73. L'impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale

Ma l'impresa eccezionale, dammi retta
È essere normale

(L. Dalla, Disperato, erotico, stomp, 1977)

Inizio maggio 1992

Tutto cominciò con un conato di vomito sul campo centrale, osservata da gradinate gremite e dalle impassibili espressioni delle statue di marmo che circondavano l'impianto.

Venne chiamato il medico, che le diede una pasticca, forse un antiacido, ed Elisa ricomincio a giocare.

Non aveva giocato male, fino a quel momento. Era in vantaggio. Il conato non si ripeté, ma, come  avrebbe spiegato in seguito Elisa, la vergogna di aver insozzato la terra davanti a tutti, l'onta di un gesto così poco elegante proveniente dalla tennista più bella ed elegante di cui si avesse memoria, la deconcentrò al punto da farla perdere.

L'episodio si ripeté il giorno successivo, in treno, mentre lei e Nic tornavano a Bologna. Questa volta fu più intenso ed Elisa passò mezz'ora nel cubicolo puzzolente che era il bagno di qualsiasi treno, e ne uscì con una cera orrenda che mantenne per tutte le ore di viaggio. Quando arrivarono era stanca morta e volle andare a dormire presto, quasi non salutò Nic.

Il mistero venne svelato una settimana dopo. Una settimana che Elisa aveva trascorso evitando Nic il più possibile. Si presentò a casa sua con gli occhi arrossati di pianto, lui la portò in camera, e una volta lì dentro lei scoppiò di nuovo a piangere. Nic la abbracciò senza capire, per almeno dieci minuti, finché lei non estrasse un piccolo oggetto dalla borsetta.

Era un rettangolino di plastica con una finestrella, e in quella finestrella c'erano due linee verticali colorate di rosa.

Nic fu quasi certo di aver capito, ma non voleva crederci. Glielo chiese. «Cos'è?»

«Sono incinta.»

Nic si sorprese incapace di provare qualsiasi emozione per una trentina di secondi almeno. Il tempo che ci volle perché il suo cervello riuscisse ad elaborare ogni singola implicazione di quell'affermazione così semplice.

La prima emozione che provò non fu quella gioia che si vedeva sempre nei film, ma un terrore che gli fece esplodere il batticuore nel petto: la prospettiva di diventare responsabile di un nuovo essere umano gli sembrava un'incombenza talmente gigantesca da essere insopportabile.

Più volte, durante la sua giovane vita, aveva pensato che gli sarebbe piaciuto avere una famiglia, dei figli, ma era sempre stata un'idea astratta e distante, percepita per giunta come irrealizzabile, considerate le sue tendenze.

Era diventata improvvisamente concreta.

E una domanda che non si era mai posto prima si formò nella sua testa: ma sono pazzi, tutti quanti, a fare figli alla leggera? Come fanno? Un essere umano! Un nuovo essere umano la cui vita è la cui felicità dipende unicamente da te!

Gli sembrava un compito insormontabile, e il suo primo desiderio fu scappare. Tapparsi le orecchie, far finta di non aver sentito, far finta che non stesse succedendo a lui ma che stesse succedendo, invece, nel mai luogo. Ma non nel mai luogo delle cose perfette, un mai luogo fatto solo di incubi.

«Qualsiasi cosa vorrai fare, io ti sarò vicino» disse senza crederci davvero, perché ogni angolo del suo cervello era ancora occupato da quel terrore che gli faceva desiderare di non essere lì. Ma evidentemente la sua parte razionale era sveglia, e sapeva cosa avrebbe dovuto dire e cosa avrebbe dovuto fare.

Perché sì, era quella la cosa da fare: essere una persona responsabile e prendersi quella responsabilità.

«Io sono contraria all'aborto» disse secca Elisa. «Quindi lo voglio tenere.»

Nic la prese per mano. «Ne sono felice» mentì.

Un figlio... un figlio! Come farò?  Come fanno tutti quanti? Pazzi!

Un figlio era un'entità non controllabile e piena di incognite. Poteva succedere qualsiasi cosa, è la cosa terribile è che su dieci belle possibilità ce ne erano altre mille brutte, e lui già si sentiva oppresso all'idea che avrebbe sofferto per ogni singola cosa brutta che quel figlio avrebbe passato.

«Non sei contento...» osservò Elisa.

Nic fu sincero: «Ho paura. Se mi vedi turbato è solo perché ho molta paura. Ma ti starò vicino per sempre. Anzi vi starò vicino per sempre. Vi starò vicino.»

«Tu hai paura? E io cosa dovrei dire?»

«Siamo spaventati, penso sia normale, ma passerà la paura e saremo felici, un figlio è una cosa bellissima» disse Nic ripetendo un concetto trito in cui ancora non sapeva se credere o meno.

«Non ho passato il turno, a Roma, per colpa delle nausee» disse Elisa con astio.

«Be', penso che adesso dovresti metterti in pausa e...»

«In pausa? Non ci penso proprio! Finché posso gioco!»

«Ma non farà male a...»

«Il tennis è la mia vita e non posso sacrificare la mia vita per questo figlio. Finché posso gioco» disse lei con un'espressione dura e decisa.

«Non sarebbe meglio se chiedi il parere di un medico?» cercò di farla ragionare Nic.

Elisa sospirò. «Ok, lo farò. Tanto sono sicura che mi dirà di sì. Le donne incinte hanno sempre lavorato, questa attenzione maniacale a tutto quello che facciamo sono cazzate recenti. Ma la mia ginecologa è una femminista vecchio stampo, sono sicura che mi dirà che posso muovermi quanto mi pare.»

Nic capì che Elisa aveva già deciso a prescindere dal parere della sua dottoressa.

***

20 maggio 1992

Nic ed Elisa erano arrivati in Francia con ben due giorni di anticipo – anziché uno come avrebbe preferito Nic per risparmiare sull'hotel – perché lei voleva allenarsi sui campi del torneo, e Nic, che avrebbe preferito allenarsi con qualche collega maschio, aveva ceduto alle implorazioni di lei e trascorso due giornate a farle da sparring.

Elisa aveva detto a Nic di potersi muovere e fare sport intenso senza problemi per i primi quattro mesi. Nic non sapeva se fosse vero, ma l'unica cosa che poteva fare era crederci.

In apparenza, a parte qualche sbalzo di umore e pacchi di vitamine prescrittele dalla ginecologa, nelle sue abitudini di allenamento e alimentazione non era cambiato nulla. Le nausee erano già passate, non aveva più avuto episodi. Nic non sapeva se fosse normale o se Elisa fosse fortunata.

Non era cambiato nulla nemmeno nel suo atteggiamento: se non l'avesse saputo, Nic avrebbe pensato che stava semplicemente passando un periodaccio in cui era un po' più umorale del solito. Non ne parlava mai spontaneamente e quando Nic le faceva domande era evasiva e cambiava discorso.

Nic, al contrario, se ne stava preoccupando costantemente. Aveva giocato un torneo di preparazione prima dello Slam e perso al primo turno perché la sua testa era altrove.

Aveva iniziato a preoccuparsi delle loro finanze, soprattutto.

Le entrate di due giocatori di bassa classifica, considerando poi che Nic stava ancora pagando la penale a Tazio, sarebbero state sufficienti a malapena a mantenere entrambi. Elisa, dopo aver ripetutamente rinnovato il suo contratto, avrebbe terminato i suoi rapporti con l'Accademia a giugno e lei e Nic avevano già trovato l'appartamento in cui avrebbero vissuto insieme in affitto.

Nic aveva trascorso le ultime settimane a cercarne uno più economico (senza trovarlo), ma a prescindere dalle spese di affitto, dovevano fare qualcosa per aumentare i loro introiti, perché altrimenti non sarebbero stati in grado di mantenere un figlio. Elisa, di lì a qualche mese, si sarebbe fermata, interrompendo le proprie possibilità di guadagno, e per giunta a fine anno le scadevano anche i contratti di sponsorizzazione per abbigliamento, scarpe e racchetta: quale azienda avrebbe voluto sottoscriverne uno nuovo a una donna incinta? Nic la stava spronando a cercarlo subito, mentendo persino sul suo stato in modo da poter scucire il miglior contratto possibile, anche perché Nic, purtroppo, non era mai riuscito a trovare nessuna azienda che lo pagasse per usare i suoi prodotti, e il massimo che era riuscito a ottenere, non senza fatica e contrattazioni, era stato la fornitura gratuita del materiale.

E dopo aver partorito, chissà poi per quanto tempo sarebbe stata ferma. Forse non avrebbe più ricominciato: aveva ormai trentun'anni, un'età in cui i tennisti iniziavano a ritirarsi. Lo stesso Nic, che di anni ne aveva ventisette, stava iniziando a vedere l'orizzonte della fine: aveva la fortuna di avere un fisico solido e poco prono agli infortuni, il che forse gli avrebbe un po' allungato la carriera, ma quanto poteva ancora andare avanti? 

Dovevano entrambi cominciare a pianificare la loro nuova vita: gli ex professionisti potevano farsi pagare bene come insegnanti di tennis, e anche se Nic non aveva l'indole e la pazienza necessarie, avrebbe lavorato su se stesso per andare in quella direzione.

Elisa, al contrario, come insegnante era molto brava, per giunta era stata top quaranta e aveva vinto uno Slam in doppio, Nic avrebbe provato a suggerirle di intraprendere subito l'attività di coaching, dopo la gravidanza. Lei poteva persino aspirare a diventare coach di qualche professionista, il che le avrebbe garantito delle potenziali ottime entrate. Ma prima doveva riprendersi fisicamente, poi avrebbe dovuto prendere il tesserino da allenatrice... la strada era lunga e di soldi ne avevano bisogno subito.

Nic, innanzitutto, era determinato a fare meglio possibile lì a Parigi.

Certo, se avessi potuto fare qualche allenamento serio con qualche uomo, e non queste allegre passeggiate con lei...

Stavano palleggiando anche in quel momento, scambi leggeri di riscaldamento in vista del primo incontro di Elisa, che sarebbe iniziato due ore dopo.

Nel tabellone di qualificazione era testa di serie, il che significava un primo turno tranquillo. Ce la poteva fare a qualificarsi, e Nic lo sperava per lei, perché questo poteva essere il suo ultimo Slam; Wimbledon si giocava a fine giugno, tra il secondo e il terzo mese di gravidanza: le cose si sarebbero fatte sempre più difficili per lei, andando avanti, e per giunta sull'erba non era mai stata brava. 

Poi, a fine agosto, il matrimonio.

Ora che c'era un figlio in arrivo, a Nic sembrava un traguardo necessario. Non lo viveva più con dubbio: lei ed Elisa avrebbero stipulato quel contratto che li avrebbe legati per sempre. 

Doveva ancora dare ai suoi genitori entrambe le notizie. Sentiva ancora sua madre circa una volta a settimana. Chissà che contenti che sarebbero stati. Ma l'idea che lo fossero amareggiava Nic quasi più di una sconfitta. Forse perché, in un certo senso, lo era: sognavano entrambi, in modo diverso, un figlio normale; e cosa c'era di più normale di sposarsi e avere un figlio?

Arrivò l'ora del match.

Elisa entrò in campo col suo solito portamento fiero, il suo vestitino bianco della Sergio Tacchini (aveva sempre vestito di bianco, per tutta la carriera, rifiutando la nuova moda colorata degli anni Ottanta) e una linea snella da cui ancora non si intuiva il minimo segno di gravidanza.

Nic fece il tifo per lei dai gradoni del campetto secondario in cui giocava.

Ma perse.

Perse molto male non per problemi fisici ma per tensione. Fece errori su errori di "braccino", come si diceva in gergo, e andò più volte in confusione tattica.

Dopo aver stretto la mano all'avversaria scoppiò a piangere.

Nic scese subito dagli spalti, le andò incontro nel corridoio di uscita, la abbracciò. «Dai, coraggio» le disse.

«Dobbiamo andare in Inghilterra» disse lei ancora singhiozzante.

Nic rimase spiazzato. «C-cioè? Quando? Perché?»

Elisa tirò su col naso e disse tra i denti, osservando un punto indefinito davanti a lei: «Andiamo a prepararci subito all'All England, per giocare al meglio sull'erba e mi qualifico a Wimbledon. Magari riesco a fare abbastanza punti nei tornei di preparazione ed entro in tabellone di diritto. Ho pochissimi punti da difendere, posso farcela!»

«Non è meglio se i punti che ti servono cerchi di farli in qualche challenger su terra?»

Elisa alzò la voce: «E poi così sull'erba faccio la solita figura di merda?»

«Eli, ma non abbiamo i soldi per stare un mese in Inghilterra!»

«Chiedo a Tazio se può coprirci almeno parte delle spese.»

Nic le mise una mano sulla spalla e la spinse dolcemente per liberare il passaggio nel corridoio d'uscita. «Con l'Accademia chiudi a fine mese e secondo te Tazio...»

«Proprio perché questo è il mio ultimo mese potranno anche farlo un piccolo investimento finale su di me!» sbottò lei con la voce rotta.

Nic sospirò. Come poteva rovinare così la sua ultima possibilità di Slam? «Ok» cedette. «E io ti giuro che ce la metto tutta per vincere e guadagnare un po' di soldi qui.»

Elisa annuì e accennò un sorriso.

***

Giugno 1992

Nic ed Elisa erano stati costretti a chiedere un piccolo prestito in banca per finanziare il loro folle soggiorno inglese.

Le cose in Francia erano andate malissimo: Nic era stato sorteggiato in tabellone nientemeno che con Korda, che poi era arrivato in finale al torneo: il divario che li separava era troppo ampio, la sconfitta era stata cocente ed era sfumata, così, un'ottima prospettiva di guadagno. 

Tazio, da uomo pragmatico qual era, si era rifiutato di finanziare le spese di vitto e alloggio e si era limitato a provvedere al mese di iscrizione all'All England Club: «E consideralo un favore speciale per un'allieva a cui tengo molto e che mi ha dato tanto. Non l'avrei fatto per nessun altro.»

Il fisico di Elisa ancora sopportava bene i carichi di lavoro, ma sull'erba era proprio scarsa: il suo stile tattico si adattava meglio alle superfici lente. Ce la stava mettendo tutta, però, allenandosi sempre con Nic che stava praticamente sacrificando la propria preparazione per regalare a lei quell'ultimo sogno. 

Per risparmiare dormivano da coinquilini in una casetta abitata dalla stessa proprietaria, una ricca signora di mezza età appassionata di tennis che aveva fatto loro un prezzo di favore in cambio di pettegolezzi. Nic, che ancora era piuttosto basilare nel suo uso dell'inglese, lasciava parlare Elisa e ne approfittava per far pratica di ascolto.

Almeno questa cazzata mi  torna utile come vacanza studio... pensò amaramente durante una cena con la signora.

Nic lasciò Elisa da sola due volte, durante quel mese, per andare a giocare due Challenger su erba in altre città inglesi, sperando di racimolare qualche punto e soldo, ma ottenne solo una vittoria e guadagni molto magri.

Anche Elisa giocò qualche torneo, non vincendo nemmeno un incontro. Nic si trattenne dal recriminare sulla possibilità di fare i punti che le servivano restando in Italia e giocando sulla terra.

«Oggi ti ho proprio fregato con quel dropshot, eh?» gli disse lei una sera, mentre giacevano insieme a letto. Sembrava più allegra del solito.

«Tu mi freghi sempre coi dropshot. Hai il dropshot più bello e letale della WTA.»

Elisa sorrise al complimento, mentre Nic ricordava con amara nostalgia un altro dropshot ancora più bello: quello di Raffaele.

Chissà dove sei, Raf... cosa fai...

«Sarà il mio trionfo, questo Wimbledon, vedrai!» disse lei.

Nic si risvegliò dai propri sogni a occhi aperti. «E sulla base di cosa lo dici? Non hai vinto neanche una partita di preparazione!»

Era stato troppo duro? Aveva la tendenza a essere sincero con gli altri quanto lo era con se stesso. 

Elisa mise su una faccia cupa. «Mi aspetto che almeno mio marito mi sostenga.»

«Ma ovvio che ti sostengo, altrimenti non avrei fatto un mutuo per venire qui.»

«Me lo stai mica facendo pesare? Sono anche soldi miei che mettiamo in gioco! E se non fosse stato per me avremmo dovuto pagare anche il mese di allenamenti al Club!»

Se non fosse stato per te non saremmo venuti qui in primo luogo, pensò Nic senza dire nulla.

Elisa, come se avesse già dimenticato il piccolo screzio, stava di nuovo mostrando l'espressione sognante di prima. «Vedrai come le anniento, le tipe delle qualifiche! Le voglio intimorire con la mia bellezza. Ne ho vinti parecchi di incontri, in questo modo, sai?»

Nic non seppe come commentare quell'affermazione assurda che non aveva mai sentito uscire dalla sua bocca. Ebbe quasi il sospetto si trattasse di una battuta.

Elisa tirò su la maglietta del pigiama e si accarezzò il ventre. «Guarda come sono ancora perfetta! Non si vede proprio niente!»

***

17 giugno 1992

Come previsto, Elisa perse al primo turno. Non senza lottare, riuscì a strappare un set all'avversaria. Ma era fuori e il suo pianto a fine incontro fu inconsolabile.

«Ma cosa ho fatto di male, nella vita, per meritarmi questa disgrazia?! Proprio adesso che stavo ricominciando a salire la classifica! Porca puttana, dovevi proprio venirmi dentro?!»

Nic non ribatté, anche se l'accusa di Elisa gli sembrò ingiusta. Lei aveva sempre insistito, sempre, sin dai primi tempi della loro relazione, perché lui le venisse dentro. «Mi piace di più, mi fa godere di più» gli aveva detto diverse volte. E quando Nic le aveva espresso la preoccupazione di poterla mettere incinta, lei gli aveva risposto: «Non preoccuparti, a quello ci penso io.»

Certo, forse Nic avrebbe potuto indagare un po' meglio su cosa intendesse dire, lei, con quella frase. Aveva deciso di fidarsi forse con leggerezza. Ma a ogni modo, pensava che la responsabilità maggiore fosse di lei, considerando ciò che gli aveva sempre detto.

Vedendola così sconvolta, decise invece di dirle qualcosa di diverso: «Se questa cosa ti fa stare tanto male, sei ancora in tempo per abortire.»

Non avrebbe potuto fare errore più grave. «Ah, quindi vuoi lavartene le mani! Brutto stronzo! Ma come cazzo puoi propormi una cosa simile? Lo sai cosa significa abortire per una donna? Brutto stronzo pezzo di merda! Vi starò sempre vicino? Bugiardo ipocrita! In realtà tu vuoi ammazzarlo, questo bambino!»

Nic le chiese subito scusa, dicendo e ripetendo che lo aveva suggerito soltanto per lei, perché la vedeva soffrire così tanto. Ma mentre lo diceva, nella sua testa, fece un esame di coscienza: era completamente vero? L'idea di avere un figlio ancora lo spaventava molto, quanta parte di questa paura era entrata in gioco nel suggerire a Elisa quel passo così drastico? Non era stato mai molto bravo ad analizzare le proprie emozioni. Non ci riuscì nemmeno quel giorno, e l'amarezza di quello scambio sgradevole rimase a inquinare le loro interazioni per parecchi giorni, anche dopo il loro ritorno in Italia.

***

26 giugno 1992

Arrivò quindi il giorno In cui si trasferirono nella loro nuova casa, un bilocale situato subito fuori dalle mura.  Erano rimasti a vivere lì a Bologna perché Elisa non voleva tagliare i ponti con Tazio: lui le aveva detto che sarebbe stata sempre la benvenuta se voleva allenarsi nelle strutture dell'Accademia. Ma Nic iniziava a pentirsi di quella decisione che, in un primo momento, era sembrata entrambi la più logica.

Nic non era riuscito a trovare un appartamento più economico. Aveva scoperto che gli affittuari erano molto restii a dare case in affitto a giovani coppie, perché sfrattare un affittuario insolvente era complicato se quell'affittuario era un'unità familiare con figli.

I soldi continuavano essere un problema, anzi, erano un problema ancora più grande dopo tutte le spese che avevano sostenuto per stare un mese in Inghilterra.

Nic, quindi, aveva deciso di proporre a Elisa di parlare con Tazio della sua situazione. Tazio la stimava moltissimo come professionista e Nic era certo che sarebbe stato felice di assumerla in accademia come insegnante.

«Perché dovrei fare l'insegnante? Io sono una tennista. Sono ancora una tennista. Anzi, stavo pensando di rimandare il matrimonio e prepararmi per giocare gli US Open.»

«Cooosa?! Ma sei impazzita? A fine agosto? Sarai quasi al quinto mese, avrai il pancione che comincia a vedersi, e a parte questo, ma come pensi di poter giocare con il peso che avrai e...»

«Smettila di dirmi cosa posso o non posso fare! Il peso posso anche tenerlo sotto controllo mangiando un po' meno.»

Quella frase sconvolse Nic al punto da fargli mettere le mani tra i capelli e alzare la voce: «Ma non ci pensi al bambino? Credi che gli faccia bene se stai a dieta?!»

«Perché parli al maschile? Secondo me è una femminuccia...» disse lei cambiando repentinamente tono ed espressione, e mettendo una mano sul ventre.

Anche quel cambio improvviso di umore e argomento lo spiazzò. Si fece trascinare dal non sequitur. «Parlavo al maschile in generale, come faccio a sapere se è maschio o femmina?»

«Siamo tutti e due belli, secondo me verrà su una ragazza bellissima. Alta, magra... Mi piacerebbe se prendesse la mia bocca e i tuoi occhi...» Disse lei con lo sguardo sorridente e perso nel vuoto.

Nic tornò sui binari del discorso. «Eli, gli US open non li puoi giocare. E non te lo sto dicendo perché sono io che non voglio, te lo sto dicendo perché non si è mai sentita una donna incinta di quattro mesi e mezzo che partecipa a una competizione sportiva, che non siano forse freccette o qualche cazzata simile!»

«E io sarò la prima!» gli gridò in faccia lei.

Nic capì che in quel momento non ci si poteva ragionare, e decise di rimandare la discussione.

***

27 giugno 1992

Non passò nemmeno un giorno, però, che Nic decise di fare di testa sua. Andò a parlare con Tazio.

«Elisa è incinta» gli disse senza giri di parole.

Tazio spalancò gli occhi. «È tuo?»

Nic annuì.

«Sei passato alla nostra sponda?»

«Sì» mentì, «ma non è di questo che volevo parlare. Abbiamo bisogno di soldi.»

«E vuoi che ti cancello il debito...» concluse lui.

«No» rispose Nic secco. «Non vado in cerca di carità. Ti volevo chiedere di parlare con lei e farla ragionare. Tu saresti interessato ad assumerla come insegnante? All'Accademia?»

lo sguardo di Tazio si illuminò. «Ma ovvio che sarei interessato! Non sai quante volte gliel'ho proposto: Eli, rimani qui ed entra a far parte del mio staff.»

Nic si stupì che Elisa non gli avesse mai detto niente.

«Ma lei era fissata che voleva continuare a giocare.» Tazio si strinse nelle spalle. «Con tutti i problemi fisici che aveva, non so quanto sarebbe durata... Un anno forse? Ho deciso di non insistere, di lasciarla giocare ancora per un annetto o due, e di riproporglielo quando si sarebbe ritirata.»

«Be', direi che quel momento è arrivato.»

«Dopo che partorisce e allatta, la assumerò molto volentieri» disse Tazio.

«Non puoi assumerla subito?»

Tazio storse la bocca. «Mi dici che non vuoi la carità, però adesso pretendi che le do un anno di stipendio gratis? A che mese è? Per quanto tempo potrebbe lavorare?»

«Be', scusa, ma le donne incinte hanno dei diritti lavorativi, no? Il discorso si sarebbe posto lo stesso se l'avessi assunta che non era ancora incinta e restava incinta, mettiamo, dopo un mese...»

«Sì, sono consapevole che quando assumi una donna ti prendi quel rischio, ma lei in questo momento è già incinta. E ti rendi conto che mi stai chiedendo di assumermi una perdita? Te l'ho detto: quando avrà finito il periodo di maternità, la accoglierò a braccia aperte e le darò anche una buona paga.»

Nic si diede dello stupido. «Quindi sono stato un coglione a dirtelo... Potevo far finta di niente e convincerti ad assumerla. E mettertela in quel posto.»

«Non l'hai fatto perché sei una persona onesta. È un tratto del tuo carattere che ho sempre ammirato molto. Ma è anche una cosa che spesso ti si ritorce contro...» Tazio sospirò. «Ok, senti... Ti propongo un compromesso, e te lo sto proponendo, perché da un lato penso sia un investimento giusto su una donna che stimo tantissimo, e dall'altro voglio premiare la tua onestà. Le faccio un contratto part-time, e le pagherò lo stipendio part-time anche durante la maternità. E poi posso assumerla anche full time e le aumento la paga. Ti devo ricordare che non sono l'unico proprietario dell'Accademia, siamo una società e devo rendere conto anche ai miei soci degli investimenti che decido di fare.»

Nic avrebbe voluto piangere dalla gioia. «Grazie!»

***

28/29 giugno 1992

Elisa passò almeno dieci minuti a insultare Nic al suono di: «Come cazzo ti sei permesso di parlare con Tazio al posto mio?!»

Lo accusò di odiarla e volerle mettere i bastoni tra le ruote, e Nic tentò invano di farla ragionare sul fatto che avevano un bisogno disperato di un'entrata in più.

Dopo che il litigio si concluse con un silenzio ostinato di Elisa, Nic, solo al tavolo della cucina, mentre lei già dormiva in camera da letto, si mise a fare qualche calcolo, carta e penna in mano. Se lui avesse ricominciato a giocare con regolarità, al ritmo con cui vinceva prima degli ultimi due mesi di caos, i suoi introiti medi gli avrebbero consentito di pagare affitto e bollette e poco più. Era una situazione Insostenibile. I risparmi in banca di Nic erano stati prosciugati per finanziare il soggiorno inglese, e adesso, per giunta, avevano sul groppone anche le rate del prestito (senza contare la penale di Tazio, che Nic aveva già inserito nei suoi calcoli). Elisa aveva qualche investimento in buoni postali, ma se li avesse disinvestiti subito, maturando degli interessi ridicoli, si sarebbero ritrovati al punto di partenza dopo un paio di mesi.

Inoltre, le entrate di Nic potevano interrompersi in maniera imprevista da un momento all'altro se lui si fosse infortunato, o se avesse continuato a perdere a causa delle preoccupazioni che gli impedivano di concentrarsi a dovere durante gli incontri. 

Era un lavoro troppo aleatorio. Doveva smettere di giocare a tennis, trovare un posto fisso e sicuro, con un'entrata più alta. Ma cosa poteva fare? Aveva un mediocre diploma di ragioneria preso con un voto mediocre, poteva fare forse il portacarte, oppure l'operaio, lavori di manovalanza, e la sua paga sarebbe stata paragonabile, se non persino inferiore a quella che otteneva giocando.

Decise di provare di nuovo con Tazio. Il giorno dopo, tornò da lui in accademia e gli fece un'altra proposta: «Saresti mica interessato ad assumere me come allenatore?»

«No» fu la secca risposta di Tazio.

«Perché no? Sono stato top cento, lo sono ancora, a dire il vero.»

«Non basta quello per fare un allenatore bravo. Tu non hai proprio l'indole per diventare un coach, sei troppo rigido e non ci sai fare con le persone. Mi dispiace. E poi prima dovresti prendere il tesserino FIT, ti ci vorrebbe un anno per farlo.»

«Lo so, ma non posso servirti in nessun modo, qui dentro, nel frattempo?»

«No, mi dispiace. Non abbiamo bisogno di nuovo personale, al momento. Assumerei volentieri un nuovo coach, come ti avevo detto, avrei preso Elisa e mi sarei occupato personalmente della sua formazione in attesa che prendesse il tesserino, e nel frattempo l'avrei messa ad allenare di straforo i ragazzini.»

«I ragazzini posso allenarli di straforo anch'io...» cercò di insistere Nic.

«Nico, mi dispiace, mi stai chiedendo di fare un investimento completamente insensato. Siamo un centro di eccellenza, non posso prendere gente a caso. E non credo che tu abbia la stoffa giusta per diventare un allenatore.»

«Ti ho già smentito una volta sulle mie capacità.»

«E allora fallo di nuovo: dimostrami che sei in grado di allenare e magari ci faccio un pensierino.»

«Ma a me il posto servirebbe subito.»

«Prova ad andare a parlare con qualche circolo, lì col tuo curriculum ti assumono di sicuro, vedrai.»

***

9 luglio 1992

Nic aveva giocato un torneo 125 in Italia al massimo delle proprie capacità ed era arrivato in finale. Ma non fu una grande boccata d'aria per le loro finanze: aveva dovuto sobbarcarsi le spese di viaggio e l'hotel convenzionato col torneo non era del tutto gratuito, solo scontato. Si era poi iscritto ad un altro torneo, prima del matrimonio. Fine luglio. Era un 250 su terra, in Austria. Nic avrebbe dovuto giocare le qualificazioni. Era un rischio, ma un rischio che poteva pagare bene, perché i premi in denaro per i tornei del circuito maggiore erano più alti. Si era iscritto sia al singolare che al doppio, negli ultimi anni aveva diminuito parecchio le sue partecipazione ai tornei di doppio, per concentrarsi sul singolare, in cui era più bravo. Ma se avesse voluto continuare a giocare, doveva smettere di fare lo schizzinoso e puntare ad aumentare più possibile le sue potenziali entrate.

Non sarebbe bastato, però, e messo alle strette Nic, in attesa di trovare un posto fisso in qualche circolo di tennis, che gli consentisse, magari, di continuare a giocare qualche torneo di tanto in tanto, si trovò costretto a fare qualcosa che non avrebbe mai voluto fare: chiedere un aiuto finanziario ai suoi genitori.

Chiedere aiuto alla madre di Elisa, dopo che aveva rotto con la figlia e con tutti i problemi finanziari che continuava ad avere a causa dei debiti del padre, era fuori discussione. I genitori di Nic erano gli unici che potevano aiutarli.

Avrebbe approfittato di quella telefonata per dar loro entrambe le notizie, che ancora non aveva avuto il coraggio di dare. Perché non l'aveva fatto? Nic se l'era chiesto diverse volte, senza sapersi dare una vera risposta. C'era una parte di lui che si sentiva sconfitto, che non voleva dare la soddisfazione a suo padre di avere in qualche modo vinto, di essere riuscito a fargli "cambiare idea", come gli aveva promesso quel giorno di tanti anni prima quando lo aveva sorpreso con Leonardo.

Al telefono rispose, come al solito, la madre. «Nico, finalmente! Erano due settimane che non chiamavi e mi ero preoccupata!» La voce della madre, nel corso degli ultimi due anni, si era molto affievolita. Era diventata roca come quella di una vecchietta. Nico non la vedeva di persona da quando avevano cenato insieme, a ritorno da Bovec, quattro anni prima. Già all'epoca l'aveva trovata molto invecchiata, chissà com'era adesso.

A Nic non piaceva cincischiare, perciò decise di affrontare subito l'argomento, tagliando corto sui convenevoli. Decise di metterla giù nei toni più positivi e allegri possibile. «Ti devo dare due belle notizie, mamma.»

E gliele diede. Una dopo l'altra, e a ognuna di esse la madre emise dei gridi, delle esclamazioni in friulano, che suonarono lamentose e tragiche alle orecchie di Nic, e la sua voce era rotta dal pianto: «Nico! Nico! Ma che bello! Finalmente! Finalmente! Jacum, ven câ! Ven a sintì!»

Nic senti la voce del padre borbottare in sottofondo, E quando sua madre gli spiego cosa stava succedendo lo sentì gridare: «Çeeee?!»

I suoi genitori discussero per un po', con Nico in linea che si sentiva sempre più a disagio, mentre loro due sembravano molto increduli e molto felici.

Fu il padre a riprendere in mano la cornetta. «Finalmente! Finalmente hai deciso di mettere la testa a posto» gli disse in un tono molto serio. Per fortuna ebbe il buon gusto di non dirgli che gli aveva fatto cambiare idea: Nic era terrorizzato di udire quelle parole.

«Ovviamente siete invitati al matrimonio. Lo facciamo qua a Bologna. E sono invitate anche la Grazia e la Fulvia.»

«Naturale che le inviti! Siamo la tua famiglia. E il nonno?»

«È ancora vivo? È proprio vero che l'erba cattiva non muore mai.»

«Porta rispetto per i vecchi!»

«Se vuoi portare un vecchio decrepito a duecento chilometri da casa sua solo per fargli tenere il muso, bon, fallo» tagliò corto Nic. «Comunque sono contento di parlare con te perché a te volevo chiedere anche un'altra cosa.»

«Tu sei buono solo di chiedere favori, eh?»

«Abbiamo bisogno di soldi.» Nic spiegò succintamente la situazione a suo padre, che ascoltò tutto senza fiatare. «Prenderò il patentino e troverò un lavoro fisso, ben pagato in un buon circolo, e tra un annetto anche Elisa inizierà a lavorare, ma intanto che ci sistemiamo abbiamo bisogno di aiuto» concluse.

«Vi aiuto volentieri» disse il padre. Nic non poté dire di essere sorpreso: finalmente il suo unico figlio maschio tornava sulla retta via, ovvio che fosse felice e ben disposto. 

Fu sorpreso, però, da ciò che il padre disse dopo. «Ma se vuoi che ti aiuto, torni a Capriva.»

«Oh... be'... sì, ovvio che veniamo a trovarvi più spesso, e...»

«No, no, no, signorino. Dopo tutte le volte che mi hai fregato, secondo te io mi fido che vuoi usare i tuoi soldi per questo? E quel tuo amico drogato, dov'è? Tu e l'Elisa venite a stare qua, così risolvete il problema dell'affitto. La casa è grande abbastanza: la Grazia studia a Milano, la Fulvia convive col suo moroso a Gorizia.»

Nic strinse i denti. «E magari prendo anche la guida dell'azienda...»

«No, quel treno ormai l'hai perso. L'azienda la sta tirando in avanti la Fulvia, e abbiamo avuto fatturato record l'anno scorso, grazie a lei. Abbiamo comprato non so quanti ettari di nuovi campi.»

Nic rimase zitto ad ascoltare, si stupì che sua madre non gli avesse mai detto niente, se non le solite frasi fatte tipo «la Fulvia è tanto brava.»

«Puoi continuare a giocare a tennis, se vuoi. Sei ancora giovane, vedo gente che a trenta, trentuno anni gioca ancora... Io son contento se vinci qualche altro torneo» proseguì il padre.

«No. Allora rinuncio al tuo aiuto» rispose secco Nic. «Non voglio ricominciare a farmi il sangue amaro per le tue cattiverie e...»

«La mamma ha un brutto male.»

Nic rimase zitto per parecchi secondi, mentre in sottofondo sentiva la voce della madre lamentarsi in friulano, e no, Jacum, non dovevi dirglielo, ma cosa dici, ma non è vero, ma esagerato, ma adesso si preoccupa...

«Non... dici... l'operazione all'anca?» chiese Nic.

E subito dopo averlo detto pensò le stesse identiche parole che il padre pronunciò: «Non era un'operazione all'anca.»

Il padre gli spiegò la situazione, la malattia, che alla madre restavano pochi mesi di vita e forse non sarebbe nemmeno riuscita a vedere la nascita di suo nipote. «Torna qua e fai contenta quella povera donna per l'ultima volta in vita sua. Tienile un po' di compagnia.» 

Nic fu disgustato dal modo in cui suo padre stava cercando di ricattarlo emotivamente usando la madre. Ma del resto non era la prima volta che lo faceva, era una sua tattica abituale.

Solo che questa volta, Nic non poteva permettersi di resistere, a quel ricatto. Gli chiese di passargli la madre.

«Il papà sta esagerando» disse la madre al ricevitore, prima ancora che Nic potesse parlare.

«Come stai, mamma? E dimmi la verità, stavolta.»

«Sto facendo delle cure, sai, queste cure sono sempre un po' brutte, ti fanno stare male, ma non ti devi preoccupare. Fai la tua vita con l'Elisa, tesoro. Quand'è che hai detto che ti sposi? A metà agosto?»

«Perché non mi hai detto niente?»

«Non volevo farti preoccupare, ninìn. Il papà ha esagerato...»

«Me lo puoi ripassare?»

Il padre tornò al ricevitore.

«Chi la sta assistendo?» gli chiese.

«La Fulvia e la Grazia si stanno dando il cambio» disse il padre.

«La Grazia non avevi detto che sta a Milano?»

«Faceva avanti indietro all'inizio, ma son quattro mesi che è qua fissa.»

Nic si ripromise di fare un discorso alle sue sorelle, per chiedere loro perché non gli avessero detto niente. «Non avevo dubbi che tu non stessi facendo un cazzo» gli disse.

«Ma cosa dici! Con i miei soldi le ho pagato le migliori cure possibili! L'ho portata in macchina avanti e indietro fino ad Aviano! L'avrei portata fino in America, se fosse servito a qualcosa!»

«I tuoi soldi che adesso ti sta facendo guadagnare la Fulvia» disse cupo Nic.

«I miei soldi che ti manterranno a te, a tua moglie e a tuo figlio» fu la sua risposta piccata e poco logica.

«Anche se tu non lo consideri un lavoro da uomo, questi ultimi mesi la mamma la assisterò io. La assisto giorno e notte, se serve. E hai vinto. Torniamo a Capriva. Hai ragione, è la cosa più logica, è la cosa più semplice. È inutile che continuo a comportarmi come un ragazzino senza responsabilità. Adesso una responsabilità ce l'ho, e la cosa più responsabile che posso fare e tornare lì, alleggerirmi delle spese di affitto in modo da poter usare i miei soldi per dare tutto il meglio a mia moglie e a mio figlio. Spero che Elisa sia d'accordo. E se è d'accordo, faremo così.»

«Bravo. Finalmente sei cresciuto e hai capito qual è la cosa più importante nella vita: la famiglia.»

Nic chiuse la chiamata.

Si era ammazzato di sacrifici per scappare dal buco di culo del mondo.

Aveva realizzato il suo sogno di girare il mondo e allargare la sua vita. Non era stato sfavillante come l'aveva immaginato, di felicità ne aveva avuta poca, di amarezza e sofferenza anche troppe. Ma si era preso le sue soddisfazioni e aveva dimostrato di potercela fare contro tutte le previsioni. Poteva dirsi soddisfatto.

Adesso doveva tornare indietro, ma decise di non viverla come una sconfitta. Nic era una persona adulta, e gli adulti sapevano che la vita era fatta di compromessi, che le cose non andavano mai esattamente come si voleva.

Lui non era Raffaele. Lui non credeva nei mai luoghi. Lui credeva nella realtà, nelle difficoltà e nella necessità di affrontarle con responsabilità.

Sarebbe tornato indietro, e avrebbe fatto tutto ciò che gli era possibile per rendere felici sua moglie e suo figlio.

Note 🎶 

E siamo finalmente giunti al momento che i lettori di Play aspettavano e i non lettori dalle orecchie lunghe temevano.

Ora, chi tra i non Playani dalle orecchie corte vorrà mandarmi a quel paese giuro che non mi offendo, perché a me, nei romanzi, non c'è cosa che mi smosci di più la lettura della prospettiva di un figlio in arrivo. La morte di qualsiasi avventura! Mi smosciano persino quando arrivano nell'epilogo (sì, sto parlando con voi, JK Rowling e Suzanne Collins).

(E la cosa strana è che invece adoro le storie che raccontano rapporti genitore-figlio interessanti, ANGST, tsundere e compagnia, ma col figlio già adulto)

Comunque, questo è un romanzo di formazione e questa paternità sarà un passaggio chiave della vita di Nicolò. Un passaggio con cui ho cercato di non uccidere le avventure, ma di renderle solo un po' più complicate. Un passaggio che ho scritto pensando di avere una me stessa  lettrice che impreca contro me stessa.

Poi, non dimenticate che in Friuli vive ancora un certo fisarmonicista col nasone, mmm...

Ci rileggiamo giovedì, e lasciatemi una stellina per ogni spermatozoo battuto in velocità dallo spermatozoo fecondatore che renderà Nic padre.

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