CAPITOLO 11 - IL MASTINO

AVVISO: Capitolo diviso in due parti. Occhio al cambio di scena.

Meg

«Sto per morire, Ollie. Questa potrebbe essere l'ultima volta che ci sentiamo. Volevo solo che sapessi che ti ho voluto bene, anche se dovresti sentirti in parte responsabile per la mia prematura dipartita.»

«Che esagerata che sei! È solo una vecchietta un po' diffidente che vuole accertarsi che suo nipote abbia fatto la scelta giusta, nulla di che!»

Dopo il pranzo di Natale, anzi, dopo la colazione ed il pranzo di Natale, perché una cosa sola non poteva bastare, avevo sentito la necessità di parlare con la mia migliore amica. Nonostante fosse stata lei una degli artefici di quel complotto che mi avevano condotta ad un passo dalla morte, sia per il troppo cibo ingurgitato in meno di ventiquattro ore, sia per via della nonna di Matt che non aveva smesso un secondo di scannerizzarmi ed incalzarmi con domane sempre più scomode sin dalle prime luci dell'alba, avevo sentito il bisogno di confidarmi con qualcuno, e non solo in merito alle paure circa una mia imminente scomparsa dalla faccia della terra.

«Non è come nonna Sandra, Ollie! Lei al massimo mi avrebbe chiesto se mi trovavo bene con l'arnese di suo nipote, invece nonna Paola vorrà vedere scorrere il mio sangue se non renderò felice il suo bambino», perseverai nella mia tesi, lasciandomi cadere di schiena sul piumone color ocra del divano letto aperto nella stanza di Katay.

«Quello sicuramente, e probabilmente mia nonna ti avrebbe anche chiesto informazioni in merito a dimensioni e durata, ma ciò non toglie che a mio avviso stai esagerando», controbatté la mia amica.

Iniziai a mangiucchiarmi una pellicina per frenare l'agitazione. «La chiamavano il Mastino in passato.»

«Che?!?» domandò interdetta la povera Ollie che giustamente non ci stava capendo nulla.

«Mi ha detto Katy, che quando i gestori della macelleria di famiglia erano ancora lei e suo marito, la gente del paese la chiamava Il Mastino, perché se qualcuno provava a fregarla lo sbranava vivo.»

Un attimo di silenzio che mi fece credere che fosse caduta la linea, ma quella mia supposizione venne smentita dalla risata argentina della ragazza mora che sembrava aver trovato esilarante quell' informazione carpita.

«Ma non gli vuoi di certo rubare un bistecca, cretina!» affermò, senza interrompere il riverbero della sua risata che continuò a diffondersi gracchiante tramite il microfono del cellulare.

«Ed invece, dal suo punto di vista, sì! Per lei Matt fa parte della sua produzione di manzi caserecci. Non ne uscirò viva, me lo sento!» spiegai il mio personale punto di vista, che la fece solo ridere di più.

«Beh, non è che abbia poi tutti i torti, non mi dire che ieri, mentre guardavi Matt imboccare sua nipote, non ti è balzata alla mente l'immagine di lui che replicava lo stesso gesto con un piccolo Matt, o con una piccola Meghan, anche se in questo ultimo caso temerei per l'incolumità di mia nipote. Sicuramente, geloso com'è, la rinchiuderebbe in una torre e butterebbe via la chiave pur di far sì che la sua principessina non venga sfiorata da alcun uomo sulla faccia della terra.»

"Ma perché diamine le ho raccontato di quella scena e della tenerezza che avevo provato ad assistere? Dovevamo cambiare assolutamente quella maledetta regola che ci imponeva di rivelare tutto ciò che una provava o sentiva verso un ragazzo all'altra."

Mi portai un braccio a coprirmi gli occhi, mugugnando frustrata. «Piantala! Già sua madre e sua nonna, tra un boccone e l'altro del capretto con le patate, mi hanno chiesto cosa ne pensassi delle famiglie numerose e quanti figli immaginassi di avere in futuro. Vogliono farmi creare una squadra di calcio, Ollie! Tu ti immagini undici Matt in giro per il mondo? Mi arresterebbero, poco ma sicuro!»

Dopo la prima tranche di domande imbarazzanti della sera precedente, i suoi parenti avevano preso più confidenza, andando questa volta dritti al sodo senza tanti giri di parole. Ormai ero fregata, stavano già lavorando i calzini a maglia sia blu che rosa per non sbagliare sul sesso del primo nascituro.

«Io ne sarei felicissima, non vedo l'ora di poter comprare una di quelle magliettine da neonato così carine con la scritta Sono figo come mia zia

"Ottimo, ora ci si metteva pure lei!"

Afferrai uno dei cuscini bianchi con la federa a righe rosa, mettendomelo sulla faccia per attenuare il verso esasperato che scaturì dalle mie labbra. «Ti prego, basta! Basta! Possiamo cambiare argomento?» chiesi supplice.

«D'accordo, accantoniamo per un attimo i minipigiamoni a forma di animali che comprerei ai miei futuri nipoti, perché fattene una ragione, ma se mai avessi un figlio in futuro glieli comprerò. Parliamo invece di ciò che stai provando verso Matt in questi giorni, e se ti piace ciò che lui ti sta mostrando del suo carattere.»

"Aspetta, non stavamo parlando di bavaglini e sonagli? Torniamo a quello, non mi fa poi più così schifo come pensavo."

«Ma perché non parliamo invece di come ti sei sentita nel rivedere Luke e della vostra chiacchierata sul tetto? Secondo me è un argomento molto più interessante», tentai di glissare ma, sfortunatamente per me, con scarsi risultati.

«Meg, ne abbiamo già parlato, e sai benissimo quale è la nostra situazione, quindi evita di provare ad intortarmi per sviare l'attenzione da te. Ora è il tuo turno.»

Non aveva per nulla torto, ma io ci avevo dovuto provare ugualmente.

Sospirai sconfitta. «Mi sento strana, Ollie... più del solito. Già normalmente è in grado di confondermi quando lo vedo, ma in questi giorni la situazione sta peggiorando. Sento che sto vacillando sempre di più, che la trincea che ho scavato per tenerlo lontano si sta riempiendo di ogni aspetto di lui che ha deciso di palesarmi, come se volesse creare un ponte per raggiungermi. E io non voglio, Ollie! Non voglio, cavolo! Sarò anche una codarda, non ho paura ad ammetterlo, perché su questo versante so di esserlo, ciononostante non voglio che lui si avvicini a quel modo, perché per quanto possa mostrarmi queste sue sfaccettature, io non mi fido», rivelai stancamente.

Quando ci vedevamo solo un paio di volte l'anno era più facile tenerlo a debita distanza, ma in quei giorni che stavamo passando a stretto contatto ventiquattro ore su ventiquattro era tutto più difficile. Eravamo come due estremità di una molla: più io tiravo il mio lato per allontanarmi, e più lui mi veniva addosso con una forza tale da farmi vibrare se solo mi distraevo un attimo allentando la presa su di me.

La ragazza al di là della linea espirò rumorosamente, probabilmente esausta anche lei da quelle mie spiegazioni sconnesse e contraddittorie. «Love, ascoltami un attimo, io non voglio dirti cosa fare, ma vorrei farti solo riflettere. Dagli una possibilità. Non ti sto dicendo di mettertici insieme, comprare l'abito da sposa e sfornare figli, ma solo di lasciargli provare a farsi conoscere per chi è davvero, perché questo è il problema base di tutto: voi due non vi conoscete veramente, o meglio, vi conoscete fino ad un certo punto. Siete lontani per quasi tutto l'anno e di norma quando vi sentite al telefono vi scannate. Lui vuole solo farti vedere che c'è molto di più oltre al don giovanni che conosci te, che ha molto altro da offrire. Poi, se non ti piacerà ciò che vedrai, apposto così e amici come prima. Garantisco per lui che non ha cattive intenzioni, e so che ti fa paura lasciar avvicinare così tanto un uomo a te, ma allora fallo appropinquare anche solo come amico, perché diciamocelo, Meg, te non gli consenti neppure quello. Tieni aperta la trincea, se ti fa sentire più tranquilla, ma non gli dare addosso a priori perché, così facendo, a mio avviso, peggiori solo la situazione, confondendoti ulteriormente le idee. Fatti conoscere e lascialo farsi conoscere, non ti sto dicendo di fare altro, solo di provare.»

Le parole della mia amica furono come una sberla dritta in faccia. Non aveva assolutamente torto. Non avevo mai permesso a Matt di farsi conoscere come invece avrei fatto con qualunque altra persona a questo mondo. Lo avevo sempre e solo giudicato per il suo essere un Casanova, ma ammettevo che era anche perché mi faceva comodo. Quel suo modo di fare con tutto il genere femminile era la cosa che mi infastidiva maggiormente e che me lo facevano temere al tempo stesso, perché se mi fossi lasciata andare con lui e poi mi fossi trovata pugnalata nuovamente alle spalle non avrei retto una terza volta. Però, dopo ciò che stava facendo per me, era giusto dargli almeno il beneficio del dubbio, come con qualunque altro essere umano mi fossi messa in relazione.

Mi passai una mano sul viso sconfitta. «Va bene... ci proverò.»

Due colpi alla porta smaltata di bianco mi fecero sussultare sul letto. La testa di Matt fece capolino al di là di essa, senza neppure attendere il mio invito ad entrare.

«Ciao, volevo dirti che – si bloccò, rendendosi conto che stavo parlando con qualcuno al telefono. – Ops, scusa, stai parlando con tua madre?»

«No, tranquillo, è Ollie», gli spiegai.

Spalancò del tutto la porta, mostrandosi in tutta la sua schifosa bellezza con quel pullover antracite con delle toppe nere sui gomiti, che gli torniva alla perfezione le sue spalle ampie e ben definite, da cui faceva capolino una delle sue camice cerulee con i primi due bottoni del colletto slacciati, che ero certa si mettesse apposta per far fomentare la mia perversione verso quel capo d'abbigliamento.

Avanzò con uno dei suoi tipici sorrisi sghembi in volto, gettandomisi addosso e strappandomi di mani il telefono nonostante le mie proteste.

«Principessa, come stai? Mi manchi tantissimo!» si mise a sedere sul bordo del letto, lasciandomi come una cretina senza fiato per quel contatto tra i nostri corpi inaspettato.

«Certo che faccio il bravo. Sono sempre bravissimo io!»

"Come no, te non sei bravo manco quando dormi!"

Ampliò ulteriormente il suo sorriso per qualcosa che gli aveva detto la nostra amica. «Questo è vero, la notte non faccio il bravo.»

"Ecco appunto!"

Lo attaccai da dietro, prendendolo alla sprovvista e recuperando così l'oggetto che mi aveva sottratto, anche se dovetti pagare lo scotto per quel secondo incontro tra il mio petto e la sua schiena.

«Scusalo, Ollie, come ben sai ha difficoltà a stare a cuccia nel suo recinto.»

«Dolcezza, se ti piace l'idea di portarmi a spasso con quel collare che mi avete regalato, basta dirlo», tornò all'attacco con la sua sfacciataggine che gli guadagnò un'occhiata di biasimo da parte mia e la risata invece della ragazza dall'altro capo del telefono.

«Tranquilli, tanto sto uscendo con Henry per un giro in centro. Vi lascio alla vostra giornata in famiglia. Ci aggiorniamo dopo, love, e buon Natale a tutti e due e figli maschi!» salutò dileggiandoci.

Gemetti avvilita al pensiero che anche la mia migliore amica si fosse unita al team degli wedding planner.

Rilasciai il cellulare sul materasso, facendo poi guizzare lo sguardo verso il ragazzo seduto al mio fianco che mi stava sorridendo. «Allora, che cosa eri venuto a dirmi?»

«Stiamo andando a fare un giro in centro al mercatino Natale. Ci farebbe piacere se ti unissi a noi.»

Una richiesta stranamente inoffensiva e che non mi dispiaceva affatto. La sua famiglia era stata cordiale con me sin dal primo momento, tralasciando il fatto che volessero organizzare il nostro matrimonio quanto prima, ma a parte questo mi faceva davvero piacere trascorrere del tempo con loro, anche solo per ricambiare l'ospitalità.

Gettai le gambe oltre il bordo del letto, tirandomi su in piedi. «Che aspetti, Fuffy? Vai a prendere il guinzaglio, ti porto a fare una passeggiata!»

Era inutile, amavo il Natale e la magia che creava con le sue mille luci colorate.

Una volta parcheggiato avevamo iniziato a percorrere le vie della città, partendo da Piazza Garibaldi sino ad arrivare a Piazza Italia, lungo un percorso incorniciato da una miriade di casette in legno illuminate a festa e vari stand, passando per la Villa Comunale, dove era stata eretta una casetta di Babbo Natale per attirare i più piccoli, e per Piazza Duomo, in cui era stato allestito un maestoso albero di Natale che ti lasciava senza fiato.

Lungo il tragitto avevo acquistato un centro tavola natalizio realizzato a mano, rotondo, composto da pigne dorate in contrasto con il verde dei rami d'abete intrecciati intorno, e al cui centro svettavano tre candele bianche, per la famiglia di Matt, dal momento che non avevo avuto tempo di prendergli qualcosa prima della partenza.

Avevo anche comprato una sciarpa di lana color cipria per ringraziare Katy di aver diviso la sua stanza con me, anche se il vero regalo per lei sarebbe stato il numero di Ale che avrei nascosto all'interno per non farmi scoprire da Matt, il quale altrimenti mi avrebbe trucidata.

Stavamo ripercorrendo indietro la strada dell'andata, continuando a fermarci a qualche bancarella che nella foga iniziale ci era sfuggita, sotto l'occhio vigile della madre di Matt che verificava che tutti fossero presenti; sembravamo una comitiva in gita scolastica per quanti eravamo.

«Allora, ti piace la mia città?» domandò timidamente il ragazzo al mio fianco, continuando a guardare la strada davanti a sé.

Non ci eravamo ancora presi a parole dalla mattina, il che era praticamente un miracolo per noi due, ma stavo cercando di mettere in pratica il consiglio di Ollie: dargli modo di farsi conoscere, ma mantenendo sempre le giuste distanze.

«Sì, è davvero molto bella, immagino che ti manchi tutto questo quando sei lontano», risposi veritiera.

«Molto, ma come credo anche a te manchi la tua quando sei a Milano. Mi dispiace che quest'anno non hai potuto passare le feste con tua madre.»

Mi fermai ad una bancarella che vendeva quelle palle di vetro che scuotendole facevi discendere una neve artificiale all'interno, rigirandomela nella mano.

«Non è un problema, ci sono abituata da anni ormai. Con il lavoro che fa sono più i Natali che ho passato da sola che quelli in sua compagnia», rivelai, osservando la piccola casina  con il tetto rosso all'interno di quell'oggetto sferico, che veniva mano a mano ricoperta dal candore di quei fiocchi che continuavano a fluttuarle intorno, meditando su quante volte crescendo avessi ammirato da sola al di là di una finestra simile quell'evento atmosferico che tenevo nel palmo della mano.

Dischiuse le labbra per replicare, quando qualcosa alle nostre spalle catturò la sua attenzione, facendolo corrucciare. Mi ghermì le spalle con un braccio, spingendomi contro il suo bomber di pelle e guardando storto ciò che lo aveva infastidito.

«Ma si può sapere che diamine stai facendo? Che ti prende adesso?» chiesi, mentre l'odore del suo dopobarba mi investiva in pieno.

«C'era un tizio che ti stava guardando il sedere, gli ho solo fatto intendere di smetterla se non voleva che gli cavassi gli occhi.»

Alzai gli occhi al cielo per il suo comportarsi sempre da uomo delle caverne.

«Bravo, almeno non mi hai iniziato a fare pipì intorno per marcare il territorio, stai migliorando, fuffy!» lo schernii, cercando di allontanarmi da lui, ma ottenendo esattamente l'effetto contrario, ovvero che mi stringesse ancora di più al suo petto.

«Se avessi avuto voglia di marcare il territorio per davvero, principessa, avrei optato per un modo diverso e più efficace per far sì che portassi costantemente il mio odore addosso», mi sussurrò roco all'orecchio, facendomi rabbrividire e di certo non per il freddo.

"Ok, stai calma, Meg! Non immaginartelo nudo. Non immaginartelo nudo. Non immaginartelo nudo. Non... cazzo! Lo avevo immaginato nudo!"

Riuscii a riappropriarmi del mio spazio vitale non appena allentò di poco la presa, chinando il capo con la sensazione che le guance mi stessero andando a fuoco, mentre ribattevo con un misero: «Cretino!»

Rimisi al suo posto l'oggetto che ancora tenevo in mano, cercando qualcosa da dire e con cui aggirare l'evidente imbarazzo che si era palesato sul mio volto, quando, per fortuna, giunse la piccola Silvia a tirarmi fuori dall'impaccio.

«Zio Matt! Guarda cosa mi hanno comparto il papà e la mamma!» esclamò, saltellando entusiasta nella nostra direzione e sfoggiando una mantellina rossa con tanto di cappuccio e due bon bon che le ricadono sul davanti.

Matt si abbassò per portarsi alla sua altezza, accarezzandole i capelli acconciati in due treccine bionde che le incorniciano il viso. «Sei stupenda, principessina!»

Le piccole labbra a cuore di lei si allargarono in un sorriso che mise ancora più in risalto le guance paffutelle. I suoi occhi blu fiordaliso si spostarono da suo zio a me, facendomi dono dell'infinita bellezza di quel sorriso così innocente.

«E a te piace, zia Meg?»

Colpo diretto allo stomaco che quasi mi fece indietreggiare, e che invece indusse il ragazzo ai miei piedi a ridacchiare.

Mi abbassai anche io, tirandole su il cappuccio. «Sei una bellissima cappuccetto rosso. Ma ricorda, se un lupo ti si avvicina non aspettare mai che il cacciatore venga a salvarti, imbraccia prima tu il fucile e fallo fuori!»

Corrugò la fronte, non cogliendo chiaramente il senso di quel mio avvertimento, ma poi ridistese le sue fini sopracciglia facendomi un cenno di assenso con la testa, prima di correre via nuovamente verso i suoi genitori.

Mi rialzai in piedi ancora sorridente, imitando il ragazzo al mio fianco.

«Dai dei consigli a dir poco discutibili a nostra nipote, zia Meg», mi derise scuotendo la testa.

«Non ridere, qua abbiamo un matrimonio già organizzato, se non te ne fossi reso conto. E sono più che certa che tua madre e le tue zie prima abbiano comprato quelle lenzuola matrimoniali per farci il corredo. La situazione ormai ci sta sfuggendo di mano», sospirai, rassegnata alla imminente ricerca in giro per atelier del mio abito da sposa.

«Beh, a me non dispiacerebbe, soprattutto poterle usare come si deve quelle lenzuola», alzò ed abbassò ripetutamente le sopracciglia, in una movenza che un tempo mi avrebbe fatto andare in escandescenza, ma che in quel momento, non sapevo perché, ma mi fece scoppiare a ridere insieme a lui.

Mi portai una mano alla bocca per frenare il verso divertito che da essa fuoriusciva, ma qualcosa in lontananza riuscì a spegnere del tutto quel momento di spensieratezza tra di noi.

Aguzzai la vista, e più mettevo a fuoco più un battito scemava dal mio corpo. Un respiro che si perdeva a ogni tentativo di aprire di più i polmoni per continuare a vivere, non appena i dettagli di quella figura si fecero più nitidi. Un ronzio assordante ad invadermi le orecchie al punto tale da riuscire ad azzittire il chiasso della folla intorno, quando riconobbi chi mi trovavo davanti, e in uno schiocco di dita il mio mondo tornò a precipitare.

"Che cosa ci fa lui qui?"

Chi avrà mai visto la nostra Meg? E perché è così sconvolta? Lo scoprirete nel prossimo capitolo! ;) Vi auguro a tutti una buona domenica.

Ed ora i saluti... ogni volta è sempre peggio...

AL PROSSIMO MARIANGELO PAVONE DEL CAXXO CHE HA AVUTO UNA BOTTA DI CULO PAZZESCA!

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