56. Il vuoto nell'anima e nel cuore
Ho licenziato Dio
Gettato via un amore
Per costruirmi il vuoto
Nell'anima e nel cuore
(F. De Andrè, Cantico dei drogati, 1968)
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Nic non ebbe modo di chiedere a Raf cosa significasse quella frase, perché i due funzionari dell'antidoping li seguivano da vicino, ma un milione di domande e insulti attraversarono la sua testa: Che cazzo c'è nel tuo piscio? Cosa hai preso? Droga? Anabolizzanti? Steroidi? E perché? E quanto spesso ti capita di elemosinare piscio pulito in giro? E soprattutto: perché dovrei salvarti? Non ci pensi al fatto che stai mettendo a rischio anche me? Ma quanto sei coglione? Ma quanto sei stronzo ed egoista? E quanto sono coglione io, che continua a starti dietro?
Nic gli avrebbe detto di no. Era ciò che avrebbe fatto un vero amico. No, Raf, prenditi la responsabilità dell'errore che hai fatto, impara dal tuo errore e cresci.
Alla fine del corridoio, davanti alla saletta dell'antidoping, Raf chiese ai funzionari di ritardare il controllo con la scusa di fastidi muscolari: «Devo fare subito i miei esercizi di scarico». Non gli fecero problemi, era consentito, uno dei due lo seguì per tenerlo sotto controllo. Nic entrò in saletta, e mentre pisciava nella provetta davanti all'altro funzionario pensò a ciò che sarebbe successo a Raf.
Lo avrebbero trovato positivo. Lo avrebbero squalificato. Sarebbe rimasto fuori dal circuito professionistico per chissà quanto tempo. Un anno? Due? Forse persino tre?
E cosa avrebbe fatto, Raf, in quel periodo di immobilità forzata?
La verità si stagliò chiarissima davanti agli occhi di Nic: Raf non avrebbe più avuto alcuno scopo a frenarlo dai suoi impulsi di autodistruzione. Si sarebbe lasciato andare completamente e i suoi problemi di dipendenza sarebbero peggiorati.
Quello ci resta secco, senza tennis...
Respirare d'improvviso si fece difficile, lo stomaco si chiuse, le ginocchia si fecero deboli.
No.
Doveva cercare di salvarlo.
Ci avrebbe provato: avrebbe pisciato in una borraccia, e poi, chissà come, avrebbe provato a dare quella borraccia a Raf, e lui, chissà come, avrebbe trasferito il piscio dalla borraccia alla provetta.
E se il coglione non ci riesce mette nei casini anche me.
Nic firmò i moduli, si congedò dal funzionario e anziché andare a farsi la doccia si chiuse in un bagno. Svuotò la sua borraccia di plastica dalla poca acqua che vi era rimasta dentro e ci infilò dentro il cazzo.
Ma mentre pisciava, altri pensieri lo fecero tentennare: facendogliela passare liscia, non avrebbe forse finito per rinforzare l'errore? Lo avrebbe incoraggiato a farlo di nuovo, a drogarsi e giocare, e ciò che Nic vedeva come un modo per salvarlo gli avrebbe fatto un danno anziché un bene.
Nic chiuse la borraccia e tirò qualche pugno al muro, ferendosi le nocche. Avrebbe voluto gridare. L'enormità di quella decisione lo stava facendo impazzire.
Con la borraccia in mano si diresse verso la palestra, indeciso sul da farsi.
Eccolo, lo stronzo.
Raf era seduto a terra, stava facendo stretching tenendosi le punte dei piedi. La borraccia era calda nella mano di Nic. Poco più in là, seduto su una panca, l'ufficiale che aspettava leggendo una rivista.
«Ehi Nic, tutto bene?» disse Raf appena lo vide, in un tono esageratamente amichevole.
No, non va bene un cazzo.
Nic si avvicinò: parlare non era vietato. «Sì, appena finito al doping. Ora vado a docciarmi.»
Cosa faccio? Gliela do? Lo mando a fanculo?
Qual è la scelta che gli farà meno male?
Raf guardò la borraccia, poi l'ufficiale. Alzò le sopracciglia e annuì con un'espressione interrogativa in direzione della borraccia. Nic esitò prima di annuire a sua volta.
«C'ho sete, mi dai?» gli chiese tendendo la mano verso di lui.
Nic rimase immobile per qualche secondo. Guardò gli occhi verdi di Raf, le sue pupille sembravano più dilatate del normale. Cosa gli aveva detto sulle anfetamine, Raf? Era quello che aveva preso?
Ma non furono solo quelle pupille a farlo soffrire. Era la sua espressione implorante, le sclere lucide, il lieve tremore del labbro. Raf era una maschera di paura.
Non riuscì a resistere a una muta preghiera così straziante, e con la morte nel cuore gli tese la borraccia.
Il sorriso di gratitudine di Raf fu un interruttore che diede una scossa al cuore di Nic. E Nic riconobbe in quell'emozione qualcosa di strano. Qualcosa di sbagliato.
«Lei è stato informato che qualsiasi cosa decida di bere o mangiare prima del test antidoping lo sta facendo a suo rischio e pericolo, vero?» disse il funzionario mentre Raf prendeva la borraccia.
Io non sto pensando solo al suo bene...
«Ma sì, è acqua eh!»
Io sto pensando anche a me stesso...
Il funzionario annuì. «È mio dovere avvisarla.»
Lui ora è in debito con me. E sotto sotto io spero...
«Be'? Non aveva sete?» La voce del funzionario riportò Nic alla realtà. Raf stava ancora tenendo la borraccia chiusa in mano. Fece per aprirla.
Oddio no... Ti prego Raf, non lo fare! Non ti abbassare a tanto!
Fino a che punto si poteva spingere la disperazione di quel ragazzo?
Nic lo scoprì con orrore quando vide Raf portare alla bocca la borraccia e rovesciare il collo all'indietro. Finse di bere, o almeno Nic sperò fosse così. Lo sperò perché la recita fu davvero molto convincente. Ma a ogni modo, anche se non stava davvero bevendo, era pur sempre una borraccia in cui Nic aveva pisciato.
Vedere il suo amico disposto a umiliarsi in quel modo fu la cosa che gli fece più male, perché testimoniava la sua disperazione, il fatto che l'equilibrio di cui amava tanto parlare era ormai perso, in maniera irreparabile.
Quando Raf alzò lo sguardo, Nic ebbe l'impressione che si fosse reso conto del disprezzo o della pena negli occhi dell'amico perché la sua espressione si riempì di disagio, e le sue guance si tinsero di rosa.
Non fu facile per Nic recitare la nonchalance con cui lo salutò e gli disse: «Ci becchiamo dopo.» Ma dovette farlo, non voleva insospettire il funzionario con atteggiamenti fuori luogo. «Alle otto passo un salto in camera tua» aggiunse. Era una promessa di confronto.
Troppe emozioni. Troppa fatica. Avrebbe voluto cambiare pelle, corpo, cervello, non essere più lui, dimenticare tutto. C'erano in lui la paura di essere scoperto, il dolore nel vedere Raf disposto a umiliarsi, il terrore che tutto quello non sarebbe servito a niente e che Raf avrebbe fatto molto presto una fine orribile.
Ma tutto era messo in ombra dal sentimento più sordido di tutti: la gratificazione che aveva provato nel dargli quella borraccia, la consapevolezza che qualsiasi suo gesto d'amicizia fosse in realtà inquinato da un secondo fine.
Io lo voglio.
Voglio che mi ami.
Come poteva essere suo amico e aiutarlo da amico se c'erano quei sentimenti di mezzo?
Gli tornarono in mente vecchi discorsi squallidi di suo padre, quasi dimenticati, sulla fisicità dei maschi, sulla loro voglia di scopare. Sentì ancora una volta quelle parole addosso, si sentì marchiato da una natura meschina, si sentì incapace di volergli bene.
Non aveva la lucidità necessaria per capire se aveva fatto la cosa giusta.
Ma Nic non voleva piangersi addosso. E il modo migliore per liberarsi dei pensieri meschini era cercare di pensare in termini altruistici: cosa poteva fare, in quel momento, per Raf?
Parlare con Viktoria. Cercare di capire qualcosa, ragionando insieme a lei.
Nic doveva ancora farsi la doccia, ma tornò invece all'aperto, a cercarla, e per fortuna lei era ancora lì, che chiacchierava con un addetto del torneo in una delle stradine che costeggiavano i campi. «Ah Nic! Che bravi, congratulazioni!» Lo applaudì. «Rafa mi dice che vuole vincere con te torneo in doppio!»
Col cazzo, pensò Nic.
«Vika, ti devo fare una domanda un po' diretta, scusami se mi faccio gli affari tuoi ma... eri con Raf subito prima del match?»
Lei sembrò spiazzata. Disse una parola in russo, forse un'esclamazione di stupore. «Quando? Oggi? Stamattina? No! Io non ho visto lui.»
Lo sapevo...
Nic non riuscì a trattenere la propria delusione e Vika se ne accorse. «Cosa succede? Perché tu chiedi questo?»
Nic sospirò. «Sarò diretto di nuovo: l'hai lasciato perché beve troppo?»
Vika rise. «Tu dimentichi che io sono russa! Conosco ragazzi che beve molto più di Rafa. Io non ho lasciato lui, lui ha lasciato me.»
La frase lasciò Nic ancor più sgomento. «Ma... lui...»
Vika incrociò le braccia e mise su un broncio scherzoso. «Cosa ti ha detto? Donna russa cattiva rompe il mio cuore?»
«No, no, lui mi parla sempre bene di te, però...»
L'espressione di Vika si addolcì. «Rafa ha tanti problemi.»
Nic annuì. «E tu perché non lo aiuti?»
«È tanto complicato. Rafa ha la vita complicata e io ho la vita complicata.»
«Non ci tieni neanche un po' a lui? Lui ti ha dato la cittadinanza, cazzo!»
Vika si fece seria, due rughette verticali si disegnarono tra le sue sopracciglia. «Io non sono una donna che puoi fare un... come si dice... non so la parola: che tu dai qualcosa a me e poi vuole qualcosa che va indietro a te. Io do qualcosa a te perché viene del mio cuore, non perché tu dai qualcosa a me.»
«E tu quindi nel tuo cuore, per Raf, non hai proprio niente?» disse Nic, senza riuscire a celare il proprio disprezzo.
Lei alzò il mento e si batté il petto. «Io nel mio cuore per Raf ho tanto! Ma se lui questo tanto non vuole e preferisce di andare in giro a ubriacare coi suoi amici, io non corro dietro a lui. Io ho i miei problemi e la mia vita, e ho il dritto di vivere la mia vita!»
Nic non poteva darle torto, ma sentirla parlare così di Raf gli fece male.
«Per esempio in hotel, no? Io dico a lui: Rafa prendiamo camera insieme? Lui: no, voglio fare i cazzi miei. Benissimo, amici lo stesso.»
Nic spalancò la bocca. «Lui... lui mi ha detto che sei stata tu a rifiutare!»
Vika scosse la testa. «Altro problema di Rafa è che dice sempre le bugie.» Fece spallucce. «Io e lui sono ancora amica, ma lui vuole sempre fare i cazzi suoi, sempre i cazzi suoi. Allora io penso: lui ha una ragazza? Va bene. Mi dispiace, ma va bene, trovo un ragazzo anch'io. Lui non vuole essere mia amica neppure? Va bene, lui gli piace altri amici, va bene. Se lui viene e vuole bene a me io voglio bene a lui, ma io non posso imposare su lui il bene, tu capisci?»
Nic avrebbe voluto piangere dalla rabbia e dalla frustrazione. «Ma perché sei venuta a vedere la partita, allora?»
«Ieri sera ho incontrato lui, molto ubriaco strano e...»
«Cosa significa ubriaco strano?» La interruppe Nic. Poi dovette prender fiato prima di trovare il coraggio di chiederle. «Pensi che fosse fatto di qualcosa? Cioè, droga?»
Lei strinse le labbra. «Io non lo so. Ho suspettato qualcosa, ma non lo so.»
«Ma cosa significa? Ci vivi insieme, cazzo! Non lo vedi?»
«Lui non è in casa quasi mai.»
Nic dovette sedersi, sul cordolo del marciapiede, si prese la testa tra le mani.
Lei gli sedette accanto e lo abbracciò di lato, strofinò la mano sulla sua spalla. «Secondo me Rafa sente amore per te più che per me. Non in senso omosexualista, ahah! Ma in senso che pensa sempre a te, mi dice sempre: Nic è il migliore amico che abbia mai avuto. E adesso io vedo che tu anche sei uguale con lui. Ma lui è sempre più difficile aiutare. Lui qualche volta ti chiede aiutami che sembra che vuole essere vicino a te, quella volta dopo ti manda via e scappa via, è difficile, non capisci mai niente con lui. Lui fa uguale con te, vero?»
Nic annuì.
«Per esempio, ieri sera ho incontrato lui ubriaco strano, e lui mi dice: Vika, domani io e Nic giochiamo insieme, tu e Nic siete l'amore della mia vita, io sono tanto felice se tu vieni a vedere la partita. Allora allora io penso: Rafa oggi tutto strano, ma cosa devo fare? Lui vuole stare poco con me, perciò quando mi chiede stai con me io penso: va bene, mi dice amore della mia vita perché è ubriaco, lo so, ma va bene, perché io gli voglio bene, tu capisci? E penso che lui forse è felice se io vengo a fare il tifo, e io sono felice di vedere la sua partita, perché lui è il mio amico, tu capisci? E allora io vengo. Tu prima mi chiedi perché sono venuta? Adesso tu sai.»
Nic annuì di nuovo. «Dobbiamo fare qualcosa per lui.»
«Cosa? Se lui non vuole non possiamo fare niente.»
Nic si batté un pugno sulla coscia. «Ma ci dobbiamo provare, cazzo! Vuoi lasciare che si distrugga?»
L'espressione di Vika si indurì. «Io non posso prendere sulle spalle la mia vita e la sua vita. Tu non pensare che io non sento male di vedere lui così, ma io voglio di vivere e voglio di essere felice. E Rafa...» La durezza della sua espressione si fece se possibile ancora più grave. «Rafa è...» Sospirò. «È difficile. Io ho lasciato vita difficile in Unione Sovietica, vengo qui per trovare libertà e felicità. Io curo la mia libertà e la mia felicità sopra di ogni altra cosa.»
Nic annuì. «Non ti posso biasimare.»
«Cosa vuol dire biasimare?»
«Vuol dire tipo... dare la colpa, disprezzare... Non posso darti colpe. Io stesso sono scappato da lui perché non volevo stare male.»
Vika annuì. «Sì, lui mi parlava sempre, che lui ha comportato tanto male e ha approfittato di te, e tu hai stufato. Sai, io tante volte penso che lui è diventato amico di me perché non aveva più te.» Vika gli sorrise. «Perciò io devo ringraziare te, Nic, forse se tu non avevi litigato con Rafa, lui non mi sposava mai e io non potevo vivere libera in Italia.»
***
Nic tirò tardi a parlare con Vika, di conseguenza fece la doccia tardi, cenò tardi, e anche per questo motivo arrivò in camera di Raf alle otto e quaranta, anziché alle otto come gli aveva promesso.
Raf sembrò oltremodo infastidito da quel ritardo. Accolse Nic in camera nervoso, un atteggiamento che Nic trovò fuori luogo, considerando che cosa aveva fatto quel pomeriggio stesso per lui.
«Grazie, Nic. Grazie di aver messo a repentaglio la tua stessa partecipazione al torneo per pararmi il culo» disse Nic sarcastico dopo le prime lamentele di Raf.
Raf sbuffò. «Ma sì, sì, grazie. Che ti devo dire? Ovvio che ti ringrazio!» Si grattò il collo.
Nic non avrebbe voluto accusarlo così su due piedi, avrebbe voluto aspettare che fosse l'altro a parlare, a dare qualche spiegazione, ma era troppo amareggiato, deluso e incazzato. «Sento puzza di alcol, quanto hai bevuto?»
«Non ho capito, sei venuto qua a farmi la ramanzina?»
«Sì! Sono venuto qua proprio per questo! Ma hai idea di cosa potrebbe succedermi se scoprono che ti ho dato del piscio pulito per farti passare l'antidoping? A proposito... sei riuscito a usarlo?»
«Sì, ci sono riuscito. Grazie» rispose, abbassando la cresta.
«E adesso pretendo di sapere che cazzo avevi in circolo che non ti avrebbe fatto passare il test.»
Raf sbuffò. «Ma niente, niente...» Si grattò di nuovo il collo, tirò su col naso e sospirò.
«Hai sniffato? Perché tiri su sempre col naso?» Nic socchiuse gli occhi per osservarlo meglio. «Non è raffreddore, vero?»
«Ma sì che è raffreddore, mammamia che cazzo di... di sanguisuga appiccicosa che sei! Non posso neanche tirare su col naso?»
Nic strinse i pugni e fece appello a tutto il suo autocontrollo per non tirargli una sberla. «No. Mi sa che tu non hai capito com'è la situazione. Io oggi ho... ho fatto una cosa illegale per te, per pararti il culo.» Scacciò dalla testa i pensieri sui propri doppi fini. «Se mi scoprono, questa cosa che ho fatto potrebbe mettere a repentaglio la mia intera carriera. Mi segui?»
Raf stava tenendo gli occhi bassi, si abbracciò e non disse nulla.
«Adesso penso che il minimo, il minimo! che tu possa fare è dirmi che cazzo avevi preso.»
«Erano degli anabolizzanti» disse, tenendo gli occhi bassi.
«Non ti credo.»
«E allora vaffanculo.» Raf si grattò la testa, passò una mano sulla fronte, che era lucida di sudore.
«Ma che cazzo hai preso che sembra che hai la febbre?»
«Niente. Ho bevuto un po'.»
«Si sente, puzzi di alcol.»
«Ecco. Visto? Ero stressato per quello che era successo, scusa. Adesso lasciami in pace.»
«Così finisci di ubriacarti?»
«Ma i cazzi tuoi te li fai mai?»
Nic alzò la mano per schiaffeggiarlo e per la seconda volta si trattenne. «Cristo santo, io sono contrario alla violenza, ma tu sai proprio come tirare fuori le sberle dalle mani, eh?»
Raf, che aveva incassato la testa tra le spalle, lo guardò da quella posizione, con l'espressione di qualcuno che stava per piangere.
Nic sospirò e la mano con cui avrebbe voluto schiaffeggiarlo l'appoggiò invece sulla sua spalla.
«Nic, perdonami per oggi. Non te l'avrei chiesto mai, ma il tipo che doveva darmi l'urina pulita mi ha dato buca» piagnucolò Raf.
Nic scosse la testa. «E io che ero contento di giocare con te...»
Raf sorrise. «Io sono contento che giochiamo insieme!» Tremava, appena appena. «Domani vinciamo di nuovo!»
Nic sgranò gli occhi. «Domani?»
«Sì! Non è domani il secondo turno?»
«Tu... tu hai intenzione di giocare di nuovo?»
Il respiro di Raf si fece un po' affannato. «Certo! Voglio giocare con te!» Prese la mano di Nic e la tolse dalla sua spalla, si strofinò la pelle dove Nic lo stava toccando. «Mi diverto con te, Nic, non mi diverto mai a giocare.»
«No, Raf. Tu ti ritiri dal torneo. Seduta stante.»
«Cooosa!?» gridò Raf, in maniera esagerata. «Eddai Nic, non mi togliere una cosa così bella...»
«E se ti fanno un altro test?»
«Per domani il piscio pulito ce l'ho, giuro che non ti coinvolgo più.»
«Cos'hai preso?»
«Anabolizzanti. Te l'ho detto. So che non dovevo, ma avevo... mmm... problemi fisici e mi sono aiutato a migliorare un po' le prestazioni, solo per stavolta, giuro che non li prendo più.» Raf si passò la mano sugli occhi, li strizzò. «Sono stanco morto Nic, te ne puoi andare?»
«Sei in crisi d'astinenza?»
«Ma sei scemo? No! Di cosa?!» gridò Raf.
«La smetti di gridare?» il tono di Nic era controllatissimo, ma dentro si sentiva bruciare.
«Grido perché spari cazzate!»
«Spogliati e fammi vedere che non hai buchi.»
«Vuoi tirarti una sega?» disse Raf in tono acido.
Nic prese un respiro. «Chiedimi scusa.»
Anche Raf prese un respiro, tremante. «Non ho intenzione di spogliarmi davanti a un finocchio.»
«Tu mi stai provocando nella speranza che io mi incazzi e me ne vada, ma io non mi incazzerò e non me ne andrò. Stasera resto qua.»
Gli occhi di Raf si sgranarono, erano lucidi e tutti pupilla. «E io chiamo la polizia.»
«Chiamala e io gli dico di perquisirti la camera.»
Raf rimase zitto per qualche secondo e lo fronteggiò a testa alta. «Guarda che non sto bluffando.»
«Ok, facciamo una cosa. La chiamo io, la polizia.» Nic si diresse a mano tesa verso il telefono, Raf gli si gettò addosso.
«No!»
Quel no disperato gettò Nic nello sconforto più completo. Ma non avrebbe perso l'autocontrollo, perché in quella stanza c'era già qualcuno che lo stava perdendo.
Raf gli stava agguantando le braccia, da dietro. Nic prese una delle sue mani, con un gesto delicato, la strinse appena. «Raf. Che cosa hai preso?» chiese a bassa voce.
«Anabolizzanti» disse Raf con la voce spezzata.
«Non andrò al telefono. Puoi lasciarmi. E a differenza tua io palle non ne racconto.»
Raf non mollava la presa. Nic avrebbe potuto facilmente liberarsi, se l'avesse voluto, ma voleva che fosse Raf per primo a fidarsi.
«Ho rischiato di farmi sospendere per coprirti, oggi. Secondo te potrei mai chiamare la polizia? Lasciami» disse col tono più tranquillo del mondo, anche se dentro di lui le emozioni gridavano.
Raf, infine, allentò la presa.
Nic si voltò verso di lui. Lo guardò negli occhi. Non era molto più alto di lui, ma in quel momento gli sembrava di essere un gigante di fronte a un bambino.
«Raf. Cosa hai preso?» sussurò.
Raf iniziò a piangere.
«Lascia che ti aiuti» sussurrò ancora.
Raf scosse la testa, piangendo. Gli stava uscendo anche del moccolo dal naso. «Vai via p-per favore.»
«Raf. Domani io e te ci ritiriamo dal torneo e torniamo a Bologna...»
«Ma...» cercò di interromperlo Raf, ma Nic lo interruppe a sua volta posandogli le dita sulle labbra.
«Lasciami finire. Torniamo a Bologna e ti porto in una comunità di recupero.»
Raf non disse nulla. Pianse e basta.
«E stanotte dormo qua.»
«No!» gridò Raf.
«Guarda che l'ho capito che stai in astinenza, coglione. E non ti lascio da solo a farti, che magari vai in overdose o cosa cazzo ne so. E poi magari scappi pure. No, io sto qua con te. Mi giro dall'altra parte, se ti vergogni.»
Raf era tutto singhiozzi. «Tu sei p-più che un amico. Sei... sei...»
«E finiscila con le tue frociate fuori luogo. Stronzo.» Nic andò alla poltroncina che si trovava accanto al letto, la girò verso il muro.
Vorrei essere più che un amico, Raf.
Non sai quanto lo vorrei.
Nic sedette sulla poltrona.
«Fai quello che devi fare, stasera, e domani andiamo in comunità.»
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Note 🎶
Raf è un grumo di disagio fuori controllo, e finalmente affronterà il suo problema nel modo in cui, forse, avrebbe subito dovuto affrontarlo. Ma ce la farà a uscirne?
Nel capitolo scorso in tanti avete ipotizzato che il "raffreddore" di Raf fosse dovuto all'assunzione di qualche eccitante dal naso, ed è l'ipotesi più ovvia, che fa anche Nic. In realtà, lo scrivo qui perché non mi sembra di averlo mai spiegato nei capitoli anche successivi, è uno dei tanti sintomi dell'astinenza da narcotici.
Ci rileggiamo lunedì prossimo, e lasciatemi una stellina per ogni pugnalata che ho inferto al povero cuore di Nic.
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