CAPITOLO 16 - LA NOTTE DELLE STELLE CADENTI CHE NON VIDI MAI!
Le due settimane in cui avevo posto il mio veto per altre serate da sola con Luke erano volte al termine.
Non potevo più continuare a scappare, e fortunatamente non ne avevo più bisogno. Ero riuscita a ritrovare la predisposizione mentale per poter affrontare qualche sua altra stranezza, anche se debbo ammettere, che le parole dei ragazzi mi avevano tormentata non poco nei giorni a seguire.
Avevo chiesto anche conferma al mio fidato Henry, anche se più che di una conferma, visto che mi fidavo di Andrew e degli altri, necessitavo di sentirmelo dire anche da chi mi aveva difesa a spada tratta per tutto quel tempo, per potermene convincere del tutto.
Lui inizialmente non era stato per nulla entusiasta di parlarne, ma alla fine aveva ceduto alla mia richiesta, capendo che facendolo mi avrebbe aiutata ad affrontare quella situazione.
Anche lui mi aveva essenzialmente riportato le medesime parole dei nostri amici, forse con qualche espressione più colorita qua e là riferita alla scimmietta, del tipo: «Sì, è vero, l'ho visto fumare e bere dalla mattina alla sera, chiudersi in camera sua, dove io francamente lo avrei lasciato a marcire per sempre, e perdersi nei suoi pensieri anche quando eravamo tutti insieme, ed in quei momenti avrei voluto dirgli che poteva perdersi liberamente in un paese chiamato a fanculo, immagino la strada la conoscesse già.»
Sì... ecco... come dicevo Henry prediligeva sottolineare alcune cose con espressioni... diciamo forti, ma io gli volevo bene anche per quello.
Così eccomi lì, davanti il portone della casa dei ragazzi, dopo aver ricevuto l'in bocca al lupo di Henry, o per meglio dire la sua versione personale di quel detto popolare: «In bocca al lupo e sgozza il lupo se serve!»
Quel ragazzo decisamente non poteva lavorare per il dizionario Zanichelli.
Bussai alla porta, ed in meno di un secondo mi venne ad aprire l'ormai usciere di casa, Matt. Notai immediatamente che era vestito di tutto punto e con il suo bomber in mano. Per una volta lo precedetti nel parlare, prima che cominciasse la sua solita solfa di: "principessa", "amore mio", "luce dei miei occhi", o qualunque altro appellativo sdolcinato gli venisse in mente.
«Ehi ragazzone, dove te ne vai di bello questa sera? Esci a far stragi di cuori? Stai attento che poi riferisco tutto a Meg e chissà come ti tratterà quando vi rivedrete se lo viene a sapere!»
Mi divertivo un mondo a punzecchiarlo su questa sua strana... boh... chiamiamola "relazione", con la mia amica. Ogni volta che lo facevo andava sempre in panico, e francamente godersi lo spettacolo del ragazzo dalla battutina sempre pronta, che per una manciata di secondi non sapeva più cosa dire, era impagabile. Come di consueto si riprese subito da quell'attimo di smarrimento e tornò all'attacco.
«Principessa, tu mi vuoi troppo bene per farmi un dispetto simile, e poi lo sai che nel mio cuore e nella mia mente c'è posto solo per te e Meghan, le altre non sono nulla al cospetto delle mie due regine di cuori!»
Ci andava giù pesante quella sera con gli appellativi zuccherosi, in una sola frase aveva usato le parole: "cuori", "principessa" e "regine". Se la stava facendo decisamente sotto all'idea di non poter più essere nelle grazie della mia amica; volevo giocare ancora un pochino con lui prima di mollare la presa.
«Regine di cuori, Matt? Credo che tu ti sia sbagliato! Forse volevi dire Regine di Picche, perché è l'unica cosa che otterrai da noi due», il mio colpo andò a segno. Lui si stava divertendo un mondo, pronto già a ricambiare l'assalto, ma venne interrotto dal suo guardiano Andrew, che ridendo ci raggiunse all'ingresso, anche lui pronto per uscire.
"Qui le cose non quadravano. Dove diamine stavano andando?"
«Ah Ollie, come sai mettere tu in castigo Matt, nessuno mai! Comunque tranquilla, ho portato dietro il guinzaglio che gli hai regalato e se si comporta male passerò alla frusta!» disse con un ghigno malevolo in volto, rivolto al suo coinquilino.
«Dove andate di bello ragazzi? Avete deciso di fare una serata tra maschietti e di non invitarmi?»
In quel momento sopraggiunse l'ultimo dei tre moschettieri, Ry, che mi diede spiegazioni mentre si infilava il cappotto: «Ma no, figurati! Ci andiamo solo a fare una birra al pub in piazzetta, nulla di che, poi torniamo a casa. Giusto per fare qualcosa di diverso.»
"Ma mi avevano presa per fessa?!? Era giovedì sera, non c'era anima viva in quel pub, se proprio volevano farsi una birra potevano bersela qui in casa e si sarebbero divertiti molto di più. Qui c'era puzza di confabulazione alle mie spalle."
Ridussi gli occhi a due fessure e li incenerii con lo sguardo; non mi avrebbero fregata!
«Ma davvero?!? Chi sa perché questa cosa a me invece suona tanto di "cazzata", stratosferica per altro?!? Voi non bevete il giovedì, perché il giorno dopo avete lezione, quindi non provate a rifilarmela, vi conosco troppo bene!»
Ognuno dei tre iniziò a guardare in una direzione diversa: chi il soffitto, chi il pavimento, chi addirittura si concentrò a togliere i pelucchi dal cappotto, pur di non incrociare il mio sguardo.
Poi però, il dannato genio di casa, Andrew, con l'escamotage più vecchio della storia, riuscì a portare in salvo tutti quanti fuori di casa prima che potessi saltargli al collo.
«Oh, ma tu guarda come è tardi! Dobbiamo proprio andare, vero ragazzi? Ollie, ci vediamo sabato, Luke ti aspetta al piano di sopra. Ciao, ciao! Ti prego non lo ammazzare, il sangue è difficile da lavar via. Passate una bella serata!» e fu così che si dileguarono oltre la soglia di casa loro.
"Infami! Avevano orchestrato questo piano ridicolo per lasciarci da soli. Giuro che se scoprivo che c'era lo zampino di Luke, questa volto gli facevo male davvero! Al diavolo i buoni propositi di mantenere la calma!"
Salii a passo di carica le scale, facendo rimbombare il mio incedere per tutta la casa. Spalancai la porta della tana della scimmietta pronta a dichiarare guerra, ma mi pietrificai sul posto, perché da cretina quale ero non avevo pensato che una porta chiusa potesse voler dire: "non entrare". Ed invece eccomi lì mentre lo osservavo, con la bava alla bocca, di schiena mentre si stava mettendo una maglietta.
"Ringraziando il cielo i pantaloni erano al loro posto... o forse no... no, ma che andavo pensando?!? Certo che ringrazio per i pantaloni al loro posto. Mannaggia agli ormoni in subbuglio! Era tutta colpa della sindrome premestruale. Sì, sì, era solo colpa sua se guardare quei muscoli che si stavano flettendo nel gesto di infilarsi una maglia a maniche corte nera, per poi purtroppo scomparire dalla mia vista, mi era venuta l'acquolina in bocca."
Lui, nonostante lo schianto che avevo fatto fare alla porta di camera sua, era rimasto imperturbabile, si era limitato a girare leggermente la testa nella mia direzione e a dirmi un semplice: «Ciao! Era ora che arrivassi!»
Un ghigno divertito fece la comparsa sul suo viso una volta che, completata l'operazione di vestizione, si era voltato completamente nella mia direzione ed aveva probabilmente notato l'espressione da ebete che avevo dipinta in faccia.
Mi ricomposi al volo, cercando di ricordarmi per quale motivo ero così incavolata con lui quando ero salita. Certo che se due muscoletti, ok forse più di due, mi facevano questo effetto, ero ridotta proprio male!
"Ah, giusto! La fuga dei ragazzi dalla casa!"
In un batter d'occhio il nervosismo tornò ad impadronirsi di me, e gliene fui grata, meglio quello piuttosto che gli ormoni che ballavano il twist. Gli puntai un dito contro con fare minaccioso e lo posi alla gogna; se avesse mentito lo avrei saputo all'istante, lo conoscevo troppo bene perché non me ne accorgessi.
«Senti un po' tu, stupida scimmietta ammaestrata! Hai detto tu ai tuoi amichetti di lasciarci da soli questa sera? Perché te lo dico subito, se hai architettato qualche subdolo piano, ti lancio dalle scale e neppure la tua discendenza dal regno animale questa volta potrà salvarti la vita!»
I suoi occhi si illuminarono di una combinazione di gioia e malinconia. Quella non era decisamente l'espressione che mi aspettavo di vedere comparire sul suo volto dopo la mia palese minaccia di morte.
«È la prima volta che mi chiami scimmietta da quando sei tornata, mi fa quasi strano sentirtelo dire.»
"Cavoloooooo! Nella rabbia del momento mi era scappato! Di norma lo chiamavo in quel modo nella mia testa, ma effettivamente non l'avevo mai più fatto a voce alta, portava una strana sensazione quella parola quando la pronunciavo. Un tempo era stata di scherno, per prenderlo in giro quando lui mi chiamava topino, poi era diventata un vezzeggiativo che usavo sempre quando eravamo soli io e lui, ed in quel caso aveva un suono dolce quando filtrava dalle mie labbra. Ecco perché non l'avevo più detta."
Come sempre con lui c'erano troppi ricordi che volevo tenere alla larga. Sviai l'argomento. Non mi interessò di passare per codarda, ciò che mi premeva maggiormente era non soffermarmi su quello che era appena trapelato dai suoi occhi; vi erano troppe implicazioni.
«Non hai risposto alla mia domanda!»
Lui sembrò deluso dal non poter continuare il discorso preso, ma lasciò correre, capendo che non avrei affrontato in alcun modo quella conversazione.
«No, non sono stato io. Anzi, quando mi hanno detto che sarebbero usciti ho insistito affinché restassero, perché sapevo che ti saresti infastidita, ma loro avevano già deciso tutto e non mi hanno voluto dare ascolto», lessi sincerità nelle sue parole, quindi deposi l'ascia di guerra e decisi di provare a far ripartire quella serata da zero.
«D'accordo, ti credo. Per ora la tua vita è in salvo, ma di' ai tuoi coinquilini, che la prossima volta non avrò pietà per loro!»
«Riferirò il messaggio!» asserì con un cenno del capo.
Mi tolsi il cappotto e lo gettai, come ero solita fare, sulla massa indistinta di panni presente sul suo materasso. Nel compiere quel gesto tanto familiare, mi resi conto che quella era la prima volta che rimettevo piede in quella stanza da quel pomeriggio in cui tutto era andato a rotoli, ed il mondo che mi ero creata con lui non mi scivolasse via per sempre dalle mani.
Un piccolo spasmo al petto mi colpii, ma cercai di non darlo a vedere. Luke era intento a preparare la puntata sul suo computer, così iniziai a guardarmi intorno, e fu davvero una pessima idea, perché mi accorsi che in mia assenza le scritte presenti alle pareti erano aumentate.
Come mossa da dei fili invisibili da un burattinaio che amava prendersi gioco di me e delle mie emozioni, mi diressi verso la prima di queste. Sapevo che non avrei dovuto farlo, ma il mio corpo agiva per volontà propria, non rispondendo più ai miei comandi ed ai segnali di pericolo che gli lanciava la mia mente.
Iniziai a leggere e il respirò mi mancò ad ogni parola che i miei occhi catturarono:
"Non so che darei per averti qui tra le mie braccia ... Fuori il sole abbaglia; si sente il rumore del mare; in un vaso i gigli mandano un profumo acutissimo spirando; le cortine dei balconi ondeggiano come vele in un naviglio. Io ti chiamo, ti chiamo, ti chiamo."
«È... è una frase di D'Annunzio.»
La voce di Luke alle mie spalle era un eco lontano per le mie orecchie, riuscivo a malapena a distinguere le parole che mi diceva per quanto ero intenta a non lasciarmi sprofondare in quel mare di sentimenti che battevano furiosi alle porte del mio spirito, ma io gli negai l'ingresso, e proseguii quello straziante percorso letterario concentrandomi sulla frase accanto:
"So che la notte non è come il giorno: che tutte le cose sono diverse, che le cose della notte non si possono spiegare nel giorno perché allora non esistono, e la notte può essere un momento terribile per la gente sola quando la loro solitudine è incominciata."
«Hemingway... »
Un'altra semplice nome del passato per cercare di spiegare, ma che in realtà non mi stava spiegando proprio nulla! Non mi spiegava il peso opprimente che sentivo al petto, i respiri che mi venivano a mancare, il senso di vertigine che iniziavo a provare. Non mi spiegava perché mi sentivo ancora morire dentro ogni volta che leggevo un pezzo di lui, di noi, su quelle maledette mura. L'ultima frase mi inferse il colpo finale e da lì la testa mi cominciò a girare:
«Amami o odiami, entrambi sono a mio favore.
Se mi ami, sarò sempre nel tuo cuore,
se mi odi, sarò sempre nella tua mente.»
«Shakespeare, "Sogno di una notte di mezza estate"», dissi tra me e me, quasi in un sospiro.
Gli occhi iniziarono a bruciarmi, sentivo la familiare sensazione delle lacrime che spingevano per uscire da dietro le mie palpebre, ma non potevo permetterlo, non davanti a lui, mai più per lui.
Premetti con forza le dita sui miei occhi per fermarle, come facevo sempre a Londra quando mi ero stancata di vederle solcarmi le guance ogni singolo giorno. Funzionò come previsto, e una volta ripreso coraggio e compostezza mi voltai verso di lui.
Mi stava fissando seduto sul letto, con il computer poggiato sulle gambe distese e le mani bloccate a mezz'aria sulla tastiera, in trepidante e silente attesa che io gli dicessi o chiedessi qualcosa in merito a ciò che avevo appena letto.
Sfortunatamente per lui però, non sarebbe andata così. Alcuni discorsi, alcuni pensieri, avevo imparato con il tempo che era meglio gettarli via se non avrebbero potuto portare a nessuna conclusione, e sicuramente domandargli ciò che aveva provato, quanto gli fossi mancata, non avrebbe cambiato la situazione in cui ci trovavamo: lui mi aveva lasciata.
Così, con un sorriso tirato, dissimulai una sicurezza che non mi apparteneva in quel momento e spezzai quell'attimo carico di significato.
«Allora, è pronta la puntata?»
Per un attimo sembrò volermi dire qualcosa, aprì e richiuse la bocca ripetutamente, ma alla fine serrò la mascella con forza, lasciando cadere anche lui quel discorso.
«Sì vieni, iniziamo!»
Sentivo tracce di sofferenza nella sua voce, ma per il bene di entrambi dovevo tapparmi le orecchie e far finta di nulla; non potevamo colare nuovamente a picco insieme.
Così iniziò la nostra seconda serata di serie tv. Questa volta restammo in totale silenzio, nessuno dei due fiatò. Lui si accese più sigarette del solito, nel tentativo di alleggerire la tensione di prima, io continuai a cambiare ripetutamente posizione su quel dannato materasso privo di doghe che mi stava uccidendo la schiena, sempre attenta ad evitare ogni forma di contatto con lui.
Finalmente giungemmo al termine dell'ultima puntata in programma, potendo così chiudere lì quella serata che si era fatta a dir poco imbarazzante. Non vedevo l'ora di rifugiarmi a casa mia, nel caldo del mio comodo letto, ed iniziare la mia azione di smaltimento pensieri ed emozioni indesiderate, e dopo una serata simile avrei sicuramente avuto molto da lavorare.
Mi alzai in piedi rinfilandomi il cappotto, pronta per darmela a gambe levate, ma questa volta Luke non rimase in silenzio come prima, lasciandomi guadagnare la tanto agognata libertà.
«Senti Ollie, volevo chiederti una cosa prima che te ne vada», fece una pausa passandosi ripetutamente la mano sul viso e tra i capelli, segno inconfondibile della sua agitazione nel pormi la sua richiesta.
«Dimmi!» lo spronai con tono neutro.
«Ecco, vedi... questa sera è prevista una piccola pioggia di stelle cadenti e... sì, insomma io... mi domandavo se avessi voglia di vederla con me. Non dobbiamo usare la scala, lo giuro! Saliamo solo un attimo sul tetto e stiamo un po' lì. Puoi andare via quando vuoi, non ti voglio obbligare, ma mi farebbe piacere se mi tenessi compagnia.»
"Oh Dio! Un Luke così mansueto, docile, gentile, che non mi imponeva le cose, prendendomi di peso e trascinandomi a destra e a manca senza neppure un indicazione, era quasi inquietante."
Mi guardava con espressione speranzosa, ma allo stesso tempo spaventata per un mio possibile rifiuto. Non so perché, ma in quel momento mi sentii un vero schifo! Non mi sarei dovuta sentire in quel modo, eppure stava accadendo. Mi vennero in mente tutti i rifiuti e le porte in faccia che gli avevo sbattuto in quei mesi ad ogni sua richiesta che non coincidesse con i miei tempi per andare avanti, e probabilmente c'entravano anche le parole che avevo letto all'inizio della serata che me lo facevano sembrare più umano, invece che uno stronzo, bastardo ed insensibile, ma alla fine decisi di fargli quella piccola concessione.
«D'accordo!Ma solo per una decina di minuti, poi voglio andare a casa che sono stanca!»
Che fossero 10 minuti o 1 ora intera a Luke la cosa non sembrò importare. Mi regalò il sorriso più luminoso e sincero che non vedevo da tempo.
"Accidenti, mi ero dimenticata come era quando mi sorrideva così: un sorriso che rivolgeva solo a me, un sorriso tutto per me."
Non perse tempo ed aprii immediatamente il lucernario, forse per paura che potessi cambiare idea, e si issò all'esterno. Io ebbi qualche difficoltà nell'effettuare quel gesto atletico, ormai ero decisamente fuori allenamento per le arrampicate notturne. La lega della notte sarebbe stata molto scontenta di me.
Luke mi afferrò per le braccia aiutandomi ad uscire. Ovviamente, viva la mia goffaggine, gli caddi praticamente addosso e tanti cari saluti agli intenti di evitare i contatti corpo a corpo, mi ci ero praticamente stesa sopra di lui.
Sollevai lo testa in notevole imbarazzo, e trovai gli occhi della mia perdizione ad attendermi. Mi scrutavano come ricordavo, cercavano di insinuarsi dentro di me fino nelle viscere, li sentivo volersi impossessare nuovamente di ogni brandello integro che era rimasto, sfortunatamente però, non ve ne erano molti, ed i pochi che erano sopravvissuti, li tenevo segregati lontano da tutto e tutti, per difendere gli unici tasselli della vecchia me che oramai formavano un puzzle incompleto che più nessuno sarebbe stato in grado di terminare.
Mi staccai con un balzo all'indietro, come se avessi appena preso la scossa, ed il paragone non era del tutto errato, visto ciò che avevo provato. Lui mi sorrise con fare predatorio, io invece mi sentii rimpicciolire nel mio angolo; stavo cominciando a pensare che la scala la volevo riutilizzare, ma per scendere subito da lì.
«Le stelle, Luke! Dove stanno le stelle?»
"Ma c'ero o ci facevo?!? Dove stanno secondo te le stelle, brutta rimbambita?!? Dai, lasciagli capire un altro po' quanto sei a disagio e che ti sei sentita morire appena ti ha messo le mani addosso! Complimenti davvero Ollie, sei un genio!"
Incredibilmente però, la mia demenza mi tirò fuori da quell'impiccio visto che lui, divertito da una delle mie classiche uscite insensate, mi rispose per davvero.
«Proprio sopra di noi topino! Dai, che siamo fortunati, non ci sono nuvole questa sera, forse riusciamo davvero a vederne qualcuna!»
Presi posto al suo fianco e mi rannicchiai con le ginocchia strette al petto ed il viso puntato in alto in attesa della comparsa di qualche scia luminosa. Passò qualche minuto ed ovviamente nessuno dei due parlò, e come avremmo potuto?!? Mi sentivo ancora in imbarazzo per la caduta rovinosa ed il subbuglio nella mia mente non aiutava di certo a trovare qualche argomento di conversazione. Fortunatamente però, tra i due, lui sembrava essere diventato quello più loquace.
«Allora... come è stato vivere a Londra? Ti è piaciuto?»
"Mi rimangio tutto! Meglio se stava zitto!"
Avrei voluto dirgli che se aveva così tanto interesse per l'argomento, avrebbe potuto alzare la cornetta e farmi una chiamata, o mandarmi un messaggio, invece di snobbarmi alla stragrande dopo una dannatissima lettera lasciata tramite amici in aeroporto, ma non volevo intavolare una lite in quel momento, quindi optai per una risposta di circostanza.
«Sì, mi è piaciuto molto. Ho conosciuto un mondo diverso dal nostro, incontrato persone di altre culture, visitato posti mai visti. Mi ha aiutata molto a crescere e a ritrovarmi questo viaggio.»
«Si vede, sei diversa da quando sei tornata. Cioè, sei sempre tu, ma hai una luce nuova negli occhi, sei più sicura, ti imponi, sei determinata, ma allo stesso tempo sei sempre la ragazza un po' matta la cui mente partorisce risposte e frasi assurde», mi girai verso di lui e lo trovai pronto a donarmi un piccolo sorriso che per la prima volta ricambiai con sincerità.
«O forse sei tu che ti sei rammollito durante questo anno! Un tempo per farmi venire qua su mi avresti caricato in spalla in pieno stile Tarzan senza chiedere il mio permesso. Ora invece addirittura parli e mi avvisi di quello che stiamo per fare, debbo dire che sono scioccata!» asserii, portandomi una mano al petto per sottolineare, con un'espressione esterrefatta, le mie parole.
«Vero! Ma in realtà lo faccio più perché mi fai un po' paura. Temevo che una volta portata qua fuori con la forza mi avresti spinto di sotto!»
Feci finta di pensarci un po' su grattandomi il mento prima di rispondergli: «Mmm... sì... credo proprio che lo avrei fatto, anzi, senza alcun dubbio!»
Scoppiammo insieme in una risata argentina, una di quelle che si riverberano come una sassolino lanciato a filo d'acqua e che speri non smetta mai di rimbalzare, una di quelle che ha il profumo dell'infanzia, in cui sorridere è il gesto più naturale al mondo, e fu proprio in quel momento che mi resi conto di quanto davvero mi fosse mancato.
Non tanto come ragazzo, ma soprattutto come amico. Lui mi conosceva, lui sapeva scherzare con me, lui aveva visto tutti i progressi che avevo fatto prima di partire, molti dei quali erano stati innegabilmente merito suo, e ora riusciva anche a scorgere come ero mutata nel giro di un anno.
Ci guardammo per un attimo e i nostri due mondi così lontani tornarono a scontrarsi. I sorrisi svanirono, l'aria intorno a noi ed i rumori della città scomparvero, eravamo tornati in quel piccolo mondo che si creava quando restavamo semplicemente in silenzio a scrutarci, ad ascoltarci, a rivelarci. Sentivo la classica forza magnetica che mi spingeva verso di lui con prepotenza, mentre io cercavo inutilmente di puntare i piedi per fermarla.
Non doveva accadere, non dovevamo baciarci, sapevo che se fosse successo mi sarei persa e mai più ritrovata in lui per la seconda volta, ed io invece dovevo restare aggrappata solo a me stessa. Mi ero ripromessa che non avrei mai più lasciato il timone della mia nave a qualcuno, non potevo più permettermi di seguire una rotta verso una landa diversa dalla mia. Avevo imparato a mie spese che avrei potuto non trovare più una zattera a cui aggrapparmi e che mi conducesse in salvo da quel fortunale che portava il suo nome.
La suoneria del mio cellulare interruppe bruscamente quel momento, ed io ringraziai gli Dei della tecnologia per avermi tratta in salvo da una catastrofe imminente.
Tirai fuori il mio telefono, dal momento che non smetteva di squillare. Era una chiamata da parte di mia madre. Di norma non avrei risposto, li avrei richiamati più tardi come ero solita fare quando ero impegnata, ma date le circostanze, feci un' eccezione.
«Madre, è mezzanotte passata, non vorrei essere io a fartelo notare, ma dovresti essere a letto!»
Poi accadde. Fu tutto in un attimo, quattro parole, ed il mio intero mondo venne raso al suolo.
Se credevo di aver sofferto per ciò che Luke mi aveva fatto in passato, allora non avevo ancora compreso appieno cosa fosse il dolore. Il dolore quello vero, quello che fa terra bruciata intorno a sé senza neppure scusarsi, quello che ti arriva come un uragano lasciando solo una cosa dopo il suo passaggio: la devastazione! Perché quando mia madre pronunciò quelle dannate parole: «Tua nonna è morta», io sperimentai la sofferenza e la straziante sensazione della perdita per la prima volta in vita mia.
Non ricordo cosa accadde di preciso. Rammento tutt'oggi solo il mio respiro infrangersi come un vaso di cristallo in equilibrio precario e l'aria di quella sera di fine febbraio divenire impossibile da incamerare a sufficienza, il rumore del telefono che scivolandomi di mano risuonò in quella notte al posto del mio cuore che si era del tutto arrestato, ed infine, l'urlo disumano che emisi fino quasi a dilaniarmi le corde vocali, e che si scagliò disperato contro il cielo di un inverno che aveva deciso di strapparmi, con il suo gelido vento, la mia intera esistenza. Poi... tutto si fece buio.
Quella notte, non le vidi mai quelle stelle cadenti.
Lo so che ora mi starete odiando, ma fidatevi che ai tempi non fu facile neppure per me scrivere questo capitolo. :( La morte di nonna Sandra avrà un suo senso solo in futuro nel corso della storia, per ora non posso aggiungere altro. Vi avviso però che i prossimi capitoli saranno una bella botta emotiva, quindi preparatevi. Io vi saluto qui augurandovi un buon fine settimana, non odiatemi più del dovuto <3
Ed ora i saluti... oggi tocca all'Arsolano...
AGLIU PROSSIMU PIGIAMA!
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