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Quella sera Hawks mi aveva riaccompagnato a casa in volo e mi aveva lasciata sul balcone della mia camera, per non disturbare i miei. Lo ringraziai per l'aiuto che si era offerto di darmi, e andai a dormire con la sensazione che forse c'era ancora un modo per diventare l'eroe che sognavo di essere. Allo stesso tempo, però, mi chiesi come mai gli avessi confessato le mie insicurezze così, su due piedi, senza sapere nulla sul suo conto né di cosa avrebbe potuto dire. In un certo senso ero sicura di potermi fidare, come se mi fossi ritrovata davanti il mio migliore amico.
La mattina mi ritrovai assalita dalle domande di mia madre e di mia sorella, che mi aveva svegliata chiamandomi al telefono alle sei di mattina. Le spiegai che l'eroe voleva solo darmi dei consigli, e inutile dire che Chiaki rimase alquanto delusa dalla mia risposta. Mia madre, dal canto suo, come al solito non diede molto peso alla faccenda e si limitò ad uno "Stai attenta, comunque"; era sempre stata contraria all'idea che volessimo diventare delle eroine, e il fatto che fossimo ancora in stretto contatto con eroi professionisti dopo tutto quello che era successo la infastidiva non poco.
Mi diressi verso l'agenzia Endeavor e subito mi ritrovai davanti Izuku che saltava eccitato. Non mi stupii quando mi chiese cosa l'eroe Numero 2 avesse voluto dirmi la notte precedente, tantomeno quando si lamentò, dicendo di voler essere al mio posto. Dopotutto, non potevo certo biasimarlo.

Sei giorni dopo, tra allenamenti e cose varie, era giunta la vigilia del ritorno a scuola dopo le vacanze.
Nel frattempo, grazie a Bakugo, avevo scoperto che a mia sorella piaceva qualcuno, ma non ero ancora riuscita a sapere chi fosse. Se lo avessi chiesto alla diretta interessata, non avrebbe perdonato il suo amico neanche a pagarla, perciò ho preferito evitare: si sapeva come erano fatti entrambi.
Endeavor, invece, era ogni giorno più preoccupato per la faccenda del libro. Ora sapevo anch'io delle intenzioni dei Villain, e mi allenavo al meglio che potevo, cercando anche di incitare i miei compagni a fare lo stesso, così da avere più possibilità di vittoria.
Certo, però, che centoundici mila persone sono proprio tante...

Il pomeriggio di quella domenica invernale era toccato a me e Todoroki fare il giro di pattuglia insieme. Camminavamo per le vie della città, oramai quasi del tutto disfatte delle decorazioni natalizie, rispondendo alle domande dei passanti e stando attenti a dettagli che potevano presagire un attacco villain.
Era quasi ora di cena quando a Todoroki squillò il telefono: era Endeavor.
"Cos'ha detto?" Chiesi io, non appena ebbe finito.
"Ha detto che dobbiamo prendere noi la cena e poi tornare direttamente ai dormitori. A quanto pare deve analizzare meglio una zona da solo... Non so." Mi rispose il ragazzo, mentre spegneva il telefono e se lo riponeva in tasca.
"Bene allora... Qui vicino dovrebbe esserci un negozio, passiamo a prendere qualcosa lì?" Proposi.
"Va bene."
Tornammo in agenzia a riprendere le cartelle e ci rimettemmo i nostri vestiti da cittadini. Poi, insieme a Bakugo e Midoriya, andammo al negozio a comprare qualcosa per la cena.
Avendo finito per prima, dissi ai tre che li avrei aspettati fuori e uscii dal negozio. Una volta uscita appoggiai la schiena contro il muro del negozio e osservai in silenzio l'area di città che avevo davanti a me. Continuavo a pensare alla notte di sei giorni prima, quando tutto quello l'avevo visto dall'alto, e mi resi conto di quanto sembrasse diverso il mondo da lassù, come se tutto d'un tratto non fosse più così brutto. Non avevo più visto Hawks da quella volta ma, in compenso, non avevo mai smesso di pensarci.
"Bravel?"
Sentendomi chiamare, mi risvegliai dai miei pensieri e vidi Hawks, che scuoteva la mano per salutarmi. Feci lo stesso.
Non capivo se fosse voluto o solo un colpo di fortuna, ma se davvero pensare a una persona te la facesse apparire davanti ogni volta che desideri sarebbe davvero una forza.
"Che ci fai qui?" Mi chiese l'eroe, con nonchalance e curiosità allo stesso tempo.
"Aspetto i ragazzi del primo anno che sono ancora dentro." Spiegai, indicando con il pollice il negozio dietro di me. "Piuttosto, dovrei chiederti cosa ci fai tu qui."
"Cambio di programma per il luogo di pattuglia. In più sapevo che foste nei dintorni e volevo fare un saluto." Mi rispose, con il suo solito sorriso irresistibile.
"Endeavor, invece?"
"Perlustra una zona per conto suo."
"Capisco." E poggiò a sua volta la schiena contro il muro, mettendosi accanto a me.
"Comunque grazie per essere passato a salutare." Dissi poi io, senza neanche pensarci.
"E di che? Ci mancherebbe." Con la clda dell'occhio, sulle sue labbra, riuscii a scorgere un sorriso sincero, diverso dagli altri che faceva ogni volta. A quanto pare, doveva avergli fatto piacere.
Tuttavia, subito dopo riprese a comportarsi come suo solito e mi stuzzicò, il suo tono volutamente ammiccante: "Perché? Ti mancava il mio charme, per caso? Sì, lo so, lo so. Sono fantastico, non serve che tu me lo ricorda"
Non potei fare a meno che ridere.
"Credici." Riposi.
In realtà, stavo cominciando a pensarlo davvero.
Le risate furono protagoniste di quei secondi, fh che precedettero l'uscita di Bakugo, Midoriya e Toforoki dal negozio. Erano visibilmente sorpresi di vedere Hawks e assistere a quella scena che avevano davanti. Era comprensibile, in effetti: non è certo da tutti i giorni scherzare con l'eroe Numero 2 dell'intero Giappone, tantomeno esserne amici.
Dopo aver cenato, io e Hawks approfittammo di dover riaccompagnare i tre ragazzi ai dormitori per fare una visita al resto della classe.
Avevamo fatto un'ottima scelta: a tutti fece piacere vederlo, ma in particolar modo a mia sorella, che non fece altro che foto per tutta la mezz'ora in cui fummonall'interno dell'edificio.
Intorno alle nove e trenta salutammo i ragazzi e il professor Aizawa e uscimmo.
A quel punto, allora, diedi la buonanotte all'eroe alato con un gesto della mano e feci per dirigermi verso casa, ma lui mi prese il polso e mi fece girare verso di se.
Sulle labbra aveva ancora quel dannatissimo sorriso. "Noi non abbiamo ancora finito."
"E che vorresti fare?" Chiesi, ridendo. "Facciamo un altro giro." Rispose lui, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Era così spontaneo da farmi paura. "L'ultima volta è stata... triste."
Il suo volto parve addolcirsi lievemente a quell'affermazione, ma non aggiunse altro che potesse darmene la conferma. Mi tese la mano e, come la prima volta, ci alzammo in volo, solo che questa non avevo paura di cadere. Mi tenevo stretta alla giacca dell'eroe premendo un orecchio contro il suo petto. Chiusi gli occhi qualche istante, per godere della sensazione del vento forte fra i capelli e contro il viso, ma li riaprii per poter vedere di nuovo quel paesaggio, che mi sorprese ancora di più della prima volta in cui l'avevo visto. Rimasi incantata dalle luci degli edifici e dei lampioni che si mischiavano a quelle delle stelle e rimanevano confuse nell'oscurità della notte. Sentivo la musica dei locali farsi sempre più bassa a causa della nostra lontananza dalla superficie. Sentii le mani di Hawks stringere più forte il mio fianco e avvicinarmi a se. Alzai la testa verso di lui e sorrideva. Sorrideva in una maniera che ancora non avevo mai visto, ma che mi stava già contagiando. Atterrammo dopo poco, sullo stesso tetto dell'ultima volta.

( Punto di vista di: Hawks )

La vidi sorridere incantata e non potei fare a meno di esserne felice.
Non ci volle molto tempo perché atterrassimo sul tetto della casa abbandonata. Aya mi rimase attaccata per qualche secondo, come se dovesse ancora realizzare di essere tornata a terra. Quando si staccò si sedette sull'orlo, permettendo alle sue gambe di ondeggiare nel vuoto. La seguii e feci la stessa cosa.
"Hai la fortuna di vedere tutto questo ogni giorno e ti viene ancora in mente di camminare?" Mi chiese, ed io mi feci scappare una risata. Poi sospirai e iniziai a spiegare: "Non posso darti torto, ma ho comunque dei lavori da fare a terra. E poi 'dal cielo non possono controllarmi', o almeno così dicono." Pronunciai le ultime parole con una nota di amarezza e rassegnazione nella voce. La Commissione degli Eroi per la Pubblica Sicurezza - detta anche semplicemente HPSC - stava diventando una palla al piede sempre più pesante per la realizzazione del mondo che sognavo di creare, ma la cosa più terribile era che mi ordinassero di sporcarmi le mani e mentire spudoratamente, quando il loro compito era quello di mantenere la sicurezza.
Erano dei manipolatori, e non facevano altro che infrangere i sogni di tanti eroi e sporcare l'immagine di eroismo che credevamo di aver finalmente costruito. Finché ci fossero stati loro alla base della sicurezza, non ci sarebbe mai stato un mondo migliore.
Era da anni che l'unica cosa che desideravo era la libertà, essere l'eroe che sogno di essere, l'eroe che avevo promesso di diventare, ma quegli ipocriti me lo stavano negando. Mi stavano facendo persino passare per l'assassino, se ne stavano fregando del tutto e io lo stavo raccontando ad una diciassettenne incontrata da appena due settimane, quando non l'ho mai detto a persone che conosco da anni. Quella ragazza mi stava facendo diventare matto... e sapete che vi dico? Mi andava bene.

"Secondo me non dovresti fare sempre quello che ti dicono. Ti conoscono come 'l'eroe che fa le cose a modo suo' e poi ti fai trattare come una marionetta da degli uomini di ufficio. Immagino quanto sia difficile, ma provaci, no?" Lo disse con una scioltezza che mi faceva quasi innervosire. Dai suoi occhi c/o potevo però percepire della preoccupazione. "Il tuo problema, caro Hawks, è che non fai quello che vuoi." Detto questo si alzò in piedi e si mise a camminare in equilibrio sul cornicione della casa. Spalancai gli occhi e un brivido mi percorse la schiena. Un ricordo vivido, invece, mi attraversò la mente.

- "Non posso, mio padre non vuole che esco di casa"
"Sai Keigo, credo di sapere qual è il tuo problema"
"Cioè?"
"Non fai quello che vuoi! Tu rilassati e vieni, non ti scopriranno."
"Tu credi?"
"Non è che credo, ne sono sicura!" -

Scossi la testa e la guardai, intenta nel suo obbiettivo, camminava sul cornicione con le braccia all'altezza delle spalle, un piede davanti all'altro. I suoi l/c capelli c/c si muovevano nella direzione del vento: Bravel, l'eroina del coraggio.
Mi alzai e andai dietro di lei, che aveva raggiunto la fine del tetto.
"Ohi... ma tu come ti chiami in realtà?" Le chiesi.
Si girò verso di me e fece per aprire bocca, quando mi squillò il telefono e dovetti rispondere: era la Commissione.
Risposi, stetti circa cinque minuti in chiamata e riattaccai.
"Scusa, erano quelli della commissione..."
"Tranquillo, dicevi?"
"Ecco... qual è il tuo vero nome?"
"Aya, perché?" Rispose, tornando a guardare con aria sognante il cielo. Un altro brivido mi passò sulla schiena. "Per sapere" risposi. Ma non era così. Era davvero lei allora?

( Punto di vista di: Aya )

Mi faceva davvero piacere che Hawks avesse preso tutta questa confidenza con me.
Tra una battuta e l'altra si fece l'ora di tornare a casa. Quando se ne stava per andare, dopo avermi riportata a casa sul balcone della mia camera, lo fermai e lo abbracciai per ringraziarlo della bella serata. "Magari un giorno ci alleniamo insieme" propose. Io annuii. "Allora... buona notte, Hawks"
"Notte, Aya"
Sorrisi, gli feci un cenno di saluto con la mano ed entrai in casa, stendendomi sul letto. Non sarebbe stato facile addormentarsi in quella situazione.

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