84. The circle of life
It's the circle of life
And it moves us all
Through despair and hope
Through faith and love
'Til we find our place
On the path unwinding
In the circle
The circle of life
È il cerchio della vita
e ci muove tutti
Attraverso disperazione e speranza
Attraverso fede e amore
Finché non troviamo il nostro posto
Nel percorso che si snoda
Nel cerchio
Il cerchio della vita
(T. Rice, E John, The Circle of Life, 1994)
—
Luglio 2016
La casa di Bovec era stata ristrutturata. Alcune migliorie erano state fatte alla palazzina, era stato inserito un codice di sicurezza al citofono, gli esterni erano stati ritinteggiati, le persiane sostituite, e il rivestimento impermeabile del tetto sistemato. Era diventato un condominio di lusso, in quella piccola località turistica slovena.
Dell'arredamento interno non era rimasto quasi più nulla, rispetto ai tempi in cui Nic c'era stato insieme a Raf.
Dopo essersi sposato con Elisa, durante i tredici anni che avevano vissuto a Capriva, Nic un paio di volte aveva portato la famiglia lì in vacanza, ma Elisa odiava quel posto. Era un odio istintivo non ben motivato, ma quasi certamente legato a Raffaele: in fondo lei sapeva che Nic lo aveva portato lì a disintossicarsi. Perciò, durante quei tredici anni, l'appartamento di Bovec era stato quasi dimenticato, usato solo da suo padre Giacomo, o di tanto in tanto dalle sorelle di Nic. Ma la Fulvia da anni viveva anche lei negli Stati Uniti, a New York, con suo marito e sua figlia Aurora, e da lì dirigeva l'azienda Bressan che era ormai diventata un'impresa di fama internazionale. La Grazia, invece, viveva a Milano, dove aveva disperatamente provato a intraprendere una carriera televisiva, senza mai riuscirci. Aveva anche lei messo su famiglia, di figli ne aveva due, Desirée e Lapo. Daniele e Michele conoscevano poco le zie, le avevano viste occasionalmente durante l'infanzia a Capriva, ma dopo il trasferimento negli Stati Uniti avevano incontrato le loro famiglie una volta, forse due. I fratelli Bressan si mandavano gli auguri per Natale e compleanni e ogni tanto qualche foto, ma i rapporti erano ormai distanti, ognuno impegnato nella propria vita.
Dopo la morte di Elisa, Nic aveva deciso di rispolverare quel vecchio appartamento inutilizzato. Quando tornavano in Italia, andavano quasi sempre lì. Odiava stare a Capriva, amava le montagne di Bovec, e trovava salutare che i suoi figli potessero fare delle belle escursioni in un posto isolato in cui nessuno li riconosceva e dava loro fastidio.
Michele era sempre più famoso, infatti. La sua fama, ormai superava anche quella che da giovane aveva avuto Elisa. In Italia lo conoscevano tutti, tutti i giornali, sportivi e generalisti, lo esaltavano come il futuro numero uno del tennis mondiale. Dopo aver vinto il torneo di San Pietroburgo a sedici anni e sette mesi (il secondo più giovane tennista della storia), di tornei ne aveva vinti altri sette: cinque 250 e due 500. Stava a quota sette finali vinte su otto, e la finale che aveva perso era quella del 1000 di Madrid, contro il re della terra, Ricardo Molina, e con all'attivo già un quarto di finale in un torneo Slam, era numero 21 del ranking mondiale.
La fama comportava parecchi problemi. Michele era un ragazzo timido, avere a che fare con sconosciuti lo metteva in ansia e lo faceva arrivare a livelli di balbuzie che gli impedivano di concludere le frasi. E il fatto che in Italia ci fosse sempre il rischio che qualcuno lo importunasse quando si trovava in luoghi pubblici era un grattacapo sia per lui che per Nic, che cercava in tutti modi di proteggerlo da quell'eventualità.
Bovec era un'ottima soluzione: all'estero le uniche persone che lo riconoscevano erano gli appassionati di Tennis, e per fortuna il tennis non era uno sport popolare come il calcio.
L'unico problema era che Michele odiava quel posto. «Alla mmmmamma non p-piaceva.» Quindi non piaceva nemmeno a lui. Era ancora molto legato al ricordo di lei. Ne parlava poco, ma ogni volta che ne parlava nei suoi occhi brillava una bruciante nostalgia.
A Daniele, invece, Bovec piaceva molto. Quell'anno, per la prima volta, si era portato dietro un nuovo ospite: Maria.
Una ragazza di ventuno anni, coetanea di Daniele, di cui suo figlio sembrava follemente innamorato, ricambiato.
L'aveva conosciuta a maggio dell'anno prima. Lei studiava giornalismo all'università e faceva la stagista a Roma, nella sala stampa degli Internazionali. Appassionata di tennis e pattinaggio artistico, il suo sogno era quello di diventare una redattrice sportiva. A Nic piaceva: era una ragazza carina, una cascata di riccioli castani, un visino furbo sempre sorridente e una corporatura rotondetta. Era intelligente, aveva un bel senso dell'umorismo, e amava molto scherzare e prendere in giro suo figlio, tra i due c'era davvero una bella intesa.
Michele, al contrario, continuava a non mostrare interessi sentimentali. Al compimento dei diciotto anni, sua zia Elena aveva reputato quella mancanza di interesse preoccupante dal punto di vista della sua immagine pubblica.
E aveva deciso di trovargli una ragazza. Di copertura.
Nic inizialmente era stato contrario. Ma era stato lo stesso Michele a dir loro che ne sarebbe stato felice, se grazie a quella ragazza lo avessero lasciato in pace durante le interviste – avevano iniziato a chiedergli di eventuali flirt e fidanzate.
Alla fine anche Nic si era fatto convincere. Suo figlio era un ragazzo strano, e le persone strane avevano problemi di ogni genere: giudizi, prese in giro, cattiverie e imbarazzi; soprattutto se avevano anche difficoltà relazionali. Meglio che desse di sé l'immagine più normale possibile.
Perciò era iniziata la selezione, da una lista di aspiranti starlette dell'agenzia di Fernando, che da poco aveva iniziato a rappresentare anche personaggi dello spettacolo, oltre che sportivi. In cambio di qualche menzogna sul suo rapporto sentimentale con Michele e di qualche uscita di rappresentanza, la ragazza avrebbe ottenuto visibilità, interviste e fama riflessa. Il pericolo che decidesse di spiattellare tutto alla stampa era scongiurato da un contratto di riservatezza con clausole penali molto alte, nonché dalle minacce di Fernando: «Se la troia dice qualcosa, puoi star sicuro che non la faccio più lavorare in nessun angolo del mondo.» A Nic i modi volgari di Fernando non piacevano, ma ci passava sopra perché era un bravo agente per Michele ed era soprattutto Elena che interagiva con lui.
Michele era entrato attivamente nel processo di selezione. Aveva voluto guardare le foto delle ragazze e siccome era raro che Michele mostrasse interesse per qualcosa, soprattutto per qualcuno, Nic aveva acconsentito alla sua richiesta. E, inaspettatamente, era stato lui a scegliere quella che preferiva. Nic si era chiesto se fosse un segno di attrazione fisica. Non era riuscito a capirlo con certezza, suo figlio come sempre era molto enigmatico.
Elena non era stata molto convinta della scelta di Michele. «Ha beccato la ragazza che io avrei scartato per prima.»
«Perché?» aveva chiesto Nic.
«Perché è la più intelligente. Va persino all'università. Ho paura che sia furba e ci possa fregare in qualche modo.»
Nic allora aveva indagato un po' su di lei, ma gli era sembrata una tipa a posto.
E per giunta Michele si era impuntata su di lei.
Nic aveva scartato subito la terribile, edipica ipotesi che potesse piacergli perché gli ricordava in qualche modo sua madre. Anna Rossetti (questo era il nome della ragazza) era quanto di più diverso ci fosse al mondo da Elisa: alta, molto prosperosa, viso dai lineamenti decisi e mediterranei. Daniele, quando l'aveva vista, aveva tirato delle pacche sulle spalle di Michele commentando: «Grande Michi! Ti piacciono le tettone, eh?»
Al che Michele aveva osservato una delle foto a mezzobusto, quasi si fosse reso conto in quel momento per la prima volta delle misure della ragazza, e aveva commentato: «Il s-s-suo seno ha una fo-fo-forma molto armoniosa» con la stessa compostezza e nonchalance con cui avrebbe potuto osservare il design di un nuovo modello di racchetta.
Nic gli aveva quindi fatto un po' di domande, per cercare di capire perché le piacesse tanto.
«È una c-c-combinazione di due fattori» aveva spiegato lui con il suo solito linguaggio composto e forbito. «Lei è molto b-b-b-bella, e le altre sono tut-tut-tutte brutte.»
Nic non era eterosessuale, ma aveva due occhi e un senso estetico, e quelle ragazze non gli sembravano affatto brutte. Erano tutte modelle o aspiranti tali, quindi la loro bellezza era decisamente sopra la media. Quando aveva fatto questa obiezione a Michele, lui aveva cominciato a elencare i loro difetti: una aveva i denti troppo piccoli, un'altra le labbra sottili, la bocca di una terza non aveva forma, di una criticò le cuspidi labiali troppo aguzze, mentre l'ultima non era male se stava seria, ma quando sorrideva mostrava troppe gengive.
Non era la prima volta che Michele dava giudizi sulle bocche altrui, aveva persino trovato antipatiche delle persone solo perché non avevano una bella bocca. Ad esempio, non amava interagire con Fernando perché: «D-dopo un po' che p-p-parla gli si formano i filetti di saliva agli angoli della b-b-bocca. Che schifo.»
Per la prima volta, udendo quei commenti, a Nic venne il dubbio che la fissazione sulle bocche di Michele avesse a che fare con qualche sua fantasia erotica. Avrebbe spiegato anche la ragione per cui, quando aveva guardato la cronologia del browser del suo cellulare, vi aveva trovato parecchie foto di primi piani.
Anna aveva effettivamente una bellissima bocca: labbra carnose e ben disegnate, e un sorriso dai denti bianchi e regolari. Nic aveva poi osservato come Michele si comportava quando era in compagnia di lei: molto riservato, molto cortese. Non la guardava quasi mai. Lei era gentile ma distaccata, con lui. Nic purtroppo non poteva tenerli sotto controllo durante le rare uscite in solitaria (avevano partecipato insieme a un evento ATP ed erano usciti una sera a cena, per farsi fotografare dai paparazzi). Sperava solo che lei non mirasse ad approfittarsi di lui.
Anna non li aveva seguiti a Bovec, ovviamente, e Michele e Nic fecero le loro passeggiate nei boschi in santa pace, accompagnati dalla piccola Sara, lasciando da soli i due piccioncini Daniele e Maria.
Durante la prima escursione Nic ne aveva approfittato per ripassare con suo figlio gli impegni: tornei, sessioni di training e persino un servizio fotografico pubblicitario – una rottura di scatole che però pagava bene.
Arrivati al bivio, Nic invitò Michele a tornare a casa. «Io vado a rilassarmi un po' in riva all'Isonzo, ci vediamo tra un'oretta.»
Michele schioccò le dita per richiamare Sara e i due si allontanarono trotterellando.
La prima volta ci era andato poco dopo la morte di Elisa.
Da solo. Aveva sentito la necessità di staccare da tutto ed era andato una settimana a Bovec, a correre, passeggiare, leggere.
Anni prima, aveva calpestato un paio di volte quel sentiero, insieme a Elisa e ai suoi figli, e si era stupito di ricordare il punto esatto, l'impercettibile apertura tra le fronde che portava al mai-luogo. L'aveva osservata ed era passato avanti, dandosi dello stupido perché per un attimo aveva provato il desiderio di andarci.
E poi, durante quella settimana solitaria dopo la morte di Elisa, alla prima occasione non aveva resistito. Si era inoltrato.
A ogni passo la sua ragione lo aveva ammonito: stupido, perché, stai facendo questa cosa senza senso, non è nemmeno un bel ricordo, è il ricordo di un rifiuto, di una delusione, vuoi soffrire di nuovo, sei un masochista... Ma i suoi piedi avevano ignorato la sua testa ed eccolo là.
L'aveva trovato.
Dopo aver salutato Michele, Nic percorse per l'ennesima volta quella stradina secondaria, poco calpestata, rami secchi, rocce, e infine la piccola altura che proteggeva l'angolino fatto di sogni e acqua verde scintillante.
Si tolse le scarpe e mise i piedi a mollo nel freddo.
Chiuse gli occhi. E faceva quello che aveva sempre fatto: si illudeva come uno stupido di essere ancora lì, nello spaziotempo che mai era esistito, tra le braccia della persona che più aveva amato al mondo. Chiudeva gli occhi e Raffaele era lì con lui.
Stupido Nic, si diceva ogni volta, disprezzandosi. E ogni volta, invariabilmente, tornava lì a macerarsi di ricordi e nostalgia.
***
20 Dicembre 2016
Stavano passando tutti insieme le vacanze di Natale a Miami, nella nuova casa, acquistata coi guadagni di Michele come base di allenamento e per i tornei americani. Niente a che vedere con la vecchia villetta a schiera del quartiere periferico dell'Accademia: era una deliziosa casetta a Miami beach, con tanto di piscina.
Veniva usata soprattutto da Daniele, che non aveva mai interrotto i suoi rapporti con l'Accademia, a differenza di Michele che ormai si allenava lì soltanto per brevissimi periodi durante l'anno. Maria era quasi sempre con lui, quando non tornava in Italia per impegni con l'università o per colloqui con le redazioni sportive. Daniele usava quella casa talmente spesso, che lo stesso Michele aveva finito per definirla "la casa di Daniele". Una volta Nic gli aveva fatto notare che quella casa era stata acquistata con soldi che aveva guadagnato lui, perciò era più sua che di suo fratello. Michele non era affatto un ragazzo avido, non gli interessavano i soldi e non si curava minimamente di come Nic li spendesse. Non era per bontà nei confronti del fratello se aveva praticamente deciso di regalare quella casa a lui, ma per una questione di semplice opportunità, di praticità. A Daniele serviva più che a lui? Perché avrebbe dovuto impedirgli di usarla? Lui non ci avrebbe fatto nulla. Questi erano più o meno i ragionamenti ad alta voce che un giorno aveva fatto a Nic. Era l'ennesima dimostrazione del fatto che a Michele non interessava davvero niente, niente di niente, al di fuori del tennis.
«Sono io, papà!» disse Daniele bussando alla porta.
«Entra.»
Daniele era allegro come non mai. Sembrava impaziente di dirgli qualcosa. Nic gli rivolse uno sguardo interrogativo.
«Ho una notizia bellissima!»
«Hai trovato un partner di doppio per gli Australian Open?» gli chiese Nic.
Daniele Rise. «Lo sapevo! Prima parlavo con Maria e lei mi ha detto: dieci a zero che ti tira fuori una cosa tennistica. Ti conosce meglio di me.»
«Che cosa è successo?» gli chiese Nic, sempre più incuriosito.
Il sorriso di Daniele si allargò ancora. «È successo che diventi nonno!»
Nic drizzò la schiena, spalancò gli occhi, si ritrovò suo malgrado a sorridere. «Cooosa? Ma... Oddio! Davvero? Quando? E soprattutto: sei contento? Be', sembri molto contento, ti sto facendo delle domande stupide, scusa...» Nic si lasciò sfuggire una risatina, ancora incredulo. «Aspetta, ma è uno scherzo, vero?»
Daniele rise. «No, è tutto vero!»
«Wow...»
«Sembri contento anche tu» osservò Daniele. «Ero un po' indeciso su come l'avresti presa. Pensavo di dirtelo tutto contento e di rimanerci di merda perché mi facevi una faccia da funerale.»
«È davvero una notizia inaspettata, cazzo! Siete giovanissimi! L'avete voluto?»
«E secondo te l'abbiamo voluto? Alla nostra età? No, sinceramente, non l'abbiamo fatto apposta. Però quando Maria l'ha scoperto, ha pensato subito che lo voleva tenere e quando me l'ha detto la prima cosa che ho detto è stata come te: wow! Che bello! Non era passato neanche un minuto che già mi stavo facendo i film. Ti giuro, sono contentissimo. Se me l'avessi chiesto il giorno prima, vorresti diventare padre, ti avrei detto: sì, tra dieci anni, magari. Ma sono contentissimo.»
Nic ridacchiò di nuovo. «Sono contento che sei contento. Sai...» Nic si sentì in vena di confessioni e decise di aprirsi un po'. «Quando io ho saputo che tua mamma aspettava te, sono stato terrorizzato, più che contento. Ho pensato subito a tutte le cose che potevano andare male e a tutta la merda che poteva succederti e a come io non sarei mai stato capace di difenderti da tutti i pericoli del mondo.»
«Sì. Quando ero piccolo pensavo che eri un rompicoglioni asfissiante con le manie di controllo. Col tempo ho capito che le tue manie di controllo sono dovute al fatto che ci vuoi troppo bene.»
Nic fu imbarazzato da quelle parole, ma cercò di non darlo a vedere.
«E ti prego, papà, puoi evitare di fare lo stesso errore con Michele? Ne approfitto adesso per dirtelo, era un po' che ci pensavo.»
«In che senso?»
«Nel senso che non lo lasci vivere, a quel povero ragazzo. E lui è più remissivo di me e non si ribella. Ma non gli fa bene. Non ha amici e vive solo di tennis, e tu sei troppo rigido con lui, pretendi troppa disciplina.»
Nic sentì il respiro accelerare, suo malgrado. «Punto primo: la disciplina fa bene. Michele come carattere assomiglia più a me che a te, è una persona che vive bene seguendo delle regole.»
«Parli come se io fossi uno sfaticato buono a nulla...»
«Non ho detto questo. Però sicuramente sei meno disciplinato di lui. Fai una vita meno rigorosa. E si vede anche dal fatto che nonostante ti alleni quattro ore al giorno sei sovrappeso.»
Daniele ebbe uno sbuffo, un sorrisetto incredulo e alzò gli occhi al cielo. «Se fossi un pelo più permaloso ti darei dello stronzo...»
«Eddai, se ti prende sempre in giro anche Maria per lo stesso motivo...»
«Ma tu me l'hai detto perché ti sei offeso e volevi farmi una ripicchetta. Da stronzo.»
«No, era solo un'osservazione. Non ho detto niente di stronzo. Solo la verità. Dire la verità è da stronzi adesso? La verità andrebbe sempre accettata. Non è vero che sei un po' sovrappeso? Non era questo il punto, comunque. Il punto era che tu hai un carattere diverso e sei riuscito a trovare un tuo equilibrio anche così. Michele non ha la tua maturità e non ha la tua capacità di fare compromessi tra quello che gli piace è quello che gli serve per stare bene.»
«Papà, tu...»
«Aspetta, fammi finire. Prendi proprio il cibo, per esempio. Siete tutti e due golosi. Tu hai deciso che non te ne frega niente di avere due o tre chili di troppo e ti concedi dei piaceri a tavola. Io penso che staresti meglio sotto tutti i punti di vista se non te li concedessi, ma mi sembra che sei capace di fermarti e non lo stai facendo diventare un problema. Non sei un ciccione e non credo che lo diventerai mai. Perché sai, cioè, spero che tu la sappia, la differenza tra concedersi qualche piacere e strafare. Michele lo vedi anche tu cosa fa... Se lo lasci poco poco senza controllo, si strafoga fino a vomitare. Non è capace di controllarsi da solo, ha bisogno di disciplina. Una persona come Michele, può essere felice solo così.»
«E questo l'hai deciso tu.»
«E chi altro? Sono vostro padre, voi siete una mia responsabilità.»
«A me però a un certo punto mi hai lasciato in pace. Perché a lui no? Non pensi che anche lui ne abbia bisogno?»
«Assolutamente no. Se lascio fare a lui quello che ho lasciato a fare a te, succede un disastro. Non riesco neanche immaginare cosa potrebbe succedere. È un bambino, non è mai cresciuto, non è capace di stare al mondo, non è capace di interagire con le persone. E la gente lo sai com'è. Sono tutti sempre pronti a metterti i piedi in testa, se capiscono che sei una persona a cui si possono mettere i piedi in testa.»
«È secondo te di chi è la colpa se è venuto su così?»
Nic si puntò il petto con le mani. «Mia?» chiese incredulo. Poi riconobbe le proprie colpe: «Sì, hai ragione, in un certo senso un po' sì. Non sono mai riuscito a staccarlo da Elisa, e il rapporto morboso che aveva con lei non gli ha fatto bene. Ma ormai è troppo tardi. Arrivato a questo punto, non posso permettermi di lasciarlo da solo.»
Daniele scosse la testa. «Non sei stato capace di allontanarlo da lei, non sei stato capace di farle capire quanto trattava di merda me...»
Nic si mise sulla difensiva. «Non è facile fare i genitori, e lo capirai molto presto. Tanti auguri.»
«Sorvolo su questa uscita passivo aggressiva» disse Daniele tra i denti. Poi continuò col suo discorso: «Non ti rendi conto che stai continuando a tenerlo legato a lei? Lui non ha mai superato il lutto. Non credi che sia il momento di raccontargli la verità su come è morta? Non credi che...?»
«Mai!» sbottò Nic. «Lo ammazzi, se glielo dici. E come se la facessi morire una seconda volta! Vuoi davvero fargli male in questo modo?»
«Certi dolori sono necessari a crescere, papà.»
«Fai il guru psicologo, adesso?»
Daniele scosse la testa. «Certe volte sei proprio stronzo. Quando vai in difficoltà hai queste uscite sarcastiche odiose... Hai veramente un carattere di merda. Ti voglio bene, ma hai un carattere di merda.»
«Ne sono consapevole.»
«Ma non fai niente per cambiare. E sia tu che Michele avreste bisogno di fare qualche seduta da uno psicologo. Magari insieme. Vi farebbe bene.»
«Mi prendi per il culo? Dopo che ho visto i danni che quegli pseudo scienziati hanno fatto sia a Elisa che a Raffaele... Quel mio amico che ha avuto problemi di droga, ti ricordi? Anche lui faceva avanti indietro tra psichiatri, psicologi, psicofarmaci... Non gli è servita un cazzo! Gli ha fatto solo danni!»
Daniele fece un sorriso comprensivo, triste. «Senti, mi dispiace se è il tuo ragazzo...»
«Non era il mio ragazzo. Era un mio amico» si affrettò a dire Nic. Dopo aver confessato a suo figlio le sue preferenze, non ne avevano più parlato, quella era la prima volta in cui Daniele vi faceva riferimento. Nic aveva quasi pensato che se ne fosse dimenticato.
«Papà, guarda che non mi sconvolgo se...»
«Non lo era. Ma pensa quello che vuoi di lui, non mi interessa. Stai sviando il discorso. Psicologi, psichiatri, tutta quella gentaglia lì... Fanno solo danni.»
«A me hanno fatto bene.»
Nic spalancò occhi e labbra, un'improvvisa ansia gli strinse la bocca dello stomaco. «Sei andato da uno psicologo? Ti sei fatto dare psicofarmaci?!»
«Sono gli psichiatri quelli che prescrivono psicofarmaci, non gli psicologi. E io sono andato da una psicologa.»
Nic non era affatto tranquillizzato da quella informazione. «E perché non mi hai detto niente? E perché ci sei andato, nonostante quello che abbiamo sempre detto?»
«E secondo te perché non te l'ho detto? Perché sapevo che mi avresti fatto per l'ennesima volta questi discorsi del cazzo. Gli psicologi non fanno miracoli, e la mamma probabilmente aveva dei problemi troppo grandi... O forse ha avuto la sfortuna di trovare un dottore che non era abbastanza bravo. Sai, come in tutte le cose, esistono professionisti bravi ed esistono i cialtroni. Ma quelli li trovi anche tra i dottori che curano il corpo, non solo tra quelli che curano la mente.»
«I dottori che curano la mente! Ma non ti senti? Non senti anche tu che è una minchiata? Tra un po' comincerai a curarti con i cristalli magici?»
«Stai mettendo insieme cose che non centrano un cazzo tra loro. La psicologia non è una pseudoscienza. E a me è servita tantissimo. Mi è servita a superare l'odio che ho sempre provato per la mamma, a superare il trauma di essere un figlio indesiderato. E superare il senso di colpa di averla fatta ammazzare!» Su quelle ultime parole la voce di Daniele si incrinò.
Padre e figlio si guardarono negli occhi per qualche secondo in silenzio.
«Senso di colpa?» sussurrò Nic. «Ma io... io ti avevo detto che...»
Daniele sospirò. «Sì, e mi è servito tantissimo. E... non ne abbiamo più parlato, ma ti devo dire una cosa, papà: io non ti ho mai voluto tanto bene come quella sera» la voce di Daniele era sempre più commossa.
«Mi hai detto un segreto della tua vita» proseguì, «una tua cosa personale, privata, che io sono sicuro, se non fosse successa quella cosa non me l'avresti detto mai, e non lo sarei mai venuto a sapere. Perché ti conosco, so come sei fatto.»
«Oh...» si lasciò sfuggire Nic, perché quelle parole riecheggiarono altre parole simili, uscite dalla bocca di un'altra persona.
«Me l'hai detto perché pensavi che fosse l'unico modo per alleggerire il macigno che mi era appena cascato in testa. E non mi sono mai sentito tanto amato come figlio come in quel momento. Perché hai messo me davanti a te stesso, e davanti alle tue paure e alle tue difficoltà emotive. Con il rischio che io ti giudicassi, con il rischio che io ti odiassi, e rompendo il muro che hai nella testa.»
Nic fu sopraffatto da quelle parole, da quei complimenti che sentiva di non meritare. Ma quelle emozioni non gli fecero dimenticare quale fosse il problema di cui stavano discutendo. «E se ti è servito tanto, quello che ho detto, perché hai sentito il bisogno di rivolgerti a quei cialtroni?»
«Perché da solo non ce la facevo, e per certe cose gli amici non bastano. Avevo bisogno di un professionista che mi aiutasse a fare ordine e a capire. E mi ha aiutato.»
Nic era demoralizzato dalle parole del figlio. «Tu pensi che ti abbia aiutato, ma hai solo buttato i tuoi soldi. Per favore, non ci andare più.»
Daniele sospirò e scrollò la testa. «Niente. Su questo argomento ragioni proprio da vecchio ignorante. Mi arrendo.»
«Sei tu che...»
«Papà, veramente: lasciamo perdere. Io non farò cambiare idea a te e tu non farai cambiare idea a me. Per lo meno non stasera. Magari col tempo ci arriverai. Buonanotte.»
Daniele era già quasi fuori dalla porta quando Nic lo richiamò. «Aspetta!»
Suo figlio si fermò e si voltò a guardarlo.
Nic accennò un sorriso. «Scusa eh, ma del bambino non mi dici niente? Quando l'hai saputo? Quando nascerà?»
Daniele sorrise, rientrò in camera e raccontò a Nic con entusiasmo tutto quello che sapeva e i loro progetti per il futuro.
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Note 🎶
Ma che bel nonno giovane! E che bel papà! Dite che Daniele e Maria saranno bravi genitori?
Ma vi siete accorti di che anno è nella storia? Il 2016... E sapete che storia inizia nel 2017? Il prossimo capitolo comincerà a fine marzo 2017... Controllate sul calendario che torneo c'è in quel periodo e capirete 😌
Ci rileggiamo giovedì, e lasciatemi una stellina per ogni cazzata sparata da Nic sulla psicologia.
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