CAPITOLO 12 - TU NON LO SAI...
Le vacanze di Natale erano passate portandosi via il mese di Dicembre e dando inizio ad un nuovo anno.
In quelle prime settimane di Gennaio, forte delle parole di mia nonna, avevo deciso di fare qualche altro piccolo passo avanti con Luke: lo avevo invitato a passare per la prima volta una serata a guardare serie tv solo io e lui in camera mia. Quando glielo avevo proposto il suo viso si era illuminato prima per la sorpresa e poi per la gioia, ma anche in quel caso avevo messo subito in chiaro alcune regole: punto primo, quell'incontro sarebbe avvenuto a casa mia e gli altri lo avrebbero saputo; punto secondo, la porta della mia camera sarebbe rimasta rigorosamente aperta. Aveva un po' storto il naso nel sentire suddette restrizioni, ma se ne era fatto una ragione, anche perché avevo io questa volta il coltello dalla parte del manico.
In realtà avevo invitato anche Henry ad unirsi a noi quella sera, ma quell'idiota si era rifiutato, adducendo con un sorrisetto in faccia la scusa di essere stanco e di voler andare a dormire presto.
Sì, stanco un corno! Nella sua mente malata e perversa quella era classica situazione da "sesso tra ex". Quel ragazzo se si trattava di questo genere di cose riusciva anche a chiudere per un attimo un occhio davanti al suo odio per Luke; il gossip per lui veniva prima di tutto! Poco mi importava, tanto io sapevo come sarebbero andate le cose e quindi non mi preoccupai eccessivamente del parere altrui.
Gli avevo dato appuntamento per le 22, e puntale come un orologio svizzero, allo scoccare di quell'ora sentii bussare alla porta. Per la prima volta da quando lo conoscevo andai ad aprire con la consapevolezza che fosse lui. Come sempre la sua allergia ai capi pesanti lo aveva indotto ad indossare solo una maglia a maniche lunghe di cotone nera a girocollo; i produttori di piumini sarebbero falliti tutti a causa sua.
Ovviamente non riuscì a tenere la sua boccaccia chiusa e quindi iniziò subito a stuzzicarmi appena mi vide.
«Che cosa sei?» chiese con il suo classico sorrisetto strafottente.
"Oh, ma andiamo, ancora con questo gioco? Non lo stancava mai?"
Sbuffai alzando il cappuccio come al mio solito per farlo contento, non avevo intenzione di iniziare a litigare da subito.
«Un coccodrillo! Sono tutta verde, e guardando i miei piedi non capisco come tu faccia ad avere qualche dubbio in merito!»
Abbassò lo sguardo per osservare le mie stupende babbucce a forma di zampa con artigli annessi e iniziò a sghignazzare.
«Hai ragione, con quelle ai piedi è impossibile sbagliarsi!»
Non aggiunsi altro, con lui era tutto fiato sprecato.
Ci dirigemmo in camera mia senza proferire parola e ci accomodammo semplicemente sul materasso dove passammo una serata tranquilla all'insegna di GOT e patatine.
Era indubbiamente strano, averlo così vicino mi continuava a mettere a disagio, soprattutto perché seduti su di un letto fianco a fianco in quel modo, in totale silenzio e a fare qualche volta osservazioni su alcune scene, era una cosa che avevo vissuto innumerevoli volte con lui, solo che questa volta percepivo la tensione che aleggiava nella stanza.
Eravamo seduti vicini, ma non ci toccavamo, non ci sfioravamo, anche solo un leggero contatto delle nostre spalle, per pura casualità, ci faceva sussultare. Era come se avessimo potuto prendere fuoco da un momento all'altro se quella connessione tra i nostri corpi si fosse prolungata.
L'ultima puntata in programma volse al termine ed io potei tirare un sospiro di sollievo mentre richiudevo il computer e lo posavo sulla scrivania, ma lui non era molto propenso a chiudere lì quella serata.
«Perché non ci vediamo un film, è solo mezzanotte in fondo!» disse incrociando le braccia dietro la testa e non accennando minimamente ad alzarsi.
Alzai gli occhi al cielo esasperata; Luke come sempre se gli davi un dito cercava di prendersi tutto il braccio.
«Direi che per questa sera sia più che sufficiente, ti rammento che il nostro patto era che avremmo fatto un passo alla volta, non ho intenzione di bruciare le tappe», affermai risoluta iniziando ad avviarmi fuori dalla mia stanza.
Questa volta fu lui ad alzare gli occhi al cielo scuotendo la testa, ma alla fine fece ciò che gli avevo chiesto seguendomi senza protestare ulteriormente.
Avevo passato fin troppo tempo quella sera sola con lui, se non lo mandavo via subito rischiavo di smettere di respirare. Prima di tutto dovevo proteggere me stessa, poi pensare a tutto il resto.
Ci salutammo all'ingresso ed io, ormai esausta, ero pronta finalmente a rilassarmi, ma come al solito lui non poté fare a meno di compiere un gesto inopportuno che mi avrebbe destabilizzata per altri minuti.
Si avvicinò a me e posò la sua calda mano sul mio viso, premendo il polpastrello del suo pollice proprio sotto il mio occhio.
Per un secondo pensai di poter morire per combustione spontanea, il mio corpo si surriscaldò all'istante e le mie guance iniziarono a tingersi di un rosso purpureo proprio dove la sua mano aveva lasciato una scia incandescente mentre si ritraeva lentamente dal mio volto.
«Avevi un ciglio sul viso, dicono che ci puoi esprimere un desiderio quando ne catturi uno.» Sollevò il suo dito nella mia direzione per farmelo vedere e poi lo soffiò via con un ghigno allusivo in faccia aggiungendo: «Chissà se è vero? Buona notte topino!»
E con quelle sue ultime parole ed il tocco delle sue dita che ancora sentivo bruciarmi sulla pelle, svanì per la rampa di scala.
Io avevo smesso di respirare, avevo la salivazione azzerata. Richiusi la porta alle mie spalle e corsi in camera mia per cercare nel mio diario una cosa che avevo scritto per me stessa quando ero a Londra. Sfogliai le pagine freneticamente e finalmente la trovai: era una sorta di memento per me.
Quel giorno ero stata con Ale a chiacchierare in riva all' Adams Pond e mi ero aperta ulteriormente con lui, raccontandogli di me, delle mie passioni, dei miei sogni, ma soprattutto delle mie paure e lui aveva fatto altrettanto. Quella sera, rientrando nella mia stanza, avevo ripreso per l'ultima volta la scatola contenente tutte le foto e gli oggetti che riguardavano me e Luke e dopo averli guardati per un'ora buona tra le lacrime, avevo capito che finalmente ero pronta per andare avanti. Tra i singhiozzi avevo desiderato ardentemente quella serenità e spensieratezza che quel pomeriggio il mio amico mi aveva fatto assaggiare, ma avevo rammentato anche a me stessa che se anche ora lui non c'era più, mi era rimasta la cosa più importante: me stessa.
Così, in un impeto, avevo buttato giù quelle parole per ricordarmi chi ero e cosa lui mi avesse fatto e nei momenti difficili le tiravo sempre fuori. Ripresi quella pagina e dopo mesi e mesi tornai a leggere le parole che mi avevano salvata dall'affogare in un mare di commiserazione:
"Tu non lo sai...
E tu non lo sai la voglia che ho di scriverti.
E tu non lo sai il desiderio che ho di parlarti.
Parlarti... già... parlarti e tornare a raccontarti di me,
di me e dei mie piccoli traguardi raggiunti, delle mie piccole conquiste.
E tu non lo sai che la notte cerco ancora il tuo petto tra lenzuola ormai vuote.
E tu non lo sai che nel silenzio accarezzo i ricordi di note ormai trascorse.
No... tu non lo sai...
Tu non lo sai perché tu non ci sei!
Non ci sei quando perdendomi nelle mie stesse paure cerco ancora la tua mano.
Non ci sei quando il vento battendo forte alla finestra reclama i miei incubi.
No... tu non ci sei...
Ma tu non lo sai...
Tu non lo sai che io ora guardo il mio riflesso e mi amo un po' più di prima.
Tu non lo sai che adesso ho il coraggio di rincorre a perdifiato i miei sogni.
Tu non lo sai che per me ora questo mondo è il mio posto preferito.
No... tu non lo sai...
Tu non lo sai perché tu non ci sei!
Ma quello che non sai... è che ora... ci sono io!" (*)
Mi accasciai ai piedi del letto tenendomi la testa tra le mani, imponendomi di ritrovare il controllo che ormai sembrava abbandonarmi sempre più in sua presenza. Avevo voluto far finta che tutto andasse bene, ma era dalla cena di Natale che mi sentivo in quel modo: come una nave che sta naufragando, stavo lentamente perdendo la rotta di me stessa, il mio timone girava a vuoto tra le onde dei ricordi.
Presi un paio di respiri profondi ed afferrai il mio cellulare sul letto per chiamare l'unica persona che in quell'anno mi aveva aiutata a risollevarmi, l'unica che nei giorni più bui mi aveva presa a forza per trascinarmi fuori dal buio dei miei rimpianti, la persona che mi aveva fatto tornare pian piano il sorriso.
Il telefono squillò un paio di volte e alla fine la voce di chi aveva saputo ridarmi il respirò si palesò a me.
«Ollie, è mazzanotte passata, che succede? Stai bene?»
«Mi manca Londra, Ale!»
Un lungo silenzio si propagò tra di noi, sentii solo un fruscio di lenzuola e me lo immaginai adagiarsi nuovamente sul suo letto ad occhi chiusi mentre mi diceva: «Anche a me Ollie... anche a me... »
(*)Ormai lo sapete che è una cosa scritta da me, anche se leggermente più recente rispetto ad altre. Non iniziamo la solita tiritera.
Capitolo più breve del solito perché di passaggio ed in preparazione per i prossimi due. Pronti per fare un altro salto indietro nel tempo? Vi auguro a tutti un buon fine settimana e ci vediamo Lunedì! (questa volta l'ho scritto giusto il giorno, ho controllato il calendario ahaha)
Ed ora i saluti... andiamo con il Cisternese...
A N'ANDRO PIGIAMA!
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