32. Qualcosa che è dentro me, ma nella mente tua non c'è
Chiudere gli occhi per fermare qualcosa che
È dentro me
Ma nella mente tua non c'è
Capire tu non puoi
Tu chiamale se vuoi emozioni
(G. Rapetti, Emozioni, 1970)
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Nico giocò il primo set con l'angoscia che gli faceva sudare le mani. La racchetta era scivolosa, la sua presa debole.
Lo perse senza vincere nemmeno un gioco.
Sedette a riposare in attesa che il secondo set cominciasse.
Portava sempre con sé una borraccia di plastica piena d'acqua, ma l'aveva quasi finita.
Tanto, se continuo così, gioco un'altra mezz'ora e me ne vado.
Ripensò alle parole del padre. Alla sua minaccia di dire a tutti che Nico era finocchio, se avesse voluto continuare a giocare in quel torneo. Che senso aveva impegnarsi?
«Eddai, Nic! Mica sei così scarso!»
Era la voce di Raffaele che aveva gridato. Non era la prima volta che la udiva. Il tifo gli aveva fatto piacere, ma non gli era servito a molto.
Però aveva ragione. Nico non era così scarso. Era scarso, se confrontato con quei ragazzi che giocavano da anni tornei nazionali e internazionali. Ma non così scarso.
Il campo su cui stava giocando era un secondario, come il giorno prima. I pochi spettatori stavano in piedi dietro una rete che si trovava sul lato opposto alle panchine. Nico alzò la testa e vide suo padre. Aveva le braccia incrociate, con cui teneva il cappotto. Indossava la giacca e i pantaloni eleganti che gli aveva visto anche il giorno prima.
Non si è portato un cambio?
Il padre non aveva preso in considerazione l'idea che si sarebbe dovuto fermare a dormire fuori. Perciò era molto probabile che quella sera stessa se ne sarebbe andato, se Nico avesse forzato la mano.
Ma non è mica detto.
Aveva di certo con sé dei soldi. E la sua odiosa carta di credito che sfoggiava sempre con gran boria ovunque andasse. Anche se non aveva vestiti di ricambio, ne poteva sempre acquistare qualcuno.
«Tempo» disse l'arbitro.
Nico si alzò, continuando a guardare suo padre. E suo padre fece un movimento, quasi impercettibile: scosse la testa.
Mi disprezza...
Nico decise, in quel momento, che non poteva dargli quella soddisfazione.
Il padre pensava di averlo schiacciato, dominato, annichilito. No! Nico non si faceva domare così!
Cercò Raffaele con lo sguardo in cerca di un piccolo conforto. Lo trovò, poco più a destra del padre. Il ragazzo gli mostrò un pugno per incitarlo.
Nico abbassò la testa. Che sciocca debolezza. La motivazione doveva venire da dentro di lui. E se non ci fosse stato Raffaele? Come avrebbe fatto? Avrebbe fatto da solo.
E da solo avrebbe vinto.
Nico partì battagliero al servizio. C'erano due cose importanti da tenere a mente.
Punto primo: il suo rovescio faceva pena, lo aveva detto anche Raf. Doveva cercare di impedire ad Abate di rimettergli palle sul rovescio.
Cominciò a forzare scambi di dritto. Che era comunque scarso, a detta di Raf, ma meno del rovescio.
Il problema era che Abate era molto forte sul dritto. Ma grazie forse anche al repentino cambio di intensità nel proprio gioco e l'effetto sorpresa che aveva avuto sull'avversario, Nico tenne il primo gioco dell'incontro.
Mentre cambiava campo diede di nuovo un'occhiata alle gradinate e vide un gesto eloquente di Raffaele.
Si indicò di sfuggita il ginocchio.
Già... ad Abate fa male il ginocchio destro.
Ma io non voglio sfruttare questa debolezza! Non è sportivo!
Gli balenarono in mente quelle parole di Raffaele che l'avevano tanto offeso: questo è un discorso da persona comune.
Raffaele non gli aveva più spiegato il senso di quella frase, Nico si era dimenticato di chiederglielo. Perché un atleta avrebbe dovuto pensare diversamente da come pensava Nico? Essere atleti significava voler vincere a tutti i costi? Anche a spese della salute fisica dell'avversario?
Nico si mise in attesa con quella domanda in testa. Riuscì a rispondere bene, perché sul lato della parità Abate serviva un po' peggio, forse proprio a causa del ginocchio. Quando la palla arrivò di nuovo a Nico, per un attimo fu tentato di giocargli un contropiede, proprio per metterlo in difficoltà sul ginocchio, ma la sua sportività prevalse e mandò la palla nella direzione in cui l'avversario stava già correndo.
E quello lo punì. Prese quella palla sin troppo facile e la rimandò di là con un vincente. Esultò con un secco: «Sì!»
Stronzo, pensò Nico. Ti ho lasciato vincere il punto ed esulti pure?
E fu in quel momento che Nico fu colpito da un'illuminazione.
Fu repentina, dirompente.
Fu il cambio di idea più radicale e improvviso che avesse mai avuto, un cambio di prospettiva completo.
Rivide se stesso nel match contro Raffaele e ripensò a come si era sentito quando Raffaele gli aveva detto di averlo lasciato vincere: umiliato. Non rispettato.
Concedere qualcosa all'avversario giocando sotto gli standard non era un comportamento sportivo. Era l'esatto opposto.
Abate si era messo in gioco con quella debolezza, in modo volontario e consapevole. Nico doveva giocare al meglio delle sue possibilità per batterlo. E se Abate avesse giudicato che lo sforzo per lui era troppo, be', era una persona adulta e capace di decidere da sola se era il caso di fermarsi.
Ha difficoltà a spostarsi lateralmente? E io lo sposterò!
Non ci riuscì sul punto successivo, perché il servizio sul lato del vantaggio era più efficace, ma ottenne il quindici-trenta spostandolo a destra e sinistra sul terzo punto.
Questa è la chiave. E ce la posso fare!
Nico continuò a giocare quella semplice strategia: appena ne aveva l'occasione cercava di forzare Abate a spostarsi o gli giocava degli inattesi contropiedi. E funzionò, riuscì a fargli break nel quarto gioco.
Abate era più forte di Nico, e cercò anche lui di giocare una strategia simile, muovendolo a rincorrere la palla appena prendeva comando dello scambio, cosa che grazie alla sua forza e alla sua tecnica accadeva spesso.
Ma ecco che a Nico tornavano utili gli allenamenti di resistenza fatti da solo, le corse nei campi, gli scatti, gli affondi.
Alla fine del secondo, lunghissimo set, che Nico vinse grazie a quell'unico break, lui era ancora pieno di energia e voglia di correre, Abate sembrava spossato. Diversi dei giochi di Nico erano finiti ai vantaggi, ma questo alla fine era andato a suo favore, perché il prolungarsi del gioco aveva sfiancato l'altro.
Il problema era che Nico avrebbe voluto bere. Abate si era già fatto portare una nuova borraccia dal suo allenatore, ma Nico non aveva nessuno, tranne il padre e Raffaele. Quest'ultimo forse l'avrebbe potuto aiutare, ma Nico temeva potesse essere contro il regolamento farsi aiutare da una persona non autorizzata.
Giunse il momento di rientrare e Nico non fece nulla. C'erano ben tre giochi prima di poter tornare in panchina.
E furono tre giochi d'inferno. O meglio: due passeggiate e un incubo.
Le due passeggiate furono quelle di Abate: il primo e terzo gioco, in cui servì lui giocando tutto alla massima potenza. Era stanco e forse dolorante e il suo scopo era accorciare gli scambi.
L'incubo fu per Nico, il suo gioco di servizio. Abate rispose aggressivo, mettendolo in difficoltà. Le corse non lo stancavano, ma lo facevano sudare. E gli effetti della disidratazione si fecero sentire.
Crampi. Crampi lancinanti alle gambe. Nico ce la mise tutta per tenere il gioco, ma non ci riuscì, e dopo sei vantaggi venne breakkato.
Tornarono a sedersi sullo zero tre e Nico si decise a parlare all'arbitro: «Sto morendo di sete, posso farmi riempire la borraccia da un'amico che sta guardando l'incontro?»
«Ma perché non l'hai detto prima? Certo! Vai subito. Ma potrai bere solo al prossimo cambio campo, ormai.»
Nico scattò verso la rete, borraccia in mano, Raffaele capì subito che stava andando da lui. «Me la riempi d'acqua per favore?» disse Nico lanciandola.
Raffaele alzò le mani per afferrarla al volo. «Stupido, ti sei fatto venire i crampi» disse afferrandola. Poi saettò in direzione degli spogliatoi.
Prima di tornare alla panchina, Nico rivolse un'occhiata al padre. Era lì davanti a lui, e ora, da vicino, Nico riusciva a vedere bene i suoi occhi.
Erano cupi e pieni di odio.
Nico trascorse il tempo di pausa restante facendo allungamento per cercare di decontrarre i muscoli. Tenere il gioco successivo fu l'impresa più difficile dell'incontro, ma quando cambiò campo sull'uno quattro, Raffaele era finalmente tornato con la borraccia e Nico corse da lui.
Raf gliela lanciò. Nico tornò alla panchina, bevve e si rese conto subito che quel liquido non era acqua.
Aveva un sapore strano, un po' acido, dolciastro e... stranamente salato.
Fece un'espressione disgustata e indicò la borraccia a Raffaele. Lui gli fece un ok con la mano e mimò il gesto di bere.
Ma che roba è? Un medicinale?
Sarà mica doping?
Nico decise di fidarsi e bevve, cercando di non ingozzarsi. Nonostante lo strano sapore era dissetante.
I due game successivi non riuscì a combinare granché ma notò subito un netto cambiamento: non ebbe nemmeno un attacco di crampi.
Mi ha dato davvero un medicinale? pensò mentre ne beveva ancora, seduto in panchina. O è solo autosuggestione?
Stava bene, ora. Era un po' stanco, certo, ma meno del suo avversario, di questo era sicuro: lo capiva da come l'altro ansimava e da come correva più lento.
Ma la cosa migliore era che i crampi, che a inizio set avevano quasi paralizzato Nico, sembravano davvero svaniti.
Due cinque. Avrebbe servito lui, e poi l'avversario per chiudere l'incontro.
Gli faccio contro-break.
Nico scese in campo con quella certezza in testa. Una certezza che lo fece giocare con determinazione e senza paura. Tenne il suo servizio a zero per la prima volta nel set.
E sul servizio dell'avversario lo distrusse. Sfruttò la sua stanchezza, rispose ai suoi servizi meno spinti, lo spostò, lo fece correre e gemere di fatica, e gli rubò il servizio.
A zero!
Quattro cinque.
Ci furono applausi persino da chi non lo conosceva, e i ruggiti di esultanza di Raffaele. Solo Nico non festeggiò. Non gli piaceva dare in escandescenze, la sua era una soddisfazione intima, profonda, personale.
Forse anche il padre non aveva festeggiato. Nico non lo sapeva. Non voleva saperlo. Non l'aveva guardato.
Finì la bevanda di Raffaele all'ultimo cambio campo.
E di nuovo un game di servizio a zero. E di nuovo l'avversario in difficoltà sul suo game.
Questa volta Abate gli diede molto più filo da torcere. Nico vedeva la rabbia, la frustrazione, la stanchezza sul suo volto.
Vinco io. Ti ho sfiancato.
Lo vinse.
Sei cinque. Da due cinque. Aveva vinto quattro giochi di fila. E quando si voltò verso il bordo campo, si accorse che si era assiepata un po' di gente.
Sono qui per me?
E fu in quel momento che lo vide. Un uomo con una tuta della Federtennis.
Un osservatore!
Panico. Il cuore impazzì nel suo petto.
«Tempo!»
Si alzò. Le gambe erano molli, ebbe un piccolo inciampo.
Calma. Calma Nico!
Ma era facile dirsi calma. Più difficile seguire il consiglio.
Con la testa in confusione e le mani molli, iniziò con un doppio fallo.
No. Non era ammissibile.
Aveva avuto le gambe molli di paura per colpa di suo padre, per tutto il primo set. Ma era riuscito a farsela passare.
Autocontrollo. Era la sua più grande capacità. Sapersi controllare.
Chiuse gli occhi e fece un profondo respiro. Fissò il campo e pensò solo a quello.
Al campo. Rettangolo blu, righe bianche. Racchetta, legno, plastica. Non usava le corde in budello, usava quelle sintetiche che a Gradisca avevano iniziato a vendere da un paio d'anni. Gli sarebbe sembrato ipocrita usare il budello, considerando che non mangiava più carne.
Ace.
Campo. Sgommate di scarpe. Racchetta.
Pallina. Bianca. Feltro e caucciù. Servizio, risposta, dritto, a destra, a sinistra, toc, toc, toc.
L'avversario la buttò in rete.
Campo blu. Tendone grigio. Servizio. Risposta in rete.
Quaranta quindici.
Due match point.
Respiro. Pallina bianca. Tendone grigio chiaro. Quando la pallina volò in aria si confuse per un attimo contro il tendone che aveva un colore molto simile. Fu solo un attimo, un'illusione che, però, non lo fece sbagliare, le corde impattarono, la pallina schizzò, colpì la riga, rimbalzò verso l'esterno.
L'avversario sventolò il suo braccio invano.
«Gioco, partita, incontro Bressan, zero sei, sei tre, sette cinque.»
Ce l'ho fatta. Ce l'ho fatta!
Nico si era talmente disconnesso dalla realtà per cercare di non agitarsi, che impiegò diversi secondi prima dì rendersi conto che aveva vinto contro una testa di serie.
A rete l'avversario gli fece i complimenti: «Gran partita. Hai una resistenza pazzesca, bravo.»
Nico non sapeva cosa dire. «Ottimo incontro, grazie» rispose. Una frase fatta. Era frastornato.
Le urla. Il pubblico esultava. La voce di Raffaele spiccava.
L'osservatore! Dov'è?
Nico guardò il bordo campo, prima di andare dall'arbitro, e lo vide. Stava andando via proprio in quel momento. Significava che aveva visto tutto, fino alla fine, stretta di mano compresa.
Nico strinse la mano anche all'ufficiale di gara con un sorriso radioso. Aveva vinto! Era al terzo turno e un osservatore della Federtennis aveva trovato il suo incontro tanto interessante da spingerlo a restare fino alla fine. Possibile che non fosse un buon segno?
Ripose racchetta e borraccia nella sua borsa e si diresse all'uscita dove suo padre lo aspettava a braccia conserte e Raffaele sorridente. Gli scattò l'ennesima Polaroid. «Te ne ho fatte diverse mentre giocavi! Guarda!» Mostrò un paio di foto a Nico, che intravide immagini di se stesso in campo, prese da lontano. Era talmente sottosopra per le troppe emozioni che quasi non le guardò. «Che partita! Grandissimo!» continuò Raf.
«Cosa mi hai messo nella borraccia? Un medicinale? Mi ha fatto passare i crampi!»
«Sarà stata qualche droga, così adesso ti squalificano» disse il padre sprezzante, avvicinandosi a loro.
Raffaele rise. «Ma no! Era limonata messinese! Succo di limone, acqua, zucchero e sale. Serve a reintegrare i sali minerali che perdi quando sudi. Ne avevo una borraccia nella mia borsa, l'ho versata nella tua.»
«E funziona! Ma chi te l'ha insegnato? E... e adesso tu come fai, però? Te l'ho finita...»
«Non preoccuparti, mi arrangio facendomi fare qualcosa al bar.»
«Basta, adesso, mi sto rompendo i coioni» li freddò il padre. «E tu cosa hai vinto a fare? Cosa volevi dimostrare? Guarda che non ho cambiato idea. Torniamo a casa.»
Nico non accettò quell'ordine. «Non sei stato neanche un po' orgoglioso di me? Quello era una testa di serie.»
«Poteva essere anche Adriano Panatta, non mi interessa. Tu adesso torni a casa con me. Altrimenti ti ho già detto cosa succede. Schifoso.»
«Schifoso?» ripeté Raffaele in tono oltraggiato. «Ma lei come si permette di trattare...?»
«Stai zitto Raf, lascia perdere per favore» lo interruppe Nico. «Papà, c'era un osservatore della Federtennis a guardare la partita. Non te ne frega proprio niente?»
«Hai perso ogni diritto di giocare a tennis, tu. L'hai perso due settimane fa. Sai di cosa parlo. Hai fatto venire l'ulcera a tua madre e me la stai facendo venire a me. Ti sei approfittato che siamo stati troppo buoni, ma hai finito di andare a spasso. Ti dovresti vergognare. Andiamo.»
«Non voglio venire.»
Il padre restò impassibile. «Ti ho già detto cosa succede se resti.» Guardò Nico dritto negli occhi e continuò a parlare sussurrando. «Non ti posso tirare una sberla davanti a tutti, ma quella cosa non ho nessun problema a farla. Non stavo scherzando.»
Nico faticò a deglutire.
No, no, no!
La disperazione lo assalì. Possibile che non ci fosse niente da fare?
Possibile che... Raffaele? Poteva aiutarlo in qualche modo? Ma no! Come avrebbe mai potuto? Lo guardò e lui ricambiò con uno sguardo preoccupato.
«Andiamo» disse il padre.
«Devo farmi la doccia» disse Nico. Solo per prendere tempo. Doveva farla davvero, ma il suo scopo principale era prender tempo.
«No. Andiamo subito.» Il padre prese Nico per un braccio.
Nico fece resistenza. «Per favore, papà, non vedi quanto sono sudato? E non fa caldo, fa male stare sudati al freddo. Ho bisogno di fare la doccia, bere un attimo, fare dieci minuti di stretching. Poi ti giuro che andiamo. Te lo giuro!»
Il padre strinse le labbra e strinse ancor più la presa, facendogli male. «Tu vuoi scappare di nuovo, pensi che non lo so?»
«Mi stai facendo male! Se non mi molli subito mi metto a gridare e faccio arrivare qua uno della sicurezza!»
«Lo chiamo anche subito, lo chiamo io!» si intromise Raffaele.
Il padre sembrò intimorito da quelle parole, Nico lo vide esitare, ma non mollò la presa, la allentò soltanto.
«Papà, ti giuro, voglio solo farmi la doccia... poi andiamo. Non sono scemo e non voglio darmi la zappa sui piedi, non voglio che... che fai quella cosa che hai detto, ok?»
Il padre sbuffò. «Solo la doccia?»
«Solo la doccia, giuro.»
Lo mollò con un gesto stizzito, spingendolo un po'. «Bon. Ti aspetto al bar. Se sparisci e non ti vedo, entro un'ora comincio a parlare. Non mi ferma nessuno.»
Nico si diresse a passo sostenuto verso gli spogliatoi. Non voleva chiamare a sé Raffaele per non insospettire il padre, sperava che lo seguisse di sua spontanea volontà.
E infatti, per fortuna, lo fece.
«Che cazzo sta succedendo? Cosa vuole tuo padre da te? Ti ha fatto male quando ti ha preso per il braccio?»
Nico non rispose subito. Attese di entrare nell'edificio. «Mi devi aiutare. Non so cosa fare.»
Ma come? Come poteva aiutarlo?
«Spiegami!»
Nico si diresse a delle scale che non aveva mai imboccato, delle scale che gli sembravano meno frequentate. «Dove vai? Ci sono gli uffici, su» disse Raffaele.
«Voglio solo meno gente intorno» rispose Nico.
Ottenne ciò che cercava. Si fermarono su un pianerottolo deserto.
Raffaele Novelli. Per qualche motivo aveva preso Nico in simpatia. Forse perché era finocchio anche lui e ci stava provando. Forse era una simpatia sincera e disinteressata.
Nico non lo sapeva e non poteva saperlo. Lo conosceva troppo poco.
Non lo conosceva per niente.
Un pomeriggio di chiacchiere. Ecco il livello di confidenza che aveva con quel tipo.
Ma il padre di Raffaele era un notaio e aveva avvocati a libro paga, l'aveva detto prima. Forse poteva aiutare Nico.
Ma per aiutarlo Raffaele doveva sapere!
«Nic. Ti prego. Dimmi cosa sta succedendo. Sembra una storia orribile. Lo sai che se tuo padre ti maltratta puoi denunciarlo?»
Nico avrebbe voluto piangere dall'impotenza. Ma non lo fece. «Non mi maltratta» disse. «Però...»
«Però?»
Il respiro di Nico accelerò. Sentì freddo, forse per la paura, forse perché era sudato. Forse perché faceva freddo davvero, in quel gennaio milanese, nonostante fossero all'interno di un palazzetto riscaldato. «Tuo padre ha davvero degli avvocati? Cioè... no, no! Ti sto chiedendo troppo.»
Non se li poteva permettere gli avvocati di suo padre e non voleva carità.
«Non mi stai chiedendo troppo!» Raffaele mise due mani sulle braccia di Nico, lo scosse. «Dimmi, cazzo! Sei sconvolto! E se sembri sconvolto tu, che hai sempre la scopa in culo e quell'espressione freddissima da uomo di ghiaccio, deve essere successo davvero qualcosa di terribile.»
«Tu non mi conosci!» sbottò Nico liberandosi dalla presa di Raffaele. «Perché vuoi aiutarmi? Abbiamo parlato due volte e ti comporti come se fossi un mio amico d'infanzia. Mi ospiti nella tua stanza, mi segui, fai il tifo, mi offri aiuto... cosa vuoi veramente da me?»
Raffaele fece un passo indietro. «Sei abituato che la gente quando è gentile con te ha un secondo fine?»
«No! Ma non riesco a capire perché ti sto così simpatico. Tu che sei un ricco contessino di città, cosa cazzo puoi volere da un idiota borghese di campagna!?» Nico aveva alzato un po' la voce. Si ripromise di non farlo più.
Raffaele si fece serio. Prese un lungo, lento respiro. «Capisco il tuo punto di vista» disse. «Sì, lo capisco davvero. E hai ragione. Non lo so bene neanch'io perché mi piaci. Non sono neanche un tipo troppo facile alla confidenza. Non sono un introverso, ma... non ho amici. Le persone le conosco tutte in modo molto superficiale. Tu... non so. Mi sei piaciuto subito. È stato... un colpo di fulmine, ecco.»
Un colpo di fulmine? Nico fu turbato da quell'allusione sentimentale.
Raffaele non sembrò accorgersene, proseguì: «È successo lì, su quel campo, il nostro primo incontro. Il modo fiero in cui camminavi. La tua determinazione. Il tuo controllo. Forse questo, soprattutto. Il tuo autocontrollo. Io ti prendo in giro per la scopa in culo, ma ti invidio, anche. Ieri ti dicevo che vorrei essere come te. Non stavo scherzando. Forse voglio starti vicino per questo, per rubarti il segreto del tuo controllo, della tua determinazione.
«E poi c'è che sembri una persona vera. I miei amici tennisti sono tutti uguali. Siamo tutti uguali. Stiamo in compagnia ma siamo sempre soli, in realtà. È uno sport che ti costringe a essere così, un po' da psicopatici. Soli. Soli in campo. Soli fuori. Egocentrici, pieni di sé, capibranco, tutti a fare a gara a chi ce l'ha più lungo, ma sempre con grande cortesia, con ipocrisia, gentilezza, buone maniere, bon ton da persone ricche e istruite. Non ne ho mai conosciuto nessuno di cui vorrei essere davvero amico. Forse sono stato sfigato a incontrare gente sbagliata, non so.»
Raffaele abbassò la testa, Nico non ebbe il coraggio di interrompere quel monologo, che non sembrava affatto finito.
Infatti non lo era, Raf lo guardò di nuovo negli occhi. «Ma tu sei diverso. Sei intelligente senza essere affettato, sei un po' grezzo, ma non rozzo, hai una vita emotiva complicata, come la mia. Questo lo sento.» Si batté il petto. «I miei amici. Non le vedo, le loro emozioni. Le tue le vedo. Le ho viste subito, nelle tue esultanze trattenute, nel tuo autocontrollo. Vorrei essere tuo amico perché mi piaci, mi sembri una persona vera, la prima persona vera che abbia conosciuto in vita mia.»
Nico era sopraffatto da quelle parole. Da quel discorso lungo, complesso, da quel ragazzo che non sembrava avere alcuna paura e vergogna a esprimere dei sentimenti, che parlava a un altro ragazzo di colpi di fulmine e non temeva di essere preso in giro.
Non sapeva ancora se poteva davvero fidarsi di lui. Ma non aveva altre possibilità. Doveva saltare in quel burrone.
Perché voleva stare lì, in quel torneo. Per se stesso, per il suo futuro e per Leonardo. Gli sembrava fosse la cosa più importante della sua intera vita e suo padre non poteva portarglielo via così.
«Ok, Raf. Voglio fidarmi di te. Mi devi aiutare. Ti prego. Non so a chi altro chiedere aiuto.»
«Dimmi.»
«Ti devo dire una cosa. Ma mi devi promettere... giurare! Giura che non lo dirai a nessuno!»
Oddio! Cosa sto per fare? Potrebbe essere la mia rovina!
«Te lo giuro.»
Ma del resto la minaccia di suo padre, quella era una rovina certa.
E di Raffaele si fidava più che di suo padre. Conosceva il secondo quasi da diciotto anni, il primo da due giorni.
Ma si fidava più del primo.
«Qualsiasi cosa mi dici, qualsiasi, me la porto chiusa a chiave nel cervello nella tomba. Giuro!»
«Ok.» Nico prese dei respiri. «Ti prego, davvero, mi rovineresti la vita se... cioè, è una cosa seria, e io sto mettendo la mia... il mio futuro nelle tue mani e...» Nico si prese la testa tra le mani, rendendosi conto dell'assurdità di ciò che stava per fare. «No! No! Ma cosa cazzo sto dicendo? Io non ti conosco!»
«Nic! Te lo giuro! Potresti essere l'amico più grande che abbia mai avuto e mai avrò. Non sto scherzando. Io ci credo nel colpo di fulmine. Ti puoi fidare di me e ti aiuterò in tutti i modi possibili.»
Nico fece un passo indietro. «Tu sei pazzo!»
«Sì!» Raf aveva gli occhi lucidi. «Sì, è vero. Lo sono. Ho dei problemi giganteschi e un disperato bisogno di amicizia. E un disperato bisogno di aiutarti. Aiutare te farà bene anche a me. Prendila come una cosa anche un po' egoista, se vuoi. Ma mi viene dal cuore, te lo giuro.»
Nico sentiva che quello che stava per fare era sconsiderato, folle, pericoloso, stupido.
Ma lo fece ugualmente.
Chiuse gli occhi e parlò. «Hai sempre avuto ragione su di me. Sono un finocchio. E mio padre mi ha minacciato di dirlo a tutti se non torno a casa con lui.»
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Note 🎶
E abbiamo un coming out, signore e signori! E che coming out, oserei dire, che forse quello di Claudio faceva molta più scena, ma considerata l'epoca e la situazione, e anche la persona, questo emotivamente è molto più difficile. Credo che nemmeno fosse ancora diffuso il termine coming out, per lo meno non in Italia (e se lo era, era ristretto a una nicchia di attivisti).
Secondo voi come reagirà Raffaele? E ha fatto bene Nico a dirglielo? Riuscirà il primo ad aiutare il secondo in qualche modo? Riuscirà Nico a giocare il prossimo incontro del torneo?
E cosa ne pensate delle parole di Raffaele? Del suo discorso su Nico e delle sue dichiarazioni molto dense di sentimento?
Vi chiedo scusa in anticipo se non riuscirò a rispondere ai commenti nei prossimi giorni, ma sono oberata di impegni fin sulla punta dei capelli (come dite? ferie? quali ferie?).
L'appuntamento di pubblicazione però rimane sempre lo stesso, giovedì prossimo, per sapere come finisce questa scena. E lasciatemi una stellina per ogni sportivo che ha perso gare per colpa dei crampi perché ancora non avevano inventato il Gatorade.
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