3. Pubertà infelice
Pubertà infelice, spesso urlata a mezza voce,
a toni acuti, casti affetti denigrati, cercati invano
(F. Guccini, Piccola città, 1972)
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Avviso importante: la versione che state per leggere di questo capitolo è stata editata per non violare le regole di Wattpad. Ho tagliato alcune parti e riscritto altre, cercando di non cambiare il senso di ciò che accade. Se volete leggere la versione completa del capitolo trovate un link a un PDF pubblico qui a destra. Vi prego di leggere quella versione perché più completa, autentica e aderente alle mie intenzioni narrative e psicologiche.
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A Nico sarebbe piaciuto godersi quel bacio, il suo primo bacio, ma non gli riusciva proprio di concentrarsi.
Pensava al fatto che non si era lavato i denti, e che lei se n'era accorta e di sicuro le stava facendo schifo.
Pensava al fatto che lei sapeva di sigaretta, e quel sapore faceva schifo a lui. Aveva dato anche lui uno o due tiri, forse aveva in bocca quello stesso gusto amaro, e forse copriva il fatto che non si era lavato i maledetti denti. Cosa aveva mangiato a pranzo? Pasta al pomodoro, un pezzo di Montasio, macedonia. Sua madre gli aveva rotto come al solito le scatole facendogli una bistecchina e insistendo perché la mangiasse, ma lui era un anno, ormai, che non mangiava più carne, da quando...
Non pensare alla battuta di caccia, cazzo! Posso mettermi a pensare a queste cose mentre sto limonando con una strafiga?
Sì, stava limonando con la Fede. Chissà perché si diceva limonare. Frullare gli sarebbe sembrato un verbo più adatto, le loro lingue ruotavano come due frullatori e la cosa gli sembrava estremamente stupida, poco interessante, per nulla eccitante.
Forse non gli stava piacendo perché lei era troppo secca, troppo piatta davanti. Se fosse stata prosperosa sì che i suoi istinti si sarebbero attivati.
Lei forse si rese conto che qualcosa non andava. Si staccò da lui. «Tutto bene?» gli chiese.
«Benissimo!» mentì lui. Fece per avvicinarsi e baciarla ancora, ma lei lo fermò con una mano sulla bocca.
«Puoi toccarmi là sotto, se vuoi.»
«Ah... no, grazie.»
No grazie? Ma che cazzo dico?
«Cioè, ok!»
Troppo tardi, la Fede stava già ridendo, e con suo grande sgomento Nico sentì delle risate provenire anche dalle sue spalle.
«No grazie? Ma quanto sei finocchio?» gridò Loris tra le risa.
Nico spinse brutalmente via la Fede. «Volevo solo essere gentile, stronza!» le disse tra i denti.
Ridevano. Ridevano di lui e della sua stupida goffaggine.
«Ma ce l'aveva duro, almeno?» chiese Leo.
«Non credo...» disse lei.
Stronzi. E ancora più stronzo lui che era cascato in uno scherzo idiota. Camminò spedito dentro la galleria. Non voleva correre, se fosse scappato correndo le prese per il culo non si sarebbero fermate più. Ma andarsene sì, voleva andarsene subito.
«Ehi, Nico! Nico!» la Fede lo raggiunse sciabattando, lo prese per un braccio. «Dai, non ti incazzare!»
«Non sono incazzato, mi sono solo rotto i cojoni. Vi siete divertiti. Fine. Cosa cazzo vuoi da me adesso?»
«Ti giuro che non sapevo che ci stavano spiando!» Rise. «Anche tu, però... no grazie! Sei il primo mulo che mi dice no grazie!»
«Ti ho già detto che volevo solo essere gentile! Preferivi che ti ravanavo senza dire niente?»
«Guarda che si fa così, di solito» commentò il Dondi che intanto li aveva raggiunti insieme agli altri due idioti.
«Dai cojon, stai zitto» lo rimproverò la Fede. Poi, rivolta a Nico: «Sei il ragazzo più coccolo che ho mai baciato, ti giuro.»
«Che coccolo» commentò Leo in tono svenevole.
Coccolo! Che aggettivo sfigato era coccolo? Lo avrebbero massacrato di prese per il culo a vita.
Stupido Nico!
«Dai che lo sappiamo tutti che te lo sei limonato solo perché ha gli schei.»
Nico sentì il rumore di uno schiaffo e si voltò a guardare: la Fede aveva appena tirato una sberla a Loris. «Non sono una puttana!» disse.
«Solo un po' troia» rimarcò Leo.
«Troia quanto vuoi, ma non puttana. Non vado con la gente per soldi» puntualizzò lei.
«Troia e puttana vogliono dire la stessa cosa» rincarò la dose Loris.
«Chiamami come vuoi, a te non te la darei neanche se fossi l'ultimo uomo rimasto sulla terra e mi pagassi due miliardi di lire.»
«Se ti pagherei me la daresti avônda!» ribatté Loris con sicumera.
«È vero che l'anno scorso facevi pompe a diecimila lire nel cortile per dietro del classico?» chiese il Dondi.
«No, hai capito male, le facevo gratis. Peccato che non hai approfittato, quest'anno non le faccio più.»
Leo scoppiò a ridere e prese a picchiettare la spalla del Dondi. «Ti sto passando tanta di quella sfiga che ti basta per tutta la vita!»
«Mi hanno detto che non sei neanche capace di farle» ribatté Loris.
«Se te l'hanno detto avevano il cazzo piccolo, le pompe vengono sempre male sui cazzi piccoli.»
Leo si stava sganasciando sempre più dal ridere.
«Scusa, ma siamo gli unici tre stronzi che non hai mai spompinato di tutta la provincia di Gorizia?» chiese il Dondi in tono frustrato.
«Chiediti perché. Ma povera Marta!» L'ultima esclamazione della Fede, pronunciata con un tono di voce completamente diverso da quello rabbioso che aveva avuto fino a pochi secondi prima, fu accompagnata da una corsetta verso la Marta, che era seduta da sola all'ingresso frontale della galleria, in cima al terrapieno. «Ma ti hanno lasciata qua da sola? Che stronzi!»
***
Il ritorno al campo fu silenzioso da parte di Loris e del Dondi, mentre la Fede e Leo si misero a parlare tra loro della nuova impresa in cui si volevano imbarcare: un complesso di liscio.
«Non son per niente convinta. Il liscio è troppo sfigato. Io volevo fare una cosa più tipo Anna Oxa, l'hai vista che figa che era a Sanremo vestita tipo punk?»
«A parte che Anna Oxa canta da sola, ma guarda che i complessi di liscio fanno una barca di soldi!»
«Tu vuoi fare liscio solo perché sei sfigato che i tuoi ti hanno mandato a studiare fisarmonica da piccolo» osservò la Fede.
«So suonare anche la chitarra e se voglio posso fare anche rock. Pensi che mi piace il liscio? No! Fa cagare! Ma va un casino.» Leonardo sistemò i capelli informi dietro le orecchie, si accese una sigaretta e ricominciò a spiegare. «Fai il conto di tutte le balere e le sagre estive, c'è tantonononona richiesta di liscio. Se fai rock dove vai a suonare? Non ti caga nessuno! Tu hai una bella voce, io suono la fisarmonica, la Marta il sax...»
«Non sono tanto brava» mormorò la Marta.
Ma Leo già le parlava sopra. «Francesco Miclausig chitarra elettrica e ha già detto di sì, dobbiamo trovare solo il bassista e stin a puest.»
«E cosa facciamo, Casadei?»
«Casadei, ma anche roba popolare che è tutta gratis perché non è coperta dalla SIAE. E poi roba di gruppi locali. Poi facciamo canzoni nostre e le passiamo agli altri gruppi così guadagnamo anche con la SIAE. Sai che si prende tanton di diritti SIAE con questo trucco a passarsi canzoni uno con l'altro?»
Nico smise di ascoltare la noiosa discussione e ripensò al bacio. Era già una memoria distante, quasi non ricordava più le sensazioni fisiche, la lingua nella sua bocca, le labbra bagnate... Ricordava solo una cosa: che non gli era piaciuto. Forse perché istintivamente aveva capito che si trattava di uno scherzo, anche se la Fede aveva giurato di no.
Gli era sembrata sincera, quando gli aveva detto che i tre coglioni li avevano inseguiti a sua insaputa. Ma era stata anche stronza. Dargli del coccolo sapendo benissimo che era un aggettivo sfigato. Lo aveva fatto apposta.
Aveva appena baciato una ragazza, la sua prima, e tutto quello a cui riusciva a pensare era il "no grazie" e il "coccolo".
Stronzi. Stronzi campagnoli sfigati di merda.
Erano loro, gli sfigati, non lui! Lui era il più ricco del gruppo, era bravo a tennis e ed era anche discretamente bello, ma si permettevano di prenderlo in giro perché erano più grandi di un anno. Nico li frequentava in maniera sempre più sporadica, e solo perché lì in paese non aveva molte alternative. Capriva e Mossa non avevano le scuole medie e Nico le aveva fatte a Cormons, ma i ragazzi di Cormons avevano il loro giro; di maschi della sua età a Capriva ce ne erano solo quattro (annata di femmine, il 1965), ma non ci andava d'accordo.
Coi suoi compagni delle superiori non aveva legato molto: chi non era di Gorizia veniva da altri paesi del circondario, Cormons, Farra, Gradisca, alcuni persino da Monfalcone, e Nico aveva solo una stupida bicicletta per spostarsi autonomamente, oppure era costretto a prendere la corriera, i suoi ancora non avevano voluto comprargli un motorino, perciò frequentarli non era semplice.
La verità, però, era che non si trovava mai molto a suo agio con gli altri maschi, di qualsiasi età e provenienza fossero.
Interessi diversi.
Ricordava ancora i film mentali che si era fatto, più o meno in quel periodo, l'anno precedente, prima di iniziare le superiori a Gorizia. Si era convinto che i ragazzi goriziani fossero meglio dei campagnoli, che avessero gusti più raffinati, più simili ai suoi. Che amassero la lettura, ad esempio, il passatempo preferito di Nico, che i ragazzi campagnoli consideravano da secchioni sfigati.
Errore.
I cittadini si vestivano meglio e parlavano meglio, per lo meno non esageravano col dialetto e mettevano i congiuntivi al posto giusto. E in questo Nico li preferiva.
Ma aveva scoperto con rammarico che, sotto sotto, cittadini e campagnoli erano identici.
Non facevano altro che parlare di calcio e ragazze, e a Nico il calcio non piaceva. Si sforzava di seguirlo per non essere tagliato fuori dalle conversazioni, diceva di tifare Juve perché era la squadra più popolare, ma in realtà che vincesse o perdesse non gliene fregava niente. A lui piaceva il tennis. Da quando aveva iniziato a giocarlo aveva iniziato anche a seguirlo e lo trovava molto più interessante, intelligente e coinvolgente dello stupido calcio.
E le ragazze. Le ragazze erano un problema ancora più grande.
Non ce n'era una che gli piacesse. Ma non era mica colpa sua se non ce n'era una neanche lontanamente passabile nel circondario!
Lanciò un'occhiata alla Fede, che ancora stava discutendo di ballo liscio con Leo. Lei era carina, ma solo se paragonata alle ragazze locali, perché in termini assoluti, beh, era piuttosto mediocre. Nico non si era eccitato nemmeno un po' perché, di fatto, non era una ragazza molto attraente, con quella tavola da surf sul petto e quei lineamenti così squadrati. I suoi begli occhi azzurri non erano sufficienti a rendere l'insieme accettabile.
Per quanto riguardava la Marta, Nico nemmeno la prendeva in considerazione, era davvero brutta, senza mezzi termini.
E a scuola, o nei giri di compagnie della provincia, non è che ci fosse di meglio. Nico non aveva mai avuto fantasie – neanche mezza! – su qualche ragazza che conosceva. Gli altri ragazzi con cui parlava sembravano ossessionati: e le tette di quella, e il culo di quell'altra, e la bocca carnosa di quell'altra ancora... I suoi amici sbavano dietro a parti anatomiche che Nico aveva sempre trovato assolutamente mediocri se non persino brutte; culi troppo grossi, tette abbondanti ma dalla brutta forma, labbra volgari... Perciò quando i suoi amici si mettevano a fare le classifiche delle fighe del circondario, Nico trovava sempre difficile partecipare, perché non voleva fare la figura dello snob, o ancora peggio del finocchio, rivelando cosa pensava di quelle ragazze. Quindi era costretto a mentire, accodandosi ai giudizi che andavano per la maggiore.
Nico aveva una pessima opinione dei suoi amici e conoscenti e dei loro gusti, perché si accontentavano. Quelle erano le ragazze che avevano a disposizione e anziché sognare qualcosa di meglio, si facevano le seghe pensando a loro; avevano una tale smania animale di scopare, che avrebbero scopato con chiunque.
Nico no. Piuttosto di stare con una ragazza che non gli piaceva, preferiva restare a secco. Non era un disperato, e si stava pentendo sempre più, ogni secondo che passava, di quello stupido bacio con la Fede. Si era abbassato al loro livello solo per un bacio.
Non lo avrebbe fatto più.
Arrivati finalmente al campo, trovarono i vendemmiatori che stavano sbaraccando.
Suo padre lo accolse con le braccia incrociate, il suo solito sguardo duro e la bocca sottile tesa. «No tu sês plui un frut, la seisu stâs?» Non sei più un bambino, dove siete stati?
«Scusa barba Iacum, eravamo a giocare nelle gallerie! Ci perdoni?» gli rispose la Fede.
Il viso duro del padre si ammorbidì all'istante. «A giocare come i bambini? Avete sedici anni, diobòn! La Fulvia è rimasta ben qua a lavorare. Capivo la Grazia e la Roberta, ma voi cosa stavate facendo?»
«Eravate a fumare, vero? Cos'è questa puzza di spagnòl?» intervenne la madre della Fede, una bella signora sui quarantacinque, molto somigliante alla figlia.
«Colpa mia» si fece subito avanti Leo, «le ho fumato vicino e mi sa che le ho spuzzolentito i vestiti.»
La madre della Fede puntò i pugni ai fianchi. «E mi vuoi fare credere che non gliene hai data neanche una?»
«Eddai mamma, non rompere... Quante volte ti devo dire che quelle sigarette erano della Elena che mi aveva chiesto di nascondergliele nello zaino?»
«Non le ho dato niente, ti giuro sul prossimo fiasco di vino che si beve mio padre!» rispose Leo alzando una mano.
«Ou, non giurare sulle robe serie!» lo ammonì il padre avvicinandosi, con la sua gigantesca pancia alcolica. Ogni volta che Nico la vedeva ne rimaneva disgustato e gli dava l'impressione che stesse per esplodere come un palloncino troppo teso, da un momento all'altro, traboccando bile, merda e vino rancido.
Intanto tutti erano scoppiati a ridere e avevano ripreso a chiacchierare tra loro del più e del meno.
I vendemmiatori stavano mangiando un po' dell'uva che avevano raccolto, e anche Nico ne prese un grappolo per rinfrescarsi la bocca, ma fu fermato da uno schiaffo sulla mano di suo padre. «Chi non lavora non mangia.»
Nico sbuffò. «Lavoro è quello che fanno i braccianti jughi, questo è divertimento.»
«Sfaticato e irrispettoso come tutti i giovani d'oggi» ribatté lui.
«Ma su po', Jacum. Lassilu mangià» intervenne la madre in quello che era il suo tono espressivo preferito: il lamento.
Era una donna oltremodo seria, tanto che il perenne grugno delle sopracciglia le aveva formato due netti segni verticali sopra la radice del naso, molto marcate per essere rughe di una donna che aveva appena compiuto quarant'anni.
«E io posso?» chiese la Fede con un grappolo già in mano.
«Le belle mule possono tutto!» rispose il padre, zittendo qualsiasi possibile obiezione della madre.
I genitori di Nico erano coetanei, ma il padre si portava molto meglio i suoi quarant'anni, col suo fisico asciutto e muscoloso, un bel viso quadrato dai lineamenti decisi e mascolini, e i capelli ancora folti, con pochissimi fili bianchi a sporcarli. Forte della sua bellezza, gli piaceva adulare donne e ragazze anche molto più giovani di lui, e Nico aveva avuto più di un sospetto sulla sua fedeltà.
Che avesse mire sulla Fede? Troia com'era lei avrebbe persino potuto starci!
E io l'ho anche baciata. Che schifo!
Chi in auto, chi in bici, chi seduto in bilico sul carro dell'uva, tornarono tutti a Capriva, al Luc di Zuan, la sede dell'azienda vinicola e casa dei Bressan, la famiglia di Nico.
Lì li aspettava il nonno di Nico, Zuan (Giovanni) in persona, che data l'età non vendemmiava più, e si occupava di preparare i rinfreschi per i vendemmiatori, a base di affettati, formaggi e sottaceti, accompagnati da fichi e anguria, tutto annaffiato da abbondante vino. Era il pasto con cui suo padre avrebbe pagato il lavoro nel campo, se lavoro si poteva chiamare.
Il vero lavoro, come aveva obiettato prima Nico, era quello che facevano i loro braccianti, operai jugoslavi dipendenti dell'azienda. Quelle vendemmie erano solo una tradizione: vecchi amici che si incontravano, tagliavano qualche grappolo chiacchierando oziosamente, riempivano a malapena un carro d'uva e poi pasteggiavano insieme. Una specie di festa.
Nico non partecipò al rinfresco, doveva prepararsi per andare a tennis.
Corse in camera, una veloce sciacquata alle ascelle, una sistemata ai capelli e cambio di vestiti: aveva comprato il nuovo completo della Fila uguale a quello di Bjorn Borg. Il borsone, con la racchetta Dunlop, le scarpe da terra e il secondo cambio, era già pronto.
Lo mise in spalla e corse giù.
«Là vastu?» Dove vai, lo fermò la voce di suo padre a metà del cortile.
Nico si voltò e rispose senza fermarsi. «Se non mi muovo perdo la corriera!» gridò.
«Se la perdi, prendi quella dopo. Ven câ!»
Nico non poté far altro che obbedire. «Con quella dopo poi arrivo tardi» borbottò correndo verso il padre.
Che aveva un secchio in mano e lo porse a Nico. «Porta queste nel cjôt.»
Erano bucce di anguria già tagliate a pezzi.
«Perché io? Non possono andare la Grazia o la Fulvia?»
«Così impari a mancare di rispetto. Dai da mangiare ai purçìs e poi vai a prendere la corriera.»
Nico mollò a terra il borsone da tennis, prese il secchio e si diresse a passo più rapido che poteva al cjôt, il porcile.
Era una cosa che Nico faticava a capire: suo padre, dopo aver preso in mano la già grande azienda di nonno Giovanni, era diventato uno dei viticoltori più importanti del Friuli. La sua impresa si sarebbe dovuta concentrare solo su quello. Invece, come qualsiasi piccolo contadino della zona, si ostinava a mantenere attività marginali come quella stalla con tre maiali, da cui poi produceva i salumi che in buona parte venivano consumati durante i rinfreschi post vendemmia, un recinto con una decina di galline che facevano uova per la famiglia e carne da brodo quando diventavano troppo vecchie, tre gabbie di conigli e un piccolo orto che la madre di Nico curava in prima persona.
La stalla era una piccola stanza rettangolare con le pareti in cemento, l'unica finestrella in un angolo la manteneva in penombra e fresca, e l'odore del letame quasi non si sentiva, perché Milos, il loro aiutante casalingo, la puliva e cambiava la paglia ogni mattina. I tre maiali grufolarono e si agitarono appena sentirono arrivare Nico, e posarono il loro muso rosa sulla mangiatoia.
«Arriva la pappa» disse lui. Prese con la mano un pezzo di buccia e lo allungò al maiale più vicino, che lo prese e lo masticò con gusto. Poi fece lo stesso con gli altri due. «Ma che bravi porcellini» disse. «Contenti di ingrassare per essere mangiati.»
La cosa che gli metteva più tristezza era quell'inconsapevolezza della bestia, che viveva beata nel suo posticino, nutrita, pulita e pasciuta finché un bel giorno...
Ma non avrebbe dovuto intristirsi. Era meglio così, in fondo, ignari e felici fino alla fine.
Rovesciò il contenuto del secchio nella mangiatoia e i maiali si avventarono sui resti di anguria con foga, mentre Nico usciva dalla stanza: aveva perso anche troppo tempo, e se non faceva una corsa fino alla fermata, la corriera era bella che persa.
Ma rimase bloccato sui suoi passi dalla figura in controluce di Leonardo Devetak in piedi in mezzo al corridoio che portava fuori.
«Ti piace tendermi agguati al buio?» disse Nico, e ricominciò a camminare verso di lui non appena si fu ripreso dalla sorpresa.
«E a te piace proprio parlare come un professorino» ribatté l'altro, proprio quando Nico gli arrivò davanti.
Nico decise che stavolta non si sarebbe trattenuto: «E quale sarebbe la frase da professorino? Tendere un agguato? Senti, non è colpa mia se voi campagnoli di merda siete tutti ignoranti e parlate come degli analfabeti, mezzo italiano, mezzo friulano, mezzo bisiacco... Io parlo bene perché non sono un ignorante e non sono un rozzo, e non me ne frega un cazzo che mi prendi per il culo per questo motivo.»
«Non ti è piaciuto con la Fede, vero?»
Nico rimase spiazzato dal non sequitur. «Ma che cazzo...?» Scosse la testa. Lo spinse via per uscire. «Fammi andare ché perdo la corriera.»
Ma appena l'ebbe oltrepassato si sentì trattenere da un braccio e tirare all'indietro. La sua schiena sbatté contro il petto di Leo, che con la mano libera lo agganciò all'altezza delle clavicole e lo trattenne a sé. «Invece ho notato che ti piaceva tanton guardarci a noi maschi.»
Un'agitazione violenta e improvvisa assalì Nico, una specie di strano terrore frenetico, il sangue gli andò alla testa e quasi lo soffocò. Si agganciò con entrambe le mani al braccio di Leo e fece forza per liberarsi, come aveva fatto poco più di un'ora prima quando lo stesso Leo lo aveva assalito nella galleria. «Ma cosa cazzo dici, mollami!»
«Ci fissavi, a me e al Dondi, alle ragazze non te le cagavi neanche un pelo» la voce di Leo ora era un bisbiglio, soffiato direttamente nell'orecchio, e gli faceva il solletico, un solletico sgradevole, disturbante, che correva giù lungo il collo e gli attanagliava lo stomaco.
«Lasciami» protestò, ma le sue mani non avevano più forza, non riusciva a liberarsi.
«Ti guardo da un anno, Nico, e non è la prima volta che ti becco a fare cose strane.»
«Ma di cosa cazzo parli?»
«Tipo quando dal Le Ore ti sei preso una delle poche pagine dove si vedeva anche un maschio.»
«Ma la finisci?» La voce di Nico era diventata un sussurro strozzato.
Leo non disse altro, ma la mano che stava tenendo il braccio di Nico si spostò più in basso, troppo in basso, e fu solo in quel momento che Nico si rese conto di essersi talmente agitato da avere avuto una reazione fisiologica che Leo avrebbe potuto fraintendere come interesse.
Il panico fu ciò che gli diede la forza, l'adrenalina necessaria a dimenarsi, tirare una gomitata a quel pezzo di merda puzzolente di sigaretta, liberarsi e correre via.
Si voltò dopo pochi passi, davanti alla porta che dava sul cortile, puntò un dito contro Leonardo e parlando piano per non farsi sentire disse: «Non provare mai più a toccarmi, finocchio Jugo di merda, o lo racconto a tutti.»
«Cosa gli racconti, che ti è piaciuto?» ribatté lui a voce altrettanto bassa, con uno sguardo cupo e serio.
«Nei tuoi sogni, mi è piaciuto! Che schifo! Non ti far vedere mai più!»
Nico raccolse il borsone da tennis che stava lì per terra e corse via.
Scappò davvero, stavolta.
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Note 🎶
Vi avevo promesso che ci sarebbe stata azione! Azione un po' irruenta e molto poco gradevole, per il povero Nico. Che ne pensate? Leonardo ci ha visto lungo?
Importante: L'azione descritta in origine era molto più intensa, greve ed esplicita. Ho dovuto rimaneggiare sia il bacio con la Fede sia l'ultima scena con Leonardo per non violare le linee guida di Wattpad. Vi invito a leggere la versione integrale di questo capitolo su EFP. Trovate il link qui a destra.
Ci rileggiamo giovedì, e oggi lasciatemi una stellina per ogni ragazza friulana su cui Nico NON si è fatto una sega :)
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