21. Fegato spappolato

La sera che arriva
Non è mai diversa dalla sera prima [...]
Ci vuol qualcosa per tenersi a galla
Sopra questa merda
Sopra questa merda

(V. Rossi, Fegato spappolato, 1979)

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Avviso importante: la versione che state per leggere di questo capitolo è stata editata per non violare le regole di Wattpad. Ho tagliato alcune piccole porzioni, cercando di non cambiare il senso di ciò che accade. Se volete leggere la versione completa del capitolo trovate un link a un PDF pubblico qui a destra. Le modifiche a questo capitolo non sono pesanti, ma vi prego comunque di leggere quella versione perché più completa, autentica e aderente alle mie intenzioni narrative e psicologiche.

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23 settembre 1981 

Leo si accorse subito di Nico, lo fissò immobile, mentre Nico correva verso di lui come se da quella corsa dipendesse la sua vita, lo zaino pesante di libri e quaderni che sbatteva sulla schiena, le orecchie che si ovattavano, gli occhi che bruciavano, gli gettò le braccia al collo, lo travolse, lo stritolò e Leo lo strinse a sua volta, premette la guancia contro quella di Nico, senza dire niente, facendogli finire in faccia i capelli che odoravano di shampoo e sigaretta. Poi lo spinse via, fece una risata esagerata. «È mio fratello, non ci vediamo da sei mesi!»

Nico si accorse che stava passando lì accanto una donna. «Oh, pora stela» disse lei, in un tono da cui sembrava avesse creduto alla scusa non richiesta di Leo.

«Vieni» sussurrò Leo, «andiamo a nasconderci da qualche parte. Dove cazzo è il mio spagnol?» Sbuffò. «Ma chissenefrega del spagnol ne avrò fumati cento, intanto che ti aspettavo. Andiamo.»

«Dove?» chiese Nico. 

«Non so, ma camminiamo. Non riesco a star fermo.» 

Camminarono per qualche metro in silenzio, Nico completamente frastornato e incapace di dire alcunché, il cuore che gli martellava le costole.

«Diobòn Nico, mi sento tutto una specie che tipo mi trema qua» disse Leo indicandosi il diaframma. «Faccio fatica a respirare, forse ho fumato troppo veramente.»

«Anche a me trema il diaframma e non ho fumato» ribatté Nico.

«Non ce la faccio più, Nico, vorrei tornare a scuola.»

«E potevi studiare di più, mona! E non farti bocciare!»

«Ma non mi piace studiare! E poi ho sbagliato scuola, io non volevo fare ragioneria...»

«Infatti! Potevi andare all'IPSIA, un posto dove si studia meno e si fanno più cose pratiche.»

«Io non so, Nico, veramente. Non so che senso ha questa vita di merda.»

«La finisci di parlare così?»

Leo prese il pacchetto  dalla tasca e si accese una sigaretta. «Da quando ho cominciato a lavorare farò fuori due pacchetti al giorno, non esagero.»

«Non ti fa bene.»

«Non son mica gnogno, lo so che non mi fa bene. Ma faccio turni di otto ore a incartare caramelle e mescolare melassa, con quegli odori, cazzo! Devi sentire gli odori! Il mentolo è peggio di tutti, ti resta nel naso fino al giorno dopo. Sto con Paolo, lì, ma non lo vedo quasi mai perché ci mettono quasi sempre in settori diversi o facciamo turni diversi. Son quattro anni che lavora lì e adesso ho capito perché è sempre depresso. E allora sto lì solo come un cane a fare queste robe pallose, sempre uguali, con questi odori tremendi e mi viene da fumare dal nervoso, perché non so cosa cazzo altro fare, per togliermi quegli odori di merda dal naso, perché son nervoso e mi sembra che la sigaretta mi toglie il nervoso, e poi arrivo a casa stanco e con la gola che mi brucia per gli odori e per le sigarette e una sera sì e una no mi stono di vino perché non ce la faccio a guardare la televisione senza a pensare a un cazzo, hai capito? E lo so che se vado avanti così finisco come mio padre e come Matteo, ma perché no? Dimmi perché no! Cosa deve fare uno come me, Nico? Che senso ha fare una vita così?»

«Perché dici così?» Nico si sentiva impotente di fronte a quelle parole. Erano arrivati in fondo al viottolo e presero la strada che portava al castello.

«Dimmi che senso ha. No, dimmi. Uno di solito fa questa vita per qualcuno, no? Uno lavora otto ore per mantenere una moglie, perché vuole fare figli, metter su famiglia. Io perché lavoro? Per lavorare di nuovo domani? Per arrivare a sessant'anni solo come un cane, senza capelli, con la panza come mio padre, il fisico rotto, il fegato spappolato, come dice Vasco, che cazzo di senso ha? Non ha senso, Nico.» Leo scoppiò a piangere. «Non ha senso! Avevo due cose belle nella vita, due! Una è finita in merda perché doveva finire in merda, l'altra l'ho buttata nel cesso perché sono un coion ignorante che non sa compilare un borderò! Son troppo stupido per avere sogni. Non ho più niente.»

«Hai ancora me» disse Nico, con le lacrime che volevano rompergli gli occhi.

Leo non disse niente, ma quella frase di Nico sembrò commuoverlo. Pianse cercando visibilmente di trattenersi. «Diobòn penserai che son proprio un piagnucolone.»

«Ti vorrei prendere la mano.»

Leo fece schioccare la lingua. «Ma non fare il finocchio...»

Nico sbuffò. «Ti vorrei aiutare, cazzo! Ma tu devi sempre fare lo stronzo!»

Leo diede un ultimo tiro alla sigaretta e la gettò a terra. Si asciugò gli occhi con le mani, si soffiò il naso. 

Camminarono in silenzio per un paio di minuti. «Scappiamo via» disse Nico.

Leo fece una risatina. «Dove?»

«In una città grande. Qua in campagna hai ragione tu, due come me e te non ci possono vivere, ma in città...»

«È uguale dappertutto, Nico.»

«No! Non è vero! Mia sorella mi ha detto...»

«Tua sorella sa?!» sbottò Leo.

«Ha sentito i miei parlare e ha saputo, ma non ti preoccupare, non dice niente a nessuno.»

Leo si nascose il viso tra le mani. «Che vergogna, ecco perché mi ha chiamato l'altra sera! E adesso dice tutto a tutti!»

«Ma no, cazzo! È mia sorella, mi vuole bene!» Nico non era sicuro dell'ultima affermazione, ma si fidava di lei, comunque.

Arrivarono infine a ridosso delle mura.

«Guarda che bello che è qui. Ci sono tante cose belle, no? Guarda che bel posto» disse Nico, sentendosi un idiota perché come avrebbe mai potuto lo stupido castello di Gorizia consolare le pene esistenziali di Leonardo?

Ma invece Leo sorrise. «'Nin dentri!» lo esortò. Attraversarono le mura e si inerpicarono su per la stradina.

«Non mi avevi detto che tuo nonno suonava la fisarmonica? Stai da lui, adesso, perché non suoni la sua?»

«La fisarmonica di mio nonno ha metà ance che non suonano e il mantice sbregato. Lui ha l'artrite... o è l'artrosi? Non mi ricordo mai la differenza, bon, quella roba che ti rovina le ossa, non riesce più a muovere bene le mani. Non l'ha mai riparata e non ha mai comprato una nuova.» Leo scosse la testa sconsolato.

«Bon. Ok. Allora te lo do io uno scopo per lavorare: metti via i soldi e non buttarli via in vino e sigarette, mettili via un poco alla volta e ti compri una fisarmonica nuova. E ricominci a suonare.»

«E per chi suono?»

«Per tuo nonno. Per tutti quelli che vogliono ballare liscio. Per me.»

Leo accennò un sorriso. Arrivarono in cima alle mura, guardarono l'orizzonte attraverso una feritoia. «Guarda, là c'è Mossa, e subito dopo Capriva» disse.

A Nico non interessava il panorama. Non c'era nessuno intorno, si avvicinò a Leo, gli girò la testa e lo baciò. 

Era vero che aveva fumato tanto, il suo sapore era amaro, polveroso, ma non importava, baciandolo Nico si rese conto di quanto il suo corpo avesse bisogno di lui, le mani corsero sotto la sua maglietta, lo spinse contro la pietra, ma Leo, nonostante sembrasse volerlo, lo spinse via. «No, no! Ci vedono!»

«Basta cazzo! Ho paura anch'io, cosa credi? Ma non c'è un cane in giro!»

«Da quando tuo padre ci ha beccato non sono riuscito a farmi una sega in pace, cazzo! Ogni volta che comincio mi vedo la sua faccia di merda e mi vergogno di quanto sono finocchio.»

Nico chiuse gli occhi e prese un respiro. «Va bene. Ce l'ha un cesso questo posto?»

«Un cesso?»

«Sì, cesso. Presente? Turca, WC, sciacquone, piscio, merda, incontri segreti a scuola...»

«Mi manca il cesso dei bidelli» disse Leo.

«E a me pensi che non mi manca?» Nico si sentì così squallido, a dirlo. Sentire la mancanza di un cesso.

Andarono alla ricerca del famigerato bagno. Il castello non era aperto al pubblico a quell'ora, ma trovarono un'addetta alla pulizia che consentì loro di usare il bagno.

Entrarono e non aspettarono neanche un secondo. Tutto durò meno di un minuto.

«Senti...» sussurrò Leo dopo aver finito, «se qualche mattina quando non sono di turno vengo a scuola... di nascosto, vado nel bagno,  tu vieni?»

«Sì che vengo.»

Leo sorrise. Abbassò la testa. «Bon. Almeno qualcosa che mi fa venir voglia di tirare in davanti.»

Nico si sentì messo in trappola da quella frase: non voleva avere la responsabilità di essere l'unica cosa felice della vita di Leo. Allo stesso tempo, l'idea di essere la sua cosa felice gli dava una strana gioia. Era come gli aveva detto prima: hai me. 

Sottinteso: sono la tua salvezza. Ma per quanto poteva esserlo? 

«Usciamo, sennò la signora pensa strano» disse Nico.

Si pulirono con la carta igienica. Uscirono, ringraziarono l'ignara signora.

Mentre camminavano per le stradine del borgo medievale, Nico continuò a rimuginare.

Quanto poteva durare quel rapporto? Vedersi nei cessi di nascosto, senza nessun'altra prospettiva. Era sempre la stessa vecchia storia: ma Nico, per quanto sentisse di amare quel ragazzo stronzo e ignorante, per quanto sentisse di avere bisogno di lui, non voleva impantanarsi di nuovo in un rapporto sterile. 

Nico voleva un futuro.

«Su una cosa hai ragione, Leo. Non si può vivere così. Incontrarsi al cesso, non è una cosa che può andare avanti in eterno. Per quello prima ti dicevo di scappare.»

«Ma dove? E come? Con quali soldi?»

«Io sono bravo a tennis, sai?»

«Sì, mi avevi detto che hai vinto qualche torneo.»

«Ho deciso che provo a diventare professionista. I professionisti di tennis girano il mondo e guadagnano bene. Se riesco a diventare professionista, molla il lavoro di merda che fai alla Delicia e vieni con me in giro per il mondo.»

Leo rise. «E cosa faccio? Il mantenuto?»

«Suoni la fisarmonica, metti su un complesso e fai tournée nei posti dove gioco io.»

Leo rise di nuovo. «Ah Nico, mi piacerebbe tanto...»

«Dobbiamo andare via da questo posto di merda senza futuro.» 

«Che serio che sei. Non ti ho mai visto così serio.»

«Sì, sono serio. Mi alleno ogni giorno. Per adesso a casa, ma prima o poi li convinco, i miei, a rimandarmi al circolo. E non mi farò distrarre da niente.»

«Ma a me mi vedi qualche volta? In bagno?»

Nico sbuffò. «Ti ho già detto di sì.»

Leo prese il pacchetto e infilò una sigaretta in bocca. Nico gliela tolse prima che potesse accenderla. «E finiscila con queste cose che ti fanno male.»

Leo rise e tirò un pugno scherzoso alla spalla di Nico.

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Note 🎶 

E si ricomincia. Secondo voi per quanto potrà continuare così? Ci sarà davvero l'evoluzione che Nico spera?

Ne approfitto di questo capitolo di passaggio per fare due piccoli sondaggi: 

1- quanti di voi stanno leggendo questa storia per prima SENZA conoscere Play?

2- la vedete la playlist su YouTube (link in commento qui a destra)? Ci sono lettori che mi hanno detto di non riuscirla ad aprire, ma non capisco come mai, io la vedo anche quando non ho fatto login a Google/YouTube. Tra parentesi: ho scoperto solo oggi grazie a un lettore (che non taggo perché non ha ancora iniziato la storia e non voglio rischiare di spoilerargli niente) che dalla app i link nei commenti non fungono. Bene. Magari copiaincollate.

Ci rileggiamo giovedì e lasciatemi una stellina per tutte le rincoglionitaggini varie che combino (vi assicuro che sono tante quanto le stelle del firmamento).

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