CAPITOLO 22 - VOLTARE PAGINA
Luke
«Ehi, Luke, non è che hai qualcosa da sgranocchiare nel frattempo?»
Sbuffai spazientito, passando la pezza che avevo tra le mani sull'ultimo tavolo. «Matt, non è un dannato self service, quindi tieni giù le mani dalla roba dietro il bancone!» gli intimai senza voltarmi, stendendo una delle tovaglie rosse e iniziando ad apparecchiare.
«Ma come facevi a sapere che stavo prendendo i salatini? Che hai davvero gli occhi dietro la testa?» domandò stupefatto il mio coinquilino dalla fame insaziabile.
Lisciai con le mani le pieghe che si erano venute a creare sulla stoffa di lino appena adagiata, prima di ruotare la testa e guardarlo da sopra la spalla. «No, è che ogni benedetta volta che vieni qui ti mangi metà del locale. Cos'è, la tua padrona non ti dà abbastanza croccantini per cena?» lo punzecchiai ironico.
Girò sullo sgabello per puntarsi nella mia direzione, sfoggiando un sorriso lascivo. «Oh, no, mi sfama eccome la mia principessa e altrettanto faccio io con lei», ribatté passandosi la lingua sul labbro inferiore, rendendo fin troppo palese la sua allusione.
Roteai gli occhi, afferrando alcuni piatti bianchi in ceramica, con un ricamo arzigogolato porpora al centro, e iniziandoli a distribuire lungo tutta la lunghezza del tavolo. «Ora ti fai lo splendido perché non è qui con noi ma, se ti sentisse, ti metterebbe a cuccia in tre secondi», gli rammentai proseguendo nel lavoro.
«Ah, ma io la amo ancora di più quando mi risponde a tono», dichiarò trasognante.
Risi tra me e me, ripiegando uno dei tovaglioli sopra cui andai ad adagiare le posate appena lucidate. «Te sei un dannato masochista, lo sai? Dovresti farti vedere da uno bravo per questa tua perversione», continuai a pungolarlo imperterrito; ormai lo avevamo del tutto perso.
«Ha parlato l'uomo a cui piacciono quegli strani pigiami a forma di animale che si mette Ollie!» mi rimbeccò in quell'infinito scontro verbale ilare.
«Touché!»
Non avevo davvero altro da aggiungere, in fondo era vero: adoravo quei pigiamoni non tanto in sé, ma perché erano una delle prime manifestazioni del modo di fare estroso di Ollie e che era stato lo spunto per la creazione del suo nomignolo.
"Spero stia bene... spero davvero stia bene."
Avevo voglia di sentirla, ma per il momento era il caso di lasciarla sfogare con la sua migliore amica, e io purtroppo non potevo fermarmi un secondo quel giorno.
«Comunque volevo dirti grazie... » la voce di Matt catturò la mia attenzione, sviandomi da quei pensieri.
Passai al secondo tavolo, stendendo un'altra tovaglia sulla superficie rettangolare in legno. «Per cosa, scusa?» chiesi, rivolgendogli una rapida occhiata in tralice e trovandolo a passarsi una mano dietro alla nuca, mentre l'altro braccio era rilasciato lungo il bancone.
«Beh... per come è andata con Meg, il passaggio in auto e tutte le cose che mi hai detto... insomma... in questi giorni non abbiamo avuto molto modo di parlare, quindi grazie!»
La mia bocca si piegò inevitabilmente in un sorriso per quei ringraziamenti un po' goffi forse, ma sicuramente sentiti, anche se in realtà non avevo bisogno di riceverli, perché in passato era stato lui ad aiutarmi, prendendomi a pugni anche, ma cercando di darmi una raddrizzata per come poteva, evitando che mi lasciassi affogare dalla nostalgia e i rimpianti. «Figurati! Anche se credo dovresti ringraziare più Ollie che me. È per merito suo se abbiamo trovato la tua donna in fuga.»
Quella ragazza per me era straordinaria, si faceva sempre in quattro per chi amava.
«A proposito di Ollie! Non mi hai detto che avete fatto quel giorno quando ci avete lasciato da soli», insinuò con tono malizioso.
La forchetta che tenevo in mano mi scivolò tra le dita a quella sua domanda, cadendo sulle piastrelle nere del pavimento con un rumore metallico. Storsi la bocca, chinandomi a raccoglierla mentre alle mie spalle giunse la risata divertita del mio amico.
«Allora?»
Sospirai, tirandomi su e avanzando verso il bancone dove mettere tra i piatti sporchi la posata da lavare, ritrovandomi proprio di fronte al ragazzo che passava decisamente troppo tempo con la sua dolce metà, visti i livelli di curiosità che aveva raggiunto.
Aprii l'acqua del rubinetto, afferrando una delle spugne e imbevendola di sapone liquido. «Siamo... siamo andati al cimitero... a trovare i miei genitori», svelai sollevando il capo e scoprendo che il volto del ragazzo biondo dall'altro lato si era fatto estremamente serio.
«E... come è andata, se posso chiedere, altrimenti non fa nulla, lo capisco.»
Matt in fondo era una persona molto accorta verso gli altri. Evitava di intromettersi e lasciava a te la scelta se sbottonarti o meno, senza essere invadente. E forse era proprio per questo motivo che con lui mi riusciva facile parlare.
«Beh... come dire... è stato sia un vero schifo che uno dei giorni migliori della mia vita...»
5 giorni prima...
«Allora, scimmietta, dove ce ne andiamo in attesa che quei due si parlino? Sperando sempre che non ne ritroviamo un morto al nostro ritorno.»
Sorrisi leggermente a quel suo commento, prendendo un respiro profondo per godermi a pieni polmoni il suo profumo e il calore del suo corpo che percepivo anche se c'era il poggia oggetti nel mezzo a separarci.
"Dio, quanto mi era mancata!"
Ci eravamo rivisti in fondo solo tre giorni prima, durante la cena di Natale, in cui avrei voluto tenerla abbracciata a me su quel tetto per sempre senza più farla andare via, scaldandomi con il suo sorriso e sfamandomi con il suono della sua voce. Era davvero come una droga, mi bastava inalarla una volta per tornarne dipendente.
«Luke... mi stai ascoltando?» mi richiamò all'ordine, vedendo che non rispondevo; come al solito mi ero perso tra i miei pensieri.
Mi schiarii la voce, ricomponendomi sul mio sedile e rinsaldando la presa sul volante. «Ehm... sì... scusami, ero un attimo distratto. Comunque... io un'idea ce l'avrei su dove andare...» affermai titubante, cambiando marcia.
«Ok... dimmi dove, o dobbiamo fare il tuo solito gioco del vedrai e mettermi a pregare come al solito la grande mietitrice affinché non decida che è giunto il momento di tramutare i nostri incontri occasionali in una relazione stabile?» domandò con il suo inconfondibile sarcasmo, facendomi sogghignare.
"Quanto mi era mancato anche solo ascoltarla farneticare!"
Reclinai il capo sul poggia testa, immettendo e buttando fuori aria dalle labbra, prima di porle la mia richiesta. «Ecco... sai che ti avevo detto qualche giorno fa che mi sarebbe piaciuto andare a trovare i miei genitori al cimitero... così... visto che ci siamo... ecco... » non mi fece finire quella frase. Il suo palmo andò ad adagiarsi come una piuma sul dorso della mano che ancora tenevo avvolta intorno al cambio, stringendolo in una presa risoluta come i suoi occhi che mi stavano fissando dal suo lato dell'abitacolo.
«Andiamo!» non aggiunse altro, limitandosi a far comparire sotto quelle sue stupende iridi ambrate un sorriso di incoraggiamento, che si rispecchiò nel mio.
Cacciai la freccia verso l'imbocco della superstrada. Ci saremmo dovuti sbrigare, visto che il cimitero dove erano sepolti i miei genitori si trovava a circa un'ora di distanza rispetto alla città dove vivevamo, di conseguenza avremmo avuto più di due ore di viaggio da passare insieme. E in quel momento mi sentii un bastardo terribilmente fortunato, perché quella distanza mi consentiva di trascorrere altro tempo in sua compagnia, anche se con lei, le ore, non mi bastavano mai.
Il tragitto fu piacevole come sempre. Accendemmo la radio, impostandola sulla stazione di Virgin Radio, che trasmetteva la musica che più piaceva ad entrambi. Parlammo molto, dei suoi studi e progetti futuri, delle nuove idee per il locale e come stava procedendo quella mia piccola avventura imprenditoriale, ma restammo spesso anche in silenzio, perché anche quello per noi era un elemento che aveva contraddistinto la nostra relazione: l'assenza di suoni che in realtà erano colmi di parole che solo noi due potevamo udire.
"Ti ho amata in silenzio e in questo stesso silenzio continuo ad amarti."
Più ci avvicinavamo alla nostra destinazione, più, tuttavia, le mie labbra serrate erano dovute all'agitazione che montava ad ogni chilometro percorso. Quando parcheggiai il furgoncino nello spiazzale di fronte all' ingresso di quelle mura grigie e spente come le anime che si trovavano al suo interno, stavo praticamente sudando e i muscoli delle braccia mi facevano male per quanto erano contratti nell'azione di stringere il volante, come se quello fosse il mio unico appiglio per non crollare.
Ma il calore della mano che andò a staccare una delle due, che non volevano mollare la presa su quell'oggetto circolare, per poi far intrecciare le nostre dita tra di loro, mi ricordò che al mio fianco c'era qualcos altro a cui mi sarei potuto sorreggere: l'unica donna che avessi mai amato.
I miei occhi abbandonarono finalmente dal parabrezza, richiamati dall'energia e dalla forza dei suoi che mi stavano scrutando senza aprir bocca, facendo sì che la fermezza che trapelavano dai suoi topazi imperiali confluisse in me, illuminandomi la strada da percorrere.
Ollie era davvero come un faro nella notte. Quando l'avevo portata anni orsono in quel posto, che ora invece era il suo emblema, volevo farle ritrovare se stessa, e lei lo aveva fatto, mentre io mi ero perso nella burrasca delle mie incertezze. Ma lei non aveva demorso, tramutandosi per me nell'unica luce in grado di rischiarare il cielo plumbeo delle mie paure, squarciando le notti in cui i miei incubi cadevano giù come pioggia torrenziale e indicandomi un porto sicuro dove finalmente attraccare. Ma ciò che ancora non sapeva, era che lei era l'unico molo al mondo in cui avrei voluto riposare dopo un lungo viaggio.
«Ci sono io con te! Non ti lascio solo!» non era un'affermazione la sua, era piuttosto una constatazione che non ammetteva repliche, e a cui io potevo credere ciecamente se era lei a farmi una simile promessa.
Alzai e abbassai il capo, ricambiando la stretta alla mia mano. «Ok... facciamolo!»
Con uno slancio di sicurezza aprii la portiera, abbandonando quella scatola di metallo che sembrava un buon rifugio dalle intemperie del mio passato che, a breve, sapevo si sarebbero scagliate su di me, ma che era ormai tempo a cui andassi incontro.
Mi fermai dinanzi all'arco che delimitava con una linea sottile il mondo dei vivi da quello dei morti, congelandomi con il naso puntato verso la facciata, la cui sommità sembrava svanire tra le nubi che avevano oscurato il sole di quel primo pomeriggio, esattamente come il mio coraggio. Ma anche questa volta, sentendo i polpastrelli della ragazza al mio fianco che si insinuavano tra le mie dita per legarsi tra di loro, quel senso di impotenza fece un passo indietro di fronte al suo stoicismo.
Girai la testa alla mia destra, riempiendomi la vista e l'animo di quel suo tiepido sorriso che era come un focolare in una casa rimasta vuota per decenni, e di cui ero pronto ad esplorare ogni stanza priva di ricordi della mia infanzia, ma che speravo di riuscire a riempire con dei nuovi nel mio futuro.
Avanzammo lentamente con passi recalcitranti, immergendoci in quel luogo privo di colore, nonostante i fiori ad adornare i vari loculi. Sembrava un percorso su un sentiero lastricato di immagini appartenenti al passato; volti ignoti che si susseguivano in scatti sbiaditi, alcuni in bianco e nero, altri più recenti, ma tutti accomunati da un'unica cosa: sorrisi oramai spenti.
Odiavo i cimiteri, li detestavo proprio. Per me erano come un terreno scosceso su cui si decideva spontaneamente di scivolare inesorabilmente, ferendosi tra lacrime e rimpianti. E anche quando ti fermavi e ti rialzavi in piedi, non c'erano cerotti o garze che tenessero per medicarti da quelle lacerazioni interne che bruciavano molto più di una reale escoriazione sulla pelle. Sarà stato perché non ero credente, ma avevo sempre reputato molto meglio rivolgere un pensiero alle persone scomparse ogni giorno, facendole così continuare a vivere nella nostra memoria, piuttosto che recarsi una volta l'anno in quel posto, anche se io, purtroppo, di ricordi miei non ne avevo.
Svoltammo a destra, entrando nell'area adibita alle tombe a terra, superando le prime tre file e percorrendo in tutta la sua lunghezza la quarta, arrestando i nostri passi scricchiolanti sotto il peso delle nostre suole sul selciato, una volta che scorsi quei due volti che conoscevo a mena dito, per via delle tante sere passate a rimirare quelle due foto, che ora mi ritrovavo davanti, ma di cui in realtà io sapevo poco o nulla, a eccezione di ciò che mi era stato narrato nei racconti di mia nonna.
Mi sentii pietrificare come quelle due lapidi bianche adornate da scritte in oro che riportavano la data della loro nascita e quella della loro prematura dipartita, che aveva segnato la fine della mia spensieratezza e l'inizio di una vita che sentivo di aver vissuto sempre a metà, come se fossi una scacchiera con due pedoni mancanti che mi erano stati sottratti a mia insaputa, impedendomi di poter iniziare davvero la partita della mia vita.
«Tuo padre ha proprio lo stesso colore dei tuoi occhi.» quelle poche parole riattivarono la mia mente, riportandola su un sentiero meno accidentato in cui stavo rischiando di ricominciare ad inciampare.
Volsi lo sguardo nella sua direzione, osservando il suo delicato profilo impreziosito da un sorriso dolce, mentre osservava con attenzione le foto racchiuse in quelle piccole cornici ovali.
«Sono neri. Colore più banale non potrebbe esistere», le feci notare, accarezzandole il dorso della mano che ancora era stretta intorno alla mia.
I suoi capelli si mossero leggermente, finendole dietro la schiena, mentre accompagnavano il movimento del suo volto che ruotò per poter incontrare con il mio. «No, lo trovo in realtà il colore più unico che esista al mondo», controbatté seria.
Scrollai le spalle un po' in imbarazzo, chinando leggermente il capo. «In realtà il nero è assenza di colore, topino.»
«Sì, e proprio per questo è così speciale!» feci guizzare il miei occhi su di lei, ritrovandomela con quelle sue labbra carnose che si stavano issando verso l'alto ad ogni parola che lasciava fuoriuscire da esse. «Non riflette nulla, sovrasta tutti gli altri colori. Cancella il rosso della rabbia, il verde dell'invidia, il bianco della purezza. Ma la cosa migliore che fa il nero la sai quel'è, Luke?» scossi il capo in segno di diniego, pendendo dalle sue labbra come un bambino a cui veniva rivelato un grande segreto. «Che se lasci un figlio nero sotto il sole lo ritroverai caldo, perché il nero assorbe calore e ti ci puoi avvolgere come con una coperta di lana. Il nero ti riscalda dentro come nessun altro colore brillante potrà mai fare.»
Aprii la bocca come a voler dire qualcosa, ma in realtà non avevo nulla da dirle. Mi aveva lasciato senza parole... come sempre. La conoscevo da più di tre anni e ancora riusciva ad ammutolirmi con i suoi pensieri, con la sua capacità di guardare le cose con occhi diversi dagli altri. Lei era davvero come un obiettivo fotografico ad alta risoluzione che coglieva quei piccoli particolari che sfuggivano all'occhio umano, catturandoli con un semplice click e mostrandoteli come se fossero stati sempre sotto i tuoi occhi, facendoti capire che non ti eri concesso il tempo sufficiente per accorgertene.
Allungai una mano nella sua direzione, afferrando una ciocca di quei suoi capelli color cioccolato che le era finita sullo zigomo quando si era voltata, appuntandogliela con delicatezza dietro l'orecchio e accarezzandole con il pollice una guancia, prima di rilasciare il braccio. «Li hanno seppelliti a terra per volontà di mia madre», raccontai con voce bassa, incurvata ancora dalle emozioni provate per quelle sue parole.
«E come mai?»
Sorrisi al ricordo delle parole di mia nonna, prima di spiegarle. «Perché lei aveva un'idea tutta sua della vita dopo la morte. Le sarebbe piaciuto essere cremata e che le sue ceneri fossero sparse in un prato, di modo da diventare nutrimento per i fiori e gli alberi, tornando così a vivere di nuovo tramite di essi. Ma siccome non siamo in America e queste cose non si possono fare, i miei nonni scelsero di esaudire quel suo desiderio per come potevano, avvicinandola il più possibile alla terra di cui voleva essere sostentamento.»
Una fredda folata di vento si innalzò tra di noi, portando alle mie narici l'odore di pioggia mista a neve e facendo chiudere gli occhi alla ragazza al mio fianco e scompigliando i capelli che le avevo da poco rimesso in ordine, rendendola, paradossalmente, ancora più bella.
«Quale era il suo fiore preferito?» domandò, facendo tornare a sorgere quella splendida alba celata dietro le sue palpebre che si erano abbassate per un attimo.
«Il giglio bianco», le svelai, incurvando gli angoli della bocca in un sorriso malinconico per quei dettagli che conoscevo, ma non per diretta esperienza.
Si avvicinò a me, facendomi quasi indietreggiare quando posò le sue labbra morbide sulla mia fronte, andandola a scoprire con una mano a causa dei ricci che, come al solito, erano volati da tutte le parti. «Aspettami qui, torno subito. Ti lascio un po' di tempo da solo con loro, va bene?»
Avrei voluto tenerla per sempre lì con me ma, per fare ciò che dovevo, avevo anche bisogno che lei non fosse presente; quella era una cosa che dovevo affrontare per conto mio.
«Ok... » acconsentii, dando una leggera stretta alla sua mano, per far aderire il suo palmo un ultima volta contro il mio, prima di rilasciarla e vedere la sua schiena dirigersi nella direzione da cui eravamo arrivati.
La seguii con gli occhi finché non scomparve dietro l'angolo da cui eravamo sbucati, rimanendo così da solo con quelle due lastre di marmo che si ergevano dal suolo su cui sentivo di non riuscivo più a trovare la stabilità di cui avevo bisogno per restare in piedi. Così mi misi seduto a terra come un indiano, poggiando i gomiti sulle ginocchia e fissando intensamente i tratti del volto di quelle due persone su cui potevo rispecchiarmi.
Inspirai con forza, allargando la gabbia toracica più che potevo, come per fare scorta di più ossigeno che sapevo mi sarebbe servito per portare a termine quell'incontro. Misi una mano nella tasca davanti dei jeans, estraendo un foglietto di carta di cui avevo scritto il contenuto proprio la sera prima, come se istintivamente sapessi che quel giorno sarebbe arrivato prima del previsto.
Lo aprii con cautela, senza lisciarlo dalle pieghe che si erano venute a creare dopo averlo tenuto tutto il giorno addosso, perché in quel momento rifletteva alla perfezione come mi sentivo: increspato da emozioni contrastanti e segnato dagli eventi.
Non mi misi a leggerlo ad alta voce, mi sarei solo sentito un cretino che parlava da solo; preferii, invece, lasciare che i miei occhi scorressero sull'inchiostro, tramutandolo in parole nella mia mente.
"Ciao, mamma... ciao papà...
Non sono molto bravo con le parole, ma la nonna dice che tu papà eri come me, quindi credo riuscirai a capirmi, come tu mamma sarai abituata a tradurre i silenzi di chi ha tanto da dire ma poche capacità per farlo.
Non lo so neppure io perché la sto scrivendo questa lettera, forse perché quando mi deciderò a venirvi a trovare non resterò come uno scemo davanti alle vostre tombe senza dire nulla o, più probabilmente, perché ne sento la necessità.
Vi vorrei dire che se mi aveste conosciuto sareste stati fieri di me, ma francamente ne dubito. Ho sbagliato molto, sapete? E tutto è proprio partito da voi due. Non vi sto addossando la colpa dei miei errori, sia chiaro, ma credo che ciò che è successo a voi si sia inevitabilmente ripercosso sulla mia vita, sin da quando ero un bambino e vi aspettavo in silenzio davanti all'uscita della scuola, senza dirlo però a nessuno; sarei sembrato solo uno stupido, in fondo, ero consapevole che voi non sareste mai potuti venirmi a prendere. Però ci speravo sempre che avvenisse una magia e non mi sentissi più così sbagliato o, per meglio dire, incompleto.
Non l'ho mai scritta una letterina a Babbo Natale, facendo impazzire la povera nonna ogni anno, inducendola alla fine a comprarmi sempre un libro, visto che era la sola cosa che aveva capito mi piacesse. Non lo facevo con cattiveria, questo no, solo che io avevo una sola richiesta per lui ma, come già detto, ero più che cosciente che non vi avrebbe mai potuto riportare indietro da me per scartare i regali sotto l'albero a mezzanotte tutti e tre insieme, o per riempirmi la bocca dei tuoi cannelloni, mamma, che mi è stato detto essere la tua specialità.
No... tutto questo non me lo avrebbe mai potuto portare con la sua slitta. E così alla fine i sogni sono svaniti, quelle lettere con la busta rossa mai scritte e ciò che mi è rimasto è stato il silenzio. Già... proprio quello... il mio fedele compagno di vita. E nel silenzio mi ci sono chiuso bene, sigillando l'accesso al mio mondo con versi in rima e storie di scrittori lontani, per non far trapelare all'esterno le mie paure e insicurezze che andavano ad aumentare di anno in anno.
E sono stato dannatamente bravo a nascondermi... oh, sì... era diventata la mia specialità. Mi trinceravo dietro il mio lato folle, fuori dagli schemi e un sorriso sghembo che si faceva beffe di un mondo che mi aveva tolto la possibilità di avere un amore incondizionato e ricordi sotto un tetto che con il passare del tempo ha cominciato a deteriorarsi sotto il peso della vostra scomparsa.
Vi avrei voluto al mio fianco in diversi momenti della mia vita: quando ho imparato ad andare in bici, durante la mia prima cotta adolescenziale per una ragazzina che neppure mi degnava di uno sguardo alle medie, o quando mi sono innamorato per la prima volta in vita mia.
Mi sarebbe piaciuto farvela conoscere di persona, sapete? Francamente non so cosa avreste pensato di lei, perché io in fondo non vi conosco, se non tramite i racconti di terze persone e album pieni zeppi delle vostre foto, ma mi piace immaginare che l'avreste adorata tanto quanto me. È bellissima, dovreste vederla! Quando la guardo non riesco ancora a capacitarmi di come abbia fatto a conquistarla ai tempi, anche se in fondo lo so... lei a guardato oltre.
Prima di lei ero come se stessi giocando contro il resto del mondo una partita a battaglia navale, a cui però avevo taciuto di avere una cartella nascosta, di conseguenza ogni volta che il mio avversario lanciava una coordinata, sperando di colpire una delle mie navi, finiva per toccare solo acqua. Ma Ollie è stata diversa sin dal principio. Si è accorta subito di quel mio segreto, affondando ogni vascello carico delle mie emozioni e paure più recondite. Il problema, però, è che alla fine ho portato a fondo con me anche lei.
Ho fatto un casino dietro l'altro, ferendola e ferendo me stesso al contempo. La sofferenza mi sembrava una giusta punizione per il dolore arrecatole. E ci ho anche provato a risistemare le mie navi sulla griglia, ma ho finito per disporle male, colpendola nei punti sbagliati nuovamente.
Avrei voluto che ci fossi tu, papà, in quei momenti a darmi una strigliata e a dirmi come comportarmi, o tu, mamma, a spiegarmi come si tratta con cura il cuore di una donna. Ma ho capito una cosa in questi mesi lontano da lei: che sì, voi non ci siete stati in tantissimi step della mia vita, ma ho avuto il nonno al mio fianco quando mi ha insegnato a guidare, sentendolo imprecare talmente tanto che credo abbia speso tutte le parole che di norma proferisce in un anno; ho avuto la nonna ad accarezzarmi i capelli di nascosto da bambino prima che andasse a letto, credendo che stessi dormendo; ho avuto un amico che mi ha preso a pugni pur di farmi capire che stavo sbagliando e che mi ha teso una mano dopo averlo fatto; c'è stato anche un amico che ha cucinato per me ogni giorno, sorridendomi come se quello sforzo non gli costasse nulla, e uno che mi ha fatto ragionare sulle ripercussioni delle azioni avventate che stavo per intraprendere, ma, soprattutto, ho avuto lei... lei che mi ha amato incondizionatamente, che ha perdonato le mie debolezze, che ha accettato le mie incertezze.
Ed è per tutto questo che voglio chiedervi scusa, perché sto provando ad amarmi, ad andare avanti, ma se lo voglio fare davvero e diventare l'uomo che voglio essere, quello che si sentirà all'altezza di camminare al fianco della donna che ama, vi devo lasciare andare.
Non è un addio questo... non potrà mai esserlo. Voi siete la parte mancante di me, quel tassello che non c'è, e tutto ciò non potrà mai cambiare. Ma ho bisogno di voltare pagina se voglio poter iniziare a scrivere un nuovo capitolo della mia vita e non continuare a rileggere all'infinito pagine vuote lasciate dalla vostra assenza.
Sono certo che capirete questa mia scelta e che in realtà sarete fieri di me... io me lo auguro con tutto il cuore.
Vi vorrò bene per sempre.
Il vostro Luca."
Una goccia traslucida cadde sulla lettera scossa dal tremolio delle mani con cui la stavo tenendo, ma non proveniva dal cielo, bensì dai miei occhi, i quali, scorrendo su quelle righe, si erano riempiti di tutte le lacrime che non mi ero mai concesso di versare prima d'ora per la loro morte. Ed erano molte, forse troppe. Ventisette anni di dolore trattenuto, di palpebre serrate, per non lasciarmi andare a quel vuoto costante, e di sorrisi forzati.
Mi passai una mano sul viso che tenevo rivolto verso il foglio ora adagiato tra le gambe, tentando di frenarle come potevo, ma era una battaglia persa in partenza, perché quando lasci scorrere anche solo un poco un dolore così a lungo represso, verrà solo fuori come un fiume in piena.
Due ginocchia si posarono sulla nuda terra dinanzi a me, portandomi ad alzare lo sguardo appannato da quelle stille di un bambino rimaste nel silenzio della sua cameretta per decenni. E anche se tutto ciò che riuscivo a captare erano macchie di colore, il suo profumo e il suo volto, li avrei riconosciuti tra mille, anche fossi stato cieco.
«Ollie... » gracchiai con le labbra bagnate dalle lacrime salate che non accennavano ad arrestarsi.
Non disse nulla, piegando solo il busto verso di me e cingendomi con le sue braccia, portando con una mano il mio volto a nascondersi nell'incavo del suo collo, mentre le sue dita passavano tra i miei capelli con accortezza, come se temesse di potermi fare male. «Va tutto bene, Luca... ci sono io qui con te... non ti lascio da solo... non sei solo!»
Quelle sue parole furono la goccia che fece traboccare un vaso già pieno. Infilai le braccia tra i lembi del suo piumino rimasto aperto per raggiungere la sua schiena, dove mi aggrappai al suo maglione di lana, stringendolo con talmente tanta forza da rischiare di strapparlo, lasciandomi andare ad un pianto sommesso ma che in realtà sembrava riecheggiare tra quelle file di epitaffi dedicati a persone scomparse, un po' come me in quel momento, che mi ero perso e ritrovato in quell'abbraccio al tempo stesso.
Quando finalmente l'ultimo singulto venne fuori, bloccandosi in fondo alla gola con uno spasmo che si ripercosse al centro del petto, mi scostai leggermente da lei, ma senza interrompere il contatto con il mio corpo, sollevando le palpebre che sentivo pesarmi come due macigni. La nebbia della sofferenza si dissipò finalmente del tutto, consentendomi di godermi appieno la bellezza fulgente del suo sorriso.
Asciugò le ultime tracce delle gemme trasparenti che avevano solcato il mio viso, baciandole una ad una con riverenza, mentre io, chiudendo ancora una volta gli occhi, mi gustai la sensazione delle sue labbra sulle mie guance.
Una qualcosa di morbido come seta al tatto andò ad accarezzarmi la fronte e quando risollevai le palpebre mi trovai davanti i candidi petali di un giglio a gambo lungo che lei teneva stretto tra le sue dita affusolate. La guardai con la stessa sorpresa che avrebbe avuto un bambino di fronte ad un trucco di magia, e in fondo il paragone non era poi così sbagliato: lei era davvero come un mago che riempiva la mia vita di sorprese inaspettate senza il bisogno di grandi strumenti.
Le sorrisi leggermente, prima che si girasse solo con il busto per adagiare quel fiore immacolato ai piedi della tomba di mia madre, mentre la sorreggevo per la vita. Quando si voltò e si accorse del rettangolo di carta che si era frapposto tra me e lei, corrugò le sopracciglia con fare pensoso, per poi distenderle mentre lo afferrava e me lo porgeva dicendomi, come se mi avesse letto nel pensiero: «Coraggio, scimmietta, fai una delle tue magie!»
Non mi servii chiederle che cosa intendesse, afferrai la lettera ripiegandola più volte, fino a creare uno dei miei aeroplanini di carta che erano diventati il simbolo della nostra storia anni prima. Glielo restituii, non capendo cosa ci volesse fare, ma quando la vidi adagiarlo vicino al fiore preferito di mia madre sentii saltarmi un battito. Scattai con gli occhi nei suoi, trovandola ancora con gli angoli della bocca sollevati. «Ecco, così il tuo desiderio è già arrivato a destinazione.»
E in quel momento morii e rinacqui di nuovo sotto le sue parole e quelle mani che continuavano ad accarezzarmi lo zigomo destro. Le afferrai li polso con forza, andandole a posare un bacio carico di amore e gratitudine sul palmo, in un gesto che voleva trasmetterle tutta la mia riconoscenza per ciò che aveva appena fatto.
Percepii la perdita di calore del suo corpo quando si alzò in piedi, tendendomi una mano dall'alto con le labbra ancora arricciate in quel suo sorriso pieno di affetto. «Andiamo a casa?»
La scrutai dal basso come se fosse un oggetto raro e prezioso che mi era stato recapitato senza preavviso, come se quell'uomo barbuto, fantasia di ogni bambino, avesse trovato il modo di recapitarmi il dono che volevo in un'altra forma. «Sì... andiamo a casa!» asserii convinto, alzandomi in piedi e restando qualche passo indietro, facendomi guidare dall'unica persona al mondo che sapesse sempre quando avevo bisogno di restare e quando invece di mollare.
La seguii in silenzio lungo quel viale lastricato di ricordi a ritroso,lasciandomi alle spalle un passato che avrei per sempre custodito nel mio cuore, e avanzando verso quello che sperai poter essere il mio futuro, il quale, in quel momento, guardandomi da sopra una spalla, mi stava sorridendo.
La nostra scimmietta ha dovuto affrontare un momento molto difficile, ma per fortuna con lui c'era il suo topino. Era tempo ormai per Luke di guardare in faccia il suo passato se voleva andare avanti. Mi auguro che la sua sofferenza e allo stesso tempo il suo sollievo siano arrivati. Nel prossimo capitolo torniamo da Ollie, con la lettera della Nonna per cui mi state odiando facendola interrompere sempre, ma anche il nostro topino vi deve raccontare qualcosa su ciò che le sta succedendo. Vi auguro una buona giornata.
E ora i saluti... chiederò un trapianto di polmoni prima o poi...
AL PROSSIMO MARIANGELO MI COMMISERO E MI DISFACCIO MA ALLA FINE UN C**O FACCIO!
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