~•11•~

( punto di vista di: Aya )

Facemmo intrecciare i nostri mignoli e la promessa fu fatta, esattamente come dieci anni prima, solo che questa volta l'avremmo mantenuta secondo le nostre regole, secondo la visione che noi avevamo delle stelle.
D'istinto lo abbracciai, stringendolo più forte che potevo. Ormai quella domanda nella mia mente si faceva sempre più insistente, intensa, inarrestabile, era una presenza fitta come quella degli alberi in un bosco: noi che cosa siamo?
Tenevo la mia testa premuta contro il suo petto, come per farla smettere di pensare, ma poi lui mi prese i fianchi e fece sparire ogni pensiero, ogni dubbio, ogni tormento. Era sempre così, ogni volta che lui c'era.
Sussultai e i miei occhi guardarono i suoi, venendo catturati ancora una volta da quell'ipnotica alba che era il suo sguardo; l'incantesimo che riusciva a scatenare sembrava non fallire mai.
Le mie dita camminarono impazientemente lente lungo la larga e aperta strada verso il suo collo e, con una complicità degna dei più grossi segreti internazionali, le nostre labbra si unirono come fossero affamate l'una dell'altra, come se, sin dalla fine del loro primo incontro, non avessero aspettato altro che potersi finalmente ricongiungere.
Keigo aveva risposto abbondantemente alla domanda che dalla notte prima mi stava tormentando ma che nemmeno a lui avevo mai espresso ad alta voce.
Ora sapevo la verità, e non c'era alcun bisogno che ce la dicessimo per capirla.
In quel momento eravamo completamente stregati l'uno dall'altra, e mi sentii come se per quei pochi secondi fosse tutto sparito e ci fossimo solo noi, soli nell'universo, a ballare nell'infinità dello spazio. È questo ciò di cui sa l'amore, pensai, e pensai anche al fatto che, quando fuggivamo di nascosto dal padre di Keigo nel Kyūshū dieci anni prima, non avevo la più pallida idea che ci saremmo potuti trasformare in questo. Credo ancora che se mi avessero raccontato cosa sarebbe successo da lì in avanti non ci avrei minimamente creduto, eppure ero lì, davvero, e mi sentivo estremamente felice.
Saremmo potuti rimanere così per sempre, se solo non ci fosse stato Best Jeanist lì fuori ad aspettarci che avrebbe potuto tranquillamente sospettare che tra noi ci fosse qualcosa. A ripensarci, credo che sarebbe stato più strano se non si fosse accorto di nulla: ciò che c'era in fondo ai nostri sguardi quando li incrociavamo l'avrebbe potuto percepire chiunque, anche se nessuno, a dire il vero neanche noi, sarebbe riuscito a spiegarlo.
Quando ci staccammo ebbi finalmente il cuore libero dal peso del dubbio e sorrisi mentre ci affrettavamo ad uscire dall'abitazione.
Best Jeanist non disse niente, e si limitò ad alzare un sopracciglio con aria interrogativa nella direzione di Hawks. Quest'ultimo capì. "Si va in ospedale a trovare Endeavor" dichiarò, come per rispondergli.
Girò la schiena verso la strada che avremmo dovuto percorrere e si avviò, con me e Best Jeanist che lo seguivamo a ruota.
Mentre camminavamo sentii piombarmi addosso più volte l'austero sguardo dell'eroe numero 3, ma nessuna di queste osai girarmi verso di lui per verificarlo o chiedergli spiegazioni. Mi limitai a tenere lo sguardo fisso in avanti, rigida, in attesa di qualche parola di Keigo o della visione vicina dell'ospedale, che avrebbero potuto salvarmi da quella situazione tutt'altro che rilassante e piacevole.
L'edificio che cercavamo non ci mise molto a farsi notare, spiccante tra le varie case per la sua imponenza.
Entrammo e raggiungemmo la stanza dove sapevamo fosse ricoverato Endeavor. Fuori dalla porta si sentiva parlare, ed entrambi gli eroi si misero ad origliare per la curiosità. Anche se contraria, non potei fare a meno che anche solo cercare, lì dov'ero, di sentire qualcosa di quella che sembrava essere una perfetta riunione di famiglia. Pensai che poteva non essere il momento giusto per una visita esterna: lentamente la tensione che c'era nell'ambiente aveva iniziato a sciogliersi, le persone a responsabilizzarsi e il nucleo ad unirsi, ma Endeavor e Shoto rimanevano feriti, fisicamente e psicologicamente, e i problemi restavano montagne che avevano appena iniziato a scalare.
Keigo però ad un tratto abbassò la maniglia e capii tutto. Proprio perché era tutto accaduto da poco bisognava andare a parlare con loro. Proprio perché erano in difficoltà bisognava stare loro accanto il più possibile. Proprio perché non lo riguardava, Keigo sentiva di dover aiutare la loro causa. Perché non lo riguardava in prima persona ma non sopportava l'idea che qualcuno dovesse soffrire così. Perché sapeva come ci si sentisse a stare male nel luogo che prima di tutti dovrebbe trasmetterti sicurezza e calore. Per un po' l'avevo saputo anch'io, e solo il giorno prima la tensione era cresciuta talmente tanto da non avere altra scelta che sgonfiarsi e ricominciare da capo. Tutti e tre ci trovavamo sulla ripida salita che conduceva alla salvezza, e chi era a buon punto doveva aiutare chi era rimasto indietro ad attraversarla.
Ecco perché, quando Keigo aprì la porta, avanzai all'interno con più determinazione di quanta ne avessi mai avuta, e mi fermai a circa due metri dal letto per fare un inchino e dare il buon pomeriggio. "Scusateci, non potevamo non ascoltarvi..." Hawks salutò con un contatto quasi militare della mano con la testa e chiese, retoricamente: "Vi dispiace se vi accompagnamo in questa 'avventura di famiglia'?"
Shoto, Endeavor e una donna dai capelli come la neve guardavano verso di noi con gli occhi spalancati, fissi, le palpebre che sbattevano più in fretta del normale. C'erano anche altri due ragazzi nella stanza, che più che scioccati di vederci parevano confusi.
La donna si tuffò in fretta e furia in ginocchio davanti a noi, come ci stesse pregando, e supplicò: "Sono terribilmente dispiaciuta... per quello che nostro figlio vi ha fatto"
Hawks non esitò e pensò ad alleggerire la situazione con un tono allegro, innocente, scherzoso: "Oh, no no no! Non siamo qui per addolorarla!" Mentre parlava agitava le mani, sembrando quasi in imbarazzo. "Sul serio, signora, non deve affatto scusarsi!"
"Siamo solo venuti a chiedere informazioni su Dabi" spiegò Best Jeanist, mentre piegava le ginocchia per aiutare la donna, a quanto pare madre di Touya, a rialzarsi in piedi. Continuò: "Comprendere le origini del suo risentimento è indispensabile per le nostre investigazioni. Ora vorremmo sapere di più di lui stesso: come ha fatto a sopravvivere e come è diventato Dabi".
Keigo si avvicinò a Shoto, spinto da un'improvvisa curiosità. "Sai, questo non è emerso in nessuna conversazione, siccome ruotava tutto intorno a Tōya, ma..." Appoggiò l'avambraccio sulla sua spalla. "... anche la bruciatura sulla tua faccia è opera di Endeavor?"
Todoroki sembrava a disagio con l'insolita vicinanza dell'eroe, e la domanda che gli aveva fatto non fu di certo meno strana o imprevedibile.
"Uh..." Mormorò, non sapendo cosa dovesse rispondere.
"Sono stata io" lo anticipò la signora Todoroki.
Tra i membri della famiglia non ci fu scompiglio: doveva essere una cosa ben risaputa ormai, che non creava più né imbarazzo, né dolore, né rancore. Certo, non doveva essere bello da ricordare, ma l'attuale rapporto tra madre e figlio era esentato dalle sue conseguenze, e i due convivevano in pace senza malesseri.
"Capisco" rispose Keigo. Perfino il tono della sua voce lo tradì, mettendo a nudo la meraviglia e la malinconia che infestavano il suo animo e coloravano i suoi occhi.
"Shoto..." Lo chiamò allora. Lui si girò, disponibile. "Sei davvero figo."
Sfoggiava un sorriso triste, rassegnato, d'ammirazione.
Nel più giovane tra i Todoroki lo stupore era evidente. I suoi occhi si spalancarono, come le finestre di una casa in paese quando le notizie girano e se ne vogliono sapere tutti i dettagli, anche se è qualcosa di minimo.
Io misi una mano sulle spalle di Hawks e gliele accarezzai, e gli donai il più sincero sorriso che potessi fare, sperando che bastasse a fargli capire che andava tutto bene e che lui non aveva fatto nulla di male. Sapevo benissimo cosa stava pensando e non mi piaceva affatto che stimasse così poco sé stesso.
Da quando avevamo trovato la lettera a casa di sua madre si era sentito in colpa per averle girato le spalle da piccolo, per non averle mai dato una seconda opportunità, per aver rinunciato alla sua compagnia perché gli avrebbe fatto troppo male.
Mi misi in punta di piedi e sussurrai al suo orecchio: "Hai fatto più di quello che potevi fare e non hai mai smesso di volerle bene, lei questo lo sa"
Rimasi due secondi in quella posizione, sperando in una risposta, ma non la ricevetti e tornai con i piedi per terra. Sentii però una mano familiare prendere la mia e stringerla forte: "Grazie", pareva volesse dirmi.

"Endeavor-san, è un inferno là fuori" dichiarò Keigo, deciso ad andare dritto al punto. Illustrò la situazione corrente dei membri del fronte che erano stati arrestati, degli eroi che erano caduti, dei feriti e del malcontento generale che si stava gravemente diffondendo attraverso il Giappone.
"Proprio come dice tua moglie," aggiunse poi, riprendendo ciò che aveva origliato pochi minuti prima. "non hai altra scelta se non quella di combattere".
Era serio, inflessibile, ma il suo tono si era alleggerito.
"Ma hai noi con te! La responsabilità non cade solo sul numero 1. Spero tu non tenga questo come un affare da risolvere soltanto in famiglia!"
Endeavor era confuso: "Ma... Perché?"
"Anche se ciò che dice Dabi sulla vostra famiglia è vero, adesso non è più come era prima. Voi volete fare la cosa giusta ora, e io voglio aiutarvi. Considera questo come un gioco di squadra tra la top 3 a partire da oggi!"
Hawks sorrideva genuinamente, pronunciando quelle parole.
"Con noi e la tua famiglia a bordo, credo potrai camminare con un po' di peso in meno sulle spalle, no?"
"Certo!" Fu la risposta di Endeavor, in lacrime per la commozione e coi denti stretti per cercare invano di controllarsi.
Anche gli altri membri della famiglia, fino ad allora pieni di tensione, lasciarono andare il cuore in un sorriso di sollievo: il peso spartito in più persone è sempre più facile da trasportare.
"Bene, allora! Il primo passo è spiegare te stesso per bene a tutti. Non puoi evitare le accuse di Dabi ora che sono là fuori, ma puoi aggiungere ciò che lui ha tralasciato e mostrare al Giappone che non sei quello che dicono su di te" illustrò Keigo, che sembrava pronto come non mai ad iniziare una nuova era della sua vita.
Successivamente discutemmo per dei minuti a proposito del One for All, un nome allora misterioso e sconosciuto per chi non aveva a che fare con esso da vicino. Si sapeva solo che era un quirk e che era stato nominato più volte da Shigaraki durante la guerra. Rei, così si chiamava la signora Todoroki, ipotizzò che c'entrasse qualcosa con il maligno All for One. Shoto sembrava davvero concentrato a capire a fondo la cosa, mentre i due fratelli maggiori sembravano più preoccupati che altro.
Dopo un po' salutammo Endeavor e la sua famiglia e ci dirigemmo, secondo il consiglio del numero 1, nella stanza dove era ricoverato Izuku Midoriya.
Affianco al letto era seduto, ansioso e preoccupato, All Might, che al nostro ingresso ci comunicò che il ragazzo lì disteso non dava segni di coscienza da un po' e che aveva bisogno di riposarsi.
Parlammo con lui per un po' della stessa questione e, una volta finito, mi chiesi se Chiaki sapesse di tutto questo. Izuku era un suo compagno di classe, con cui mi pareva andasse piuttosto d'accordo, e pensai, conoscendola, che si sarebbe di certo preoccupata molto per lui, finendo per stressarsi troppo come suo solito. È sempre stata una ragazza molto altruista e premurosa, e capitava spesso che si facesse in quattro per aiutare i suoi cari; stava ancora imparando a capire che ci vogliono dei limiti anche nell'aiutare, o sì finisce per perdere sé stessi.
Decisi che quella sera o il giorno seguente l'avrei chiamata, e mi concentrai sulla strada che stavo distrattamente percorrendo in quel fresco e stravolgente pomeriggio di Aprile.

Quando passammo davanti a un edificio molto ordinato e dipinto di bianco, Best Jeanist salutò me e Hawks per recarsi al suo interno e poter finalmente togliersi il costume, finalmente dare svago alla parte di sé che metteva sempre a tacere.
Anche io e Keigo, da soli, lasciavamo uscire da noi quello stesso lato. Non potevo essere più fortunata ad avere qualcuno a cui poterlo mostrare, qualcuno con cui non dovermi preoccupare di niente, qualcuno con cui poter essere fragile.
Camminavamo con le mani incrociate per i vicoli di Tokyo, sentendoci in un altro mondo rispetto al brusio e al movimento del resto dei passanti, quando all'unisono dicemmo "Grazie".
Una genuina e spontanea risata ci sfuggì.
"Prima tu" concessi al mio fidanzato, nomina a cui ancora facevo fatica a credere.
"Grazie per aiutarmi in questo percorso"
Io strinsi la presa sulla sua mano: "Grazie a te per permettermi di farne parte".
Lui avvicinò silenziosamente il suo fianco al mio e mi guardò con stelle più vive che mai negli occhi. Io gli appoggiai la testa sulla spalla e guardai fisso il cielo, ringraziando qualunque astro ci avesse fatto incontrare la prima volta.

( Punto di vista: esterno )

Passarono tre giorni e arrivò la tanto attesa quanto temuta conferenza stampa, preseduta dalla Top 3 degli eroi del Giappone per comunicare e spiegare fatti rilevanti per la sicurezza pubblica.
La paura e la sfiducia nei cuori dei cittadini non si erano placate, anzi si stavano diffondendo ancora di più, come malattie.
Dei civili presenti alla conferenza, la maggior parte pensava cose come: "Ma mostrate un po' di integrità...", "Dovreste smettere di commettere errori!", "Assicurateci che siamo salvi..." , "Siamo tutti appesi a un filo, qui! Dovete fare qualcosa!".
Non c'era bisogno che lo esprimessero ad alta voce: tutti gli eroi sapevano già ciò che pensavano, ma preferivano sperare, specialmente in tempi come quelli, che nutrissero un po' di empatia, che capissero che fare l'eroe è più complicato di quanto sembri. Se lo auguravano sempre e sempre rimanevano delusi, per questo quell'evento assomigliava più ad una tortura che a una conferenza per gli eroi della Top Three. Per Aya però non era da meno: era seduta piuttosto in fondo, insieme a Nejire, e si tormentava le dita delle mani con un'agitazione ed un'ansia immani.
La conferenza iniziò con Endeavor, che raccontò nei dettagli tutta la storia della sua famiglia, in particolare del rapporto di essa con suo figlio Tōya. "È la verità", concluse, riferendosi alle parole di Dabi durante la guerra. "Non c'è niente che io possa dire per mascherarla".
La reazione del pubblico fu di shock, che non tardò a trasformarsi nuovamente in rabbia, odio. "Dici che è la verità, ma le accuse contro Hawks non erano..." L'eroe numero due lo interruppe, mettendo le mani in avanti: "Best Jeanist ha finto la sua morte così che potessi infiltrarmi nella lega dei villain come spia". Non si fece in tempo a sentire un sospiro di sollievo che il biondo continuò il suo discorso. "Tuttavia, ciò non smentisce il resto delle accuse: i crimini di mio padre e l'omicidio del villain che tentava di scappare sono entrambi notizie vere".
Procedette rapidamente con l'inchinarsi profondamente e lo scusarsi, sotto gli occhi sorpresi e furiosi degli agenti della Commissione. Incrociò il loro sguardo mentre si rimetteva in posizione sentii il loro giudizio emanare dalle pupille.
Continuò senza rimpianti a parlare. "Per l'uccisione di Bubaigawara, non c'era nient'altro che fosse appropriato fare in quel momento. Il suo quirk della duplicazione, se incontrollato, avrebbe causato un danno enorme alla società più di quanto qualsiasi altra cosa avrebbe fatto. Non sono stato in grado di evitare la violenza. Ancora una volta, chiedo umilmente scusa" il dolore e la rassegnazione si leggevano sul suo viso come parole scritte in grassetto.
Una civile prese parola: "Andrà tutto bene? Durante il passaggio di Gigantomachia mia madre è stata gravemente ferita. Dire soltanto 'era tutto vero, siamo terribilmente dispiaciuti' non aggiusterà niente! Avete la minima idea di quante persone hanno perso la loro casa e la loro vita in solo una settimana?! Che diritto avete di ignorarlo così, come se niente fosse?!" Nessuno osava replicare, neanche gli eroi.
"Certo, i villain sono i primi da incolpare, ma i vostri errori hanno causato tutto questo e nessuna delle vostre facce mostra che l'abbiate capito!"
Endeavor, seppur con voce cupa e bassa, contrabbatté: "Se vi mostrassimo il nostro dolore, il nostro esaurimento e le lacrime che tratteniamo cambierebbe qualcosa in qualche modo?"
"Cosa? Ovviamente no! Dovete mettere a suo agio la società! Dovete mettere fuori gioco ogni villain rimasto! Ecco come... È..."
"Giusto. È quello l'unico modo".
Era quello l'unico modo per ristabilire la pace e la sicurezza pubblica, ma era anche terribilmente difficile, e il fatto che i cittadini la prendessero così alla leggera rendeva difficile per l'eroe delle fiamme non perdere le staffe.
Best Jeanist prese a parlare, e descrisse un piano per la protezione di determinati cittadini: il dormitorio che ospitava gli studenti dello Yuuei avrebbe aperto una specie di santuario, di casa, un posto sicuro in cui avrebbero vissuto i genitori degli studenti e persone residenti in aree specifiche.
"Questa misura è stata presa specialmente perché siamo in un momento di instabilità" riprese a parlare Endeavor. "Tutte le vostre preoccupazioni, il vostro odio... per favore, addossateli su di me. Per ora, vorrei che mi osservaste"
L'eroe aveva appena detto lo stesso di quando era da poco il primo in classifica e si trovava sul palco della Billboard Hero Chart. Sta volta, però, aveva intenzione di fare sul serio.
Shoto, che guardava la conferenza in televisione, era fiero dell'uomo che stava diventando suo padre.

Appena gli eroi si congedarono e le riprese furono terminate, la Commissione si diresse rapidamente da Hawks precedendo Aya, che era già intenta ad avvicinarsi. Un agente parlò:
"Ti avevamo dato degli ordini precisi e non sei riuscito a seguire neanche quelli. Ti abbiamo allenato e insegnato tutto per dieci anni e questo è il ringraziamento che ci dai? La fiducia nei confronti degli eroi ora è pari a zero! Sarebbe stato più facile per tutti se avessi detto quello che ti avevamo ordinato di dire!"
"Ma sarebbe stata una bugia, e credo sia peggio mentire e dare false informazioni che ferire ma insegnare qualcosa con la dura verità" lo sguardo di Keigo era freddo, inflessibile, teso.
"Saremo costretti a licenziarti, lo sai bene"
"Bene, fate pure. Non siete gli unici che possono accogliermi come eroe, e io non sono l'unico eroe che potete accogliere. Troverete di sicuro qualcuno migliore di me che voglia stare ai vostri giochi. Vi chiamate 'Commissione degli Eroi per la Pubblica Sicurezza" ma non mi pare che quest'ultima sia presente, nè che lo sia mai stata. La situazione, invece che migliorare, sta di gran lunga peggiorando, e voi non fate altro che contribuire alla sua degenerazione. Perciò, prima di gettare la colpa su persone innocenti, fatevi un esame di coscienza. Con permesso." Si fece strada e li superò, dirigendosi verso Aya e prendendole la mano.
"Siete in due a non ascoltare neanche una parola" osservò l'altra agente.
"E ci sta bene così" sentenziò Aya. "Buona giornata" e con un inchino di cortesia si avviò insieme a Hawks fuori dall'edificio.
Una volta sicura che gli agenti non li stessero seguendo, la ragazza saltò in braccio all'eroe, in preda all'euforia, stringendolo forte come fosse la cosa più importante al mondo.
Lui ricambiò, aggrottando le sopracciglia, perché per lui lei era la cosa più importante al mondo.
"Stiamo riscrivendo le stelle!" urlò Aya, così da farlo sapere all'universo intero. Era così felice da non poterci credere. Avrebbe potuto esplodere per quanta emozione aveva nel cuore.
"Stiamo riscrivendo le stelle" confermò Keigo, con più calore che mai nel suo cuore finalmente pieno.

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