36. Farò di te un vero uomo
...ti sembrerà una cosa normale
Fare la fila per tre, risponder sempre di sì
E comportarti da persona civile
(E. Bennato, In fila per tre, 1974)
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Nico cercò di restare calmo. «Cosa speri di ottenere mandandogli questa foto?»
«Visto che tu non lo vuoi mollare, allo slavo, che ti molli lui» rispose cupo il padre.
Nic continuò a ostentare una tranquillità che non aveva. «E secondo te lui mi molla per così poco? Questa è solo una foto tra amici.»
«In una camera da letto.»
A Nico sarebbe piaciuto non essere toccato dalle parole del padre. Ma lo fu. Perché era certo che anche Leonardo avrebbe interpretato male l'abbraccio di quella foto, geloso com'era. E oltretutto avrebbe saputo che Nico gli aveva mentito sull'aver visto Raffaele, idea che gli stava già iniziando a causare sensi di colpa dilanianti. Leo aveva visto il volto del ragazzo una sola volta, in un servizio del TG Sport, ma Nico era sicuro che lo avrebbe riconosciuto. E poi, chi altri avrebbe potuto essere? Era l'unico tennista che Nico conosceva.
La cosa che lo turbava di più era l'indeterminatezza della situazione. Quando avrebbe visto, Leo, la foto? L'aveva già vista e stava provando a chiamare Nico? O era ancora ingnaro, impegnato in qualche incombenza militare?
«Leo mi crederà. Io non ho fatto niente di male e ho il cuore in pace» mentì.
«No, non ti crederà. Perché è uomo anche lui e lo sa come funzioniamo noi uomini. Che quando abbiamo l'occasione tacconiamo.»
«Che schifo che mi fai, quando dici questa cosa...» sputò fuori Nico, amareggiato.
«Nic, cosa succede?»
Nico si voltò, Raf era appena arrivato lì accanto, le cuffiette del Walkman abbassate sul collo, si sentiva provenire della debole musica dalla cassetta che ancora girava. «Che cazzo t'ha detto questo stronzo?» sibilò indicando il padre.
«Niente» rispose Nico.
«E allora perché sei così sconvolto?»
«Non sono sconvolto.»
«Sei pallido e ti stanno tremando le mani» osservò Raf. Nico si rese conto che era vero. Aveva ancora la ricevuta del fax in mano e l'aveva mezza accartocciata dal nervosismo.
Riversò la sua frustrazione sul padre. «L'hai fatto apposta a dirmelo adesso, vero? Volevi farmi giocare male!»
«No, voglio solo aiutarti a rimettere la testa a posto, mona» rispose lui cupo. «Lo faccio per il tuo bene.»
«Ma cosa ti ha detto?» lo incalzò Raf.
Nico scosse la testa. «Fatti i cazzi tuoi.»
«Nic, hai bisogno di una pausa? Se hai bisogno di una pausa usciamo insieme dal campo e ritardiamo l'inizio della partita.»
«Sì, e poi magari ci squalificano a tutti e due. Non dire cazzate.»
«Non lo farebbero mai. Hai bisogno di un abbraccio?»
«E menomale che non eri finocchio...» sussurrò il padre.
Nic, ignorando le parole meschine del padre, ripensò all'abbraccio della foto. «È proprio l'ultima cosa di cui ho bisogno.»
Raffaele si avvicinò a Nico e, tirandolo da un braccio, lo trascinò verso il centro del campo, allontanandolo dal padre. Poi lo prese per le spalle e lo scosse. «Nic! Aripijate!»
Nico si rese conto di avere lo sguardo fuori fuoco, lo fissò negli occhi di Raf.
«È quello che vuole tuo padre. Che tu adesso giochi di merda e perdi. Gliela vuoi dar vinta?» aggiunse.
Nico scosse la testa.
«Allora qualsiasi cosa ti ha detto, non ne parliamo ora, dimmelo dopo se vuoi, qualsiasi cosa ti abbia detto usa il tennis per non pensarci. Provaci. Tuo padre vuole che giochi di merda, non dargli questa soddisfazione.»
«Hai ragione.»
Aveva ragione davvero. Il tennis era sempre stata la sua salvezza. Il tennis non gli serviva solo a scappare da quel buco di merda di Capriva ma anche a quello, a trasformare in qualcosa di positivo tutta la rabbia che sentiva dentro.
«Andiamo in campo e gioca l'incontro migliore della tua vita» disse Nic.
«Così mi piaci!» lo incoraggiò Raf.
«Anche se dovesse significare zero sei zero sei. Non avere pietà. Non mi serve la pietà.»
«Non lo farò, Nic, perché ti rispetto troppo.»
E Nico e Raf andarono a prendere le racchette per giocare il loro secondo incontro.
***
Nico perse, e perse in due set, con due break nel primo e un break nel secondo.
Ma non aveva giocato male. Forse il padre avrebbe pensato di averlo piegato, e che quella sconfitta fosse merito suo e di quel maledetto fax, ma non lo era stata. Quella sconfitta era stata tutta merito di Raffaele.
Nico era stanco.
Lo stress mentale lo aveva spossato. Durante l'incontro non era stato facile controllare le emozioni negative e non pensare a Leo. E quello sforzo, unito alla fatica fisica, lo aveva stremato.
«Nic, hai giocato davvero bene» disse Raffaele stringendogli la mano a rete.
Nico si limitò ad annuire.
«Sei sconvolto.»
«Sono preoccupato» ammise. «Durante l'incontro non ci pensavo, ma un secondo dopo che è finita mi è tornato in mente.»
«Nic, non puoi pensare di essere sempre in controllo di tutto.»
Certo che poteva. Era bravissimo a farlo.
Nico andò a stringere la mano all'arbitro. Poi si deterse il sudore, finì l'acqua della borraccia e ripose la racchetta. Dentro la borsa vide il foglio accartocciato, la ricevuta del fax. Una morsa di angoscia gli attanagliò lo stomaco, ma vedere il numero gli fece venire un'idea.
Prese il borsone e si diresse all'uscita.
«Nico, andiamo» lo apostrofò il padre, intercettandolo a bordocampo.
«Non subito» rispose secco lui.
«Ti avevo detto che...»
«Non mi interessa cosa mi avevi detto. Sono stanco morto e ho bisogno di una doccia.»
«Nico! Cosa cazzo vuoi fare!?»
«La doccia» ribadì Nico andandosene con passo deciso.
E anche un'altra cosa...
«Ogni volta che vai a fare la doccia poi torni indietro con una cazzata per restare qua!» gli gridò dietro il padre. Ma non lo seguì. Non aveva accesso all'area spogliatoi, non poteva seguirlo.
Nico aspettò Raffaele all'ingresso degli spogliatoi. «Raf. Ti devo chiedere un favore.»
«Dimmi!» rispose lui serio.
«Vorrei chiamare Leonardo, ma non ho soldi. Mi presteresti qualche spiccio?»
«Anche centomila lire, ti do. Ti do, non ti presto. Vai la farti la doccia, che ti fa stare sicuro meglio. Io vado al bar a comprare un rotolo di gettoni. Poi mi spieghi anche cosa è successo.»
«Grazie!» gridò Nico, a Raf che già stava scappando via.
Fece rapidamente una doccia calda, e lavarsi lo ristorò davvero, quando uscì gli sembrava di essere anche meno stanco. Trovò Raf che lo aspettava in mutande, pronto a lavarsi anche lui. «Tieni» disse porgendogli i gettoni. «E aspetta, ho anche un po' di spicci, ti do tutto, usali tutti, se ti serve, ché le interurbane mangiano scatti come Obelix mangia cinghiali.»
Nico ridacchiò. «Grazie ancora.»
«Dai, vai, vai! Non perdere tempo a ringraziarmi.»
Nico, il foglio col numero in mano, andò con passo tremante alle cabine.
Aveva paura di affrontare Leo, ma l'idea che l'altro potesse non raggiungerlo subito al telefono, l'idea di dover aspettare ancora senza sapere, lo angosciava ancora di più.
La caserma rispose al secondo squillo. Caddero quattro gettoni, ma lui ne aveva già inseriti otto. «Reggimento Torino.»
«Buongiorno, cioè, buonasera. Avrei urgente bisogno di parlare con un coscritto, Leonardo Devetak.»
«Con chi parlo?»
«Mi chiamo Nicolò Bressan.»
Dall'altro capo rimasero in silenzio per parecchi secondi, Nico sentiva fruscii di carta. «Devetak è impegnato nelle attività di addestramento, richiami dopo le sei.»
«Che ore sono?»
«Compri un orologio.»
Misero giù.
Nico si guardò intorno in cerca di un orologio, passò di lì un addetto, chiese a lui l'ora. Erano le quattro e venti.
Nico decise di richiamare. Altri quattro gettoni: «Reggimento Torino.»
«Buonasera, scusi, sono sempre Nicolò Bressan, posso chiederle se avete già consegnato a Devetak il fax che è arrivato qualche ora fa?»
«È lei che ha inviato il fax?»
«Sì» mentì Nico.
«Sì, glielo abbiamo consegnato durante il rancio.»
Nico sentì il cuore precipitare nel petto. «La prego, è importante, non può chiamarlo subito?»
«Lei non è un parente. Se mi dà un'ottima ragione di questa urgenza posso valutare, ma qui non diamo credito a chiamate di squinternati che non possiedono nemmeno un orologio.»
«Ce l'ho un orologio, non lo sto indossando in questo momento. E l'urgenza riguarda le due persone ritratte in quella foto.»
«Mi dispiace, richiami dopo le sei. Questa è una caserma, non una scuola media.»
Attaccarono di nuovo.
Nico sbatté la cornetta contro la scatola telefonica. Aveva già consumato otto gettoni senza motivo, no, anzi, dieci perché durante la seconda telefonata erano caduti altri due scatti. Gliene restavano quaranta, più qualche spiccio.
Tornò in spogliatoio, dove Raf si asciugava i capelli col phon. «Ehi, appena ho finito te lo presto, con questo freddo meglio che non vai in giro tutto bagnato» disse indicandogli la testa.
«Ce l'ho anch'io.» E così dicendo, estrasse il phon dal borsone e si diede una rapida passata. Aveva freddo, effettivamente. Passò l'aria calda anche sul collo, dentro la maglietta. Ma non servì a calmare i brividi.
«Sei riuscito a parlare con Leonardo?» gli chiese Raf, ormai rivestito.
Nico scosse la testa. «Devo richiamare dopo le sei, quando è in libera uscita.»
«Mi vuoi dire cosa è successo?»
Nico rimase zitto.
«Parla. Fa bene parlare.»
Nico si strinse nelle spalle. «Non sono d'accordo.»
«Vuoi che ti abbraccio?»
«No.»
«Ok.»
Rimasero zitti, ma a Nico sembrava quasi di vederle, le domande che voleva fargli Raffaele, scritte sopra la sua testa come in un fumetto.
«Non so cosa fare» disse infine Nico. «Devo chiarire delle cose con Leo, ma in questo momento è impegnato e si libera dopo le sei. Mio padre vuole tornare subito a casa e io non voglio. Non voglio tornare a Capriva. Ma non è che non voglio adesso, non vorrei tornarci mai più. E se io oggi riuscissi ad avere un contatto con qualcuno della Federtennis... qualcosa di concreto...» Potrei poi dirlo a Leo e dimostrargli che non sono venuto qua per Raffaele, ma per realizzare il nostro sogno di girare il mondo insieme.
«La mia offerta è ancora valida» ribatté Raffaele. «Sai che ieri sera l'ho persino accennato a mia madre?»
«Cos'è che le avresti accennato?» gli chiese Nico, riscuotendosi dalle proprie riflessioni.
«Se puoi venire a vivere da noi e allenarti con me.»
Era una cosa talmente assurda che a Nico scappò una risatina. «E mi vuoi far credere che lei ti ha detto di sì?»
«Mi ha detto: se vuoi allenarti con quello scarso sono affari tuoi.»
Nico ridacchiò di nuovo. «In effetti mi sembra proprio una cosa che potrebbe dire tua madre.»
«L'ha detta, infatti. Abbiamo una casa grande, sai? Diverse stanze per gli ospiti.»
«Io, in realtà, pensavo, anzi, speravo che la soluzione per me fosse il centro federale, e... Scusa, ma... ora che ci penso: com'è che tu non ti alleni in un centro federale? Il giovane italiano più promettente della storia!»
Raf fece una smorfia. «Eh. Storia lunga.»
«Cioè?»
«Mi sono allenato. Per un breve periodo. Ma... mi hanno cacciato, tipo.»
Nico sgranò gli occhi. «Eeh?»
Raf si grattò la testa. «Una storia stupida, come molte delle storie che mi riguardano. Ho fatto il cretino. Sono scappato dal ritiro con un gruppo di tennisti per andare in discoteca, abbiamo fatto un po' troppo casino e quando hanno capito che avevo organizzato tutto io mi hanno cacciato.»
A Nic vennero in mente le parole del padre di Raffaele: tieni mio figlio lontano dai balordi.
Non è che è lui, il balordo, in realtà?
«In che senso troppo casino?»
«Abbiamo bevuto troppo, fatto chiasso, gente che protestava... cose così.»
«Mh, e... quindi... ti allena solo tua madre?»
«Mia madre è il boss, ma il mio allenatore principale è uno di quelli che mi hanno cacciato dal centro.»
«E come è possibile che abbia accettato di allenarti dopo che ti aveva cacciato?»
Raffaele allargò le braccia e fece un sorrisetto tronfio. «Perché sono il giovane italiano più promettente della storia!»
Nico sorrise e scosse la testa. «E questo allenatore secondo te allenerebbe anche me?»
Raffaele sorrise. Radioso. «Ma quindi accetti?»
«No, volevo solo capire fino a che punto si spinge la tua fantasia malata. Ti pare che un allenatore nazionale che ha scelto uno bravo come te accetterebbe di allenare uno scarso come me?»
«Se glielo dico io sicuro. Anzi, se gli faccio capire che tipo sei e quanto bene mi farebbe averti vicino ne sarebbe molto contento.»
Nico scosse ancora la testa. Ma gli venne da sorridere.
«Allora? Sì o no? Non tenermi sulle spine!»
«No, Raf, no. Te l'ho già detto.»
«E allora come speri di scappare da Capriva? Dove vuoi andare? Ti ripeto che al centro federale è molto difficile... diciamo praticamente impossibile che ti prendano.»
«Be', però c'è stato un osservatore che mi ha guardato. Era uno con la tuta della Federtennis. Si è visto tutta la fine del mio incontro con Abate. Sono scarso, ok, ma non potrebbe essere rimasto impressionato dalla mia freddezza, come mi avevi detto anche tu?»
«Ah sì. Tazio Ravaioli. L'ho visto anch'io» disse Raf.
«Tazio sta per...?»
«Tazio. È il suo nome.»
«Ma che nome è?»
«Un nome italiano fuori moda. Come Tazio Nuvolari.»
«Ti stai inventando gente a caso per prendermi in giro?»
Raffaele rise. «Ma no, scemo! Tazio Nuvolari! È un pilota d'inizio secolo. Non l'hai mai sentita la canzone di Lucio Dalla?»
«Ok, va bene, ti credo. Torniamo ai discorsi seri. Secondo te potrei provare a parlare con questo Tazio?»
Raffaele assunse un'espressione pensosa. «Non so. È uno molto, molto esigente. Però è anche uno che apprezza la disciplina. Potresti piacergli.»
«Me lo puoi presentare?»
Raffaele alzò le mani. «No no no. Non ci andare con me, ti farei solo cattiva pubblicità, mi odia. Praticamente è stato lui a decidere di cacciarmi. Però provaci. Parlare non costa niente. È sempre in giro, secondo me se esci e lo cerchi lo trovi.»
***
La nuova missione di Nico fu trovare il famigerato Nuvolari senza farsi prima trovare dal padre. Nico imboccò un'uscita secondaria degli spogliatoi e si diresse verso il palazzetto, se fosse stato fortunato lo avrebbe trovato lì. Purtroppo non c'era, ciò significava che probabilmente stava seguendo un incontro sotto la tenda.
Ma sotto la tenda c'era anche suo padre.
Nico girò un po' per il circolo, all'aperto, sperando vanamente di trovare Nuvolari intento a seguire qualche allenamento. Ma niente.
Si fece coraggio e rientrò in tenda.
Lo vide subito. Il problema è che anche Nico fu visto subito, da suo padre, che si diresse a passo sicuro verso di lui aggirando un campo. Nico gli fece cenno di aspettare, certo che non avrebbe obbedito, e a sua volta si diresse verso Nuvolari, che stava seguendo un incontro di doppio femminile sul campo nove. Per fortuna l'incontro stava per finire, Nico non lo voleva disturbare mentre era impegnato a osservare. Fu raggiunto dal padre prima che Nuvolari si liberasse.
«'Nin» disse, dando uno scossone al figlio.
«Aspetta, papà, devo parlare con quel signore» disse Nico sottovoce. Avrebbe dovuto dire voglio, anziché devo, ma sperava che il verbo più assertivo persuadesse il padre a restare.
«Ho aspettato anche troppo. Ho detto: andiamo.»
«Fate silenzio» disse proprio Nuvolari, guardandoli male.
Ecco. Cominciamo bene!
Il padre prese Nico per un braccio e lo strattonò, Nico mise due mani giunte davanti al viso, poi mostrò un indice al padre e disse solo con le labbra: un minuto.
Il padre scosse la testa aggrottando le sopracciglia, ma sembrava un'espressione di perplessità, più che di diniego. Le ragazze stavano giocando il match point. Il padre di Nico guardò l'orologio, sbuffò, allargò le braccia in modo plateale, Nico gli mostrò i palmi delle mani per invitarlo a stare calmo e il punto finalmente finì. Match point convertito, fine dell'incontro.
Nuvolari era libero, e si era già voltato per allontanarsi.
Nico prese tutto il coraggio che non sapeva di avere e gli si parò davanti. «Signor Nuvolari, posso parlare un attimo con lei?»
Lui si bloccò di scatto e lo fulminò con lo sguardo. «Questa presa per il culo ha rotto i coglioni!»
Nico si bloccò a sua volta, spaventato. «Oh... ma... mi scusi, io...»
«Arrivederci» disse lui, girandosi e andandosene dalla parte opposta.
«Ma cosa ho detto? Scusi, volevo solo parlare con lei!»
«Nico, andiamo» disse il padre spazientito.
Nico lo ignorò, perché Nuvolari si era fermato di nuovo, si era voltato a guardare Nico con un'espressione dubbiosa. Nico non fiatò, finché non fu l'uomo a parlare: «Ho capito. Non sei tu, il burlone. Qualcuno si è divertito a tue spese. Fammi indovinare: Novelli?»
«Mi scusi, ma non capisco di cosa sta parlando» si azzardò a dire Nico.
«Mi chiamo Tazio Ravaioli. Tazio Nuvolari era...»
«...un pilota!» pronunciarono quella parola insieme, Nico battendosi una mano sulla fronte. «Oddio, mi scusi. Me l'hanno detto e mi sono confuso tra i due nomi.»
L'uomo fece una smorfia cupa.
«Glielo giuro, non l'ho fatto apposta!»
«Va be', ti credo. Taglia corto, cosa vuoi?»
Fantastico, partiamo proprio con il piede giusto...
«Nico, dobbiamo andare. Adesso.»
E ci si metteva pure suo padre, ad aumentare l'ansia.
«Io... eh...»
«Bressan, ho detto: taglia corto.»
Nico non si lasciò neanche il tempo di stupirsi del fatto che Ravaioli conoscesse il suo cognome. «Voglio entrare in un centro federale» disse.
«Cosa?» disse il padre.
Ravaioli fece una risatina. «Capisco.»
«Cosa significa capisco?»
«Che prendo atto della tua volontà. Arrivederci.»
«E quindi?» disse Nico seguendolo, senza capire il punto di quelle risposte.
«Nico, lascia in pace quel signore.»
«Esatto, lasciami in pace» disse Ravaioli.
«Non mi ha detto quando inizio e dove» insisté Nico.
«Cosa ti fa pensare che hai qualche speranza di entrare?»
«Potrebbe farmi la cortesia di darmi una risposta chiara?» ribatté Nico irritato dai modi vaghi di quell'uomo.
Ravaioli non smise di camminare. «Ti ho visto giocare e a naso non mi sembri un ragazzo stupido. Però se pensi di avere qualche possibilità di entrare in un centro federale sei un illuso, o un megalomane, o ti sei fatto mettere in testa un bel po' di minchiate da Novelli.»
«Quel damerino viziato...» commentò il padre, che li stava seguendo.
«Sì, è proprio una definizione corretta» concordò Ravaioli.
«Novelli mi ha detto che sono scarso e che non ho speranze. Non è lui che mi ha messo in testa questa idea.»
«Che strano. Una volta tanto quel cretino ha detto una cosa giusta» disse Ravaioli.
«Ma io penso di poter sopperire alle mie carenze tecniche con la mia forza di volontà. Cosa devo fare per entrare in un centro federale?»
«Niente, perché io non ti ci lascio andare» disse il padre.
«E io ci vado anche senza il tuo permesso. È la mia vita.»
Ravaioli finalmente si fermò. Incrociò le braccia. Fece un sorriso. Non era un sorriso di scherno, era benevolo. «Hai un bell'atteggiamento, mi piaci. Ma dico davvero: non metterti in testa sogni irrealizzabili. Il tennis non fa per te.»
«Quello che dico anch'io» mormorò il padre.
«Trova un sogno più alla tua portata» proseguì Ravaioli, parlando sopra al padre. «Se ti piace il tennis tra qualche anno potresti fare un corso come maestro.»
«Non voglio fare il maestro di circolo.»
«È una professione dignitosa.»
«Voglio giocare a tennis.»
«Tu a tennis non ci giochi più» disse il padre.
«Mi lasci parlare, per favore?» disse Nico spazientito.
«Stai facendo discorsi senza senso, non ho intenzione di pagarti più nemmeno una lezione.»
«Se entro in un centro federale non dovrai pagarmele più e mi faccio la mia vita da solo!»
«Perché vuoi proprio giocare a tennis? Per dare contro a tuo padre?» chiese Ravaioli facendo un cenno della testa verso il genitore.
«No.»
«Per fare soldi? Guarda che solo i top fanno soldi col tennis.»
«Non mi interessano i soldi.»
«I soldi sono una delle poche cose che...»
«Pura passione?» chiese Ravaioli, interrompendo chissà quale massima di saggezza del padre.
Nico rifletté. «Non so se posso chiamarla passione, però... ci sono tante ragioni e...» Nico scosse la testa. «Non voglio farle perdere tempo.» E soprattutto gli dava fastidio l'idea che lo avrebbe ascoltato il padre.
«Appunto. Andiamo» disse il padre.
Ravaioli guardò l'orologio al suo polso. «No. Restate un attimo, per favore. Non ho un cazzo da fare per almeno un'ora e l'unico motivo per cui ti stavo sbolognando era che mi stavi rompendo le palle. Ma adesso mi interessa. Spiegati. Perché vuoi entrare in un centro federale se non è né per ripicca, né per soldi, né per passione?»
Il padre mise le mani ai fianchi. «Sì, sentiamo, sono curioso anch'io.»
Nico ponderò le parole, prima di dire, con grande sincerità: «All'inizio per idiozia.»
Ravaioli rise. Il padre scrollò la testa.
Nico proseguì. «Nel senso che ero il più bravo del mio circoletto di provincia e credevo veramente di essere all'altezza di questi ragazzi. Poi hanno cominciato a dirmi tutti che ero bravo solo a livello di circolo e che non avevo speranze. Poi però ci sono arrivato, in semi, qui, in questo torneo importante. E mi sembra di essermela giocata bene.»
«Non stai rispondendo alla domanda. Perché proprio il tennis?» lo incalzò Ravaioli.
Nico guardò il padre. Aveva un po' di timore di dire ciò che stava per dire, ma si fece coraggio e lo disse. «Vivo in un minuscolo paese di campagna, e i paesini di campagna sono posti asfissianti, piena di gente di merda con una mentalità di merda, piccola, ristretta.»
«Porta un po' di...»
«Fammi finire!» Nico rimproverò il padre che lo aveva appena interrotto. «Voglio andarmene da quel paesino. Ma non in un paese vicino. E...»
Questa volta fu Ravaioli a interromperlo. «Be', se vuoi andartene dalla campagna puoi andare all'università, prendere una buona laurea e trovarti un lavoro lontano da casa, come fanno tanti tuoi coetanei.»
«Ecco, vedi? Questo signore ragiona da persona adulta» disse il padre annuendo.
Nico sospirò. Ci aveva pensato anche lui, non è che non ci avesse pensato. Però...
«No. Non voglio farlo. È una soluzione provinciale.»
Ravaioli incrociò le braccia e fece un sorrisetto. «Cioè?»
«Sono i discorsi che ho sentito fare un centinaio di volte dai grandi, quando ero piccolo. Tipo, venivano a casa mia le amiche di mia madre e le sentivo dire: spero tanto che mio figlio fa una buona scuola e magari l'università e poi trova un buon lavoro ben pagato... Ecco, se io facessi l'università, magari lo trovo pure il lavoro lontano da casa, ma loro sarebbero contenti, capito?» Nico indicò il padre. «Perché...» Nico fece schioccare la lingua, in cerca di parole che esprimessero le idee confuse che aveva in testa. «Perché è una cosa che si fa, è una cosa giusta, da persone normali, cioè... Cioè, no, giusto e normale non sono le parole giuste, ma...»
«Quindi lo fai davvero per dar contro ai tuoi?»
«Certo, per quale altro motivo?» disse sprezzante il padre.
«No!» Nico batté un piede a terra. «Io... Ecco! Io non è che voglio dare contro a loro. Io non voglio essere loro! È diverso. Io voglio uscire da quella dimensione piccola e ristretta, voglio allargare la mia vita, sognare in grande!»
Il padre alzò gli occhi al cielo. «Sempre grande nella storia, lui...» borbottò.
Ma la reazione di Ravaioli fu diversa. Stava di nuovo sorridendo. E non era un sorriso di scherno, era di nuovo amichevole, positivo. «La vita del tennista non è solo gloria e sogni, lo sai?»
«Lo so benissimo. Mi sono spaccato la schiena sotto al sole, per arrivare qui.»
«I contadini nei campi si spaccano la schiena sotto al sole, non dire cazzate, signorino viziato» disse il padre.
«Forse non quanto un contadino, ma ho lavorato ogni giorno, ogni singolo giorno. E non mi interessa la gloria, mi interessa solo di pormi un obiettivo e raggiungerlo.»
«E secondo te quale sarebbe un obiettivo verosimile, per te?»
«Voglio entrare in top cento e guadagnarmi da vivere col tennis girando il mondo.»
Ravaioli alzò un sopracciglio. «Vuoi girare il mondo, ma le belle donne e i festini non ti interessano.»
«No» disse sicuro Nico.
«Certo che non gli interessano. È un finocchio.»
Nico rimase agghiacciato dalle parole del padre.
E dopo il ghiaccio arrivò il fuoco. Una rabbia cupa, sorda. «Tu... tu... devi sempre... Sei...»
«Sei finocchio? Davvero?» chiese Ravaioli, asciutto.
Nico abbassò la testa. Non rispose in modo esplicito. «So tenere il cazzo nelle mutande.» Dopo averlo detto trovò il coraggio di guardarlo di nuovo. Non voleva dargli l'impressione di essere un pavido.
Il padre fece schioccare la lingua. «Il cazzo nelle mutande? Se fosse vero non...»
«Vuoi stare zitto?» disse Nico. Avrebbe voluto gridarlo, ma si era trattenuto. Il padre, stranamente obbedì. E fu con voce calma che Nico continuò a parlare. «Tu mi vuoi mettere i bastoni tra le ruote in tutti i modi, l'ho capito. Prima hai cercato di rovinarmi la semi con... con quella cosa. Ma non me l'hai rovinata.»
«Ti ho già detto che l'ho fatto solo per darti una raddrizzata. E la partita l'hai pur persa.»
«L'ho persa perché Raffaele è più forte di me. Ma non ho giocato male. Non ci ho pensato a quelle cose che mi hai mostrato, mentre giocavo. Ho vinto io, hai perso tu. Puoi fare tutto quello che vuoi, ma non ci riuscirai mai a... a domarmi.»
«Quanti anni hai? Diciassette, vero?»
Nico guardò Ravaioli. Per rispondere al padre lo aveva escluso dalla conversazione come un vero cretino maleducato.
«Ne compio diciotto a marzo» rispose.
L'uomo accennò un sorriso. «Si vede. Hai tutto il fuoco e i grandi ideali che solo i ragazzini hanno. I sogni in grande, la voglia di staccarsi dai genitori...»
Nico non seppe cosa ribattere.
«Ma hai anche tante cose che ho visto raramente in un ragazzino.»
Perché continuava a definirlo ragazzino? Ragazzino era un tredicenne, lui era un ragazzo. Quasi un uomo.
«Questo è l'ultimo anno in cui puoi giocare questo torneo. E i diciottenni che giocano ancora juniores difficilmente diventano professionisti di alto livello. A diciotto anni McEnroe giocava la sua prima semifinale Slam, Borg era in top venti. Il tuo amico Novelli è già professionista a quindici anni e se vince questo torneo avrà la wildcard per un altro ITF e ci metto la mano sul fuoco che lo vince. A quindici anni.
«A me non interessa se fai altri punti juniores. Potresti anche dominare e vincerlo, un torneo juniores, perché sei alto e solido, hai una bella stazza e un servizio decente, ma vuoi davvero dominare dei ragazzini? Vuoi vincere contro dei bambini? Ti dico io cosa devi fare: prova a qualificarti a un evento ITF, prendi il tuo primo punto ATP. E lo devi prendere vincendo un incontro, non per culo. Se il tuo avversario si infortuna non vale. Non cercare di nasconderlo, in qualche modo lo verrei a sapere. Hai detto che compi gli anni a marzo, giusto?»
«Sì, il diciassette.»
«Bene. Se entro il diciassette marzo dell'anno prossimo fai un punto ATP, scrivimi.» Ravaioli indossava un marsupio. Nico lo osservò incredulo estrarne un blocchetto note. Ci scrisse sopra qualcosa. «Questo è il mio indirizzo. Non sono a casa quasi mai, quindi non ti do il mio numero, non avrebbe senso. Mi scrivi, me lo fai sapere, quando tornerò a casa leggerò. Potrebbe passare una settimana come due mesi, quindi non aspettarti una risposta rapida.»
Nico allungò la mano per prenderlo ma fu preceduto dal padre, che strappò il foglio di mano a Ravaioli. «Cosa vuole lei da mio figlio?» sbottò. «Decido io chi può chiamare o no! È un finocchio anche lei, per caso?»
Ravaioli non reagì. Lo fissò per qualche secondo impassibile. Poi alzò un braccio, schioccò le dita. «Sicurezza!» gridò.
Il padre di Nico sbatté le palpebre. «Ma...»
Un omone alto e sovrappeso, con indosso una maglietta attillata a metterne in mostra un misto letale di ciccia e muscolatura possente, stile lottatore di sumo, si avvicinò a loro. «Problemi?» chiese.
Ravaioli gli mostrò il tesserino che stava indossando al collo in una custodia plastificata. «Scorta fuori quest'uomo, prendi le sue generalità e non farlo rientrare.»
«Ma...»
Il padre fu afferrato dal braccio. «Andiamo, non opponga resistenza, per favore» disse la guardia.
«Io non ho fatto niente di male!»
Nico osservò incredulo una brevissima discussione tra l'omone e suo padre e vide quest'ultimo andar via berciando, seguito dall'omone. «Nico! Se non vieni in hotel entro un'ora ti chiudo in casa per due anni di fila!» fu l'ultima cosa che gridò andandosene.
Nico fu talmente allibito da quella scena che non riuscì a spiccicare parola.
«Dicevamo...» Ravaioli lo riportò al presente.
«Io... grazie?»
«Perché mi ringrazi? L'ho fatto allontanare perché stava dando fastidio a me, mica a te.» Sospirò e prese un altro foglio dal bloc notes, riscrisse l'indirizzo, lo diede a Nico. «Ecco. E se te lo stai chiedendo: no, non sono un finocchio e non ci sto provando. E il fatto che lo sia tu, be', non mi fa stare tranquillissimo, perché magari fai sport solo perché vuoi vedere ragazzi nudi sotto la doccia.»
Nico strinse le mandibole. «I ragazzi nudi sotto la doccia li posso vedere anche al mio circolo di provincia» obiettò, cercando di ignorare il rossore che gli stava scaldando le guance. «E se avessi voluto vedere ragazzi nudi in uno spogliatoio avrei scelto qualche sport di squadra.»
Ravaioli fece una risatina. «Io spero di non sbagliarmi, ma mi sembri un ragazzo davvero molto serio. Nonostante la tua amicizia con Novelli. Mi sembri l'opposto di Novelli, anche nel modo in cui giochi. E questa cosa mi piace.»
Raffaele gliel'aveva detto, che Ravaioli era un tipo che apprezzava serietà e disciplina.
«E mi è piaciuto molto anche il modo in cui hai tenuto testa a tuo padre.»
Nico annuì debolmente, non sapeva cosa dire.
«Mi sembra un gran bel pezzo di stronzo. E crescere con un padre così può portare solo due esiti: o diventi un succube o un cazzuto della madonna.»
Nico continuava a non rispondere.
Ravaioli fece un cenno di saluto portando un dito alla fronte. «Devo andare adesso. Ricordati: scrivimi solo se fai un punto. Entro il... cos'era? Diciassette? Va be', non barare sulla data, perché la vedo sulla tua scheda ITF.»
«E poi?» chiese Nico.
«E poi vedremo. Non ti prometto niente. Ti prometto solo due cose: che se davvero riuscirai a prendere un punto prima di aver compiuto diciannove anni sarò molto, molto stupito. E che sicuramente la considererò una cosa interessante.»
Nico strinse il foglio. «Grazie!»
Ravaioli fece per andarsene ma Nico volle approfittarsi di lui con un'ultima domanda. «Mi può dare qualche consiglio per migliorare la mia tecnica?»
Ravaioli scosse la testa, facendo una smorfia poco convinta. «Le tue uniche armi sono la freddezza e la disciplina. Punta su quelle.»
«Ma devo migliorare anche la tecnica.»
Ravaioli girò i tacchi e se ne andò, e mentre si allontanava disse: «Diecimila dritti, diecimila rovesci, diecimila volèe. Di servizi te ne bastano cinquemila. Ah!» Si voltò solo per un istante. «E se posso darti un consiglio dal cuore: stai più possibile lontano da Novelli. Quel ragazzo sarebbe capace di corrompere San Francesco d'Assisi.»
«Grazie!» gridò Nico da lontano. Lesse l'indirizzo, lo mandò a memoria, poi mise in tasca il foglio.
Ecco cosa racconterò a Leo, dopo. Ecco come gli farò passare la gelosia.
Il nostro sogno.
Il nostro sogno è a portata di mano.
Quando Nico alzò di nuovo la testa Ravaioli era già sparito.
—
Note 🎶
Buoni segnali da Tazio (no, non Tizio, Tazio!) Nuvol... ehm, Ravaioli. Ma dovrà passare un anno, per un eventuale risposta... e durante questo anno Nico che farà?
E cosa succederà adesso che è fuori dal torneo, col padre che lo aspetta al varco e la situazione con Leonardo ancora da risolvere?
Un sacco di bei casini che vedranno la loro risoluzione nelle prossime settimane. Aspettatevi un po' di movimento e dei bei capitoloni lunghi!
A giovedì, e lasciatemi una stellina per ogni karma point che ha vinto l'addetto alla sicurezza portando via il padre di Nico dal torneo.
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