CAPITOLO 23 - COME UN VASO DI FIORI
Ollie
"Gli uomini tornarono dalla guerra. Quando li vedemmo arrivare, nonostante fossero distrutti dal lungo viaggio a piedi, li accogliemmo con entusiasmo. Ebbene sì, non hai capito male, erano tornati proprio a piedi per evitare di essere presi dall'esercito tedesco, che stava controllando tutti i treni in cerca di soldati in fuga per rispediti in Germania.
Ciascuna famiglia corse verso i propri cari; alcuni li trovarono, altri purtroppo no. Ricordo ancora di come sondai ogni volto in cerca dei due che pregavo con le mani strette al petto di poter scorgere, e non appena intravidi il suo gli corsi incontro, gettandomi tra le sue braccia e iniziando a piangere mentre Leo, accarezzandomi la schiena, tentava di tranquillizzarmi.
Neppure mio padre osò dire nulla di quel mio gesto in pubblico poco ortodosso; in una situazione simile diciamo che la sua vecchia mentalità tradizionalista venne messa da parte per un attimo. Quella sera organizzammo una grande festa in loro onore, mangiando, cantando e ascoltando i loro racconti in quella che era la piccola piazza principale, fino a tarda notte.
Fu uno dei giorni più felici della mia vita. Poterlo abbracciare, sentire il calore del suo corpo vicino al mio, la sua voce che mi sussurrava all'orecchio quanto gli fossi mancata... era tutto perfetto. Non credevo che potesse andare meglio di così, ma mi sbagliavo perché, quando mi riaccompagnò a casa insieme alla mia famiglia, chiese a mio padre un attimo di tempo per rimanere da soli. Fui sorpresa nel vederlo acconsentire a quella sua richiesta, anche se poi scoprii che avevano già parlato di questo prima che io ne fossi messa al corrente. D'altronde non poteva chiedermi di sposarlo senza prima aver chiesto la mia mano a lui.
Acconsentii all'istante, suggellando quella promessa di matrimonio con il mio secondo bacio, che anche quella volta fu altrettanto sbrigativo, perché sapevamo di essere osservati da sguardi indiscreti, che si celavano dietro le tende.
Ero felice... ero tremendamente felice, uno di quei momenti che sapevo avrei ricordato per il resto della mia vita. Ma, come ti ho già detto, la guerra mi aveva restituito l'uomo che stavo aspettando, ma non quello di cui mi ero innamorata. Nell'ultimo anno, per dare una mano in famiglia, avevo iniziato a lavorare come cameriera in una tavola calda della cittadina vicina. Mio padre non fu felice di apprendere quella notizia, preferiva sapermi a casa ad aiutare mia madre e le mie zia, ma, viste le ristrettezze economiche in cui versavamo, alla fine mi lasciò proseguire, ma pretese che fossi accompagnata ogni giorno.
Non lo sapeva nessuno tuttavia, egoisticamente, con alcune mance accumulate nel corso degli anni, mi ero comprata una macchina fotografica di seconda mano. Avevo scoperto questa mia passione molto tempo prima insieme a Leo, quando eravamo ancora adolescenti ed avevamo incontrato un fotografo in città. Ero rimasta così affascinata da quell'oggetto, che all'inizio era estremamente ingombrate, in grado di catturare su carta attimi di vita quotidiana. Così, decisi di svelare quel piccolo segreto al ragazzo che mi aveva spronata inizialmente a trovare un modo per sviluppare la mia passione, credendo che sarebbe stato entusiasta di quell'acquisto tanto quanto me. Ma mi sbagliai anche quella volta, e in quel caso non fu una piacevole sorpresa. Si arrabbiò molto, dicendo che avevo buttato soldi per qualcosa di inutile, che tanto nella vita non mi sarebbe mai servito. Ma quella non era la prima volta che mi urlava contro. Dal suo rientro altre volte se l'era presa con me per sciocchezze e sempre più spesso scattava per un nonnulla, ma con le atrocità che immaginavo potesse aver visto e vissuto, avevo cercato di essere comprensiva.
Corsi via, rintanandomi nella mia camera e piangendo per quelle sue parole cariche di disprezzo; mi era sembrato di parlare con mio padre in quel momento. Mi iniziai a domandare dove fosse finito il bambino dolce che mi soffiava sulle ginocchia sbucciate quando correndo insieme finivo per cadere da piccola, che fine avesse fatto quel ragazzo che mi aveva spronata a rincorrere i miei sogni. Mi sentivo sbagliata.
Con i miei genitori mi ero sentita così da sempre, come quando volevo lavorare e me lo impedivano, o quando avevo chiesto di poter proseguire con gli studi e me li avessero fatti interrompere, ma credevo che almeno con lui potessi essere me stessa senza sentirmi in difetto. Alla fine cedetti, mi lasciai plasmare a suo volere, diventando la classica donna ubbidiente, promettendo che non appena ci fossimo sposati avrei abbandonato il lavoro da cameriera per occuparmi della casa e dei nostri futuri figli, e lasciando nascosta la mia macchina fotografica in una intercapedine creata sotto i listelli del pavimento della mia camera.
La mia famiglia gioì per quel mio cambiamento repentino, credendo che finalmente avessi deciso di comportarmi come si confaceva ad una donna, secondo i loro canoni, mentre io in realtà mi sentivo morire un po' di più ogni giorno. Ero come un vaso, i cui fiori contenuti al suo interno non erano più stati nutriti, lasciandoli ad appassire.
Ma ciò che mi inferse il colpo di grazia avvenne una sera, proprio mentre ero intenta a lavorare. Stavo per uscire dalla cucina con in mano gli ordini di uno dei tavoli assegnatimi, ma mentre stavo per aggirare l'arco che separava il retro dalla zona ristoro del locale, una voce a me nota giunse alle mie orecchie, paralizzandomi. Era Leo con il suo gruppo di amici che, seduti sugli sgabelli del bancone, stavano parlando di me. Mi pietrificai sul posto, mettendomi in ascolto senza farmi notare e quello che udii mi gelò il sangue nelle vene.
Un suo amico gli aveva sottolineato come io fossi un bel tipetto da sempre e che non avrebbe avuto vita facile con me, ma la sua risposta arrivò come una secchiata d'acqua gelida che mi fece rabbrividire al solo pensiero. Lui asserì che sapeva come tenermi in riga, e che quando ci saremmo sposati sarebbe andata ancora meglio, rendendomi la donna che voleva lui, dedita alla famiglia e a nient'altro. Ma non fu tutto qui, oh no, uno dei ragazzi commentò il tutto sostenendo che nel frattempo, mentre cercava di piegarmi al suo volere, lui avrebbe potuto continuare a spassarsela con le ragazze della città vicina senza destare sospetti.
A quel punto un moto di disgusto mi partì dal fondo dello stomaco, una furia cieca iniziò a scorrermi nelle vene, ma non la lasciai riversarsi fuori, fui più furba di così. Feci finta di nulla per un paio di mesi, mettendo da parte altre mance e anche qualcosa dallo stipendio, accampando scuse sui motivi per cui in quel periodo era più basso e quando fu il momento, una sera, senza dire niente a nessuno, me ne andai.
Ora ti chiederai perché non ne abbia parlato con mia madre o con mio padre, prima di compiere un gesto simile, ma non lo feci perché sapevo che era inutile. Un uomo che tradiva era ammesso per loro, avrebbero trovato il modo di giustificarlo e di addossarmi la colpa. Già immaginavo le accuse che mi avrebbero scagliato addosso sul non essere io in grado di tenermi la fedeltà del mio uomo per via della mia incapacità di essere una brava futura moglie. No, non ci stavo più ai loro giochi.
Presi un treno che mi portò nelle Marche, gettando sicuramente nel fango la reputazione della mia famiglia che non avrebbe più voluto avere niente a che fare con me, per poi iniziare a girovagare a piedi o con gli autobus tra varie città in cui mi imbattevo lungo il mio cammino, finché non trovai un posto di lavoro. Il periodo da cameriera mi fu estremamente utile per riuscire nel mio intento, e fu in quei giorni che lo incontrai dopo circa un anno dal mio arrivo, in un modo che dire rocambolesco sarebbe il minimo... conobbi il mio Vincenzo..."
«Tieni, Ollie, questo è per te.» Per quanto ero concentrata nella lettura della lettera di mia nonna, sussultai nell'udire la voce di Meg così vicina.
Alzi la testa, trovandomi davanti una tazza fumante di tè caldo, che la mia amica mi stava gentilmente porgendo.
Le sorrisi, mettendo da parte i fogli di carta che avevo tra le mani per afferrare l'oggetto in ceramica bianco che mi scaldò al solo contatto. Lo avvicinai alle labbra, respirando quell'aroma inconfondibile e soffiandoci sopra per farlo freddare un po', mentre i miei due amici tornavano a sedersi ai loro posti.
«Allora... dicevamo su quegli stronzi?» riprese subito il discorso la ragazza con ormai palesi istinti omicidi al mio fianco, accavallando le gambe.
Mi schiarii la voce prima di iniziare. «Dicevamo che dopo aver saputo dell'eredità che aveva lasciato anche a loro, facendogli quindi capire che con me la scusa di un'equa spartizione non se la potevano giocare, sono partite le minacce. Mio padre mi ha detto chiaramente che se non gli lasciavo vendere la casa mi avrebbe tagliato i fondi e che me lo potevo anche solo sognare di finire l'università», rivelai, con il sangue che tornò a ribollirmi nelle vene.
«Forse è solo un bluff, Ollie. In fondo lo fecero anche quando gli dicesti dell'Erasmus, ma poi ti hanno lasciata partire ugualmente», mi rammentò il mio amico, poggiando la caviglia di una gamba sul ginocchio dell'altra.
Storsi la bocca per qualcosa di cui non gli avevo mai parlato. «No, Henry, questa volta era terribilmente serio. E comunque, quando sono partita il primo anno, non è che non me lo abbiano mai fatto pesare, troppe me ne hanno dette per telefono.»
«Cioè?!?» chiese, Meg, drizzando le orecchie a quell'informazione di cui l'avevo tenuta all'oscuro negli anni per non farla preoccupare.
Sospirai stancamente, prendendo il primo sorso della bevanda che tenevo tra le mani, inumidendomi così la bocca leggermente riarsa. «Nel senso che quando sono partita, ogni volta che ci siamo sentiti mi hanno fatto pesare la mia permanenza all'estero, sottolineando come per loro quella fosse una spesa futile, dal momento che avrei potuto completare gli studi in Italia per poi andare a lavorare nello studio di mio padre.»
I ricordi di quelle chiamate piene di invettive e parole taglienti come lame balenarono nella mia mente. Quante sere passate a discutere con loro sulla mia idea di futuro che non combaciava assolutamente con la loro. Anche quando li chiamavo per informarli degli esami che avevo superato, piena di orgoglio verso me stessa, loro riuscivano a smontarmi con un semplice: Bhe, mi pare il minimo. Anzi, vedi di sbrigarti così puoi iniziare a fare qualcosa di produttivo, invece di perdere tempo a divertirti fuori a spese nostre.
Quelle erano le notti peggiori, quelle in cui restavo per ore a osservare il mio cellulare rimasto muto, con il bisogno impellente di chiamare Luke per chiedergli cosa dovessi fare per non mollare e essere sempre me stessa, puntando i piedi contro quelli che sarebbero dovuti essere i miei primi sostenitori, mentre dalle loro labbra fuoriusciva solo disappunto. Ma ero stata troppo orgogliosa ai tempi. Il mio animo di donna ferita non mi aveva mai concesso di alzare la cornetta, perché se non era lui il primo a fare quel passo, dopo che mi aveva lasciato in quel modo nella sua stanza senza voler combattere per noi due, allora io non ero più pronta ad imbracciare la mia arma per entrambi, e così ero rimasta da sola, arrancando a testa alta nonostante le parole della mia famiglia cercavano di affossarmi.
«Ma che diamine di merde sono?» proruppe il mio amico, iniziando a tamburellare con il piede a terra per il nervosismo che si stava palesando non solo tramite il suo corpo, ma anche nell'espressione adirata del volto.
Osservai il liquido che tenevo tra le mani vorticare leggermente, come i ricordi di spiacevoli anni prima. «Te l'ho detto, Henry, loro sono fatti così... sono anni che gli remo contro e, nonostante sia preparata mentalmente ai loro assalti, riescono ancora a spiazzarmi qualche volta. Comunque alla fine ho tirato fuori tutto, informandoli anche del fatto che non sarei mai e poi mai andata a lavorare nello studio di famiglia.»
«Oh, cazzo!» sbottò, Meg, strabuzzando gli occhi.
«Già... proprio cazzo! Non glielo avevo mai fatto capire così direttamente, ma non ho retto più, la misura ormai era colma. A quel punto è stata l'Apocalisse. Mio padre che mi urlava che ero un'ingrata, i miei fratelli a dirmi che ero una sciocca sognatrice e che dovevo crescere una buona volta e smetterla di creare sempre scompiglio in quella che, a detta loro, era una famiglia che mi aveva concesso sempre tutto e forse troppo e, ciliegina sulla torta, mia madre che mi guardava con disprezzo. Non sono rimasta lì un minuto di più a farmi insultare. Ho preso la mia valigia, gli ho detto che con me avevano chiuso e di non osare mai più avvicinarsi a questa casa e me ne sono andata.»
«Merda! Però sei stata tostissima, dolcezza. Davvero tanta stima!» mi elogiò il mio amico, tra lo sconcerto e l'entusiasmo per quella mia presa di posizione.
«Ma ora che farai, Ollie?» domandò giustamente, Meg, riportandomi con i piedi per terra.
Come aveva detto Henry ero stata stoica in quel momento ma, purtroppo, dovevo prendermi anche le conseguenze delle mie azioni, che in quel caso erano zero soldi in tasca e un bel ma di testa.
«Non lo so, Meg, francamente ora non lo so. L'unica cosa che mi viene in mente è di trovare uno stage retribuito, invece di uno di quelli sovvenzionati dall'università a cui avevo puntato inizialmente. Gli esami li ho conclusi, devo solo finire la tesi e questo maledetto tirocinio formativo, ma, a questo punto, ho più bisogno di lavorare che di tutto il resto. Ho scritto un messaggio a Marcel, Nina e Ale, chiedendogli di iniziare a vedere per me se sanno di qualche azienda nei dintorni di Londra che mi assumerebbe, dandomi una buona paga. Perché diciamocelo, ragazzi, qui in Italia mi beccherei 400 euro al mese, se sono fortunata, per uno stage», illustrai le poche idee che ero riuscita ad elaborare in quelle ore, anche se mi sembrava ancora tutto campato in aria.
"Che cavolo! E io che avevo in programma di rientrare appena terminato! Perché accidenti non ne va mai dritta una!"
«Lo so bene, purtroppo. Se non avessi il supporto di mia madre non avrei potuto prendere in considerazione di provare a cercare uno stage in qualche azienda nei dintorni per stare vicino a Matt», concordò, la ragazza bionda al mio fianco, abbassando subito il capo per celare il palese imbarazzo che si stava manifestando sulle sue gote arrossate.
Le mie labbra si aprirono in un sorriso di tenerezza per quel suo intento pieno di amore. «Non ti devi vergognare, Meg, è una bella cosa quello che stai facendo.»
Iniziò a mangiarsi una pellicina, come era solita fare quando era in difficoltà. «È... è solo che non voglio si allontani ulteriormente dalla sua famiglia. Lui era disposto a chiedere il trasferimento per completare la specializzazione in uno degli ospedali di Milano, ma in fin dei conti io in quella città non mi sono mai sentita a casa. Ci sono ovviamente persone con cui ho stretto amicizia, ma nessuna è come voi, quindi non ho visto il motivo per cui far spostare lui e sradicarlo anche dalle persone più care che ha trovato, quando potevo farlo benissimo io», tentò di giustificarsi, per evitare qualche battutina inopportuna che di fatti non tardò ad arrivare da parte del nostro amico malizioso.
«Oppure è perché non vuoi più lasciare quel nido d'amore che avete creato in camera sua e da cui uscite a malapena per mangiare? E ti assicuro, bellezza, che nessuno ti giudicherebbe per questo. Con un tipo simile a scaldare il mio letto ventiquattro ore su ventiquattro, anche io mi sarei trasferito anche in Alaska.»
Mi misi una mano davanti alla bocca per cercare di frenare le risate, ma proprio non ci riuscii, lasciandomi andare ad una di quelle di pancia, mentre Meg fulminava sul posto con lo sguardo il creatore di quella insinuazione. «Piantatela, tutti e due, non è divertente! Anzi, visto che ci siamo, puoi dire alla tua dannata scimmia non ammaestrata di smetterla di bussare alla nostra porta la sera, urlandoci di fare più piano che c'è gente che il giorno dopo lavora?»
Dopo quella richiesta mi lacrimavano gli occhi per quanto stavo ridendo, iniziando anche a boccheggiare. «Non lo fa per dar fastidio a te, Meg. È la sua personale vendetta dopo tutte le volte in cui Matt ha fatto lo stesso con noi in quei mesi che stavamo insieme», le spiegai, sghignazzando al ricordo delle invettive del ragazzone che da dietro la porta della camera di Luke ci urlava: non osare toccare la mia principessa, plebeo!
La mia migliore amica mi fisso sconvolta, facendo schizzare verso l'alto le sue sopracciglia ben curate. «Sto con un idiota... è indiscusso che sto insieme ad un cretino!» insultò il suo ragazzo, ma in realtà, conoscendo il loro strano rapporto, avremmo potuto considerare quelle sue parole una dichiarazione d'amore.
Scossi la testa, ricomponendomi dopo quell'attimo di ilarità, insieme ai presenti.
«Tornando un attimo seri, che cosa vuoi fare ora, tesoro? Noi ti asseconderemo su tutto, anche se ci chiederai di crearti un alibi dopo che avrai trucidato, giustamente, la tua famiglia», propose il re del gossip, che già immaginavo con una pala in mano, se lo avessi assecondato.
«Francamente, senza offesa, ragazzi, in questo momento vorrei staccare un attimo i pensieri finendo a leggere la lettera di mia nonna. Se volete ci dovrebbero essere dei biscotti in cucina, che abbiamo comprato l'ultima volta. Ci metto un attimo, è... è solo che ho bisogno un po' di lei», dissi, accarezzando quelle pagine macchiate dalla sua grafia.
Una mano sulla mia spalla richiamò la mia attenzione, trovandomi davanti il sorriso comprensivo di Meg, quando mi voltai. «Fai con calma, Ollie, prenditi tutto il tempo che ti serve. E ricorda che troveremo una soluzione, non temere! Qualcosa ci inventeremo!» mi tranquillizzò, alzandosi ancora una volta con il suo compare, diretti verso la cucina dove fare scorta di dolci, concedendomi un po' del tempo da sola che gli avevo chiesto.
Puntai i miei occhi su quelle parole che, in quel momento, mi sembravano un salvagente a cui aggrapparmi in mezzo alla tormenta che si era abbattuta sulla mia e, ricominciando a leggere, mi feci trasportare in salvo verso rive sconosciute.
Lo so, mi state odiando perché vi interrompo sempre la lettera, ma anche Ollie deve parlarvi dei problemi che sono sopraggiunti. Nel prossimo capitolo torneremo dalla scimmietta con un altro momento molto delicato che lui e il topino hanno vissuto insieme... preparatevi! Vi auguro a tutti una buona giornata!
E ora i saluti... questo è uno di quelli storici nato per via di un commento unico nel suo genere...
AL PROSSIMO MARIANGELO PER @emmatda000 UNICO CASO AL MONDO DI GIGOLO' MORTO DI FAME!
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