𝟏𝟑. 𝐅𝐞𝐞𝐥𝐢𝐧𝐠𝐬

Feeling - Lauv
"I'm feelin' all my feelings."

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Il gala era stato un successo straordinario. Brandon e io avevamo conquistato il pubblico con la nostra performance, e per la prima volta, mi sentivo veramente orgogliosa di noi. La professoressa aveva elogiato il nostro lavoro, e anche gli altri ballerini ci avevano riconosciuto come la coppia principale. Ma ora, le aspettative su di me erano cresciute notevolmente, e sentivo il peso di dover dimostrare continuamente il mio valore.

Le settimane successive al gala furono un turbine di attività. Le persone a scuola e al lavoro non facevano che parlarmi della nostra esibizione, e sentivo una pressione crescente per mantenere quel livello di eccellenza. Ogni giorno, mi trovavo a dover affrontare nuove sfide tecniche e artistiche, e la paura di deludere gli altri iniziava a consumarmi.

Una mattina, mentre stavo facendo tranquillamente colazione con i miei amici, sentii la professoressa chiamarmi da parte. «Mia, stai andando benissimo, ma devo ricordarti che il gran saggio è dietro l'angolo. Non possiamo permetterci errori.»

Annuii, sentendo il nodo alla gola stringersi. «Farò del mio meglio, professoressa. Prometto che non vi deluderò.»

Dopo non ritornai alla mensa, mi fermai un momento nel corridoio, cercando di riprendere fiato. Sentivo le lacrime salire agli occhi. Perché dovevo sentirmi così inadeguata? Avevo dimostrato di essere all'altezza, ma la paura di fallire non mi lasciava mai.

Più tardi quel giorno, mi trovai a parlare con Michael, che sembrava notare il mio disagio. «Mia, sembri preoccupata. Va tutto bene?»

Scossi la testa, incapace di nascondere le mie emozioni. «È solo... sento tanta pressione addosso. Ho paura di non riuscire a mantenere le aspettative.»

Non sapevo se sarei riuscita ad essere la Sylphide perfetta.

Michael mi guardò con comprensione. «Capisco cosa intendi. La pressione può essere schiacciante, ma devi ricordare che hai già dimostrato il tuo valore. Non lasciare che le aspettative degli altri ti soffochino.»

Le sue parole mi diedero un po' di conforto, ma la paura era ancora lì, latente.

✦ ✦ ✦

Poi c'era Jessica, la mia compagna di stanza e anche migliore amica, che mi stava sempre accanto, anche se stava attraversando un periodo difficile. Di recente, aveva ricevuto una critica molto dura durante una lezione, e questo aveva minato la sua fiducia. Notavo che era sempre più ritirata e silenziosa, lontana dalla ragazza sicura di sé che conoscevo.

Una sera, durante una pausa, Jessica si avvicinò a me. «Mia, posso parlarti?»

Annuii, vedendo la preoccupazione nei suoi occhi. «Certo, Jessica. Dimmi tutto.»

Lei sospirò, abbassando lo sguardo. «Non so se riesco a farcela. La critica che ho ricevuto... mi ha davvero colpito. Mi sento insicura, come se non fossi all'altezza.»

Le presi la mano, cercando di trasmetterle un po' della mia forza. «Jessica, sei una ballerina straordinaria. Tutti abbiamo momenti di dubbio, ma non puoi lasciare che una singola critica ti definisca. Hai così tanto talento.»

Lei mi guardò, le lacrime agli occhi. «Grazie, Mia. Non sai quanto significhi per me sentirlo.»

Più tardi, anche Michael e Lucas si unirono a noi, incoraggiando Jessica e condividendo le loro esperienze. La supportammo con tutto il cuore, e poco a poco, vidi un sorriso tornare sul suo volto. Forse stava iniziando a vedere una luce di speranza.

✦ ✦ ✦

Nel frattempo, Brandon aveva ricevuto un'opportunità speciale: un assolo nel nuovo balletto di fine anno della compagnia, un'opera prestigiosa che avrebbe messo alla prova la sua versatilità e tecnica. Aveva sempre lavorato duramente, ma questa volta sembrava più determinato che mai. Le sue prove erano intense, e spesso lo vedevo praticare fino a tardi per perfezionare ogni dettaglio della sua esibizione.

Una sera, la professoressa ci convocò per assistere alla sua esibizione. La sala era silenziosa, tutti gli occhi era concentrati su Brandon. Quando iniziò a muoversi, fu come se tutto il suo potenziale nascosto emergesse. Ogni passo era pieno di grazia e potenza, ogni movimento perfettamente sincronizzato con la musica.

Rimasi senza parole. Il Brandon che avevo sempre visto come un rivale, stava dimostrando una profondità e un talento che non avevo mai pienamente apprezzato.

Forse per la troppa gelosia nella sua bravura.

Alla fine della sua esibizione, la sala esplose in applausi. Mi avvicinai a Brandon con un passo incerto, sentendo una tensione e una timidezza improvvisa nell'aria. «Brandon,» sussurrai, il mio tono ora più intimo, «devo ammettere che... mi hai sorpreso stasera.»

Brandon sembrò colto alla sprovvista dalla mia improvvisa ammissione. Il suo sguardo si ammorbidì leggermente, ma non riuscì a nascondere completamente un sorriso compiaciuto. «Grazie, Rebelle,» rispose con voce calda, «sei tu che mi sorprendi ogni giorno con la tua determinazione.»

Le nostre facce erano vicine, ma la distanza tra di noi si era fatta quasi subito. «Forse,» continuai, il respiro leggermente affannato, «forse potremmo... imparare qualcosa l'uno dall'altro. Non pensi?»

Brandon si avvicinò leggermente di più, il suo respiro accarezzava il mio viso. «Non lo so, Mia,» disse con voce morbida, «la competizione tra noi è così... intrigante.»

La tensione era palpabile, e non potevo fare a meno di notare quanto fossimo vicini. «Intrigante,» ripetei piano, sentendo il battito accelerato del mio cuore. «Forse... potrebbe essere più di una semplice competizione.»

Brandon mi guardò intensamente, gli occhi che bruciavano di una passione appena scoperta. «Forse,» sussurrò, la sua voce quasi un sussurro, «dovremmo esplorare questo lato della nostra rivalità.»

Dovevamo smetterla.
Con tutte queste provocazioni.

Brandon prese delicatamente il mio viso tra le mani, i suoi occhi fissi nei miei con un'intensità che mandava brividi lungo la mia pelle. «Mia,» mormorò, il tono carico di desiderio represso, «forse c'è qualcosa di più profondo tra noi, qualcosa che va oltre la competizione.»

Sentii il calore del suo respiro vicino al mio viso, il suo profumo che mi avvolgeva. Ero ipnotizzata dalla sua vicinanza, dalla tensione carica di promesse. «Brandon,» risposi a malapena, la mia voce un sussurro,«no, cioè sì...forse...dovremmo esplorare questa strada.»

Che cosa avevo appena detto?

I nostri sguardi si incrociarono intensamente, entrambi consapevoli del precipizio che stavamo quasi per superare. La distanza tra noi si ridusse ancora di più, creando una barriera sottile ma palpabile tra odio, rivalità e qualcosa di più profondo.

Il tempo sembrò fermarsi mentre ci trovavamo lì, nel limbo di emozioni non dette e desideri inespressi. Era come se un passo avanti potesse cambiare tutto, ma nessuno di noi osava muoversi.

«Mia,» continuò Brandon con un tono più morbido, il suo respiro affannato come il mio, «forse questa rivalità non si basa solo su chi è il migliore.»

«Brandon,» risposi, una carezza delicata sul suo viso, «forse abbiamo appena toccato la superficie di qualcosa di profondo e significativo.»

Lì c'eravamo noi, tra la tensione palpabile e la consapevolezza di un terreno inesplorato, Brandon e io rimanemmo entrambi sospesi nel limbo di ciò che ci potrebbe essere, ma ancora incerti se dovevamo lasciarci andare oltre.

Ma poi, i nostri sguardi si separarono e andammo tutti e due in strade opposte. Non eravamo ancora pronti...o forse...forse non era ancora il momento.

✦ ✦ ✦

Quella notte, riflettei su tutto quello che avevo imparato. Le parole di Michael, il supporto che avevamo dato a Jessica, e la straordinaria performance di Brandon. Per non parlare della tensione che c'è tra me e lui da settimane. Ognuno di noi aveva le proprie sfide, ma era attraverso il sostegno reciproco che trovavamo la forza per andare avanti.

Mi sentivo un po' più leggera, come se avessi trovato un nuovo equilibrio. Sapevo che le aspettative sarebbero sempre state lì, ma ora avevo gli strumenti per affrontarle. Ero pronta a continuare a crescere, sia come ballerina che come persona.

Mentre il Gran saggio si avvicinava, sapevo che nuove sfide ci attendevano. Ma per la prima volta, non mi sentivo sola. Anzi, non ero sola. Ero circondata da amici e persino da un rivale che forse mi odiava a morte, ma insieme, potevamo affrontare qualsiasi cosa.

La strada era ancora lunga, ma ero pronta a percorrerla, un passo alla volta. Ero pronta per ciò che il futuro aveva in serbo per noi.

Ero pronta a diventare la perfezione che tutti, ma soprattutto io stessa, cercavano in me.

✦ ✦ ✦

Ero in sala, concentrato nei miei esercizi di riscaldamento. Le luci fluorescenti illuminavano la stanza, riflettendosi sui grandi specchi che coprivano le pareti. L'aria era carica di quella tensione pre-spettacolo che ormai conoscevo bene. Eppure, oggi c'era qualcosa di diverso. Un peso che sentivo nel petto, e non aveva nulla a che fare con i miei muscoli affaticati o con le difficoltà delle coreografie.

Mentre mi allungavo, non potevo fare a meno di pensare a Mia. Negli ultimi giorni, l'avevo vista cambiata. Da quando il gala era finito, aveva perso quell'energia che di solito la rendeva così vivace, quella scintilla che l'aveva sempre distinta. Nonostante il successo, sembrava che la pressione di dover dimostrare ancora una volta il suo valore stesse lentamente consumandola.

Mia non era più la stessa, e questo mi preoccupava. Ero il suo amico più stretto, forse quello che la conosceva meglio, ma ora mi sentivo impotente. Non sapevo esattamente come aiutarla, e questo mi stava uccidendo. Mentre mi sollevavo per uno dei miei salti, i pensieri continuavano a ronzare nella mia testa, distruggendo la mia concentrazione.

La porta della sala si aprì improvvisamente, e Mia entrò. Si diresse verso lo spogliatoio con passo rapido, quasi meccanico, senza neanche guardarmi. Mi bloccai, osservandola con la coda dell'occhio. Anche nel modo in cui camminava c'era qualcosa di diverso, come se ogni passo fosse pesante, carico di ansie e insicurezze che non riusciva a scrollarsi di dosso.

«Mia, tutto bene?» chiesi, tentando di mantenere un tono casuale, anche se sapevo già la risposta.

Lei si fermò, esitando per un istante. «Sì, certo,» rispose, ma la sua voce era piatta, priva di vita. Le sue parole mi colpirono come un pugno allo stomaco. La Mia che conoscevo non avrebbe mai risposto così. Cercai il suo sguardo, ma lei evitò di incontrare il mio, affrettandosi a cambiare argomento. «Tu? Come stai andando con le prove?»

Non volevo insistere, non qui, non in questo momento. Ma sentivo che dovevo fare qualcosa. «Bene, molto bene,» dissi, mentendo a metà. «Ma... Mia, sai che puoi parlarmi, giusto? Non devi affrontare tutto da sola.»

Un'ombra di un sorriso comparve sul suo volto, ma era chiaramente forzato. «Lo so, Michael. Grazie. È solo che... sono un po' stanca, tutto qui.»

Stanca? Quello non era solo stanchezza. Era molto di più. Ma cosa potevo fare? Volevo essere lì per lei, alleviare quel peso che stava chiaramente portando sulle spalle, ma mi sentivo completamente impotente. Mi feriva vederla così, sapendo che, nonostante fossimo così vicini, non riuscivo a raggiungerla davvero in questo momento.

Poco dopo, Brandon entrò nella sala, il solito sorriso sicuro di sé stampato sul viso. Notai subito come lo sguardo di Mia cambiò alla sua vista, un mix di emozioni che non riuscivo a decifrare completamente. C'era tensione tra loro, una tensione che stava diventando sempre più evidente ogni giorno che passava. Non potevo negare che questa cosa mi infastidiva.

«Ehi, Rebelle,» salutò Brandon, con quel soprannome che usava sempre per Mia. Mi sembrava un po' troppo intimo, ma non dissi nulla.

Mia alzò lo sguardo, incontrando finalmente il mio, ma fu solo per un attimo prima che i suoi occhi si spostassero su Brandon. «Ciao, Brandon,» rispose, la voce un po' più animata rispetto a prima, ma ancora lontana dal tono che ricordavo.

Mi trovai a osservare attentamente ogni loro interazione, cercando di capire cosa stesse succedendo tra loro. Ero preoccupato che questa tensione, o qualsiasi cosa fosse, potesse distrarre Mia dalla sua crescita personale e artistica. Ma c'era anche qualcos'altro. Una parte di me non poteva ignorare il fastidio che provavo nel vederli così vicini. Una parte che non volevo ammettere, ma che era lì, persistente.

«Hai già iniziato a riscaldarti?» chiese Brandon, gettando un'occhiata alla sua borsa, che posò sul pavimento. «Oggi ci aspettano delle prove intense.»

«Sì, ho appena iniziato,» rispose Mia, forzando un sorriso. «Non vedo l'ora.»

Non so se era la mia immaginazione, ma mi sembrava che ci fosse qualcosa di irrisolto tra loro, qualcosa che stava crescendo al di fuori della loro rivalità. E questo mi metteva a disagio.

«Michael, ti unisci a noi?» chiese Brandon, notando che ero rimasto in silenzio a guardare.

Oggi sembrava più diverso del solito.

«Certo,» risposi, cercando di scrollarmi di dosso quei pensieri. Dovevo concentrarmi sulla danza, ma una parte di me continuava a preoccuparsi per Mia, per come stava gestendo tutto. Non potevo fare a meno di chiedermi se lei stesse facendo tutto questo per se stessa o per dimostrare qualcosa agli altri. E se stava dimenticando quanto fosse importante trovare un equilibrio, non solo come ballerina, ma anche come persona.

Mentre iniziavamo le nostre routine, cercai di concentrarmi sulla tecnica, ma ogni tanto il mio sguardo tornava su Mia. La sua concentrazione era ferrea, ma c'era qualcosa di forzato nei suoi movimenti, come se stesse lottando con qualcosa di interno che non poteva rivelare.

Ad un certo punto, durante una breve pausa, mi avvicinai a lei. «Mia, sai che ci sono se hai bisogno, vero? Puoi contare su di me se senti di sfogarti su tutto quello che ti sta accadendo» dissi, abbassando la voce in modo che solo lei potesse sentire.

Lei mi guardò, e per un attimo sembrò che volesse aprirsi, ma poi scosse leggermente la testa. «Michael, sto bene. Davvero. Non voglio che tu ti preoccupi per me.»

«Ma mi preoccupo,» replicai, cercando i suoi occhi. «Sei importante per me. Non voglio vederti soffrire così.»

«Grazie,» mormorò Mia, abbassando lo sguardo. «Ma devo gestirla a modo mio. Prometto che ce la farò.»

Volevo dirle che non doveva portare tutto quel peso da sola, che c'eravamo io, Jessica, Lucas... che non era sola. Ma non volevo spingerla oltre. Non ancora.

Quando riprendemmo a provare, cercai di soffocare quei pensieri, ma era difficile. La rivalità silenziosa con Brandon, quella che non avevo mai voluto ammettere, stava diventando sempre più evidente. Non si trattava solo della danza. Sentivo che stavamo combattendo per qualcosa di più, qualcosa che coinvolgeva Mia.

Lui era ossessionato da lei. Era evidente.
Mentre io... io... era da un po' che provavo sentimenti per lei.

Le ore passarono veloci, e la sala si svuotò lentamente. Restai ancora un po', sperando di trovare il coraggio di parlare di nuovo con Mia, ma quando la vidi uscire con Brandon, un peso si depositò sul mio petto. Sapevo che c'era qualcosa che stava cambiando tra noi, e non sapevo come affrontarlo.

Continuai però a guardarli, si stuzzicavano e prendevano in giro. Nessuno ormai riusciva a capire se avevano risolto la loro rivalità, poiché si comportavano in modo davvero strano.

Mentre raccoglievo le mie cose, mi promisi che avrei fatto di tutto per aiutarla, anche se non sapevo ancora come. Dovevo essere lì per lei, dovevo trovare un modo per alleggerire il suo carico. Non potevo lasciarle affrontare tutto da sola, non quando significava così tanto per me.

E non potevo permettere che la tensione con Brandon interferisse con ciò che era davvero importante: il benessere di Mia. Ma una parte di me sapeva che avrei dovuto affrontare anche quel lato della mia gelosia, prima o poi. Il futuro era incerto, ma ero determinato a non perderla di vista, a non lasciarla scivolare via.

Mentre uscivo dalla sala, il cielo, fuori dall'accademia, stava già diventando scuro. Respirai profondamente, camminando verso la strada per i dormitori. Sapevo che non sarebbe stato facile, ma ero pronto a fare tutto il possibile per essere un vero amico per Mia. Anche se questo significava mettere da parte i miei stessi sentimenti.

✦ ✦ ✦

Camminavo lungo il corridoio illuminato solo da poche luci soffuse, il mio zaino gettato distrattamente su una spalla. La mia mente era ancora affollata dai pensieri di quel pomeriggio, di come Mia avesse risposto alle mie domande con frasi vuote e rassicuranti che sapevo non essere la verità. Ero frustrato, ma non tanto con lei quanto con me stesso per non essere riuscito a fare di più.

Mentre mi avvicinavo ai dormitori, la vidi in fondo al corridoio. Mia stava camminando lentamente, la testa leggermente china, come se fosse persa nei suoi pensieri. Accelerai il passo per raggiungerla, il cuore che batteva un po' più forte al pensiero di dover affrontare di nuovo quella conversazione che avevo evitato durante le prove.

«Mia,» chiamai, la mia voce rimbombando leggermente nel corridoio vuoto.

Lei si fermò, voltandosi verso di me. Nel suo sguardo lessi un misto di sorpresa e, forse, di qualcosa di più profondo, qualcosa che non riuscivo a decifrare completamente. Ma c'era anche una stanchezza palpabile, una stanchezza che mi fece stringere il cuore.

«Michael?» rispose, la sua voce incerta. «Cosa ci fai qui?»

«Ti stavo cercando,» dissi, avvicinandomi. «Dobbiamo parlare, Mia. Non posso più ignorare quello che sta succedendo.»

Mia si irrigidì leggermente, come se si stesse preparando per una battaglia. «Di cosa vuoi parlare?» chiese, ma il suo tono rivelava che sapeva già la risposta.

Mi fermai a un passo da lei, cercando di mantenere la calma nonostante la frustrazione che sentivo dentro. «Di te,» dissi semplicemente. «Di come stai affrontando tutto questo, e di come stai cercando di farlo da sola.»

Lei distolse lo sguardo, mordendosi leggermente il labbro inferiore. «Michael, ti ho già detto che sto bene. Perché insisti?»

«Perché non ti credo,» risposi, la mia voce più dura di quanto avessi intenzione. «Non posso stare qui a guardare mentre ti consumi sotto tutta questa pressione, Mia. Sei mia amica, e non posso far finta di niente.»

«Non è che stia facendo finta di niente!» replicò lei, alzando la voce. «Sto solo cercando di gestire le cose a modo mio. Non ho bisogno che tu mi dica cosa devo fare o come devo sentirmi.»

La sua risposta mi colpì come uno schiaffo, e per un attimo rimasi senza parole. Non mi aspettavo che reagisse così. «Non sto cercando di dirti cosa fare,» dissi, cercando di mantenere la calma. «Sto cercando di aiutarti, perché mi importa di te. Non voglio vederti soffrire.»

«Michael, non capisci!» esclamò, facendo un passo indietro. «Tutto questo... la danza, le aspettative... è tutto ciò che ho! Se non riesco a gestirlo, cosa mi rimane?»

Le sue parole mi colpirono al cuore. Vedevo quanto fosse spaventata, quanto si sentisse sola in mezzo a tutto questo. Ma non volevo che si sentisse così, non quando c'erano io e gli altri che le volevamo bene.

«Non sei sola, Mia,» dissi, facendo un altro passo verso di lei. «Hai me, hai Jessica, hai Lucas... Siamo tutti qui per te. Ma devi permetterci di aiutarti.»

Lei scosse la testa, gli occhi lucidi. «Non voglio essere un peso per nessuno, Michael. Non voglio che nessuno si preoccupi per me. Devo dimostrare a tutti, soprattutto a me stessa, che posso farcela da sola.»

Le sue parole mi ferirono più di quanto volessi ammettere. Mi sentivo impotente, ma sapevo che non potevo lasciare che continuasse a chiudersi in se stessa. Non condividevo la sua convinzione che dovesse affrontare tutto da sola, perché sapevo quanto fosse importante avere qualcuno al proprio fianco, soprattutto nei momenti difficili.

«Mia, non sei un peso per nessuno,» dissi, la mia voce più gentile ora. «Sei importante per noi, per me. È naturale preoccuparsi per le persone a cui teniamo. Non devi affrontare tutto questo da sola. Permettici di essere lì per te.»

Lei mi guardò, e nei suoi occhi vidi una vulnerabilità che raramente mostrava. «Michael...» iniziò, la sua voce tremante, «è solo che... ho così paura di fallire, di non essere abbastanza. E se non riesco a essere la ballerina che tutti si aspettano? Se non riesco a raggiungere la perfezione che mi viene richiesta?»

«Mia, la perfezione non esiste,» risposi, il mio tono dolce ma fermo. «Quello che conta è quanto ci dedichi e quanto ami quello che fai. E tu lo ami, lo so. Non devi dimostrare niente a nessuno, solo a te stessa. E non devi essere perfetta per essere straordinaria.»

Per un attimo, rimanemmo in silenzio, i nostri occhi fissi l'uno nell'altro. C'era una tensione palpabile tra di noi, un misto di emozioni che nessuno dei due riusciva a controllare. Il mio cuore batteva forte nel petto, e sapevo che quello era il momento della verità.

«Michael...» sussurrò Mia, avvicinandosi di un passo. «Cosa stai cercando di dirmi?»

Presi un respiro profondo, il mio cuore che sembrava voler esplodere. «Sto cercando di dirti che non devi affrontare tutto questo da sola, Mia. E che io... io voglio esserci per te, più di quanto tu possa immaginare.»

Mia sembrava colta di sorpresa dalle mie parole, ma non fece un passo indietro. Anzi, sembrava che fosse stata attratta da quella confessione. I nostri respiri si fecero più affannosi, e sentii il calore del suo corpo vicino al mio, una vicinanza che non avevo mai sentito così intensamente prima.

«Michael...» disse, il suo tono incerto, ma pieno di emozioni.

Non riuscivo più a trattenermi. Tutto il desiderio, l'affetto e l'amore che avevo cercato di nascondere esplosero in un solo istante. Mi avvicinai ancora di più, la mia mano che si alzava lentamente per accarezzare il suo viso, delicata come se avessi paura di romperla.

«Mia... io ci tengo a te, più di quanto tu possa sapere.» Le parole uscirono da sole, senza che potessi fermarle. «E non posso più fingere che sia solo amicizia. Io... io ti amo.»

Mia sussultò leggermente, i suoi occhi spalancati per lo shock. Ma non si allontanò. Al contrario, sembrava che le mie parole avessero scatenato qualcosa dentro di lei, qualcosa che aveva cercato di sopprimere per troppo tempo.

E in quel momento, senza nemmeno pensarci, ci trovammo così vicini che i nostri respiri si intrecciarono. Le nostre labbra si sfiorarono, leggere come una piuma, ma quel contatto fugace fu sufficiente a scatenare un'esplosione di sensazioni che mi travolsero completamente.

Mia non si ritrasse, anzi, chiuse gli occhi e si lasciò andare a quel bacio, un bacio che sapeva di tutto quello che avevamo trattenuto per troppo tempo. Era dolce e intenso allo stesso tempo, un mix perfetto di emozioni represse e desideri nascosti.

Quando ci separammo, entrambi ansimanti, rimasi a guardarla, incapace di credere a quello che era appena successo. I suoi occhi, ora più lucidi, mi fissavano con una dolcezza che non avevo mai visto prima.

«Michael...» sussurrò lei, le sue labbra ancora tremanti per l'emozione. «Anche io ci tengo a te, più di quanto abbia mai voluto ammettere. Ma avevo paura... paura che tutto questo potesse complicare le cose.»

La guardai intensamente, prendendo le sue mani tra le mie. «Mia, non dobbiamo avere paura. Possiamo affrontare tutto insieme, passo dopo passo. Non devi essere perfetta, non con me. Io ti accetto per quello che sei, con tutte le tue insicurezze e paure. E sono qui, per te, sempre.»

Lei annuì, lasciando che una lacrima le scivolasse lungo la guancia. «Grazie, Michael... per non aver mai smesso di credere in me.»

La abbracciai forte, sentendo il calore del suo corpo contro il mio, come se in quell'abbraccio potessimo guarire tutte le ferite, tutte le paure. Sapevo che la strada davanti a noi non sarebbe stata facile, ma in quel momento, con lei tra le mie braccia, mi sentivo invincibile.

«Non sarai mai sola, Mia,» le sussurrai all'orecchio. «Mai più.»

E in quell'istante, sapevo che qualsiasi cosa il futuro ci avesse riservato, l'avremmo affrontata insieme, senza paura.

Tuttavia, eravamo ancora vicini, il suo viso a pochi centimetri dal mio, e potevo sentire il suo respiro caldo mescolarsi al mio. In quel momento, mi sembrava che tutto fosse possibile, che ogni barriera fosse stata infranta. Ma sotto la superficie, c'era un'inquietudine che non riuscivo a spiegare.

Mia mi guardò negli occhi, e per un attimo, sembrò che volesse dire qualcosa, ma si fermò. Invece, le sue labbra tornarono a cercare le mie, e quel bacio fu più profondo, più urgente del primo. Mi lasciai andare completamente, perdendomi in quella sensazione, nel calore del suo corpo contro il mio. Il desiderio tra noi cresceva, e non ci fu bisogno di parole mentre la tensione si trasformava in qualcosa di più fisico, più intimo.

La mia mano scivolò lungo la sua schiena, attirandola più vicina, e lei rispose con la stessa intensità, le sue mani che si aggrappavano alla mia camicia come se non volesse lasciarmi andare. Sentivo il suo cuore battere forte contro il mio petto, e ogni respiro che prendevamo sembrava avvicinarci ancora di più. Non ci fermammo, spinti da un bisogno di confermare ciò che avevamo appena scoperto, di esplorare quel territorio sconosciuto che avevamo appena iniziato a svelare.

Non c'era fretta, ma c'era una passione che sembrava impossibile da contenere. Le nostre mani si muovevano con una familiarità nuova, scoprendo ogni dettaglio, ogni curva. Mi sentivo come se fossi entrato in una dimensione dove esistevamo solo noi due, lontani da ogni altra realtà.

Ma proprio quando pensavo che ci fossimo persi completamente in quel momento, Mia si irrigidì improvvisamente tra le mie braccia. Si staccò da me, il respiro affannato, gli occhi lucidi ma pieni di qualcosa che non riuscivo a interpretare. Mi guardò con un'espressione che mescolava desiderio e confusione, ma anche qualcos'altro, qualcosa che mi fece temere il peggio.

«Michael... aspetta.» La sua voce tremava leggermente, e il modo in cui disse il mio nome mi fece sentire un gelo lungo la schiena. «Che cazzo stiamo facendo...»

Avevo sentito bene?

«Mia, in che senso...? Cosa c'è?» chiesi, cercando di mantenere la calma, anche se dentro di me si stava insinuando il dubbio. «Tutto bene?»

Lei abbassò lo sguardo, e quando parlò di nuovo, la sua voce era quasi un sussurro. «Non so come dirlo, ma... non è come pensi.»

Il mio cuore si strinse. «Cosa intendi?»

Mia sollevò lo sguardo, e nei suoi occhi vidi un'onestà dolorosa. «Michael, quello che è successo... è stato incredibile, ma... io non... io non provo le stesse cose che provi tu. Non in quel modo.»

Le sue parole mi colpirono come un pugno nello stomaco. Per un momento, tutto il calore, la passione, e l'intimità che avevamo appena condiviso sembrarono svanire, lasciandomi solo con una sensazione di vuoto. «Ma... Mia...» provai a dire, ma la voce mi si spezzò.

Lei scosse la testa, visibilmente combattuta, come se stesse cercando di trovare le parole giuste. «Michael, tu sei una delle persone più importanti nella mia vita. Ti voglio bene, tantissimo. Ma non in quel modo. Non so perché... non so perché ho lasciato che succedesse tutto questo. Forse perché volevo sentirmi vicina a qualcuno, forse perché ho paura di stare sola, ma non posso mentirti... non posso mentire a noi.»

La realtà delle sue parole iniziò a infiltrarsi dentro di me, e sentii il dolore della delusione, del rifiuto. Mi allontanai leggermente, cercando di mettere distanza tra noi, anche se solo fisica. «Mia... perché? Perché mi hai baciato? Perché hai lasciato che accadesse tutto questo se non provi lo stesso?»

Cazzo.
Ogni volta che mi innamoravo succedeva sempre la stessa cosa.
Ma non è che il problema ero io?

Lei sembrò sopraffatta dalla colpa, e si passò una mano tremante tra i capelli. «Non lo so, Michael. È successo tutto così in fretta, e in quel momento... ho pensato che forse poteva esserci qualcosa di più. Ma mentre andavamo avanti, mi sono resa conto che stavo cercando di forzare qualcosa che semplicemente non è lì. Tu meriti qualcuno che ti ami come tu ami me, e non posso fingere che sia così.»

La sua sincerità mi fece male, ma non potevo arrabbiarmi con lei. Volevo, ma non potevo. Sapevo che non sarebbe stato giusto. Eppure, non potevo ignorare la delusione che mi stava soffocando.

«Mia, io pensavo... pensavo stessi facendo sul serio... io ci credevo,» sussurrai, cercando di mantenere la voce ferma. «Hai giocato con i miei sentimenti, anche se non l'hai fatto intenzionalmente. Ma adesso... non so come affrontarlo.»

Lei si avvicinò di nuovo, cercando il mio sguardo, ma io lo evitai. «Michael, ti prego, non odiarmi. Io non volevo ferirti. Sei uno dei miei migliori amici, il mio migliore amico, e non posso perderti per questo. Non posso perderti per un errore che ho fatto io.»

Odiarla? Non potrei mai.

La guardai, finalmente, e vidi che stava davvero soffrendo per quello che era successo. Ma in quel momento, il dolore era troppo fresco, troppo intenso perché potessi darle una risposta che non fosse carica di amarezza.

«Odiarti Mia? Non ti odio. Non potrei mai odiarti.,» dissi infine, con la voce rotta.

Lei annuì, trattenendo le lacrime. «Capisco. E se avrai bisogno di spazio... te lo darò. Ma sappi che io ci sarò sempre, se e quando vorrai parlarmi.»

Nonostante il dolore, c'era una parte di me che capiva, che voleva capire.

«Mia...» iniziai, cercando di mettere ordine nei miei pensieri. «lo... non so come supererò tutto questo, ma so che non voglio perderti nemmeno io. Ho bisogno solo di tempo... di tempo per capire perché tutto questo accada sempre a me. Ma la nostra amicizia non è persa... o almeno spero, spero che tu voglia rimanere ancora la mia migliore amica dopo ciò.» Mi asciugai lentamente le lacrime.

Lei annui lentamente, gli occhi pieni di lacrime trattenute. «Micheal... rimarrai sempre il mio migliore amico... non possiamo perderci a vicenda per una cosa che infondo succede in tutte le migliori amicizie.»

Già.
Ha ragione.
È una cosa che succede in tutte le migliori amicizie.
E io ero un coglione.

La abbracciai, prima di ritornare alla mia stanza. Le volevo tanto bene, questo non poteva mai cambiare.

✦ ✦ ✦

Ridevo con gli altri, come se tutto fosse perfetto. Mia, Jessica e Michael mi circondavano, ridendo senza freni, mentre prendevamo una pausa dopo una lezione di danza estenuante. Michael, cercando di eseguire una sequenza complicata, era stato un disastro totale, e non potevo fare a meno di unirmi alle prese in giro.

«Michael, ammettilo, stavi cercando di impressionare Mia!» dissi, lanciandogli uno sguardo malizioso.

Michael fece finta di essere offeso, ma scoppiò a ridere insieme a noi. Sembrava che nulla potesse turbare la nostra allegria, eppure, dentro di me, qualcosa non andava. Ogni sorriso, ogni battuta, ogni risata era studiata, calibrata per sembrare autentica. Ma la realtà era diversa. Sotto quella facciata, c'era una pesantezza che mi schiacciava.

Dentro, sentivo il peso di ogni parola che pronunciavo. Ero lì, con loro, eppure una parte di me si sentiva lontana, separata da ciò che accadeva. Ogni gesto era una recita, un modo per nascondere ciò che realmente provavo.

Poi, Michael si avvicinò e mi tirò da parte, lontano dalle orecchie di Mia e Jessica. C'era qualcosa di diverso nel suo sguardo, una preoccupazione che non poteva più nascondere.

«Lucas, devo parlarti,» mormorò, la voce un po' incerta.

Lo seguii in un angolo più tranquillo, lontano dalle risate degli altri. «Cosa c'è, Michael? Sembri sconvolto.»

Lui esitò per un istante, poi abbassò lo sguardo. «Ieri sera... Mia e io ci siamo baciati.»

Quelle parole mi colpirono come un pugno allo stomaco. Cercai di mantenere la calma, di non lasciare che il mio volto tradisse quello che provavo dentro. «E come è andata?»

Michael sospirò, passando una mano tra i capelli. «Male, Lucas. Molto male. In realtà stava andando bene all'inizio, ma poi... poi mi ha detto che... non prova lo stesso per me. Mi vede solo come un amico.»

Sentii una fitta di dolore per lui, ma anche per me stesso. Mia era sempre stata un enigma, e sapevo quanto Michael tenesse a lei. Cercai di trovare le parole giuste per consolarlo, anche se sapevo che nulla avrebbe potuto alleviare completamente il suo dolore.

«Mi dispiace, Michael. Davvero. So quanto ci tenevi,» dissi, cercando di essere il più sincero possibile.

Lui annuì, ma c'era un'ombra nei suoi occhi che non riusciva a nascondere. «Mi sento un idiota, Lucas. Credevo che ci fosse qualcosa, ma mi sbagliavo.»

«Non sei un idiota,» replicai, cercando di infondergli un po' di coraggio. «Hai fatto ciò che sentivi giusto. Non è mai sbagliato esprimere ciò che provi.»

Michael scosse la testa, come se non riuscisse a convincersi delle mie parole. «È solo che... ora non so più cosa fare. Lei è importante per me, ma non posso continuare così.»

«Forse ha solo bisogno di tempo,» suggerii, anche se dentro di me sapevo che era una magra consolazione. «Forse lei stessa non sa cosa vuole.»

«Forse,» mormorò Michael, ma il suo tono non era convinto. «Grazie per avermi ascoltato, Lucas. Avevo solo bisogno di parlarne con qualcuno.»

«Ci sono sempre,» risposi, sperando che lui sapesse quanto intendevo quelle parole.

Quando ci avvicinammo di nuovo a Mia e Jessica, sentii la mia maschera tornare al suo posto, ancora una volta. Michael aveva bisogno di me, e io non potevo permettermi di crollare.

Quando finalmente la giornata finì e mi trovai solo nella mia stanza, lasciai cadere la maschera. Il sollievo che provai fu immediato, ma anche intriso di disperazione. Era come se, senza quella facciata, il mio mondo interiore crollasse sotto il peso della solitudine.

Sprofondai nel letto, lasciandomi andare a un lungo sospiro. Non c'era nessuno da impressionare, nessuno da ingannare. Non c'era bisogno di fingere. Ma in quel silenzio, tutto ciò che avevo nascosto durante il giorno tornava a galla, più forte che mai.

Sentivo il vuoto riempire ogni angolo della stanza, un vuoto che mi trascinava giù, che mi faceva sentire sempre più isolato.

Dopo un po', mi alzai a fatica e mi avvicinai al mobile dove tenevo delle pillole. Erano degli antidepressivi. Aprii il cassetto con un movimento stanco, quasi meccanico, e tirai fuori la scatola. La guardai per un momento, provando una rabbia sorda. Non volevo prenderle. Odiai il fatto che ne avessi bisogno, ma sapevo che senza quelle pillole, non sarei riuscito a mantenere la mia facciata neanche per un altro giorno.

Presi una pillola e la mandai giù con un sorso d'acqua. Il sapore amaro mi rimase in bocca, un promemoria costante della mia debolezza. Mi sentivo rotto, spezzato. Quelle pillole erano una necessità, ma anche una catena che odiavo.

Mi sedetti sul bordo del letto, aspettando che l'effetto cominciasse a farsi sentire. Era una routine che detestavo, ma a cui non potevo rinunciare. Senza di loro, non avrei potuto continuare a fingere.

Spesso mi ero chiesto come sarebbe stato parlarne con qualcuno, rivelare tutto ciò che provavo. Ma ogni volta che ci pensavo, mi fermavo. Avevo paura. Paura di essere giudicato, di essere visto come debole. Se avessi confessato tutto, cosa sarebbe cambiato? Probabilmente niente. Avrei continuato a sentirmi solo, ma con il peso aggiunto di aver caricato qualcun altro dei miei problemi.

Una volta, avevo quasi parlato con Mia. Era una di quelle sere in cui mi sentivo sul punto di crollare. Le parole erano arrivate fino alle labbra, ma all'ultimo secondo, le avevo inghiottite, facendo una battuta al loro posto. Un'altra maschera, un altro silenzio.

In quel momento, seduto nella mia stanza, sentii le lacrime premere dietro i miei occhi. Cercai di ricacciarle indietro, ma fu inutile. Una lacrima scivolò giù per la mia guancia, poi un'altra, finché non potei più trattenerle.

Mi abbandonai a quel momento di vulnerabilità, lasciando che tutto ciò che avevo represso emergesse. Non era un pianto liberatorio, ma un pianto disperato. Mi sentivo perso, spezzato, e non sapevo più come andare avanti. Ma sapevo di doverlo fare.

Dopo quello che sembrò un'eternità, le lacrime si fermarono. Mi asciugai il viso con la manica della maglietta e mi alzai lentamente. Mi guardai allo specchio, osservando il mio riflesso. Ero stanco, svuotato, ma mi obbligai a sorridere, anche solo per un attimo. Un altro giorno, mi dissi. Posso farcela per un altro giorno.

Mi sistemai i capelli, mi aggiustai la maglietta e tornai a essere Lucas, il ragazzo sempre pronto a fare una battuta, sempre pronto a sostenere gli altri. La maschera era tornata al suo posto, perfetta come sempre.

Uscii dalla stanza, lasciando dietro di me quel momento di debolezza. Forse un giorno avrei trovato il coraggio di togliermi davvero questa maschera. Ma non era quel giorno.

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