35. Il piccolo borghese è solo un po' coglione
...il piccolo borghese, com'è noioso
Non commette mai i peccati grossi
Non è mai intensamente peccaminoso
Del resto, poverino, è troppo misero e meschino
E pur sapendo che Dio è più esatto di una Sweda
Lui pensa che l'errore piccolino non lo conti o non lo veda
(G. Gaber, Io se fossi Dio, 1982)
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7 gennaio 1983
Il padre di Nico fu deluso nelle sue aspettative sfavorevoli, perché Nico vinse il suo quarto di finale. E lo vinse anche Raffaele, perciò i due ragazzi si sarebbero di nuovo affrontati in campo il giorno successivo.
Raf e Nico si incontrarono al bar del circolo, dopo la doccia di Nico alla fine del suo incontro, per prendersi una cioccolata calda – offerta da Raffaele perché Nico non aveva soldi. Il padre di Nico per fortuna se n'era andato via cupo subito dopo la vittoria, perciò erano soli.
Raf fece i complimenti a Nico per il bell'incontro, di cui aveva visto quasi tutto il terzo e ultimo set, e poi invitò Nico a cena, ma quest'ultimo rifiutò.
«Mi farebbe piacere passare la serata con te, non voglio uscire con Fernando. Tu mi piaci molto di più» insisté Raffaele.
È finocchio anche questo Fernando? Non poté evitare di chiedersi Nico.
«E non uscirci, se non ti va, io cosa c'entro? Scusa, ma preferisco stare per i fatti miei. Mi deconcentro, se passo la serata a chiacchierare con te.» Inoltre avrebbe preferito non dover dare a Leo una scusa per ingelosirsi ulteriormente, nel caso avesse deciso di chiamarlo di nuovo.
«Fernando pensa solo a far festa e rimorchiare» disse Raffaele.
«Ripeto: se non ti piace, nessuno ti costringe a uscirci. E se non esci è meglio» rispose Nico. Assaggiò una cucchiaiata di cioccolata. Lui l'aveva presa semplice, preferiva non esagerare con gli zuccheri. Raffaele ci aveva fatto mettere anche la panna. «Preferirei giocare contro un Raffaele al cento per cento. Non vorrei che ti presentassi stanco e batterti solo perché sei stanco.»
Raffaele rise. «Ti batto lo stesso, non preoccuparti.»
«Sei molto presuntuoso» osservò Nico.
«No. Vedo la nostra differenza di livello e non mi faccio problemi a farla notare anche a te.»
Nico apprezzò la sincerità. Sorseggiò il cioccolato e rimuginò. «Hai cambiato idea sulla mia possibilità di diventare pro? O pensi ancora che sia un sogno impossibile?»
Raffaele non mutò la sua espressione seria. Accusava sempre Nico di essere serio, ma lui a volte lo era persino di più. O forse triste, più che serio. Anche quando scherzava, rideva e faceva il buffone, c'era sempre un'aria vagamente triste nei suoi occhi. In certi momenti faceva e diceva cose da ragazzino, in altri sembrava molto più maturo dei suoi quasi sedici anni.
Prese una cucchiaiata di cioccolato e panna lasciandosi un piccolo sbafo bianco sopra il labbro. Si leggeva nei suoi occhi che stava riflettendo sulla domanda di Nico. Si leccò il labbro per togliere la panna e Nico cercò di non pensare a quanto avesse, per un attimo, trovato sensuale quel gesto.
«Quando hai detto quella cazzata sul venire a stare da te...» lo incalzò Nico.
«Non era una cazzata» lo interruppe Raffaele, sempre serio.
«Sì che lo era, e se non te ne rendi conto è grave. Comunque, stavo dicendo, hai detto: vieni con me, ci alleniamo insieme e ti faccio diventare pro. Considerando che stavi sparando cazzate esagerate, suppongo fosse una cazzata anche quella. O che lo stessi dicendo per far scena con mio padre. Però non ho potuto evitare di pensarci. Perché solo qualche giorno fa eri stato categorico: non hai speranze. Hai cambiato idea? Mi hai visto giocare. Dimmelo sinceramente. Hai visto qualcosa che ti ha fatto cambiare idea o sono sempre senza speranze?»
Raffaele rispose con una domanda. «Tu la speranza ce l'hai, vero?»
«Sì. E ci sono momenti in cui mi sento convinto che ce la posso fare, se mi impegno. Ma ho paura di essermi fissato su qualcosa che è al di là delle mie possibilità. E tante volte mi chiedo quanto questa mia convinzione sia solo un'illusione.»
«Sai cosa mi piace di te?»
«Cosa?»
«Il tuo italiano.»
Nico rimase spiazzato da quella risposta. Pensava stessero parlando di tennis. «Il mio italiano? Cosa cazzo c'entra il mio italiano?»
«È bello perché non ti fai problemi a esprimerti bene. Certe volte sembri un libro stampato, e non te lo sto dicendo per prenderti in giro ma come complimento. Tipo adesso: mi chiedo quanto questa mia convinzione sia solo un'illusione, hai detto. Senti che bella frase! Chi è che parla così alla nostra età? Tu! Sono frasi che mi aspetto in bocca a un uomo vecchio, serio e studiato. Di sicuro non a un diciassettenne che vuole fare lo sportivo di mestiere. E invece eccoti qua, Nicolò Bressan, ragazzo serio, che legge, intelligente, e soprattutto non sei sciatto. Non sei per niente sciatto. Hai sempre sotto controllo tutto, anche il modo in cui parli.»
Nico roteò gli occhi. «E quindi qual è il punto di questo panegirico?»
Raffaele ridacchiò. «Anche panegirico è una parola stranissima! Bella, però! Inizierò a usarla anch'io.»
«Menomale che mi stavi facendo i complimenti e non mi stavi prendendo in giro...»
«Ti posso fare i complimenti e anche prenderti un po' in giro. Il punto del panegirico, dicevi? Eccolo il punto. Che forse ho cambiato un po' idea su di te proprio per questo. Perché ti manca il talento, ti manca la tecnica e ti mancano i colpi, ma hai questa cosa che nessun altro tennista ha. Nessun tennista che abbia mai conosciuto. Magari Borg, McEnroe e Lendl ce l'hanno, non so, ma questi miei colleghi coetanei con cui gioco da quando sono bambino non ce l'hanno.
«Siamo tutti uguali, te lo dicevo anche l'altro giorno, pensiamo solo a divertirci e a rimorchiare e non abbiamo disciplina. Sì, ci alleniamo ogni giorno, diverse ore al giorno, ma non ci controlliamo quando smettiamo di allenarci, e spesso non ci controlliamo neanche in campo. Tu invece ce l'hai un casino, la disciplina. Questa capacità di controllarti ti fa una persona super rigida ma anche super capace. Tu controlli le frasi che escono dalla tua bocca, e nello stesso modo per me sei capace di controllare anche la tua vita, il tuo tennis e anche le tue emozioni.
«Mi hai fatto un'impressione, due giorni fa, contro Abate. L'ultimo gioco. Ti stavi cagando sotto, ti ho visto mentre entravi in campo da come camminavi, dalla faccia che avevi, ecco, mi son detto, adesso si fa fare contro-break, poi va in panico e la perde. L'ho visto succedere un fantastiliardo di volte, è una cosa tipica, è capitato anche a me un paio di volte. E infatti hai iniziato con un doppio fallo. Fine. Partita finita, pensavo.
«Poi hai chiuso gli occhi. Grande sospiro. Anche questa roba l'ho vista succedere, gente che fa dei sospironi per calmarsi, ma non funziona mai. Però ho capito subito che c'era qualcosa di diverso, stavolta, perché... non so neanch'io perché, di preciso, ma ti vedevo strano, diverso. Tutto a un tratto avevi lo sguardo fisso, spalancato, serissimo, con le sopracciglia così.» Raffaele mise i due indici ad angolo ottuso verso il basso sopra ai suoi occhi. «E i tuoi movimenti erano secchi, decisi. E poi... bam, bam, bam! In due secondi era finito tutto. Freddissimo, cazzo! Più freddo di Mister Ice Borg in persona! Come cazzo hai fatto? Mai vista una roba simile, ti giuro! E lì ho pensato, non te l'ho detto ma ti giuro che l'ho pensato: questo ragazzo ce la può fare. Perché magari non le vincerai tutte, le partite, ma di tennisti cagasotto ce ne sono tantissimi, anche tra quelli bravi, e tutti i tennisti cagasotto secondo me tu sei capace di batterli, così.»
Nico avvertì il proprio cuore accelerare. Non era abituato ai complimenti. Erano complimenti che contenevano anche una forte dose di critiche, ma erano senza dubbio complimenti. Raffaele disse altre cose, che Nico seguì poco, imbarazzato com'era. Commentò anche l'incontro di quel giorno contro la testa di serie numero dieci, Renato Giglioni, e sottolineò altri episodi in cui secondo lui Nico aveva dimostrato la proverbiale freddezza con cui era riuscito a dominare anche quell'avversario.
«Anche i tuoi colpi bruttissimi da scuola di provincia secondo me funzionano, proprio perché sono bruttissimi. Innervosiscono l'avversario. Cioè, hai presente oggi quando hai vinto quel punto alzandogli tre orrendi campanili di fila?»
«Erano colpi difensivi, cos'altro potevo fare in quella situazione?» disse Nico, ora un po' infastidito dall'aggettivo orrendi.
«Hanno funzionato perché lo hai fatto incazzare! Mi sembrava di leggergli il pensiero: ma dove cazzo pensa di essere, questo? Al circolo di mio nonno? Cosa sono questi campanili? Tiè, beccate 'sto smash che ti faccio passare la voglia di fare queste idiote palle alte! Aaah, che due coglioni, di nuovo? E ribeccatene un altro! Eh no, eh? Ma sai giocare solo così? Brutto stronzo ora ti puniscooo!»
Nico rise, perché Raffaele stava recitando la scena facendo delle espressioni spiritate e agitando le mani. «E alla fine l'ultimo smash l'ha sbagliato perché non stava più ragionando con calma e aveva solo la smania di punirti» concluse.
«Sai che me l'ha detto anche lui a rete, ora che ci penso?»
«Che t'ha detto?»
«Una roba tipo... ho perso solo perché stavo male, hai dei colpi orrendi... no, osceni, ha detto, hai dei colpi osceni, se non mi faceva male la caviglia ti battevo sei zero sei zero.»
«Stronzo. Non è vero. Non è vero neanche che gli faceva male la caviglia. Abate era infortunato, Giglioni stava benissimo, invece. Ti ha detto quelle cose perché gli rodeva.»
«In effetti anche a me sembrava che stesse bene.»
«Nic, comunque, tornando alle tue possibilità di diventare pro: io non stavo dicendo una cazzata. La mia casa è aperta, per te.»
Nico alzò gli occhi al cielo. «Sì che è una cazzata. Questa è una delle poche cose in cui concordo con mio padre: tu non mi conosci. Non ci conosciamo.»
«Ci stiamo conoscendo!»
«Sì, ok... da quanto? Tre giorni? Mi stai simpatico, ok, e io forse sto simpatico a te, ma...»
«Tu non mi stai solo simpatico, Nic. Mi hai aperto il cuore! Io già lo so che sei il mio migliore amico.»
Nico dovette distogliere lo sguardo dall'imbarazzo. Perché ogni singola frase melodrammatica ed esagerata di quel ragazzo gli faceva così effetto? Perché il suo cuore si ingolfava? «Ma non ci conosciamo bene, in realtà!» obiettò. «Sei abituato a regalare ospitalità, vitto, alloggio e allenamenti gratis a tutti quelli che... che ti fanno una confessione personale? Cosa vuoi in cambio? Non sono meschino come mio padre, non penso che vuoi approfittarti di me, ma... non so, mi sembra una cosa esagerata.»
«Sì, hai ragione su questo. Qualcosa in cambio la voglio. Io penso che sia utile anche a me, se ti alleni con me.»
La frase incuriosì Nico. «Cioè?»
«Perché io ti ammiro più di ogni altra persona al mondo.»
Nico roteò gli occhi. «Di tutte le cazzate altisonanti che hai detto...»
«No, non è una cazzata. È la verità. Non sto usando questa parola a sproposito, giuro. Ogni minuto che passa e che ti conosco un po' di più io ti ammiro di più. Non c'è una singola cosa di te che non ammiri. Ammiro il tuo coraggio quando affronti tuo padre. Ammiro il modo in cui non ti arrendi di fronte a niente. E soprattutto ammiro il tuo autocontrollo. È una cosa che a me manca completamente. Quindi sì, hai ragione che c'è un tornaconto anche per me. Penso anch'io di poter imparare da te, standoti vicino. Tu impari da me il tennis, io imparo da te l'autocontrollo.»
Nico fu di nuovo colpito dai suoi complimenti. Da un lato gli sembravano esagerati, e aveva il sospetto che lo stesse solo adulando. Ma una parte di lui ci credeva e crederci gli riempiva il cuore di una strana emozione. «Sei molto più matto di quel che pensavo» disse per dissimulare.
«Ma quindi la accetti o no questa proposta?»
«Ovvio che non la accetto. Per favore, non chiedermelo più.»
Nico e Raffaele discussero ancora un po', di tennis, di suo padre, del loro futuro. Raffaele a un certo punto nominò Leonardo, chiese a Nico se gli mancasse. Nico tagliò corto, accennando al fatto che la sera prima aveva litigato con lui al telefono, ma minimizzò cambiando subito argomento, e l'altro per fortuna non insisté. Nico per qualche istante era stato tentato di raccontargli tutta la telefonata, per sfogare la propria frustrazione, ma non gli piaceva parlare dei suoi fatti privati. Senza contare che sarebbe stato complicato parlarne evitando di rivelare il motivo della gelosia di Leo.
Si salutarono, infine, e tornarono ai rispettivi hotel, con Nico che raccomandò a Raffaele di andare a dormire dopo cena e presentarsi riposato l'indomani.
«Ti prometto che lo faccio, papi. Vado a letto alle dieci!»
Nico sorrise e se ne andò.
***
Non incontrò il padre a cena, quella sera, e Leonardo non lo chiamò. Nico era indeciso se fosse felice o amareggiato da quest'ultimo fatto: avrebbe voluto sentirlo, e allo stesso tempo non voleva subire un'altra scenata di gelosia senza senso.
Faticò a prender sonno per la tensione. Semifinale! Di un importantissimo torneo giovanile italiano! Un G2! Quando fino a quel momento aveva raccattato solo qualche misero punto a tornei regionali. Con quella semifinale di punti ne aveva guadagnati ben 50. E dovevano averlo notato, accidenti! Non era comune che una wildcard arrivasse così in fondo a un torneo importante. E chissà se avevano notato anche la freddezza e le qualità lodate da Raffaele...
Immaginando la gloria Nico si addormentò, infine, sognò vittorie, sognò Leo e anche un abbraccio conturbante di Raffaele.
Fu l'ultimo sogno che lo fece svegliare con un'erezione, di cui si vergognò, perché lo fece sentire squallido come suo padre.
Appena possiamo tacconiamo, noi uomini, siamo tutti uguali. Così aveva detto, confermandogli un sospetto che aveva sempre avuto: che avesse tradito diverse volte la madre.
Anche Nico era così? Non avrebbe mai voluto tradire Leo, ma si rese conto di averlo già un po' fatto, con la testa. Raffaele era un ragazzo così interessante, diverso, intelligente, avrebbe parlato per ore con lui, gli piaceva la sua compagnia. Era anche bello.
Leo cos'aveva? Non era bello. Ma peggio di questo, era ignorante, grezzo. Forse non era completamente stupido, ma si faceva fatica a capirlo, sotto quella coltre di ignoranza e italiano sgrammaticato. Era uno stronzo manipolatore, per giunta, possessivo, pensava solo a godere e si approfittava di Nico.
Perché lo amo? Cos'è che amo di lui?
Forse ciò che ogni tanto lasciava intravedere sotto la superficie: i suoi occhi accesi quando suonava la fisarmonica, la sua mano tra i capelli durante i pompini, il coraggio con cui aveva affrontato le batoste subite. Quella volta che gli aveva detto ti amo senza dirglielo, cantandogli quella canzone. E quando mostrava le sue debolezze e il bisogno che aveva di essere abbracciato e protetto. A Nico piaceva, ogni tanto, immaginarsi salvatore, eroe, capace di cancellare il dolore, le angherie, diventare scudo per la fragilità di Leo; faceva parte di questa fantasia l'idea di portarlo via da quel posto squallido, comprargli una nuova fisarmonica, ridargli il sogno che la povertà e la stupidità gli avevano portato via. Fu a lui che pensò masturbandosi.
***
8 gennaio 1983
Il padre di Nico non si fece vedere nella sala della colazione. Erano le otto e mezza. Nico mangiò, tornò in camera a lavarsi i denti, cercò di rilassarsi per mezz'ora ascoltando un po' di radio al Walkman. C'era ancora dentro la cassetta di Umberto Tozzi che gli aveva lasciato Leonardo, era l'unica che aveva, ma non gli andava di ascoltarla e turbarsi prima dell'incontro.
Quando scese di nuovo, alle nove e mezza, sbirciò un'ultima volta nella sala ristorante: nessuna traccia del padre. Non voleva andare a disturbarlo in camera, non gli interessava parlarci, perciò si recò al torneo con l'autobus navetta.
L'incontro con Raffaele era previsto all'una. Era sconsigliato mangiare prima di un'attività fisica intensa, perciò Nico aveva fatto una colazione sostanziosa e appena arrivò al circolo mangiò una banana e delle nocciole come ultimo snack. Si era fatto spiegare da Raffaele la ricetta della limonata salata, e aveva chiesto all'hotel un vuoto di vetro in modo da portarsi dietro due bottiglie: la sua borraccia piena d'acqua e la bottiglia con la limonata, che si era preparato quella mattina stessa usando i limoni presenti nel ristorante dell'hotel. Aveva già sperimentato quella combinazione il giorno prima e aveva funzionato alla grande. Nico, quel giorno, avrebbe giocato per la prima volta dentro il palazzetto, e lì faceva più caldo, si sudava di più. Il rischio di crampi era più alto.
Erano le undici, Nico stava iniziando il suo riscaldamento e finalmente apparve Raffaele. Sembrava sereno, fresco e riposato. Salutò Nico e gli confermò a voce ciò che Nico aveva già sospettato vedendolo: «Oh, ieri sera nanna alle dieci eh! Mai stato meglio in vita mia, ti faccio sei uno sei uno!»
Nico rise. «Grazie per i due giochi!»
Non si parlarono più, proseguirono il loro riscaldamento separati, Nico si sentiva felice, soddisfatto, pieno di energia. Non sarebbe stato un incontro facile ed era molto probabile che avrebbe perso. Ma l'avrebbe fatto con onore, mettendocela tutta e non concedendogli neanche un punto.
Mancavano ormai dieci minuti all'ora stabilita. Nico aveva già interrotto da almeno mezz'ora la parte più intensa del suo riscaldamento, per non affaticarsi. Si era cambiato indossando la tenuta da gioco. Era pronto e teso. Le due tenniste che si affrontavano prima di loro sullo stesso campo, però, stavano ancora giocando, e a giudicare dal punteggio ne avrebbero avuto per un'altra mezz'ora. Nico non poteva far altro che continuare il suo defaticamento, i suoi esercizi di stretching. Lo aiutavano a rilassarsi, a concentrarsi.
La partita delle ragazze era arrivata ormai all'ultimo gioco, una delle due stava servendo per il match. E fu proprio all'inizio di quel gioco che Nico vide arrivare il padre.
Con un sorrisetto trionfante e malevolo.
«Cosa c'è?» disse Nico, preoccupato da quell'espressione.
«Il telefax è proprio una bella invenzione» disse.
Nico non capì. Cosa signficava quel sorriso? E quella frase? Non avere parametri di comprensione lo pervase di una strana, sottile tensione.
Il padre si guardò intorno, non c'era nessuno a portata di orecchio, ma parlò ugualmente a bassa voce. «Sai dov'ero? All'hotel del frocetto numero due, lì» indicò Raffaele, che si stava riposando ascoltando della musica al suo Walkman seduto a una panchina distante. Non si era accorto di lui, per il momento.
«E cosa ci sei andato a fare?» Nico, per un attimo, pensò che il padre avesse scoperto che poteva ritirare la sua approvazione al torneo facendosi forza della sua patria potestà. Pensò che avesse in qualche modo scoperto la cosa attraverso il padre o la madre di Raffaele. Ma si rese conto che era un pensiero senza senso, perché gli era venuto in mente? La sua testa brancolava nel buio.
«Perché so che hanno un apparecchio telefax. E dovevo mandare un fax. Questa è la ricevuta.»
Nico prese in mano un foglio in carta chimica. C'era scritto: Trasmissione OK. Seguivano sigle incomprensibili e un numero di telefono che iniziava con 0883. Che prefisso era?
«Ma cos'è? Che numero è questo? Perché me lo stai mostrando?»
«Zero otto otto tre è il prefisso di Barletta. Mi sono informato che caserma stava il tuo slavo, ho chiamato se avevano un fax, ho pensato i militari hanno sicuro un fax, e infatti ce l'hanno. Gliel'ho mandato, gli ho detto: è un fax importante per Leonardo Devetak.»
«E cosa hai mandato?» chiese Nico, non riuscendo a immaginare niente.
«Ti faccio vedere subito.»
Il padre estrasse dalla tasca una Polaroid e la mostrò a Nico soddisfatto.
A Nico tornarono all'improvviso in mente delle parole che Raffaele aveva pronunciato due sere prima al telefono, e che lui sul momento aveva ignorato come poco interessanti: hai preso tu la nostra Polaroid?
No. L'aveva presa il padre.
Era la foto in cui Nico e Raf si abbracciavano, scattata in camera di Raffaele, col letto matrimoniale ben visibile sullo sfondo.
—
Note 🎶
E bravi i miei lettori! Avevate capito più o meno tutti che era stato babbo Giacomo a fregare la foto. E adesso? Secondo voi come reagirà Leo quando la vedrà?
E cosa farà Nico? Giocherà? Non giocherà? Chiamerà Leonardo?
Piccola nota sulla canzone di oggi: Io, se fossi Dio, del grandissimo Gaber. Quindici minuti di sparate a zero per tutti, ascoltatela, racconta un po' dell'Italia del passato che è ancora molto attuale. E trovo che il verso che ho messo in citazione sia perfetto per il vecchio piccolo borghese Giacomo, meschinello in maniera piccola, pavida e sempre col pensiero di essere il più furbo.
https://youtu.be/S3Fn7C7awqw
Detto ciò, ci rileggiamo lunedì prossimo, sperando che torniate in tanti dalle vacanze, e lasciatemi una stelline per ogni scintilla di fuochi di artificio che sono stati sparati a Ferragosto.
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