14. Tu non chiedi mai, tu solo dai
Io ti darei
tutto quello che vuoi
ma tu non chiedi mai
tu solo dai.
(R. Casadei, Simpatia, 1974)
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Avviso importante: la versione che state per leggere di questo capitolo è stata leggermente editata per non violare le regole di Wattpad. Ho tagliato alcune parti e riscritto altre, cercando di non cambiare il senso di ciò che accade. Se volete leggere la versione completa del capitolo trovate un link a un PDF pubblico qui a destra. Vi prego di leggere quella versione perché più completa, autentica e aderente alle mie intenzioni narrative e psicologiche. Le modifiche a questo capitolo, comunque, sono di piccola entità.
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18/19 giugno 1981
Nico decise di levarsi subito quell'incombenza di dosso. Acquistò il medicinale per Leonardo appena uscito dallo studio medico, e andò dritto a casa del ragazzo, dove però ebbe una brutta sorpresa: «Leonardo non c'è. È a prove» gli disse la madre, accogliendolo.
«Prove di fisarmonica?» chiese Nico.
«Sì, col gruppo! Domani suonano, sai?»
Nico rimase di sasso.
Il complesso di liscio di Leonardo. Sapeva che Leo suonava in un complesso, con la Federica Jeroncic e qualche altra persona. E di quell'aspetto della vita di Leonardo non sapeva altro.
«Oh...» gli sfuggì.
«Alla sagra di Lucinico. È la prima volta che suonano davanti a gente, e li pagano anche qualcosina, sai?» aggiunse la madre. Sembrava fiera del figlio. «Noi andiamo tutti. Tu vieni?»
«Ah... non so... cioè, non sapevo... A Lucinico hai detto?»
«Sì, tesoro. Domani sera. Vieni, secondo me Leonardo è contento che vieni, mi parla sempre di te, ultimamente. Mi ha detto... sai, mi ha detto che avete litigato.»
Cosa cazzo le ha raccontato? Nico si allarmò.
«Mi ha detto che è colpa sua» proseguì la madre, «e son sicura anch'io che è colpa sua, ogni tanto quel ragazzo non sa tenersi... Ma è buono, sai? Non è cattivo. Mi sembra che è rimasto tanto male di questa cosa. Lui non racconta mai niente in casa, se mi ha detto questa cosa vuol dire che è rimasto davvero tanto male, perché lui non racconta mai niente in casa.»
Nico annuì.
«Eri venuto qua per quello?»
«In un certo senso» rispose Nico. Una frase che poteva voler dire tutto e niente.
«Se vuoi parlare subito lo trovi a casa della Federica Jeroncic, provano sempre lì nel capannone. Sennò vieni domani sera, la sagra inizia intorno alle sette.»
Nico annuì. La ringraziò e la salutò.
Cosa era meglio fare?
Andare a casa della Federica era fuori discussione. Non le aveva più parlato dal giorno del disastroso bacio, se non qualche saluto casuale in Ribi. E avrebbe dovuto affrontare Leonardo davanti ad altre quattro o cinque persone (non sapeva quanti fossero i membri del gruppo). Impossibile riuscire a dargli la crema.
D'altra parte, la situazione sarebbe stata molto simile anche l'indomani sera. Ma i complessi di liscio facevano sempre qualche pausa, e forse avrebbe potuto trovare l'occasione di parlarci durante una di queste pause.
Ma c'era anche qualcos'altro che lo intrigava, della sagra.
Vederlo suonare.
Nico si scoprì curioso. E allo stesso tempo un po' triste.
Nico e Leo avevano avuto rapporti sessuali per due mesi e mezzo. Ma non c'era stato altro tra di loro. Non avevano parlato quasi mai, se non pochi monosillabi, qualche frase di scarso significato e scarsa profondità. Leo sapeva che Nico giocava a tennis, ma non gli chiedeva mai nulla dei suoi tornei e dei suoi allenamenti. Allo stesso modo Nico sapeva che Leo suonava la fisarmonica in un gruppo di liscio, ma non sapeva altro. Non sapeva nemmeno come si chiamava, quel gruppo.
Che rapporto squallido, che avevamo.
Nico cercò di richiamare alla memoria tutti i dialoghi durati più di tre scambi di battute.
C'era stata quella piccola chiacchierata il primo giorno, quando Leo aveva raccontato a Nico come aveva iniziato a fumare. Un'altra volta, camminando per caso insieme da scuola alla stazione delle corriere, si erano scambiati qualche parola sui loro film preferiti: a Leonardo piacevano i western, a Nico il genere non dispiaceva, ma gli disse che i film recenti che lo avevano più entusiasmato erano stati Guerre Stellari, visto al cinema con alcuni compagni di classe delle medie, e il seguito, L'impero colpisce ancora, uscito l'inverno appena passato. Ne aveva parlato un po', in termini entusiasti, ma Leonardo non era sembrato molto interessato a quelle informazioni, o ad approfondire i gusti di Nico, e il dialogo era morto lì.
E poi c'era stata una piccola chiacchierata dopo la prima volta, in camera di Leonardo. Erano rimasti un po' seduti uno accanto all'altro. Leo gli aveva mostrato qualche cassetta di musica italiana, ma alla richiesta di Nico di farla suonare al piccolo stereo portatile di Leonardo, quest'ultimo aveva detto che non voleva rischiare di attirare il padre al piano di sopra. Poi Leonardo aveva accennato qualche lamentela sul padre e il fratello Matteo, che erano entrambi due ubriaconi, ed era stata la prima volta in cui Leo aveva espresso un qualche impulso di apertura e confidenza personale, ma quando Nico gli aveva fatto qualche domanda in merito, Leo aveva risposto con delle battute strafottenti, cosa che gli riusciva sempre bene, e chiuso l'argomento.
E quindi il livello di confidenza che c'era tra loro era prossimo allo zero.
Se fosse andato alla sagra, avrebbe finalmente potuto vederlo suonare. Vederlo fare qualcosa che, Nico ne era certo, occupava una grande parte della sua vita. Una parte di cui Nico non aveva mai visto nulla.
Chissà com'era. Aveva sentito qualche nota da dietro la porta, il primo giorno in cui era andato da lui, con la testa talmente in confusione da non essere in grado di distinguere un Fra martino campanaro da un brano per virtuoso.
Cosa faccio? Ci vado o no?
Nico ci pensò per tutta la sera, e poi ci ripensò mentre applicava per la prima volta l'unguento medicinale, anche perché il reale scopo di quell'incontro doveva essere quello: dare l'unguento anche a Leo. Ma la curiosità di vederlo suonare offuscava tutto. Era diventato quello, il punto focale: andare l'indomani per vederlo suonare? O fregarsene e andare a casa sua il giorno dopo ancora?
Ci pensò anche a letto, restando sveglio fino a tardi con la testa piena di fantasie che sconfinarono nei suoi sogni, e al risveglio, in un momento di debolezza, si immaginò di nuovo insieme a lui.
No, non poteva cedere.
Ma voleva vederlo suonare.
E quindi a pranzo prese la decisione, e lo disse ai suoi genitori.
«Stasera c'è una sagra al campo sportivo di Lucinico, suona il complesso della Federica Jeroncic e Leonardo Devetak. Posso andare a vederli?»
«Çe sùnino?» chiese il padre.
«Liscio.»
«Uh, çe biel! Nin a balà?» propose il padre alla moglie.
Nico inorridì: se i suoi genitori fossero andati a ballare alla sagra, lui non avrebbe avuto modo di dare la medicina a Leonardo.
Ma la madre per fortuna si lagnò, come suo solito: «No ai vôe di balà, mi fâs mâl le schene.» Era il leit motiv preferito di sua madre, lamentarsi dei suoi piccoli malanni, che usava come scusa costante per non uscire mai.
«Bon, alore va' di besôl» concesse il padre.
Nico non si aspettava la reazione immediata della Fulvia. «Come sarebbe a dire vai da solo? Io non posso andare in bici a casa della Giovanna qua a Capriva e lui può andare in motorino da solo fino a Lucinico? E poi magari torna a casa a che ora vuole?»
«Non torna a casa a che ora vuole» ribatté prontamente la madre. «A mezzanotte indietro.»
Nico non riuscì neanche a dire ok, la Fulvia proseguì, sempre più inviperita. «E le rare volte che esco io, a casa alle undici! E mi volete sempre accompagnare voi! Ma basta! Basta! Non è giusto!»
«Per le ragazze è pericoloso girare di sera da sole. Vuoi che pensano che sei una poco di buono?» inveì il padre.
Il nonno, che aveva ascoltato in silenzio fino a quel momento, intervenne con una parola. «Feminis!» Donne!
«Solo voi due lo pensate!» ribatté la Fulvia, indicando padre e nonno. «Voi con la vostra mentalità del quindici diciotto!»
E il litigio si concluse come si concludevano tutti i litigi tra i suoi genitori e la Fulvia: con uno schiaffo in faccia a quest'ultima.
Il pomeriggio Nico passò allo studio del dottor Visintin. Gli sembrava che l'unguento stesse già iniziando a fare effetto. Aveva ancora molto prurito, ma la zona non pulsava più, ed era riuscito a fare qualche tratto di strada seduto sul motorino. Doveva passare a prendere gli esempi di pasto che gli aveva promesso il giorno prima e che aveva lasciato alla segretaria. Nico li lesse appena fuori. Erano molto semplici: uno a base di uova e riso, uno a base di fagioli e pasta e una colazione con cornflakes e yogurt, e qualche consiglio a penna che lo invitava ad accompagnare sempre tutto con tanta frutta e verdura fresche.
Lo avrebbe fatto. Non vedeva l'ora di iniziare e vedere il suo fisico migliorare.
Tornato a casa era già ora di prepararsi per uscire. Fece una rapida doccia, indossò i jeans nuovi e una maglietta arancione della Benetton un po' stretta che Leonardo una volta aveva apprezzato «perché fa vedere bene i muscoli.» I pochi che aveva. Disse a se stesso che la stava indossando per frustrarlo, ma in un angolo della sua testa c'era un poco opportuno pensiero di seduzione. Sistemò i capelli corti con un po' di gel, e stava per deodorarsi, quando gli tornò in mente una vecchia osservazione di Leonardo sull'odore afrodisiaco delle sue ascelle.
Rimase qualche secondo indeciso se usare o meno il deodorante, prima di farsi schifo da solo.
Non voglio rischiare di puzzare!
Come ultima cosa mise in tasca il portafogli e l'unguento medicinale che avrebbe dovuto consegnare a Leo.
Arrivò a Lucinico intorno alle sette e mezza. Il gruppo stava già suonando. La musica era bella, festosa. La musica delle sagre gli metteva sempre allegria.
È Leonardo. Sta suonando!
Era la prima volta che lo vedeva. Gli sembrava che suonassero bene, tutti quanti. Nico si avvicinò al palco, a lato, perché davanti ai suonatori c'era una pista gremita di gente che ballava.
Non fece in tempo a concentrarsi sulla musica prodotta dalla fisarmonica, perché Leonardo si accorse di lui.
E le sue dita inciamparono.
Si interruppe.
La Federica gli lanciò un'occhiataccia. Tutta la band, chitarra, batteria e basso, stava continuando a suonare, e la Federica stava ancora cantando, ma mancava, in sottofondo, il suono inconfondibile della fisarmonica. «...con la mazurkaaa di periferiaaa, ti viene voglia di fare l'amor!»
«Eh!»
Nico quasi si spaventò per quell'eh collettivo, cantato all'unisono da tutti i maschi del gruppo. Anche da Leo, che l'aveva detto guardando Nico negli occhi, con un'espressione scioccata.
Ma quell'esclamazione sembrò quasi risvegliarlo, e ricominciò a suonare.
Era un assolo. Era lui il protagonista, adesso. Si portò un po' in centro al palco, come per farsi ammirare, e distolse lo sguardo da Nico.
Che rimase ipnotizzato.
Ipnotizzato dalla sua presenza scenica, dalla precisione del suono, dal modo in cui teneva il ritmo.
Dalle sue dita.
Le dita di Leo correvano velocissime sulla tastiera dello strumento, che non era uno di quelli classici con i tasti lunghi tipo pianoforte, ma coi bottoncini piccoli su entrambi i lati.
A Nico sembrava un'operazione assurdamente difficile, impossibile. Come faceva a ricordare quella sequenza? Come faceva a essere sicuro che quel bottoncino corrispondeva proprio a quella nota? E ce n'erano uno sproposito su entrambi i lati!
La suonava con grande sicurezza, ma era serio, concentrato, guardava davanti a sé e qualche volta chiudeva anche gli occhi per qualche istante.
Nicolò quasi si commosse. Quel ragazzo scansafatiche, stupido e ignorante eccelleva in qualcosa. Sì, quella che Nico vedeva era eccellenza, sapeva riconoscere l'eccellenza.
«È la mazurka di periferia...»
E l'eccellenza, Nico lo sapeva, si otteneva solo in un modo: allenandosi.
«...scaccia pensieri, tanta allegria...»
E allenamento significava passione.
«...ci basta un grillo per farci sognare...»
D'improvviso Nico desiderò conoscere quel nuovo Leonardo, quel ragazzo che non aveva mai neanche intravisto tra le scopate.
«...metti la quarta, e balla con me!»
Nico decise che poteva bastare, lo aveva guardato abbastanza. Si diresse verso le tavolate. Mise la mano in tasca: la crema era ancora lì. Gliel'avrebbe data dopo, alla prima pausa.
Identificò subito la famiglia di Leo al completo: il padre a gambe larghe con la sua solita aria stonata e un bicchiere già vuoto davanti a sé, la madre tutta in ghingheri e i due fratelli.
Nico li aveva visti diverse volte alle vendemmie, quando erano più piccoli, ma non ci erano più andati da quando avevano iniziato a lavorare, e avevano iniziato entrambi molto giovani.
Il più grande, Matteo, aveva quasi trent'anni, ma non li portava affatto bene: era ingrassato parecchio, rispetto all'ultima volta che Nico l'aveva visto, anni prima, aveva perso molti capelli e aveva le guance rubizze di una persona a cui piaceva bere. Il fratello di mezzo, Paolo, ventiseienne, sembrava più in forma fisicamente, ma i suoi occhi spenti sembravano implorare chiunque guardasse di liberarlo del peso di esistere. Il fratello vecchio era scapolo. Divorziato, a dire il vero, dopo essersi sposato giovanissimo. Aveva una figlia piccola che viveva con la madre in qualche paese dei paraggi. Il più giovane aveva una ragazza, che era seduta accanto a lui al tavolo: carina ma un po' volgare, bionda ossigenata con la permanente.
Non erano l'unica famiglia presente, a un altro tavolo Nico notò anche i genitori della Fede, col suo fratellino di sette anni. E probabilmente c'erano anche quelli degli altri membri del complessino.
Nico si chiese quale fosse il nome della band.
Quasi a leggergli il pensiero, la Fede lo pronunciò proprio in quel momento, alla fine della mazurka, introducendo il pezzo successivo. «E ora i Matuçs vi presentano un pezzo speciale!»
I Matuçs? I pazzerelli?
Che nome buffo, chissà chi l'aveva scelto.
«Cosa ce ne facciamo della mazurka di periferia? Qua non siamo in periferia! Siamo in campagna! E allora balliamo il Valzer di Campagna, un brano scritto dal nostro fisarmonicista, Leonardo Devetak!»
Nico non finiva più di stupirsi. Un pezzo scritto da Leonardo? Era persino capace di scrivere canzoni? Si voltò a guardare il palco e Leo stava facendo un inchino all'applauso del pubblico.
«Se l'ha scritto Leo sarà brutto come lui» commentò una voce che Nico conosceva bene: era quella del Dondi. Lo cercò tra i tavoli, e vide il gruppetto della compagnia di Mossa e Capriva. In mancanza di meglio da fare si avvicinò. Lo salutarono tutti e lo invitarono a sedersi con loro. C'erano il Dondi, Alex, Loris, Marco e alcune ragazze. Nico aveva un anno meno di loro, e si pentì subito di essere andato lì, si sentì fuori posto.
Il Valzer di campagna iniziò, e Nico si stupì.
Sembra un pezzo vero!
Si aspettava qualcosa di scalcagnato, fasullo, il prodotto di un autore non professionista, come un disegno fatto da un dilettante con poca mano, ma Leonardo ci sapeva fare anche lì. Nico non era un esperto, ma non gli sembrava affatto male.
Certo, il testo era penoso. Sembrava una brutta copia della Mazurka di poco prima.
«Madonna, ma che merda è?» disse Loris. Risatine.
Nico si infastidì a quell'osservazione.
«Quel genio di Leo ha detto che vuole prendere tutte le canzoni di liscio famose e fare una copia cambiando le parole. Per far soldi!» commentò il Dondi.
«Sì, lui dice sempre che fa il liscio per i soldi, ma secondo me gli piace!» disse una ragazza.
«Bon, allora io domani allora vado a fare una canzone, la chiamo Ieri, due cagatine con la chitarra plon plin plon, e faccio soldi perché ho copiato Yesterday! Ma che discorsi fa?» rincarò la dose Alex.
«Discorsi da cocâl!» disse Loris.
Altre risate, e Nico si sentiva sempre più a disagio per Leo, certamente ignaro di quelle prese in giro.
«Noooo, ma state sentendo le parole? Il valzer di campagna, per gente che non magna?» fece notare Loris.
Tutti ridevano. «È la roba più idiota che ho mai sentito in vita mia!» disse una delle ragazze.
«Non è che la Mazurka di Periferia o il Cha Cha Cha della segretaria abbiano un testo molto più intelligente...» cercò di far notare Nico, nel tentativo di difendere Leonardo, ma lo ignorarono tutti.
«Ma guarda com'è convinto, poi!» disse un'altra ragazza.
«Neanche suonasse la chitarra o la batteria o un altro strumento figo» disse Loris.
«La fisarmonica! Diobòn che sfigato...» disse il Dondi.
Ogni parola era una pugnalata al cuore di Nico. Leo non era sfigato! Era bravo!
«Ho talmente tanta sfiga addosso che devo passarla a qualcuno, tieni!» disse un'altra ragazza toccando Loris, e immediatamente partì una gara a: «Te la passo!» «Immune!» «Immune!» con Nico che ebbe la prontezza di immunizzarsi subito. Alla fine la sfiga restò addosso a una delle ragazze, che per fare penitenza si alzò per andare a ordinare da bere e mangiare.
La canzone era finita, nel frattempo, e a Nico era rimasto addosso il disagio delle prese in giro subite da Leo. I campagnoli di merda non capivano, non riuscivano a capire il valore del talento e della passione. Tutto doveva essere livellato verso il basso, alla loro bassezza.
Che schifo...
Nico si riscosse dalle sue preoccupazioni, sentendo il nuovo annuncio della Fede, mentre al tavolo i ragazzi ordinavano, chi salsiccia, chi costolette. «Un'ultima canzone prima della pausa, ché abbiamo bisogno di mangiare anche noi» disse la Fede al microfono. «Per questo valzer sentiremo finalmente la bellissima voce del nostro leader e canzoniere, Leonardo!»
Leonardo canta?
«Tu Nico, vuoi qualcosa?»
«Eh? Oooh, no, no, grazie, ho già cenato.»
«Tu sei la miiiia simpatiiiia...» In realtà la canzone era un duetto. Cantavano insieme, Leonardo e La Fede.
«Ohu, ma è vero che non mangi più carne?»
La domanda lo gelò.
Gliel'aveva fatta il Dondi. Nico si girò a guardarlo, senza sapere cosa rispondere.
«Il tuo sorriiiiso è una canzoooone...»
Il Dondi proseguì. «Sì, ci diceva Leo che hai tirato su un casotto al Coccodrillo, qualche mese fa, che la tua morosa voleva darti un pezzo di hamburger e tu: nooo, nooo!» L'ultima parte fu pronunciata in falsetto.
«Io ti darei tutto quello che vuoi...»
Eccolo, Leo. La sua voce. Com'era bella e intonata. Quella strofa, quella singola strofa la cantava da solo.
«...ma tu non chiedi mai, tu solo dai!»
Che ironia. Proprio mentre il Dondi gli diceva che Leo, la vittima delle prese in giro per cui fino a pochi secondi prima Nico aveva provato pietà, alla prima occasione diventava da vittima a carnefice, alle spese di Nico.
Tu solo dai? No. Leonardo non dava mai niente. Pretendeva e basta.
«Leo ti ha raccontato una cazzata» ribatté cupo Nico.
Pretendeva qualsiasi tipo di prestazione, da Nico. E in cambio quasi si stufava quand'era lui a dover ricambiare.
Quello stronzo! Se le meritava, le prese per il culo! Magari peggio! Quanto avrebbe voluto picchiarlo... Nico, che aveva in tasca la medicina, che era andato lì apposta per portargliela, si sentiva così stupido a continuare a preoccuparsi per lui e per la sua salute, e pensare alle sue mani e quanto era bravo a cantare, e quanto era bella la sua voce, e quanto era bravo con quella merda di fisarmonica, mentre Leo si preoccupava solo di se stesso e non esitava a raccontare in giro i segreti di Nico e inventarsi storie pur di farci il figo a sue spese.
«Bon, allora se è una cazzata, dopo, quando tornano la Meri e la Franci, ti do una delle mie costolette e te la mangi» disse Loris.
Nico rimase in silenzio.
«Scusa, ma cosa mangi se non mangi carne?» chiese una delle ragazze rimaste sedute. «Insalatine?»
Risate.
«Carotine e omogeneizzati come i bambini piccoli!» scherzò Loris.
Altre risate, e Nico evitò di fargli notare che esistevano anche omogeneizzati a base di carne.
«Ma perché non mangi carne, scusa?»
«È una moda.»
«Se fossi tua madre te la farei mangiare a sberle. Ma cosa ti deve preparare quella povera donna?»
«Ma il pesce lo mangi?»
«Ma sì, il pesce mica è carne...»
«Ma sei allergico?»
«Secondo me è solo finocchio.»
Nico sopportava. Sopportava impotente senza riuscire a farsi venire in mente una singola battuta di risposta, qualcosa che li potesse zittire, o sdrammatizzare, o anche solo non fargli fare la figura della femminuccia sfigata.
«Ma sai cosa mi ha raccontato mio padre?» disse Loris rivolto al gruppo. «Che questo bocon di mona tre anni fa è andato a caccia con suo papà e con mio zio, e poi si è messo a piangere perché ha coppato un uccellino!»
Scoppiarono tutti a ridere e Nico fece la cosa peggiore che poteva fare: si alzò e se ne andò.
«Ohu, dove scappi?»
«Diobòn che permaloso, non si può neanche scherzare?»
«Vai a piangere dalla mamma?»
Una femminuccia. Pensavano di lui che fosse una femminuccia. Tutti. Anche suo padre, coi suoi costanti frutute. E suo nonno coi suoi sguardi di disapprovazione.
E in fondo lo era.
Era per quello che non riusciva più a mangiare carne. Perché ripensava a quell'uccello ferito, che spalancava il becco e gli chiedeva pietà, pietà, uccidimi, non farmi soffrire così. Ma lui non aveva avuto le palle di farlo fuori, perché non le aveva, le palle, perché era un finocchio, e poi l'uccello era morto lo stesso, solo che invece di una morte indolore, per colpa di Nico aveva vissuto mezz'ora di atroce tortura. E Nico per sentirsi meno in colpa non mangiava più carne. Un vero uomo ci sarebbe passato sopra, l'avrebbe dimenticato, non si sarebbe fatto venire i conati di vomito ogni volta che si immaginava di mangiare un animale. Erano le femminucce quelle che si fissavano sulle cose, le femminucce e i finocchi.
Esattamente ciò che era lui.
Facendosi largo tra i ballerini in pista, Nico raggiunse il palchetto, frustrato e ansioso di tornare al più presto a casa.
Leo stava cantando per la seconda volta quel verso, quello solista.
«Io ti darei tutto quello che vuoi... ma tu non chiedi mai, tu solo dai!»
E guardava Nico, mentre lo cantava. Lo guardava con un'espressione malinconica.
Ma che cazzo guardi?
Nico attese che la canzone finisse.
«Bene ragazzi, un po' di pausa adesso! Ci ritroviamo tra mezz'ora» disse Leo nel microfono. Poi, mentre si toglieva di dosso la fisarmonica, rivolse a Nico uno sguardo interrogativo.
«Ti devo parlare» disse Nico in tono brutale.
«Cosa gli hai fatto, pùar frut?» chiese la Fede prima che Leo potesse rispondere.
Leo fece un sorrisetto. «Non so, cosa ti ho fatto?» Infilò la mano nella tasca della giacchetta bianca che stava indossando e tirò fuori il suo solito, stramaledetto pacchetto di Marlboro. Se ne accese una.
Gliela spengo sul suo naso storto, quella sigaretta!
Nico si trattenne dal fare qualsiasi cosa. Come poteva parlarci in privato? Adesso aveva attirato anche l'attenzione di quella pettegola della Fede.
Leo scese i tre scalini del basso palchetto. «Devo pisciare, accompagnami in bagno e dimmi quello che vuoi dirmi.»
E mentre si incamminavano silenziosi verso l'edificio dei bagni, il cuore di Nico si mise a fare le capriole pensando al bagno di scuola. E Nico odiò la propria debolezza.
I bagni si trovavano nell'edificio degli spogliatoi, che si trovava in fondo al piazzale in ghiaia dov'erano stati messi tavoli e panchine. Sulla loro destra il campo da calcio, immerso nel buio. A sinistra la strada piena auto e motorini parcheggiati ai bordi, tutte le persone venute alla festa.
Passare in mezzo ai tavoli non fu una buona idea. Il gruppetto di Dondi e Loris intuì che Nico volesse confrontarsi con Leo e, nonostante stessero passando lontano da loro, iniziarono a gridare dalla distanza: «Ris-sa! Ris-sa!»
Leo lanciò un'occhiata agli amici. «Ma cosa cazzo gli hai detto?»
«No, cosa cazzo gli hai detto tu! Serviva dirgli che sono vegetariano? Perché gliel'hai raccontato?»
Leo rise. «Ellamadonna che permaloso che sei! Cos'era un segreto? Ti vergogni?»
«No!» mentì Nico.
«Permaloso!»
«Parla quello che spacca i denti alla gente quando gli dicono jugo!»
Leo si fermò di botto. «Che cazzo hai detto?»
«Jugo, ti ho detto! Jugo di merda!»
Gli occhi di Leo si fecero d'improvviso terrorizzati e si spostarono dietro le spalle di Nico, che non fece in tempo a rendersi conto di ciò che stava per succedere: si sentì afferrare alle spalle, e le nocche di una mano impattarono con violenza sulla sua nuca.
Nico barcollò in avanti, la gente intorno si agitò, voci confuse e incomprensibili.
Nico si voltò e vide Matteo, il fratello maggiore di Leo. Teneva il pugno alzato e fissava Nico furibondo. «Dillo un'altra volta e di disledroso!»
«Io...»
«Leo! Leo! Fermatevi per favore!» Era la Fede che accorreva, seguita a poca distanza da due uomini sconosciuti, un uomo di mezza età con due folti baffi bianchi e un altro tizio con pochi capelli unti, due grossi occhiali quadrati e una cartelletta sottobraccio.
La ragazza sembrava disperata.
«Cosa c'è?» chiese Leo.
Dietro l'uomo, Nico li notò in quel momento, stavano arrivando anche gli altri membri del complesso.
«Sono l'organizzatore della sagra, sei tu che hai scritto il borderò, vero?» disse l'uomo baffuto.
«Eh... sì?» disse Leo titubante.
La Fede ebbe un piccolo accenno di pianto.
«Se astu cumbinât, cumò?» chiese Matteo, rivolto al fratello.
L'uomo baffuto, l'organizzatore, si rivolse quindi all'altro uomo, quello con la cartelletta sotto braccio. «Per favore dica a lui quello che ha già detto a me.»
«Sono Michelangelo Marcolin, ufficiale SIAE» si presentò quello. «Mi risulta che non sia stato compilato correttamente il programma musicale altrimenti detto borderò per le canzoni che avete suonato questa sera, debbo pertanto sospendere la manifestazione canora.»
Ma come cazzo parla questo?
«Ma no! Abbiamo messo tutto, son sicuro! Ho controllato cento volte!» ribatté Leo.
«Vi devo informare che la compilazione errata del programma musicale altrimenti detto borderò costituisce reato penale punibile in questa circostanza con ammenda di due milioni e trecentosessantaduemila lire.»
Si fece quindi avanti l'organizzatore, con un dito puntato verso Leo. «La multa ci tocca pagarla a noi come sagra, ma i soldi li rivogliamo tutti indietro perché l'errore è vostro!»
Nico vide Leo sbiancare.
——
Note 🎶
Oh-oh... due milioni di lire sono una bella sommetta... Usando il convertitore storico lira euro sono il corrispettivo di circa 4000 euro odierne. Possibile? Una cifra così alta? Ebbene sì, gli ufficiali SIAE sono notoriamente degli stronzi, chiedete a chiunque abbia avuto un gruppo e l'incombenza di compilare il famigerato Borderò.
Piaciuta la canzone di lissio? Vedete come sono eclettica nell'offerta musicale? L'organico di Casadei non prevede fisarmonica ma oboe e sax, ma nelle sagre era normale che l'arrangiamento venisse fatto per la più versatile fisarmonica. Io apprezzo l'eccellenza in qualsiasi genere musicale e nel liscio l'orchestra Casadei ha rappresentato davvero un'eccellenza, nella raffinatezza degli arrangiamenti e del virtuosismo dell'organico, quindi il mio voto non ironico al brano è un bel 9.
E il voto al capitolo? Vediamo un fratello di Leonardo molto manesco e un Leo che riesce a tirar sempre fuori un po' di stronzaggine, ma nel prossimo capitolo verranno fuori dei nuovi aspetti del personaggio.
A lunedì, e lasciatemi una stellina per tutte le macumbe ricevute nella storia dai funzionari SIAE.
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