𝟏𝟎. 𝐍𝐞𝐰 𝐑𝐢𝐯𝐚𝐥
Bad Blood - Taylor Swift
"Cause baby now we got bad blood"
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Mi svegliai con il solito senso di urgenza che mi accompagnava ogni mattina. La mia mente, sempre in modalità di competizione, già pianificava la giornata. Avevo bisogno di superare Mia. Non c'era altro obiettivo, altro scopo. Ogni giorno era una battaglia, e io ero pronto a combattere.
Dopo una rapida doccia, mi vestii con abiti comodi per le prove: pantaloni neri da danza e una maglietta grigia. La routine mattutina era sempre la stessa, ma oggi sentivo una strana tensione nell'aria.
Quando entrai nella mensa, vidi Mia già seduta con Jessica, Michael e Lucas. Sembravano immersi in una conversazione animata. Non mi unii a loro, preferendo sedermi da solo e osservare la scena a distanza. Anche se non lo avrei mai ammesso, era interessante vedere Mia interagire con i suoi amici, vedere quel lato di lei che non traspariva durante le prove.
Quel lato di lei che non aveva quando era con me.
Il signor Harrington entrò nella sala mensa con un nuovo studente al suo fianco. Un ragazzo mai visto prima. Tutti gli occhi degli studenti si girarono verso di lui. Era alto, con i capelli biondi e gli occhi penetranti dal colore cristallino del mare. Sembrava sicuro di sé, quasi arrogante.
«Ragazzi, questo è Leonard Durant. È appena arrivato all'accademia e si unirà a noi nelle prove per il saggio. Trattatelo bene,» annunciò Harrington con il suo solito tono autoritario.
«Potete chiamarmi Leo.» Aggiunse il ragazzo, con uno sguardo arrogante.
"Potete chiamarmi Leo." Già non lo sopportavo.
Leonard fece un cenno di saluto, il suo sguardo che si posava su ciascuno di noi come se ci stesse valutando. Quando i suoi occhi incontrarono i miei, vi lessi una sfida chiara.
Mia mi lanciò un'occhiata di avvertimento. Era evidente che anche lei aveva percepito la tensione. Decisi di ignorarla e di concentrarmi su Leo. Un nuovo rivale era esattamente ciò di cui avevo bisogno per mantenere alta la mia motivazione.
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Durante le prime prove con Leo, la sua presenza era palpabile. Era incredibilmente talentuoso, e non ci mise molto a dimostrarlo. Ogni movimento era fluido, preciso, con una grazia naturale che mi fece capire immediatamente che non sarebbe stato facile superarlo.
Il signor Harrington sembrava impressionato, cosa che mi irritava profondamente. Non potevo permettere che un nuovo arrivato rubasse la mia scena. Durante una pausa, decisi di avvicinarmi a lui.
«Benvenuto, Leo,» dissi, cercando di mantenere un tono neutro. «Da dove vieni?»
«Da Parigi,» rispose con un sorriso compiaciuto. «Ho studiato alla Scuola di Danza dell'Opéra. E tu?»
Da Parigi...
Cazzo.
Ero veramente fottuto.
«New York,» replicai, mantenendo il contatto visivo. «Sono qui da tre anni.»
«Interessante,» commentò Leo, il suo tono quasi sprezzante. «Spero che tu sia pronto per una competizione seria.»
La mia mascella si serrò. «Lo sono sempre.»
«Quindi tu che ruolo interpreti nel saggio che si terrà a breve?» mi scrutò dall'alto al basso.
«James, James Ruben. Il protagonista maschile dell'opera.»
«Oh bene,» mormorò ridacchiando sotto i baffi.
«Cosa c'è da ridere?» il mio sguardo diventò serio e poi misi le braccia conserte continuando a guardarlo, mentre aspettavo una risposta.
«Sono il tuo sostituto, Brandon.»
«Scusa? Ripeti quello che hai detto?»
«In tal caso ti dovesse succedere qualcosa, sarò io a sostituirti al saggio.»
«Non succederà,» ringhiai, «quindi stai solo perdendo tempo qua, Durant.»
«È da vedere, Mars.»
Le prove continuarono con una nuova dinamica. Leo portava un'energia diversa, una tensione che non avevo mai sentito prima. Ogni volta che lo vedevo danzare, sentivo la pressione crescere. Dovevo fare meglio. Dovevo superarlo.
Mia sembrava altrettanto turbata. La sua determinazione era palpabile, ma c'era anche una nuova incertezza nei suoi movimenti. Durante un passo a due con Leo, la vidi vacillare leggermente, e il signor Harrington non mancò di notarlo.
«Concentrati, Mia!» gridò. «Non c'è spazio per gli errori. Devi cercare di essere perfetta.»
Perfetta? Mia? Beh... non c'era bisogno che cercava di esserlo... già lo era.
Dopo le prove, trovai la mia Sylphide seduta in un angolo della sala, chiaramente frustrata. Non potevo fare a meno di provare un senso di soddisfazione nel vedere che anche lei stava lottando.
«Non pensavo che ti saresti lasciata intimidire così facilmente,» dissi, avvicinandomi.
«Non sono intimidita,» rispose, alzando lo sguardo verso di me. «Ma questo Leo è davvero bravo.»
«Sì, lo è,» ammisi. «Ma non lascerò che mi superi. Né lui, né tu.»
Mia mi guardò con uno sguardo di sfida. «Allora dobbiamo fare il nostro meglio. Entrambi. Non possiamo permetterci di perdere il terreno.»
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Nei giorni seguenti, io e Mia iniziammo a lavorare insieme in modo più coeso, seppur tacitamente. La presenza di Leo aveva cambiato le dinamiche. Ora non eravamo solo l'uno contro l'altro, ma contro un terzo elemento che minacciava di oscurarci entrambi.
Durante una delle prove, il signor Harrington ci mise a fare un passo a tre. Era una coreografia complessa, che richiedeva un sincronismo perfetto.
Quella coreografia... non centrava nulla col saggio, ma era un ordine e dovevo farlo. Dimostrare a Leo che ero migliore di lui.
Mentre danzavamo, sentivo la tensione tra noi, ma anche un nuovo senso di unità. Sapevamo che dovevamo lavorare insieme per superare Leo.
Leo non era da meno. Ogni suo movimento era una dichiarazione di superiorità. Ma sentivo che qualcosa stava cambiando. Io e Mia stavamo trovando un nuovo equilibrio, una nuova forza nella nostra rivalità trasformata in collaborazione.
Una sera, dopo una lunga giornata di prove, trovai Mia fuori dalla sala, seduta su una panchina. Mi avvicinai, sedendomi accanto a lei senza dire una parola. Per un momento, rimanemmo in silenzio, osservando le luci della città che si accendevano.
«Sai,» disse infine Mia, «Leo è incredibilmente bravo, ma penso che abbiamo una possibilità. Se lavoriamo insieme.»
Annuii. «Sì, penso che tu abbia ragione. Non mi piace l'idea di collaborare, ma se vogliamo superarlo, dobbiamo farlo.»
Mia mi guardò con un sorriso triste. «Non sarà facile. Ma forse, solo forse, possiamo riuscirci.»
Sentii una strana sensazione di rispetto per lei in quel momento. Forse, dopotutto, la rivalità non era solo una questione di odio. Forse poteva essere qualcosa di più.
«Allora facciamolo,» dissi con determinazione. «Superiamo Leo. Insieme.»
Mia annuì, e in quel momento sentii che avevamo trovato un nuovo terreno comune. Non eravamo amici, e probabilmente non lo saremmo mai stati. Ma eravamo alleati, almeno per ora.
E con questo pensiero, sapevo che eravamo pronti per affrontare qualsiasi sfida ci attendesse.
Le prove erano diventate un campo di battaglia di tensioni non dette e sfide sottili. Leo, con la sua sicurezza e il suo talento naturale, non si limitava a cercare di superare solo me, ma anche Mia. La cosa si stava facendo insopportabile, e sentivo che la situazione stava per esplodere.
Quel giorno, durante una pausa, Leo si avvicinò a Mia. Li osservai da lontano, il cuore che batteva più forte del solito. Non mi piaceva per niente il modo in cui la guardava.
«Sai, Mia,» disse Leo con un sorriso affascinante, «hai un talento straordinario. È raro trovare qualcuno con la tua grazia e la tua passione.»
Mia arrossì leggermente, ma mantenne un sorriso cortese. «Grazie, Leo. Anche tu sei molto bravo. È stimolante lavorare con te.»
Sentii un'ondata di gelosia montare dentro di me. Non avevo mai visto Mia così compiaciuta delle attenzioni di qualcun altro. Mi avvicinai, cercando di mantenere la calma.
«Spero che tu non stia cercando di distrarre la mia compagna di ballo, Leo,» dissi con un tono che tradiva la mia irritazione.
Leo mi guardò con un sorrisetto compiaciuto. «Solo complimenti tra colleghi, Brandon. Non c'è nulla di male, no?»
«Finché rimane professionale, certo,» replicai, lanciando uno sguardo a Mia. «Abbiamo ancora molte prove da fare.»
Mia mi guardò con una miscela di sorpresa e fastidio. «Non preoccuparti, Brandon. Posso gestire la cosa da sola.»
«Sì, certo,» risposi, cercando di nascondere il mio disappunto. «Ma è meglio se torniamo alle prove. Il signor Harrington ci aspetta.»
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La tensione tra di noi non diminuì durante le prove successive. Leo continuava a flirtare con Mia ogni volta che ne aveva l'occasione, e ogni volta sentivo crescere dentro di me una rabbia difficile da controllare.
Una sera, dopo una sessione particolarmente intensa, Leo e Mia rimasero nella sala per ripassare alcuni movimenti. Li osservai da lontano, sentendo un nodo stringersi nello stomaco.
Leo si avvicinò a Mia, posizionandosi troppo vicino per i miei gusti. «Sai, Mia, hai un modo incredibile di interpretare ogni passo. È come se la danza fosse una parte di te.»
Mia sorrise, ma sembrava un po' a disagio. «Grazie, Leo. Anche tu hai una presenza scenica notevole.»
Non potei più trattenermi. Mi avvicinai, interrompendo la loro conversazione. «È tardi. Dovremmo andare. Domani abbiamo un'altra giornata intensa.»
Leo alzò un sopracciglio, sorpreso dalla mia intromissione. «Hai paura che la stanchi troppo, Brandon?»
«Ho paura che stiamo perdendo tempo prezioso,» replicai, guardando Mia con una certa insistenza. «Andiamo.»
Mia mi guardò, il disappunto evidente sul suo volto. «Non hai il diritto di decidere per me, Brandon. Posso gestire il mio tempo.»
Sentii una fitta di frustrazione. «Lo so, Mia. Ma domani abbiamo bisogno di essere al meglio. Non possiamo permetterci di perdere tempo.»
Leo sorrise, chiaramente divertito dalla situazione. «Non c'è bisogno di litigare. Solo un po' di allenamento extra.»
«Basta,» disse Mia, il tono deciso. «Andiamo, Brandon. Hai ragione, è tardi.»
Le tensioni non si placarono. Il giorno seguente, durante una pausa, Leo si avvicinò di nuovo a Mia. Questa volta, però, decisi di affrontarlo direttamente.
«Senti, Leo,» dissi, cercando di mantenere la calma. «Sei qui per migliorare, non per distrarci.»
Leo mi guardò con uno sguardo di sfida. «E chi ha detto che sto distraendo qualcuno? Solo perché mi piace parlare con Mia?»
«È evidente che stai cercando di più di una semplice conversazione,» risposi, sentendo la rabbia crescere.
Mia intervenne, posizionandosi tra noi. «Basta, entrambi. Non ho bisogno di questo. Siamo qui per ballare, non per litigare. Leo, apprezzo i tuoi complimenti, ma cerchiamo di mantenere la concentrazione sulle prove.»
Leo alzò le mani in segno di resa. «Come vuoi, Mia. Ma ricorda, non c'è nulla di male a godersi un po' la compagnia dei colleghi.»
Le prove continuarono, ma la tensione era palpabile. Sentivo che Mia stava cercando di trovare un equilibrio tra me e Leo, ma era evidente che la situazione la stava logorando. Anche se non lo avrei mai ammesso apertamente, mi preoccupava vederla così stressata.
Un'altra sera di quella lunga settimana, dopo una lunga giornata, trovai Mia fuori dalla sala, seduta su una panchina. Mi avvicinai, il cuore pesante.
«Posso sedermi?» Chiesi.
Lei annuì, senza sollevare lo sguardo. «Certo.»
Ci sedemmo in silenzio per un momento, le luci della città che brillavano intorno a noi.
«Mi dispiace,» dissi infine. «Per quella mia scenata. Non volevo complicare le cose.»
Per la mia stupida gelosia.
Mia mi guardò, sorpresa dalle mie parole. «Brandon, non è solo colpa tua. Questa situazione è difficile per tutti noi. Ma dobbiamo trovare un modo per lavorare insieme, senza lasciare che le rivalità ci distruggano.»
Annuii, sentendo un peso sollevarsi dal petto. «Hai ragione. Non è facile, ma possiamo farcela. Insieme.»
Mia sorrise, un sorriso stanco ma sincero. «Sì, possiamo farcela. E magari, un giorno, riusciremo anche a essere amici.»
La guardai, sentendo una strana sensazione di speranza. «Amici? Mi fai ridere. Saremo per sempre rivali, Mia.» Dissi, ma con un piccolo accenno di ironia.
Mia rise piano, scuotendo la testa. «Forse hai ragione. Ma almeno, possiamo trovare un modo per sopportarci senza scannarci, no?»
Sorrisi amaramente, sapendo che la situazione era ancora tesa. «Mi sembra un buon compromesso.»
Rimanemmo seduti in silenzio, osservando la città intorno a noi. Il rumore del traffico e delle persone che passavano sembrava distante, quasi ovattato. Era uno di quei momenti rari in cui tutto sembrava fermarsi per un attimo, dandoci il tempo di riflettere e respirare.
«Sai,» iniziò Mia dopo un po', «quando abbiamo iniziato questa collaborazione per il saggio, non avrei mai immaginato che sarebbe stato così difficile. Ma allo stesso tempo, non avrei mai immaginato quanto avrei imparato, non solo tecnicamente, ma anche su di me e sugli altri.»
«È vero,» concordai. «Ho imparato tanto anch'io. E non solo sulle luci e sulle scene.»
Mia mi guardò con curiosità. «Come,
cosa? Per esempio?»
Esitai un momento, poi decisi di essere onesto. «Come quanto possa essere difficile mettere da parte l'orgoglio e lavorare davvero in squadra. Quanto sia importante la comunicazione, anche se è piena di conflitti. E quanto possa essere doloroso ma necessario affrontare i propri difetti.»
Mia annuì lentamente, assorbendo le mie parole. «Hai ragione. E credo che questo ci renda tutti un po' più forti, alla fine.»
«Sì,» dissi, sentendo una nuova determinazione crescere dentro di me. «E forse, più pronti per affrontare qualsiasi cosa ci riservi il futuro.»
Ci alzammo dalla panchina, pronti a tornare dentro. Prima di entrare, Mia mi afferrò per un braccio, facendomi voltare.
«Brandon,» disse con voce ferma, «qualunque cosa succeda, non aspettarti che le cose siano facili tra noi. Ma almeno, cerchiamo di non peggiorarle.»
Sorrisi maliziosamente, leggermente toccato dalle sue parole. «Non mi aspetto niente di meno. Facciamo del nostro meglio, ma non prometto che sarà senza scontri.»
Le prove ripresero e la tensione era ancora palpabile. Ogni volta che Mia e Leo si avvicinavano per discutere su una scena, sentivo un'ondata di gelosia e rabbia. Non riuscivo a tollerare il modo in cui Mia cercava di fare da paciere, come se fosse superiore, come se solo lei potesse tenere tutto sotto controllo.
Un pomeriggio, mentre sistemavo alcuni attrezzi dietro le quinte, Leo mi si avvicinò. «Brandon, possiamo parlare un attimo?»
Lo guardai con sospetto. «Di cosa vuoi parlare?»
Leo sospirò, incrociando le braccia. «Di Mia. È evidente che la situazione tra di voi non migliora, e questo sta influenzando tutto il gruppo.»
«Ah sì? E cosa vorresti che facessi? Dovrei forse chiedere scusa per sentirmi in questo modo?» risposi, la voce carica di sarcasmo.
«No,» disse Leo, mantenendo la calma. «Ma dovresti considerare l'idea di trovare un modo per lavorare insieme, senza far esplodere tutto. Non lo fai solo per noi, ma per te stesso.»
Rimasi in silenzio, mordendomi la lingua per evitare di rispondere con rabbia. Aveva ragione, anche se mi costava ammetterlo. La tensione tra me e Mia stava mettendo a rischio l'intero progetto, e in fondo, non volevo essere io la causa del fallimento.
«Ci proverò,» dissi infine, a malincuore. «Ma non prometto nulla.»
Leo annuì, appoggiandomi una mano sulla spalla. «È tutto quello che chiedo.»
Le settimane seguenti furono un alternarsi di alti e bassi. Ogni tanto riuscivo a lavorare con Mia senza troppi problemi, altre volte le nostre discussioni minacciavano di sfuggire di mano. Ma lentamente, iniziammo a trovare un precario equilibrio, un fragile armistizio basato più sulla necessità che sul rispetto.
Mi trovavo ancora una volta seduto fuori dalla sala.
Stavo fumando giusto qualche sigaretta.
E Mia si era fermata davanti a me.
Questa volta, però, non si sedette. Rimase all'impiedi, osservandomi per qualche istante prima di parlare.
«Ti piace l'odore del fumo o ti piace osservare me, Rebelle?»
«Brandon, so che è difficile per te,» disse infine, la voce più dolce del solito. «Ma apprezzo lo sforzo che stai facendo. Anche se continui a odiarmi.»
La guardai, sentendo un miscuglio di emozioni. «Non posso cambiare ciò che provo, Mia. Ma posso cercare di non lasciare che questo rovini tutto. Per quanto difficile sia.»
Mia annuì, un leggero sorriso triste sulle labbra. «È tutto ciò che possiamo fare, per ora.»
Ci alzammo, pronti a rientrare, consapevoli che la strada davanti a noi era ancora lunga e piena di ostacoli. Ma almeno, per il momento, eravamo entrambi determinati a non lasciare che l'odio distruggesse ciò per cui avevamo lavorato così duramente.
Sarei stato il suo James.
Lei la mia Sylphide.
✦ ✦ ✦
La sala mensa dell'accademia risuonava di chiacchiere e risate immense, ma io mi sentivo come se fossi in un'altra dimensione. Davanti a me, un vassoio quasi intatto: una mela tagliata a metà, un'insalata verde e un pezzetto di pane. Le altre ragazze mangiavano con gioia, ma io non riuscivo a toccare nulla. La paura di ingrassare mi paralizzava sempre, ogni morso sembrava una minaccia alla mia perfezione.
La mia mente, un vortice di pensieri, una giostra di insicurezze. Se mangio, perderò il controllo? Se ingrasso, sarò ancora all'altezza delle aspettative? La danza esige la perfezione e non c'è spazio per l'imperfezione. Ero lì per essere la migliore, per raggiungere l'apice, ma ogni boccone sembrava allontanarmi da quel sogno.
«Mia, non mangi niente?» mi chiese Michelle, una delle mie compagne di classe, con un'espressione preoccupata.
«Non ho molta fame», risposi, cercando di sorridere. Ma il mio sorriso era forzato, lo so.
Lo sapevo.
Proprio in quel momento, sentii una voce che avrei preferito non udire.
«Guarda chi c'è qui, la perfezionista a digiuno», disse Brandon con un tono di scherno.
Alzai gli occhi e lo vidi avvicinarsi al mio tavolo. Brandon, il mio rivale più feroce, il ballerino che sembrava essere nato apposta per farmi sentire inadeguata. Lui era tutto ciò che io volevo essere: sicuro di sé, talentuoso, e apparentemente immune alle pressioni che ci circondano.
«Che succede, Mia? Hai paura che un pezzo di pane possa rovinare la tua figura?» continuò lui, ridacchiando.
Le sue parole mi colpirono come pugnalate. Mi irrigidii, incapace di replicare. Brandon si fermò davanti a me, osservando il mio vassoio quasi intatto. Per un attimo, il suo sguardo si fece serio, quasi preoccupato.
«Sai, non è mangiando un'insalata che diventerai perfetta», disse, ma questa volta la sua voce era meno tagliente, quasi sommessa.
Non risposi, guardai il mio piatto come se potesse darmi una risposta. Sentii le lacrime che minacciavano di scendere, ma non potevo permettere che Brandon mi vedesse debole. Stavo per alzarmi e andarmene quando lui fece qualcosa di inaspettato.
Prese una sedia e si sedette di fronte a me, poi allungò una mano verso il mio vassoio e prese un pezzo di mela. Lo sollevò e lo porse verso di me con un gesto gentile.
«Mangia, Mia», disse, la sua voce stranamente dolce. «Non devi dimostrare niente a nessuno, meno che mai a me.»
Rimasi immobile, sorpresa da quel gesto. Brandon, il mio nemico, il mio rivale, mi stava veramente offrendo supporto? Esitai, poi presi la mela dalle sue mani e la portai piano piano alla bocca. Era solo un piccolo morso, ma per me era un passo enorme.
«Grazie», mormorai, abbassando lo sguardo.
Lui annuì, un sorriso appena accennato sulle labbra. «Ricorda, la perfezione non è in ciò che non fai, ma in ciò che fai con il cuore.»
Brandon si alzò e si allontanò, lasciandomi con una sensazione di leggerezza che non provavo da tempo. Dopotutto, la perfezione non era un numero sulla bilancia, come pensavo, ma un equilibrio tra corpo e spirito.
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