercare di mantenere la parola data. Tastai con la mano in cerca del muro alle mie spalle, dove mi andai a rannicchiare portandomi le ginocchia al petto, prendendomi la testa tra le mani.

Un'altra piccola goccia salata attraversò il mio zigomo, nonostante i miei tentativi di frenare quella discesa implacabile.

«Mi dispiace... » mormorai, serrando le labbra e facendo ammenda per aver mancato a quella promessa fattale, ma che, in quel momento, mi era impossibile rispettare.

Ma in fondo sapevo che quella donna, che amava così tanto le debolezze altrui, considerandole al pari di un oggetto raro e prezioso, mi avrebbe concesso il suo perdono per quell'attimo di smarrimento.

Rimasi in contemplazione di quegli scatti della sua e della mia vita che lei reputava essere la cosa più preziosa che avesse, lasciandomi cullare da quelle immagini colme di amore. Ad un tratto, però, mi resi conto di tenere tra le dita ancora la sua lettera. Asciugai con il dorso della mano il viso leggermente umido, tirando su con il naso, prima di tornare a leggere l'ultima parte della sua storia.

Luke

«Cavolo! Un incontro... come dire... movimentato!» commentò il mio amico al termine del mio racconto in merito alla conoscenza dei genitori di Ollie, prendendo l'ultimo sorso contenuto nel suo boccale.

«Già! Sono proprio delle persone simpaticissime, guarda!» affermai sardonico, storcendo la bocca per il disgusto che quei due erano riusciti a provocarmi con le loro invettive all'etanolo.

Vedere quel loro modo di fare dal vivo mi aveva fatto provare pena per lei, nonostante fossi già a conoscenza di vari episodi poco piacevoli che si erano tenuti nella sua famiglia. Non sapevo come avesse fatto a sopravvivere senza impazzire con genitori simili.

«Certo che però Ollie è stata mitica! Quella ragazza ha più palle di molti altri uomini!» la elogiò, Matt, facendomi spuntare un sorriso mentre adagiavo l'ultimo bicchiere di birra preparato per i miei amici.

Ollie era davvero una forza della natura. Nonostante avessero cercato di cambiarla più volte e in più modi nel corso della sua vita, lei non si era mai fatta piegare da loro. Anche quando all'inizio l'avevo conosciuta e stava provando ad assecondarli per renderli felici, lo avevo letto nel suo sguardo battagliero che non ci sarebbero mai riusciti.

«Concordo! Sarebbe in gradi di farci le scarpe a tutti lei!» scoppiammo a ridere al pensiero che effettivamente il mio topino avrebbe potuto calpestarci come nulla fosse con la sua forza d'animo.

Stavo per prendere il vassoio su cui avevo preparato una sorta di aperitivo con qualche stuzzichino e dirigermi al tavolo dei ragazzi, quando la voce di Patrizia mi anticipò. «Ma non scherziamo, Luke, fermo lì! Ci penso io! Tu non stare a pensare a noi, non ti vogliamo disturbare, hai molte cose da fare!»

Le sorrisi grato per l'aiuto, passandole il rettangolo in acciaio con le loro ordinazioni, attendendo che lo avesse afferrato saldamente prima di rilasciare la presa. «Grazie!»

Un cenno di assenso in risposta provenne dalla sua parte ma, prima di tornare dagli altri, si fermò a scrutarmi attentamente, con la testa leggermente inclinata da un lato. «Ti sei tagliato i capelli, vero? Ti stanno davvero bene così!»

Sentii le guance scaldarsi per l'imbarazzo; anche se il suo era un complimento privo di malizia, io e ogni forma di elogio non andavamo proprio d'accordo. Abbassai il capo, grattandomi la nuca. «Ehm... sì... in realtà li ho solo sistemati di lato, niente di che!»

Comprendendo il mio disagio, si limitò a rivolgermi un sorriso, per poi piroettare su se stessa e dirigendosi cauta verso il suo ragazzo e Andrew che la stavano aspettando mentre conversavano tra di loro.

«Credo che solo le donne riescano a cogliere questa roba dei capelli. Io non mi ero accorto di nulla!» Matt mi stava osservando con gli occhi ridotti a due fessure, come se aguzzando la vista lo avrebbe aiutato a cogliere la a malapena visibile differenza nel groviglio di ricci che portavo in testa.

Mi grattai il collo, infastidito da quei suoi occhi che sembravano starmi passando sotto uno scanner. «Ho già detto che li ho solo accorciati di lato. Volevo solo... volevo solo avere un'aria vagamente decente, visto che ora sono uno dei due proprietari di questo posto e anche perché erano diventati troppo ingestibili.»

Non che la situazione fosse poi migliorata di molto, ma almeno avevano smesso di intrecciarsi tra di loro.

«E chi ti dice nulla!» si mise sulla difensiva il mio coinquilino, portando le mani avanti.

Sbuffai stranito per quel discorso apparentemente banale, ma che in realtà mi richiamò alla mente un qualcosa che mi stava martellando in testa da tutto il giorno. Afferrai un bicchiere pulito, iniziandolo a lucidare anche se non ne aveva bisogno, giusto per riempire quel silenzio che era del tutto innocuo, ma che in realtà mi stava conducendo a tornare su quel pensiero come un cane che si morde la coda.

Sospirai esacerbato, rimettendo al suo posto quel povero oggetto trasparente che stavo martoriando e sollevando lo sguardo verso il mio amico al di là del bancone che si era messo a sgranocchiare pretzel e noccioline, mentre guardava un programma Natalizio in tv.

Non so perché lo feci, forse avevo solo bisogno di potermi sfogare con qualcuno e riuscire a trovare un modo per districare quella matassa ingarbugliata che era la mia mente, sta di fatto, che decisi di confidarmi con lui.

«Ehi... Matt... »

«Mmm... » mugugnò continuando a tenere gli occhi puntati in direzione dello schermo in alto sulla destra.

«Ecco... prima ti ho mentito... » questo richiamò senza ombra di dubbio la sua attenzione, tanto da far scattare quei suoi zaffiri blu su di me e inarcare un sopracciglio in attesa di spiegazioni.

Mi passai una mano sul viso, cercando di trovare il modo giusto per iniziare quel discorso, ma visto che le mie idee al momento erano parecchio confuse, decisi di vuotare il sacco senza troppi giri di parole. «Non è vero che non sapevo che Ollie fosse tornata, perché... vedi... io l'ho già incontrata... ieri... »

E booooom un piccolo petardo è esploso. Come hanno fatto a vedersi Luke e Ollie il giorno prima? Parte dei vostri dubbi verranno dissipati domani con il prossimo capitolo, ma il tutto sarà più chiaro con quello dopo ancora. Come già detto nell'avviso all'inizio, cercherò di pubblicare ogni giorno per completare la storia per la fine dell'anno al massimo il primo o il due dell'anno nuovo. Vi auguro una buona giornata!

E ora i saluti... tenetevi forte...

AL PROSSIMO MARIANGELO APPROFITTATORE DI PERVERTUDINELLE CHE RAGIONANO CON LE OVAIE PER METTERLE IN GINOCCHIO IN MEZZO ALLE GAMBE!

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