59. Non riusciva a parlare

L'altro giorno ho trovato una scusa
Per potergli parlare
"Ehi Luca ne è passato del tempo!"
"Sì, va be', ma adesso lasciami andare..."
E non credevo di essere stato violento
Ma ha cominciato a tremare
Mi ha guardato con lo sguardo un po' spento
Non riusciva a parlare

(L.Carboni, Silvia lo sai?, 1987)

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4 maggio 1989

Non avevano più notizie di Raf da fine febbraio. Nic aveva perso cento posizioni in classifica.

Dopo la notte di Natale, Raf aveva trascorso qualche settimana a Bologna, dormendo in hotel. Nic l'aveva visto saltuariamente. Raf gli aveva spiegato finalmente il motivo della sua fuga da Bologna: in quella città c'erano troppe tentazioni, troppe preoccupazioni. Non aveva voluto spiegarsi in modo più chiaro. A Natale però aveva deciso di tornare per stare un po' coi suoi vecchi amici.

In quelle settimane natalizie aveva frequentato soprattutto Vika, ed era quasi sembrato che la loro relazione fosse sul punto di ricominciare.

Poi Raf era tornato a Roma, e lui e Nic si erano sentiti per un periodo al telefono, come sempre. Ma le telefonate si erano fatte via via più rare fino a sparire del tutto. Lo stesso era accaduto con Vika.

Tutti pensavano al peggio.

Nic aveva parlato lungamente al telefono sia con la madre che con il padre di Raf. Dal padre aveva scoperto che Raf da parecchi mesi non vedeva medici o psichiatri e non prendeva più i suoi psicofarmaci. Dalla madre aveva saputo che Raf era andato a vivere con una ragazza. Chi fosse questa ragazza la madre non aveva voluto dirlo, Nic non sapeva se non lo sapesse nemmeno lei, o se si vergognasse del tipo di ragazza che il figlio aveva scelto di frequentare.

L'unico motivo per cui Tazio non aveva cacciato Nic dall'accademia era che Nic stava riuscendo a tenere nascosta la ragione del suo calo di prestazioni. Raf non era nei paraggi e Nic aveva inventato problemi in famiglia. L'allenatore era nervoso, però, e aveva fatto capire più volte a Nic che dal suo punto di vista il ragazzo stava tirando la corda, e che quella corda era sul punto di spezzarsi.

Ad aprile, Nic si era iscritto a un torneo della Challenger series a Roma, con l'unico scopo di andare in cerca di Raf. E a quel torneo aveva persino vinto, dopo una serie lunghissima di sconfitte, un paio di turni, motivato unicamente dal desiderio di restare in città il più possibile.

Aveva visto per la prima volta la casa d'infanzia di Raf, un vero e proprio villino nobiliare; la madre di Raf era stata abbastanza ostile e non l'aveva fatto incedere più in là dell'atrio, ma Nic era finalmente riuscito a strapparle l'identità della ragazza con cui Raf era andato a vivere. Si trattava di un'artista, una pittrice che viveva nel quartiere di San Lorenzo. Nic, con in mano solo il suo nome e cognome, si era recato in quel quartiere a lui sconosciuto, e che differenza rispetto al villino centrale della contessa! Quel posto era povero, abitato per lo più da studenti, attivisti politici di sinistra, artisti. Nic aveva fatto il nome della ragazza a ogni singola persona incontrata per strada, era stato accolto con diffidenza, con ostilità persino, un ragazzo aveva avuto da ridire sulla sua tuta da tennis, gli aveva dato del ricco borghese e lo aveva invitato ad andarsene «ai Parioli». Ma alla fine Nic era riuscito a scoprire quale fosse la casa in cui viveva la pittrice.

Quando vi era entrato, aveva trovato una conferma a tutti i suoi peggiori timori: quell'appartamento era una specie di comune, un covo di balordi e di drogati. 

Raf e la pittrice non vivevano più lì, e gli altri inquilini erano dei tipi talmente stonati che non avevano saputo dire a Nic da quanto tempo si fossero trasferiti, figurarsi dove.

Uno di loro, però, aveva consegnato a Nic due cose lasciate indietro da Raf: una felpa della Fila, che era ancora il suo sponsor nonostante in classifica fosse ormai sceso molto più in basso di Nic, che uno sponsor ancora non l'aveva; e un quaderno. Un piccolo quaderno con la copertina nera. Uno dei quaderni di poesie di Raf. Nic l'aveva preso, senza avere il coraggio di aprirlo subito.

Lo aveva fatto solo di sera, in albergo. Aveva deciso di violare i segreti dell'amico sperando di poter trovare, tra quei segreti, qualche indizio che potesse aiutarlo. 

Raf gli aveva fatto leggere una sola delle sue poesie. Poi gli aveva detto di aver smesso di scriverne. Quello che Nic trovò su quel quaderno non erano poesie, non propriamente. Erano pensieri. Parole sconnesse. Deliri di un pazzo.

L'unica pagina ordinata era la prima. Completamente bianca, tranne che per una singola frase scritta a penna proprio in centro: 

C'è un'unica felicità nella vita: amare ed essere amati. 

George Sand

Nic avvertì una stretta al cuore. Ricordava bene quando Raf aveva citato per la prima volta quella massima: Nic gli aveva appena confessato il suo momento di felicità più grande, il suo attimo di amore ricambiato con Leonardo. Rileggendola lì, su quel quaderno, si pentì di avergli fatto quella confessione: era stato lui a mettergli in testa quelle idee? L'obiettivo malato di trovare la propria realizzazione nell'amore, in qualcosa impossibile da controllare?

Cercò di non pensarci, inghiottì il senso di colpa.

Il resto delle pagine era pura confusione. Alcune erano piene di sgorbi talmente fitti da risultare illeggibili, altre erano cancellate, altre ancora strappate, altre erano ripetizioni ossessive della stessa parola, e Nic soffrì immaginando Raf che le scriveva sotto l'effetto di chissà quale sostanza.

Tutto era dominato da un'atroce pulsione di morte.

Alcune pagine contenevano il nome di Vika, pensieri strazianti su di lei. Nessuna riportava il nome di Nic. Vi era un breve testo, però, in cui a Nic parve di riconoscersi. 

È una roccia, uno scoglio a cui cerco sempre di aggrapparmi per non affogare. Duro come tutti gli scogli, scivoloso come tutti gli scogli. Ogni tanto cerco di scalfirlo, di portar fuori Il magma morbido, incandescente. Io lo so che dentro lui è luminoso, incandescente, una fiamma, un incendio. Ma fuori è scoglio. Duro come tutti gli scogli, scivoloso come tutti gli scogli. Fammi toccare, fammi bruciare, fammi toccare, fammi bruciare,...

Lo scritto ripeteva queste parole fino a riempire ogni spazio bianco rimanente nel foglio, correndo persino in verticale, un po' in corsivo, un po' in stampatello.

Sono io quello scoglio?

Nic non voleva essere troppo egocentrico nel riconoscervisi, ma le metafore erano calzanti. E Raf gli aveva detto più di una volta: tu sei una roccia, Nic.

Nic aveva riletto quel quaderno fino allo sfinimento, da quel giorno di metà aprile, e a inizio maggio Raf ancora non era stato trovato.

Appena tornati a Bologna Nic aveva fatto una denuncia di sparizione, ma i carabinieri avevano risolto la questione nel giro di una giornata  informando Nic e Vika del fatto che: «Il signor Novelli è a casa di suo padre Augusto, a Roma.»

Ma sentito il padre al telefono, con un po' di speranza e un po' di rabbia nel cuore, Nic aveva scoperto che si trattava di una menzogna.

E aveva persino ricevuto delle minacce legali dal notaio. «Signor Bressan, non si permetta mai più di chiedere alla polizia dove si trova mio figlio. Lei si rende conto, vero, che se la polizia lo trova in possesso di stupefacenti lo arresta? Io non posso permettermi di avere uno scandalo simile in famiglia, le notizie di lui in comunità sono già state un grosso danno d'immagine per lo studio. Perciò se lei si azzarda un'altra volta a fare una cosa simile la faccio pentire di essere venuto al mondo, la sommergo di cause. E non si preoccupi che una scusa per denunciarla la trovo.»

Nic era rimasto scioccato di fronte a tanta spietata freddezza. «Ma a lei gliene frega qualcosa di suo figlio? Non si preoccupa nemmeno un po' per lui?»

«Ho smesso di preoccuparmene quando ho capito che era una causa persa.»

Nic, disgustato, si era rifiutato di discutere oltre con quell'uomo che un tempo gli era sembrato gentile.

E allora, non sapendo più cosa fare, in preda alla disperazione, aveva mollato tutto ed era tornato a Roma, per cercare informazioni su quella ragazza e su Raffaele.

Fu così che la mattina del quattro maggio si presentò nell'ufficio di Tazio. «Devo andare via per un periodo. Se vuoi rescindere il contratto mi prendo tutta la responsabilità.»

«Riguarda Raffaele, vero?»

Nic decise di essere onesto. «Sì. Riguarda Raffaele e ha sempre riguardato Raffaele. La mia famiglia non c'entra niente. Raffaele è sparito nel nulla e io sono preoccupato per lui. È il mio migliore amico e non posso lasciar perdere questa cosa, devo trovarlo.»

«Una famiglia mi risulta ce l'abbia, sua madre non è una contessa?»

«La sua famiglia si disinteressa a lui. Lo lascia solo. Raf ha solo me e sua moglie. E io ci tengo più di sua moglie.»

«Non ti viene il dubbio che sia una persona da lasciar perdere, se persino sua moglie e la sua famiglia lo lasciano perdere?»

«No.»

L'espressione di Tazio si indurì. «Stai buttando nel cesso la tua carriera per correre dietro a un drogato. Che a quanto mi hai fatto capire il culo non te lo darà mai perché non è della tua sponda. Io non ti capisco, Nico.»

«È il mio migliore amico. Tu non ce l'hai un migliore amico?»

Tazio sbuffò. «Ho diversi amici. Il migliore amico è una cosa che dicono i bambini. Non ti facevo così infantile.»

«E i tuoi amici, se avessero dei problemi, non molleresti tutto per aiutarli?»

«Cercherei di aiutarli, sì, ma non butterei nel cesso la mia vita per farlo. Se devo buttare nel cesso la mia vita per aiutare qualcuno io penso che questo qualcuno non meriti di essere aiutato.»

Nic annuì. «Forse, da un certo punto di vista, hai ragione. Ma io non lo lascio solo. Voglio aiutarlo.»

Tazio alzò un sopracciglio. «Quante volte è già entrato e uscito da una comunità?»

«Parecchie.»

«E non hai ancora perso le speranze?»

«Mai.»

Tazio sospirò. «Io, più che consigliarti di lasciarlo perdere, non so cos'altro fare. Penso che sia un'influenza negativa per te. Che non ti porti niente di buono. Che ti stia rovinando.»

Nic non disse niente strinse le labbra abbassò la testa.

«Ovviamente sei fuori dall'Accademia. E non lo dico per crudeltà, ma perché sei diventato un investimento in perdita. Non posso semplicemente permettermi di mantenerti ancora, ci sono altri ragazzi che meritano questo posto più di te.»

«Va bene, lo mettevo in conto.»

«Ci devi un sacco di soldi. Ma non sono avaro, e non sono neanche crudele. Ti consentirò di pagarci a rate e ti darò anche del tempo per organizzarti.»

«Ti devo ancora il venti per cento delle mie vittorie? Anche se sono fuori dall'Accademia?»

«Sì, come da contratto per i tuoi primi dieci anni di carriera dal momento della firma. Ovviamente quei soldi verranno scalati dal debito. Se ne vincerai ancora.»

«Io penso ancora di farcela ad entrare in top cento. Quando questi casini con Raf saranno finiti ricomincerò a vincere. Entrerò in top cento. Pagherò il mio debito.»

«Non penso che ci riuscirai.» Tazio accennò un sorriso. «Ma mi hai già smentito una volta.»

***

6 maggio 1989

Nic era a Roma da un giorno, e stavolta, oltre a un minuscolo bagaglio, si era portato dietro una foto di Raf, una Polaroid che avevano scattato insieme qualche anno prima. Aveva chiesto a Vika se voleva andarci anche lei per aiutarlo, ma Vika era rassegnata e molto pessimista. Secondo lei Raf aveva fatto una brutta fine, perché era sparito da troppo tempo. «E ho già sofferto tanto quando dovuto lasciare il mio primo ragazzo a Peter. Non mi piace soffrire. Andare in avanti questa ricerca, per me, vuole dire soltanto andare in avanti la sofferenza. Mi dispiace, ma non ce la faccio.»

Nic non condivideva il pessimismo, non poteva condividerlo. Raf doveva essere da qualche parte. Non erano uscite notizie sui giornali, lui era un nome abbastanza conosciuto tra gli appassionati di sport. Se gli fosse successo qualcosa di grave, almeno qualche giornale specializzato ne avrebbe parlato. Secondo Nic, Raf era strafatto in qualche buco di qualche quartiere sconosciuto di Roma. Doveva trovarlo prima che finisse in overdose.

Arrivato a Roma, Nic era tornato per prima cosa nell'ex appartamento della pittrice. Aveva offerto soldi agli inquilini in cambio di informazioni e coi soldi erano stati tutti molto loquaci.

Purtroppo aveva subito scoperto che gli avevano raccontato un sacco di stupidaggini solo per prenderli, quei soldi, e per di più la mattina successiva, la mattina del sei maggio, un balordo, probabilmente informato del fatto che Nic aveva soldi con sé, lo aveva rapinato con un coltello. Era chiaramente un tossico, un ragazzo decisamente male in arnese e forse persino più spaventato di Nic, e riflettendoci a posteriori, se Nic gli avesse tirato un semplice pugno sul naso avrebbe avuto la meglio su di lui con facilità. Ma sul momento l'aveva trovata un'esperienza terrificante e aveva mollato al tossico il portafogli senza opporre la minima resistenza.

Questa disavventura lo costrinse a chiedere aiuto a Elisa. Nel portafogli di Nic c'era il suo Bancomat, un nuovo servizio che facilitava i prelievi che aveva attivato appena un anno prima, per altro sborsando una discreta tariffa annuale. Nic era stato costretto dapprima a chiamare la banca per bloccare la carta prelievi, e poi Elisa per chiederle un vaglia telegrafico di centomila lire. Per fortuna aveva già pagato qualche giorno di hotel in anticipo, e Nic sperava di non doversi fermare molto più a lungo.

«Tazio mi ha raccontato tutto, Nichi. Sei completamente impazzito? Buttare via tutto per correre dietro a quel coglione?»

«Sarà anche coglione, ma è mio amico e sta probabilmente strafatto a rischio overdose in qualche topaia di merda. Possibile che a nessuno gliene freghi un cazzo della sua vita?» sbottò lui.

«A me dispiace per lui, ma sta rovinando la vita sia a te che a Vika, cioè alla mia unica amica e al... al mio unico amico. Abbiamo provato a salvarlo in tutti i modi, mi pare evidente che non vuole essere salvato.»

«E io lo salvo lo stesso! Non mi posso arrendere!»

«Nichi, ti prego... torna a Bologna. Se ci parliamo insieme, secondo me Tazio ti riprende. Torna da me...» Elisa sussurrò l'ultima frase e quel sussurro agitò di pena il cuore di Nic. 

«Non posso lasciarlo.»

Nic udì un singhiozzo nella cornetta.

«Eli, dai, perché piangi adesso?»

«Quanto hai detto che ti serve?»

«Eli, sei... veramente la migliore...» Nic stava per dire migliore amica, ma ricordò quanto quella definizione l'avesse fatto soffrire, quando era stato Raf ad affibbiarla a lui. Elisa provava qualcosa per lui? Non ne era certo, ma nel dubbio cambiò all'ultimo istante la parola: «...ragazza, la più bella persona che conosco. Grazie. Te li restituisco appena torno a Bologna.»

«Macché, lascia perdere. Considerali il mio contributo a fondo perduto per la salvezza di quel cretino.»

***

8 maggio 1989

Continuando a bazzicare nel quartiere di San Lorenzo e mostrando in giro la Polaroid, Nic era riuscito a scucire qualche informazione in più. Qualche settimana prima, la nuova ragazza di Raf aveva fatto una mostra dei suoi dipinti in un quartiere periferico di Roma, un quartiere che non aveva mai sentito nominare, Tor Bella Monaca. Nic aveva preso l'autobus e c'era andato, con in mano solo la polaroid e un foglietto su cui aveva scritto l'indirizzo di quel posto.

Com'era possibile che in quella città sì nascondessero anime così diverse? Il lussuoso centro dove viveva la contessa, quel quartiere scalcinato ma a suo modo caratteristico pieno di studenti e artisti, e adesso questo posto, un ammasso arido di condomini, edifici industriali e spazi brulli invasi da sterpaglie.

Chiedendo indicazioni trovò il luogo della mostra. Era un casermone industriale abbandonato e pericolante. Dentro vi trovò un piccolo accampamento di barboni che gli chiesero soldi appena lo videro entrare. Diede loro qualche migliaia di lire e chiese informazioni sulla mostra. «È ancora lì» disse uno di loro indicando quello che Nic pensava fosse un ammasso di spazzatura, cartelloni pubblicitari imbrattati con dello spray colorato fluorescente.

«È la pittrice? Dov'è? Vive qui anche lei?»

«Boh.»

«Io nun la vedo da un paio de giorni.»

«Macché un paio de giorni, è 'na settimana che se n'è ita. Ha mollato qua que'e croste, 'n cojone je n'ha comprata una ed è annata subbito a comprà la robba co l'omo suo» disse quello che sembrava il più sveglio del gruppo, un ragazzo con la testa rasata e un anellino al naso. Stava in piedi appoggiato al muro a braccia conserte. 

«L'omo suo?» chiese Nic speranzoso avvicinandosi a lui. «Era insieme un ragazzo? Capelli neri, occhi verdi?» Nic gli mostrò la foto di Raf.

Quello la guardò socchiudendo gli occhi. «Sì, sì, è popo lui. Se faceva chiamà come er cantante, coso lì...» Il ragazzo fece schioccare le dita come per richiamare il nome alla memoria.

«Raf!»

Il ragazzo batté le mani. «Bravo! Raf! Deve dà sordi pure a te?»

Nic si allarmò. «A chi è che deve dare dei soldi?»

«A chi è che non li deve dà! A mezzo monno li deve dà, sei già er seconno spacciatore che viè qua a chiede de lui.»

«Dice che è fijo de 'na contessa, ma chi ce crede?» commentò un altro ridendo.

«Io non sono uno spacciatore, sono suo amico, e sono molto preoccupato per lui. Non mi stai proprio dire dove sono andati? Ti do altri soldi se me lo dici, però non raccontarmi cazzate.»

Il ragazzo alzò un sopracciglio e lo squadrò dalla testa ai piedi. «In effetti 'un ce l'hai popo l'aria da spacciatore, tu. Troppo pulito. Che ce sei venuto a fà, qua?»

«A cercare il mio amico.»

Il ragazzo sbuffò e si grattò il collo. «Me farebbero comodo li sordi, ma me scoccia pure fotte 'no sprovveduto co' gli occhi da bono. Nun lo so dove se n'è ito l'amico tuo, me dispiace.»

«Io lo so!» disse un secondo tizio seduto a terra. «M'ha detto Cosenza che l'ha visto...»

«Nun raccontà fregnacce, tu.»

«L'ha visto dove?» chiese Nic.

«Regazzì, te devi dà 'na svejata, però. Stai a parlà co'n tossico. Un tossico te venderebbe su' madre se je dai du' spicci» disse il ragazzo con l'anellino al naso.

«E non sei un tossico anche tu?»

«Sì, ma io la dignità ancora nun l'ho persa der tutto.» 

«E non sai dirmi proprio niente su Raffaele? Come stava messo quando era qua?»

«Fatto da mattina a sera. Se te posso dà 'n consiglio, trovalo in fretta prima che s'ammazza de robba.»

Nic ebbe un attimo di debolezza e si lasciò sfuggire una lacrima. Si ricompose e si asciugò la guancia. «Me lo spieghi che cazzo di senso ha questa vita?»

«C'ha senso quanno nient'altro c'ha senso.»

Nic infilò la mano in tasca. Da quando era stato rapinato teneva i soldi separati: il grosso infilato nelle mutande, qualche pezzo piccolo in tasca. Gli era rimasta una banconota da cinquemila lire. La tirò fuori e la guardò: la faccia verde di Vincenzo Bellini aveva un'espressione maliziosa, sembrava quasi volesse sfidarlo. «Io te la darei questa, per ringraziarti, ma poi penso che la usi per drogarti e non mi va più di dartela.»

Il ragazzo con l'anellino al naso gli mostrò un pollice. «Punto primo: 'na vorta che lo scudo  diventa mio so' cazzi miei che ce faccio.» Tirò fuori anche l'indice. «Punto seconno: me faccio uguale pure se nun me li dai. In quarche modo 'no scudo lo rimedio. Magari faccio l'elemosina, magari faccio 'na marchetta a 'n frocio.»

Nic annuì e decise infine di darglieli. «Grazie lo stesso.» Si avviò verso l'uscita di quel postaccio.

«Ehi, nun ce l'hai du' spicci anche pe' me?» gli gridò dietro un altro ragazzo.

«Li ho finiti, mi dispiace» disse Nic senza voltarsi.

Una volta fuori, mentre attraversava il cortile di ghiaia, sentì una voce chiamarlo. «Ehi, Udine!»

Nic si voltò. Era il ragazzo a cui aveva dato i soldi. «Come fai a sapere che sono friulano?» gli chiese, pensando che magari glielo avesse detto Raf.

«Ho fatto il militare a Udine, riconosco la parlata» disse lui. Gli si avvicinò corricchiando un po' claudicante. «Senti, io non lo so 'ndo sta de preciso l'amico tuo, ma a Termini hai provato?»

«A Termini? Dici in stazione?»

«Sì, prova 'n po' lì. Termini, Tibburtina... i tossici bazzicano spesso le stazioni.» Si frugò in tasca e storse il naso. «C'hai mica 'na paglia?»

«Non fumo, mi dispiace.»

Lui sospirò. «Bravo, è un brutto vizio.»

Nic non poté fare a meno di sorridere per un attimo. «Le sigarette sono un brutto vizio? Le sigarette?»

Quello rise. «Ammazzano 'n sacco de gente le sigarette, che te credi.»

Nic annuì. «Ti posso fare una domanda? Questi soldi che ti ho dato... perché non li usi per prendere un autobus e andare in una comunità?»

Quello fece spallucce. «Sarebbe già la seconda volta che ce vado.»

Nic strinse le labbra. «E non ci puoi provare di nuovo?»

«Ma che te frega? Me conosci?»

«No, ma mi sembri un bravo ragazzo.»

«Solo perché t'ho dato un consiglio? Tu nun le sai le merdate ch'ho fatto.»

«Chiedere elemosina e fare marchette non le considero merdate.»

«Ma che sei 'n assistente sociale?»

«No, faccio il tennista.»

«Ah, ma allora è vero che l'amico tuo giocava a tennis. Credevo che stava a raccontà fregnacce, co' que'e braccine da tisico chi ce credeva? Senti, me lo dai 'no strappo in stazione?»

«Ci vado con l'autobus, non ho la macchina.»

«Che c'hai paura de caricatte in macchina 'n tossico? Non mordo.»

«No, te lo giuro: niente macchina. Te l'avrei dato lo strappo, se l'avessi avuta. Ma ti avrei portato al SerT.»

Quello fece un gesto per mandare Nic a quel paese. «Allora meglio che nun ce l'hai. In bocca ar lupo co' l'amico tuo. Spero che ve trovate.»

***

9 maggio 1989

Il pomeriggio del giorno precedente Nic l'aveva passato a esplorare ogni anfratto della gigantesca stazione di Roma Termini. Aveva mostrato a chiunque la polaroid di Raf, nessuno sembrava conoscerlo. Identificò le zone bazzicate dai tossici e di Raf non c'era traccia.

Quella mattina, allora, decise che avrebbe provato la stazione Tiburtina, che era la seconda di Roma, in grandezza. E appena fuori dalla stazione ebbe una visione che fece impazzire il suo cuore: la Lancia rossa di Raf! Ma un uomo sconosciuto stava aprendo la portiera. Nic corse verso di lui. «Ehi! Fermo!» Mise le mani sul cofano per fermarlo, proprio mentre quello stava per mettere in moto.

L'uomo scese dalla macchina con fare minaccioso e tirando il petto in fuori andò quasi addosso a Nic: «A stronzo! Ma che cazzo fai?»

«Dov'è il proprietario di questa macchina?» chiese Nic senza farsi intimorire.

Quello incrocio le braccia,  e tirò su il mento: era più basso di Nic ma più corpulento. «So io er propietario, che cazzo voi?»

«No, non sei tu. Il proprietario di questa macchina si chiama Raffaele. Dimmi dov'è.»

«Mo' è mia. E se non smammi subbito te corco de botte.»

Nic, trovando in se una violenza che non credeva di avere, prese quell'uomo per il collo e con le sue braccia allenate lo sbatté a pancia in giù sul cofano. «Mo' è tua il cazzo! Sul libretto di circolazione che nome c'è scritto?»

«Ehi, ehi! Carmete, cazzo!» disse quello cercando di divincolarsi, ma Nic gli stava addosso con tutto il suo peso ed era più forte e più alto di lui. 

«Dammi le chiavi! Adesso!»

«Me l'ha data lui! Erano du' settimane che nun me pagava! Me l'ha data lui pe' pagamme!»

Nic gli frugò in tasca con la mano libera, prese le chiavi. «Raffaele è dentro in stazione?»

«Te stai a mette in un mare de guai! Tu non sai contro chi te stai a mette!»

«Rispondi: è in stazione?» disse Nic premendogli sul collo col gomito.

«Famme respirà! Sì! Credo di sì, è un po' che sta qua in giro!»

Nic prese quell'uomo dalla maglietta e lo scaraventò via dalla macchina, poi salì, mise in moto e partì. L'interno della Lancia era un porcile. Era intrisa di una strana puzza stantia, acida, tipo vomito e sigarette fumate a centinaia. C'erano macchie di unto sui sedili e spazzatura, cumuli di spazzatura ovunque, persino nella zona dei pedali.

Nic si rese conto che doveva fare in fretta con la macchina: non poteva lasciarla troppo vicino alla stazione perché quel criminale l'avrebbe probabilmente presa a sprangate per vendicarsi, o avrebbe provato a rubarla in qualche modo, o ancora avrebbe aspettato che Nic tornasse a prenderla per picchiarlo in compagnia di qualche sgherro. Ma Nic non conosceva Roma, quindi fece un giro intorno alla stazione, parcheggiò l'auto in doppia fila in una strada secondaria non distante da uno degli ingressi, ma sul lato opposto a dove aveva lasciato quell'uomo. Poi la chiuse a chiave e corse dentro.

Anche quella stazione era piuttosto grande, ma non immensa come Termini.

Girò un po', chiese qualche indicazione, e alla fine fu indirizzato a un deposito bagagli fuori uso.

Entrò e lo vide subito.

Raf,  riverso a terra, su un fianco, occhi chiusi, le braccia distese davanti a lui. 

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Note 🎶

Vi avevo avvisato che sarebbe arrivata la tempesta. Eccola. Annunciata sin dal titolo senza mezzi termini.

EDIT: inizialmente il titolo era "Lo sai che Raf si buca ancora?" M mi sono resa conto che era troppo spoileroso se qualcuno si metteva a guardare la lista capitoli. Perciò l'ho cambiato.

Il capitolo è accompagnato da una canzone veramente epocale di fine anni Ottanta, un eccellente brano di pop melodico che ha lanciato la carriera di Luca Carboni. 

Ci rileggiamo giovedì per sapere cosa succederà adesso che Nic ha trovato Raf. Secondo voi?

Lasciatemi una stellina per tutte le maledizioni lanciate dalle Silvie di tutta Italia a Luca Carboni dopo l'uscita di questa canzone ("Ehi Silvia! Lo sai che..." "👊!")

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