78. Ti proteggerò
Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie
Dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo
Dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai
(F. Battiato, La cura, 1996)
—
Aprile 2008
«Cosa ha fatto oggi il mio piccolo campione?»
Michele lasciò il borsone all'ingresso del loro piccolo appartamento e corse da sua madre in salotto, seguito dagli abbai acuti di Sara, e ignorando Daniele e Nic che stavano cenando in cucina.
«Michele, vieni a mangiare» ordinò Nic.
Inascoltato. Udì suo figlio balbettare e vantarsi come suo solito di tutti i ragazzini che aveva battuto, tutti i punti più belli che era riuscito a fare e i complimenti che aveva ricevuto.
«Io oggi ho vinto un set contro Paulson» disse Daniele. «Gliene frega qualcosa a qualcuno?»
«A me» disse Nic.
Daniele fece schioccare la lingua. «Ma se mentre eri a bordocampo ti giravi continuamente verso il campo dove giocava Michelino...»
«Perché mi interessano entrambi i miei figli» rispose Nic dicendo la verità. Anzi, tra i due Daniele gli interessava persino di più, proprio perché era quello meno talentuoso, quello che aveva bisogno di lavorare di più sui propri difetti.
«Stasera esco» disse Daniele.
«E dove vorresti andare?»
«Fuori.»
«Domani devi alzarti alle sette e mezza per andare a scuola. Non puoi uscire durante la settimana.»
«Torno entro le dieci.» Daniele mangiucchiò svogliatamente un po' del pesce che aveva nel piatto.
«E con chi esci? Con quel coglione di McKenny, scommetto.»
«Non è un coglione.»
«Se alle dieci in punto non sei ancora a casa, non ti faccio uscire per un mese.»
Daniele in tutta risposta prese di tasca il suo iPod e infilò le cuffiette alle orecchie. Più invecchiava, più Nic trovava la musica un intrattenimento stupido. Aveva cercato di educare sia Daniele che Michele a crescere indipendenti da quella sin troppo facile stampella emotiva, ed era stato aiutato, in questo, da Elisa, che non era una grande ascoltatrice di musica. Ogni tanto metteva qualche CD di De Andrè o Paolo Conte, secondo Nic più per campanilismo ligure che per vera passione, ma con gli anni anche lei aveva smesso di trastullarsi con quelle melenserie.
Michele non sembrava avere inclinazioni musicali, ma era ancora un bambino. Daniele invece, come tutti i quindicenni, appena poteva infilava quelle stupide cuffiette alle orecchie. Nic non ci provava nemmeno, a togliergliele: in fondo anche lui, da ragazzo, aveva ceduto al fascino del Walkman, e l'iPod era il Walkman della nuova generazione. Daniele sarebbe cresciuto e avrebbe capito che era una sciocchezza da ragazzini.
Finirono di mangiare in silenzio le rispettive portate.
***
«Eli, perché non vieni a dormire?»
Elisa alzò gli occhi dal libro che stava leggendo a Michele. Era stesa accanto al figlio nel letto della cameretta di lui, con Sara acciambellata ai loro piedi. Le due notti precedenti Elisa le aveva trascorse dormendo lì.
Non era un'abitudine sana, e la cosa paradossale era che accadeva sempre più spesso. Il suo figlio minore aveva compiuto da poco dieci anni, e Nic era sicuro che non esistessero molti bambini di quell'età che dormivano insieme a uno dei genitori.
«Finisco di leggergli questo capitolo e arrivo.»
Sin dall'infanzia, Elisa aveva preso l'abitudine di leggere a Michele delle storie: romanzi per bambini e per ragazzi, di avventura e fantascienza, per lo più. Michele adorava starla a sentire, non ne era mai sazio. E non voleva andare a dormire se Elisa non gli aveva letto qualcosa, almeno mezza pagina.
Se all'inizio Nic aveva trovato quell'abitudine bella ed educativa, la cosa stava iniziando ad assumere dei contorni preoccupanti, come gran parte degli aspetti del rapporto tra Michele ed Elisa. «Ormai sei grande» gli aveva detto Nic l'anno prima, «i ragazzini della tua età leggono da soli.» Gli aveva quindi regalato qualche libro ma Michele li aveva consegnati a Elisa per farseli leggere. Da solo si rifiutava di farlo, diceva di annoiarsi, ma secondo Nic non c'aveva neanche mai provato, era viziato e gli piaceva farsi coccolare dalle parole di sua madre. Non gli piaceva nemmeno guardare film: Elisa era il suo unico intrattenimento.
Nic aveva provato a dire a Elisa di smetterla con quelle letture. «Lo impigrisci, così.» Ma lei si era infuriata che Nic avesse anche solo osato suggerire una simile eresia.
«Va bene. Ti aspetto in camera» le disse Nic quella sera, sperando che arrivasse.
«E cosa mi aspetti a fare?» borbottò lei, in un tono vagamente sarcastico.
Nic non ribatté. Non davanti a Michele. Non era colpa sua se da ormai un paio d'anni non avevano più rapporti sessuali. Nic era sempre stato ligio al dovere, aveva continuato a essere affettuoso con lei da quel punto di vista. Ormai si era davvero abituato a quell'aspetto della loro intimità e lo viveva come una cosa normale e persino piacevole. Chiudeva gli occhi e si concentrava sul calore, sulle sensazioni fisiche. Erano sempre stati momenti confortevoli, per lui.
Era lei che aveva iniziato a rifiutare le avance. E la motivazione era sempre la stessa: «Sono vecchia, faccio schifo.» Elisa, per qualche ragione, non poteva credere che Nic la trovasse ancora attraente, di conseguenza non riusciva a eccitarsi. O almeno così era come la metteva giù lei.
Nic non era sicuro di poterle credere. Gli sembrava una motivazione talmente assurda che sospettava il motivo fosse esattamente l'opposto, ossia che fosse lei a non trovare più attraente lui.
Non si era mai preoccupato più di tanto del proprio aspetto fisico. Sapeva di non essere brutto, ma non era nemmeno una di quelle bellezze eclatanti che facevano girare la testa alle donne. Aveva quarantatré anni e si portava bene la propria età, soprattutto di fisico, perché non si era lasciato andare dopo aver smesso di giocare, cosa che spesso accadeva agli ex atleti. Sul viso, però, aveva qualche ruga in più rispetto ai suoi coetanei, per via di una vita intera passata a giocare e allenarsi all'aperto, sotto al sole. I capelli li aveva ancora folti, neanche un accenno di stempiatura, tutti gli uomini della sua famiglia avevano una bella capigliatura, da quel punto di vista poteva dirsi fortunato; ma un po' di fili bianchi sulle tempie denunciavano, insieme alle rughe, la sua età.
Nic sapeva che nel sesso entravano in gioco altri fattori, non era pura attrazione fisica, ma era anche vero che Elisa a quelle sciocchezze – alla bellezza fisica – aveva sempre dato molta importanza. Forse era attratta dai ragazzi più giovani e freschi e le rughe di lui le facevano schifo. E in effetti, i primi tempi avevano risolto quel problema facendo sesso a luce spenta. Ma a un certo punto nemmeno quella soluzione le era più bastata.
Il fatto che Elisa avesse sostituito le notti a letto con Nic mettendosi a dormire con suo figlio lo aveva inizialmente preoccupato, al punto da spingerlo a spiare e origliare ciò che accadeva nella cameretta di Michele. Ma si era tranquillizzato, almeno da quel punto di vista: il rapporto tra madre figlio era perfettamente innocente e tenero. Molto affettuoso, carezze sulla testa, bacetti sulla fronte e coccole, letture di libri, e a volte delle strane ninne nanne fatte di numeri cantilenati in varie lingue. Niente di più. La cosa che preoccupava Nic, di quelle dormite, era che gli sembravano atteggiamenti e tenerezze più adatte a un bambino di cinque anni che a uno di dieci. Ma era impossibile parlare razionalmente con Elisa di quell'argomento.
E c'era un altro fattore che frenava Nic dal fare qualcosa in merito: Michele era, di fatto, un ragazzino molto immaturo, infantile. Forse aveva bisogno di cose del genere, per indole personale. Aveva bisogno di cure, coccole e protezione, molto più di Daniele, che invece, al contrario, era sempre stato più maturo della propria età.
Nic, come faceva sempre prima di coricarsi, lesse qualche pagina dal romanzo che teneva sempre accanto al comodino. Guardò l'ora: mancavano cinque minuti alle dieci, e Daniele ancora non era rientrato.
Lo sapevo...
Sarebbe arrivato in ritardo, come sospettava. Ma Nic sarebbe stato inflessibile: doveva insegnare a suo figlio il valore della parola data e della disciplina.
Passarono le dieci, Elisa era ancora in camera di Michele, e Daniele se la stava prendendo decisamente comoda.
Dieci e mezza. Undici.
Nic si alzò. Sbirciò in camera di Michele e lo trovò addormentato con la faccia beata, insieme a sua madre e Sara.
Andò a pisciare. Poi in cucina a prendersi un bicchiere d'acqua. L'appartamento in cui vivevano era molto piccolo, faceva parte di un complesso residenziale di proprietà dell'Accademia, dove vivevano diversi istruttori e diverse famiglie di ragazzi stranieri che si allenavano lì. Era una specie di villaggio, la cui dimensione ricordava a Nic quella del paese: stesse dinamiche di rapporti, stessi pettegolezzi.
Nic andò a prendere il romanzo in camera e si mise a leggere seduto al tavolo della cucina.
Daniele rientrò intorno alle undici e mezza. Nic lo fronteggiò in corridoio a braccia conserte.
Si guardarono torvi per qualche secondo, e poi Daniele disse: «Ero l'unico sfigato col coprifuoco alle dieci.»
Nic annusò l'aria, sentendo un odore inconfondibile. «Hai bevuto?»
«No.»
«Non dire cazzate. Sento l'odore. Non cercare di prendermi per scemo, io ho quarant'anni e tu quindici.»
Daniele roteò gli occhi. «Una birra.»
«Non hai bevuto una birra, se avessi bevuto solo una birra non puzzeresti in questo modo. Metti un dito sul naso, porta l'altra mano in verticale sopra la testa e stai trenta secondi in equilibrio su un piede.»
«Papà...» Il tono di Daniele era lagnoso e strascicato. «Sono stanco...»
«Fai quello che ti ho detto, e poi puoi andare a dormire.»
Daniele ci provò, fallendo miseramente nell'intento, e quando perse l'equilibrio e barcollò appoggiandosi al muro, il cuore di Nic rivisse tutto il dolore che aveva provato ogni singola volta in cui aveva trovato Raffaele ubriaco o fatto. Lo rivide riverso a terra, privo di coscienza nella stazione dei treni. Lo rivede seduto con il laccio emostatico ancora legato al braccio, sulla tazza del cesso di Roma Tiburtina. Visse il terrore che suo figlio potesse passare attraverso le stesse cose. Avrebbe voluto gridare e piangere, scappare via e dimenticarsi di avere una famiglia, pur di non dover sopportare quell'angoscia.
Doveva fermare subito Daniele, impedirgli di finire su quella strada. Quante volte aveva già bevuto? Possibile che quella fosse la sua prima sbornia? Innanzitutto gli avrebbe impedito di frequentare quel maledetto depravato festaiolo di McKenny e lo avrebbe anche segnalato ai dirigenti dell'Accademia, in modo che potessero prendere dei provvedimenti disciplinari nei suoi confronti.
Avrebbe protetto suo figlio a ogni costo.
***
Agosto 2009
«Cosa cazzo è questa roba!?»
Daniele incrociò le braccia e assunse un'aria arrogante. «Cosa ti sembra che sia?»
Nic aveva trovato, nascosto in un astuccetto del borsone da tennis di Daniele, un sacchettino contenente una strana sostanza marroncina. Il primo terrificante sospetto di Nic era stato che si trattasse di una qualche forma grezza di eroina, e gli erano quasi cedute le ginocchia dal terrore. Ma poi l'aveva aperto e annusato, e aveva sentito l'inconfondibile odore dell'hashish. Nello stesso astuccio c'erano anche delle cartine.
Il fatto che fosse una sostanza più leggera non lo rendeva più tranquillo: si iniziava sempre dalle sostanze leggere.
«Ti fai le canne?»
«Denunciami alla polizia. Cosa devo dirti?»
«Finiscila di parlarmi in modo arrogante.»
«E tu finiscila di starmi addosso!» gridò lui. Fu un grido rabbioso, esagerato. Si alzò in piedi e cominciò a prendere a pugni il tavolo della cucina, con violenza. «Sei una cazzo di guardia carceraria! Non ti sopporto più! Ti odio! Finiscila!»
«Non stai dando un bello spettacolo. Datti una calmata» disse Nic trattenendo la propria rabbia.
«E sempre con questo modo di fare da psicopatico! Ma non ti arrabbi mai, tu?! Ce l'hai qualche sentimento?!» Daniele stava sbraitando sempre più forte.
«Io sono una persona matura e le persone mature parlano in modo civile e non danno spettacolo» disse Nic. «Vorrei che tu facessi lo stesso.»
«E io invece non ce la faccio più!» gridò Daniele con la voce rotta. «Prima fai espellere Steve dall'Accademia! Il mio migliore amico! Sei un pezzo di merda! Poi mi fai fare una figura di merda con Madyson, portandoci i profilattici mentre stiamo al bar insieme! Ma cosa cazzo ti è saltato in mente?! Lo sai che lei mi ha mollato dopo quella scena di merda? Non voglio avere a che fare con un old creepy guy, mi ha detto! E lo sai che adesso mi prendono per il culo tutti, e mi nascondono profilattici nel borsone? Grazie tante! Lei mi piaceva un sacco, grazie tante di avermi fatto mollare!» Daniele ebbe una specie di singhiozzo, deglutì, e quello che sembrava un principio di pianto si fermò.
«Ti ho forse impedito di vederla? Se lei ti ha mollato solo per questa cazzata...»
«Non ho finito!» lo interruppe Daniele sbraitando. «Gli alcolici. Hai cominciato a trattarmi come un cazzo di alcolizzato, solo perché mi sono ubriacato una sera con i miei amici! E lo sai perché l'ho fatto? Perché non ne posso più che mi stai addosso e mi volevo divertire un po'! È un delitto divertirsi, adesso? Ma non ti sei mai ubriacato in vita tua, tu? E adesso mi fai l'interrogatorio di polizia perché mi faccio una canna ogni tanto! Basta! Basta! Lasciami in pace!» Diede un ultimo pugno al tavolo, con entrambe le mani.
Nic cercò di proseguire quel dialogo nel tono più calmo che gli riusciva. «Si comincia sempre così. Con una canna ogni tanto. E poi finisce male. Guarda che l'ho visto succedere.»
«Ma finisce male cosa?! Finisco nel tunnel della droga?! Se ci finisco è colpa tua, non della canna che mi faccio una volta al mese! Sei un paranoico di merda! E non ti sopporto più! Me ne vado da questo posto di merda, torno in Friuli!» Daniele prese un gran respiro, che si spezzò in due mentre entrava nei suoi polmoni. «M-mollo il tennis, mi metto a fare qualche altro lavoro.» Deglutì, la sua bocca si deformò. «Tanto sono scarso, non combinerò mai un cazzo in questo sport di merda...» E quindi si lasciò cadere sulla sedia, nascose il viso sulle braccia, appoggiandosi al tavolo, e le sue spalle cominciarono a sussultare.
Nic, dentro di sé, si sentiva ancora più disperato di quanto apparisse suo figlio. Gli era già capitato che gli rispondesse in modo sgarbato o che avesse qualche sfogo di rabbia, ma una scenata simile, con tanto di lacrime, lui che non piangeva mai... Da quanto si teneva dentro tutti quei sentimenti negativi?
Come posso aiutarlo?
Non certo assecondando le escandescenze. Di questo era certo. Si avvicinò, sedette accanto a lui e posò una mano sulla sua schiena.
«Se il tennis non ti piace, non voglio obbligarti a giocare. Puoi restare qui con noi, scegliere un percorso di studi che ti piace e...»
«Ma bene!» gridò Daniele alzando la testa, ancora in lacrime. «Non vedevi l'ora di toglierti di torno il figlio scarso, eh?»
«Non ho detto questo. Io non penso che sei scarso e vorrei continuare ad allenarti.»
«Però guarda caso, di tutte le cose che ti ho detto l'unica che hai sentito è quella!»
«Ho sentito tutto, invece. Sto cercando di capire il motivo della tua rabbia.»
«Il motivo sei tu, lo vuoi capire o no?!» Daniele si alzò di nuovo in piedi, e con un gesto molto rapido e inaspettato strappò di mano a Nic il sacchettino di hashish.
Nic si alzò sua sua volta e prese suo figlio per il braccio, per fermarlo. «Tu quella roba, adesso, la butti nel cesso. E devi dirmi anche chi te l'ha venduta!»
Daniele si divincolò e corse verso l'ingresso. «Io questa roba, invece, adesso me la fumo.»
Nic, il cuore che accelerava di paura, corse più veloce del figlio e si piazzò davanti alla porta, appoggiandosi all'uscio a braccia larghe.
Daniele lo fissò serissimo per parecchi secondi. «La tua soluzione, quindi, è sempre la stessa? Mi chiudi dentro e speri che medito su i miei errori? Mentre tu continui a farti i cazzi tuoi e pensare di essere perfetto?»
«Ho avuto un amico eroinomane.»
Nic sì stupì di se stesso, di aver avuto il coraggio di dire quelle parole.
E appena le ebbe dette, si sentì debole, in difficoltà. Cosa stava facendo? Stava cercando di spiegare a suo figlio perché era un genitore incapace? Gli stava dando una leva di ricatto? Avrebbe voluto avere un manuale d'istruzioni per sapere cosa fare.
Ma la verità era che l'emozione che lo stava guidando in quel momento era la paura. Stava confessando quella cosa a un ragazzo di quindici anni, che forse l'avrebbe capita a metà, perché aveva paura.
L'espressione di Daniele cambiò. E perse la sua tensione ostile. I suoi occhi si spalancarono, la bocca si socchiuse. «Davvero?»
«Era l'amico più caro che abbia mai avuto. Anzi, l'unico amico che abbia mai avuto.»
E quindi Daniele fece un passo indietro, sembrò di nuovo all'erta, un po' ostile. «E perché non me ne hai mai parlato? Te lo sta inventando? Cos'è, una storiella educativa?»
«Forse hai sentito me o la mamma nominarlo. Si chiamava Raffaele Novelli.»
Daniele aggrottò le sopracciglia, sembrò riflettere qualche secondo. «Sì... mi pare di aver sentito nominare un Raffaele, qualche volta... Ma se era tanto tuo amico, perché non me ne hai mai parlato?»
«Perché è una storia a cui non mi piace ripensare.»
Daniele abbassò lo sguardo. «E questo tuo amico... è... morto? È morto di overdose?»
«No. Non so che fine abbia fatto e probabilmente non lo saprò mai. A un certo punto è sparito nel nulla. Forse è morto, forse è scappato ma è come se fosse morto. Quando è sparito ho passato due mesi a girare l'Italia per cercarlo, senza trovarlo, e alla fine mi sono arreso.»
«Questa storia che mi stai raccontando è sempre più assurda: non potevi fare denuncia di scomparsa alla polizia, scusa?»
Nic decise quindi di raccontare a Daniele tutto. Gli spiegò da dove veniva Raf, gli raccontò cos'era stato per il tennis italiano, gli disse come si era bruciato e come l'aveva vissuta Nic, guardandolo bruciarsi da fuori. Gli raccontò tutti i modi in cui aveva provato ad aiutarlo e come aveva, ogni volta, fallito. Lo fece lì, in piedi nel corridoio di casa, Elisa e Michele erano in campo, Nic era solo, solo col suo primogenito. Stava svelando una parte intima di se stesso a un ragazzo, quasi adulto ma forse ancora troppo giovane e immaturo per capire tutto quel dolore. Daniele ascoltava in silenzio, con un'espressione seria che Nic non riusciva a decifrare.
«Quindi spero che tu capisca, adesso, perché guardo quel sacchetto e...» Nic si fermò. Lasciò la frase in sospeso.
«Dillo» lo esortò Daniele.
«Dillo cosa?»
«Perché non dici mai niente? Perché non mi hai mai parlato di questa cosa?»
«E perché avrei dovuto parlartene? Sono cose mie, private. Ed è una storia vecchia.»
«Che ti fa stare ancora male» disse Daniele.
«L'ho superata» disse Nic.
Daniele scosse lentamente la testa accennando un sorriso. «Papà, cazzo... sei talmente... fai talmente fatica a tirar fuori le cose, che neanche ammetti di aver cose da tirare fuori.»
Nic fece schioccare la lingua. «Ma quali cose? Dai... Non è che posso raccontarti tutta la mia biografia. Oggi è venuto fuori questo discorso e te l'ho detto. Te l'ho detto per farti capire che quella roba è pericolosa» disse indicando la bustina che Daniele teneva in mano. Mentre la indicava si rese conto che il suo indice tremava un po'.
«Non è questione di raccontarmi la tua vita. È... è quello che ti dicevo prima. Che sei sempre così... così abbottonato... A che pro? Non riesco mai a capire, a momenti penso che ci tieni anche troppo, a momenti mi sembri uno psicopatico peggio della mamma. Oggi qualcosa ho capito, forse. Ho capito che hai dei traumi grossi così» disse Daniele allargando le braccia.
Nic alzò gli occhi al cielo. «Ma dove le hai lette 'ste cazzate, in internet? Quali traumi? Si chiama vita. La vita non è mai facile. Tutti hanno qualche problema.»
«Non voglio insistere» disse Daniele. «Ma su una cosa sì. Voglio che finisci la frase di prima.»
«Quale frase?»
«Hai detto: è per questo che guardo questo sacchetto...» Daniele lo sventolò davanti a sé, «e...»
Nic non disse nulla.
«Cosa succede quando guardi questo sacchetto?»
Nic continuava a non dire nulla.
«Cosa provi, papà. Dimmelo...» Gli occhi di Daniele erano tristi e Nic non capiva.
Non capiva cosa Daniele volesse sentirsi dire. Non capiva perché volesse sentirselo dire. Ma c'era una preghiera, in quegli occhi, una speranza, forse. Cosa voleva, Daniele? Sincerità?
Nic gliela concesse. «Guardo quel sacchetto e mi cago sotto.»
Daniele socchiuse le labbra ed ebbe un piccolo sospiro. I suoi occhi color nocciola, i più chiari della famiglia, si inumidirono di nuovo. «Fa bene parlare, sai?»
Nic non disse nulla.
«Chi ti ha insegnato che bisogna tenere sempre tutto dentro? Il nonno?»
«Nessuno. Non è bello dare spettacolo.»
«Me l'hai detta tante di quelle volte, questa cazzata, che ho perso il conto. E all'inizio ci credevo. Per fortuna sto disimparando.»
«In che senso?»
«Hai presente Madison? La ragazza che hai fatto scappare?»
Nic aggrottò le sopracciglia.
«Sai perché mi piaceva tanto? Perché facevamo insieme shouting therapy.»
«Eh? Che roba è?»
«Mi sa che è un termine che si era inventata lei. Un giorno mi ha visto che tiravo pugni al muro dopo che avevo perso una partita. Ti fai male, così, mi ha detto, sai come faccio io? Mi ha portato in spiaggia in un posto poco frequentato e si è messa a gridare. Mi son messo a gridare anch'io e abbiamo gridato per mezz'ora, che alla fine avevamo perso la voce tutti e due. Poi a me è venuto da piangere e mi son vergognato tantissimo, e ho pensato: che figura di merda, adesso lo dice a tutti. Invece sai cosa è successo? Che mi ha abbracciato e si è messa a piangere anche lei. E allora ogni volta che perdevamo una partita, io o lei, ci beccavamo per andare a gridare insieme e ho cominciato a capire che se ti tieni tutto dentro ti fai solo male. Che fa bene sfogarsi.»
«Fa talmente bene che poi vai nell'ottica che devi sempre sfogare le cose negative e non affrontarle, e poi finisce che ti sfoghi in modi dannosi!» sputò fuori Nic, e indicò la bustina.
Daniele, allora, fece una cosa che Nic non si aspettava. Gli consegnò la bustina. Nic la prese, non capendo.
«Se ti fa stare tanto male, se ti fa tanta paura, ne faccio a meno. Farmi una canna al mese o non farmene nessuna non mi cambia niente.»
«Oh...» si lasciò sfuggire Nic. «E... e chi mi dice che adesso non esci e la compri di nuovo?»
«Non lo farò.»
«E come...?»
«Ti devi fidare di me.»
Nic ebbe uno sbuffo, l'accenno di una risatina sarcastica.
«Se mi vuoi bene, papà, devi fare uno sforzo. E tu mi vuoi bene no?»
Nic aprì la bocca per dire sì, ma nessun suono uscì dalla sua gola.
Daniele ebbe un singhiozzo di pianto. «Non ti sforzare, non me l'hai mai detto, non pretendo che cominci adesso di punto in bianco.»
Ma io ti voglio bene! gridò una voce nella testa di Nic.
«Neanche la mamma me l'ha mai detto, ma tra te e la mamma c'è una differenza. Che lei è una stronza menefreghista e se fosse per lei potrei fare quello che mi pare da mattina a sera, grattarmi i coioni, drogarmi, buttarmi da un ponte, e non gliene fregherebbe un cazzo, e tu invece... tu sei tutto il contrario. Sei uno stronzo, sei rigido, sei asfissiante, non sai cosa significa la parola privacy e sei un paranoico. Però, anche se non me lo dici, io lo so che tu mi vuoi bene.»
Nic continuava a restare in silenzio, inerme davanti alle parole di Daniele.
«Lasciami un po' in pace, per favore. Ti scongiuro. Lo so che ti sto chiedendo una roba difficilissima che è l'opposto di come sei, e mi dispiace che hai paura. Però ti prego: lasciami in pace. Fidati di me. Potresti non intrometterti tra me e i miei amici, tra me e la mia ragazza, se ne trovo un'altra, tra me e i cazzi miei? Ti ho mai dato qualche delusione? Dimmi se ti ho mai dato qualche delusione. Rispondimi! E prima che mi tiri fuori di nuovo quella sera che sono tornato a casa ubriaco, dimmi se tu, alla mia età, non ti sei mai ubriacato. Perché non ci credo che non ti sei mai ubriacato neanche una singola volta quando avevi la mia età.»
Nic sospirò. «Sì... certo che mi sono ubriacato» ammise. «Ho fatto anch'io qualche cazzata.»
Ho fatto anche di peggio, pensò. Ma non gli avrebbe mai detto di quella volta che aveva sniffato eroina. Era un episodio della sua vita che aveva isolato come un corpo estraneo nella memoria. Ed era una cosa troppo legata alla sua intimità con Raffaele, non sarebbe mai uscita dalla sua testa.
«E allora cosa ti incazzi a fare con me?» disse Daniele. «Tu lasciami un po' in pace e io ti giuro, ti giuro! che non ti darò mai motivo di pentirti.»
Nic strinse il sacchetto nella sua mano, lo accartocciò.
«Ti devi fidare. Se non mi lasci un po' di spazio divento matto.»
Nic cercò di ragionare. Daniele era un ragazzo maturo e indipendente. Era una persona responsabile. Lo era sempre stato, sin da quando era bambino. Ed era un bravo ragazzo.
Doveva fidarsi di lui.
Ma guardando la bustina accartocciata nella sua mano, un terrore senza fondo gli fece ripensare di nuovo all'oblio dell'eroina, a quel viaggio nel nulla emozionale, e si ritrovò a desiderare, per un attimo, una soluzione di quel tipo a un'angoscia che lo avrebbe accompagnato per chissà quanto tempo.
Ma Nic non si fece frenare da quel terrore che gli scioglieva le ginocchia, lo avrebbe affrontato come qualsiasi altra difficoltà della sua vita. E a testa alta disse: «Ci proverò.»
Daniele sorrise. «Papà. Grazie.»
—
Note 🎶
Janniiiiiiiiiik! 🥹 🎉😭😱🦊🥕😍
Ok, scusate. Mi ricompongo.
Scusate per la confusione musicale tra questo capitolo e quello scorso. Vedete cosa succede a revisionare troppi capitoli in poco tempo? Che uno poi fa casino.
Avevo pianificato da tempo di usare La Cura di Battiato per uno dei capitoli di crescita dei figli e Coccodrilli di Bersani per uno dei capitoli USA. Ovviamente, come un'idiota, ho scelto quelli sbagliati. Coccodrilli era mooooolto più adatta al capitolo precedente, con le riflessioni sulla provincia. La Cura mooolto più adatta a questo con le angosce esistenziali di Nic.
Se non conoscete Coccodrilli ascoltatevela, è una canzone spassosissima come molte del primo Bersani.
https://youtu.be/5KYzJte8HA4
Detto ciò, cosa ne pensate dei dolori del giovane Daniele? Scrivere del fratello dimenticato in Rewind è stata una cosa che ho amato molto e che ci tenevo a fare, visto che in Play si vede attraverso la lente distorta di Michele. Vedrete ancora parecchio di questo personaggio a cui voglio molto bene e scoprirete segreti mai rivelati.
Vi do appuntamento a giovedì, nei prossimi capitoli vi aspetta un crescendo emotivo!
E lasciatemi una stellina per per tutti i dritti sbagliati oggi da Jannik nei cinque set che gli hanno fatto vincere il suo primo Slam.
(E - spoiler non spoiler di Play - diciamolo che Misha col suo peluche carota 🥕 è stato profetico)
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