Capitolo quattro- I diavoli non amano mai

«Volevi vedermi?» dico ironica, scoppiando in una risata isterica. «Direi che ne hai avuto di tempo, per vedermi, ma non mi sembra che tu mi abbia mai cercata», sputo. La rabbia è ancora dentro di me, impressa nel cuore e nell'anima, e sta riaffiorando tutta d'un colpo.

Il suo sguardo passa, lento, su di me, come se mi stesse studiando. Mi guarda le labbra, poi le sue iridi buie passano sul mio seno visibile, data la scollatura del top, e poi torna agli occhi, guardandomi con rabbia e compassione insieme.

Indecifrabile.

«Non potevo cercarti, Ariel. Sai benissimo che ho avuto altro a cui pensare», ribatte, inspirando dal naso, come se cercasse di trattenersi.

Ma trattenersi da cosa?

Dall'uccidermi o dallo scoparmi?

«Non m'importa, Thomas. Sono andata avanti, fallo anche tu.» Dal suo sorriso, mi rendo conto che si sta accorgendo che non sono più la ragazzina indifesa dell'anno scorso. E da bastardo quale è, credo che la cosa lo intrighi ancora di più.

Si porta le dita sul mento, con fare pensieroso. «Sei andata avanti», constata annuendo. «Quindi, non ti fa nessun effetto avermi di fronte?» I suoi occhi famelici passano sulle mie labbra, che sento tremare appena. «Non ti farebbe nessun effetto, se ora ti toccassi?» continua, ed io mi sento andare a fuoco. Letteralmente.

«Sto con Sean, smettila», lo freddo, ma solo in quell'istante mi rendo conto che Sean non si è fatto vedere per tutta la sera.

E se Thomas gli avesse fatto qualcosa?

Affilo gli occhi come due lame, socchiudendoli. «Che cosa hai fatto a Sean?» chiedo, prima ancora che lui possa rispondere alla mia domanda precedente.

Si scrocchia lentamente ogni dito della mano, ed io inizio a sudare, perché trovo questo movimento così sexy. Ma la verità è che tutto è sensuale, se fatto da lui. È la virilità e il sesso in persona, non posso farci nulla.

«Niente, Sirenetta», dice con tranquillità, e a me sembra sincero.

Sirenetta.

La sua sirenetta.

È ancora così?

«Me ne vado, Thomas», annuncio e faccio per alzarmi, ma il contatto con la sua mano, che si posa con violenza sopra la mia, mi costringe a fermarmi.

Mi risiedo, scrutandolo negli occhi, per capire le sue intenzioni. Ma la cosa su cui adesso non posso permettermi di riflettere, è il brivido che sento scorrermi nelle vene, gelido come il ghiaccio e allo stesso tempo caldo come lava.

È lui il ghiaccio. E lui è la lava.

«Voglio solo parlare», sospira poi, come se volesse calmarsi. «Non voglio altro. Non ti toccherò», promette.

La cosa che avrebbe dovuto rendermi felice, ovvero la sua promessa di non toccarmi, in realtà mi fa rabbuiare. Non lo voglio toccare, non lo volevo neppure vedere, eppure so di bramare le sue mani su di me più di qualsiasi altra cosa.

«Sean arriverà a momenti», comunico, come per assicurarmi ancora una volta che lui non l'abbia toccato, oppure per proteggermi da lui, facendogli intendere che non sarò sola per molto.

Si morde il labbro, come se fosse nervoso. Ed è la prima volta in vita mia che lo vedo in questo stato. Thomas è sempre stato bravo a nascondere le emozioni, e non so se prendere questo suo nervosismo come una cosa positiva o negativa.

Vuole farmi vedere che prova ancora qualcosa? Oppure è solo un bravo calcolatore che cerca, ancora una volta, di plagiarmi?

Si schiarisce la gola. «Volevo solo dirti che mi dispiace, Ariel», dice tutto d'un fiato, come se dovesse liberarsi di un peso enorme che gli schiacciava il petto.

Però, il mio corpo reagisce in modo incontrollato. A ripensare a lui, a quello che mi ha fatto, sento gli occhi inumidirsi. Tiro su con il naso e mi mordo l'interno guancia, perché l'ultima cosa che voglio è piangere di fronte al diavolo in persona.

Ho conosciuto tanti demoni in vita mia, ma non mi era mai capitato di lasciarmi fottere dal diavolo.

«Per cosa, Thomas?» domando, con la rabbia che mi attanaglia lo stomaco, mi sale fino alla gola e me la fa bruciare dannatamente, e traspare dalla mia voce spezzata.

Le sue iridi, buie e peccaminose, si fermano sui miei occhi, con un'espressione di pura compassione in volto. Forse, per una volta, riesco a vedere del senso di colpa nel suo sguardo.

Porta le mani sopra il tavolo, prendendo il bicchiere di Tiffany e iniziandolo a sorseggiare, ed io prendo tempo, ammirando le sue bellissime mani, che una volta mi stringevano ovunque, persino il cuore. Peccato, che poco dopo, però, lui l'abbia stritolato così forte da spezzarmelo.

«Per quello che ti ho fatto. Per tutto», sospira. «Io sentivo il bisogno di scusarmi», ammette infine.

Scoppio in una risata isterica, mentre una lacrima solitaria mi riga il volto. La sento come se fosse la lama di un coltello, che mi striscia nella guancia, fino ad atterrare nelle mie labbra, lasciandone il sapore salato e amaro, intriso di bugie, silenzi e un amore che non posso più sopportare.

«Per cosa, Thomas?» ripeto, alzando la voce. «Per avermi usata? Per avermi mentito? Per esserti approfittato di me? Per avermi resa la tua stupida pedina, in una vendetta perversa?», grido, perché non riesco più a trattenermi, poi sbuffo, cercando di guardare ovunque, tranne i suoi occhi.

Osservo la sua mano destra tremare appena.

«Per tutto questo, Ariel. Sappi che non era nulla di personale. Ti sei solo trovata nel posto sbagliato, al momento sbagliato.» La sua voce è calma, ma dalla sua mano tremante posso capire che anche lui è agitato, magari non quanto me, ma comunque lo è.

Sbuffo. «Davvero? Risparmiami queste stronzate, fammi il favore.» Gesticolo con la mano in modo compulsivo, come se questo gesto bastasse a mandarlo via.

Lo sento sospirare. «Spero che tu possa perdonarmi, un giorno», sussurra.

Sto vedendo un Thomas che non ho mai visto. Un Thomas umano, in grado di mostrare le sue emozioni. Un Thomas che sembra davvero pentito, ma di cui non potrò mai più fidarmi.

Un Thomas che, però, mi ha abbandonata.

Ma lui sa tutto questo. Lui è consapevole che, vederlo in questo stato umano, mi farà dimenticare tutto il male che mi ha causato. Ma io non sono più la stessa ragazza di prima, e lui non è più in grado di fregarmi.

Io non posso dimenticare.

Alzo lo sguardo su di lui, scontandomi con i suoi occhi assenti, e decido di porgli la domanda che ha occupato la mia mente per un anno interno. «C'è mai stato qualcosa di reale?», chiedo con un filo di voce, scrutando attentamente le sue iridi scure, che si alzano subito sul mio viso.

«Sei stata davvero la mia luce, Ariel», dice annuendo.

La sua luce.

Ma tu cosa sei stato per me, Thomas, se non la mia oscurità?

«Non ti sei mai innamorato di me», constato, dicendolo più a me stessa che a lui.

«Sai che io non amo, bambina.» Lo dice con naturalezza, chiamandomi con quel nomignolo, come se fossimo ancora all'anno scorso, a quando io bramavo le sue labbra e lui la mia essenza, dissetandosene come il peggiore dei demoni.

Non amo.

I diavoli non amano mai.

«Non chiamarmi così», grido, in preda alla furia più totalizzante.

Sentire quel nome, con lui di fronte a me, mi fa balzare dalla rabbia.

Non hai più il diritto di chiamarmi così, Thomas Walker.

Lo vedo sorridere, e stringo i pugni sotto il tavolo, per evitare di sbattergliene uno dritto in faccia.

«Ma tu sei la mia bambina», dice compiaciuto, con quel ghigno in faccia che mi fa venire voglia di...baciarlo, cazzo.

Ed eccoci, che siamo passati dalle sue scuse, allo stuzzicarci a vicenda, come un tempo.

«Tua?» sbuffo. «Non lo sono mai stata», sputo acida. Sappiamo tutti che non è così, sono stata sua nel modo più totale possibile. Non solo il mio corpo lo era, ma anche la mia anima. Ma ora voglio ferirlo, voglio che torni con i piedi per terra.

Voglio che si senta come mi sono sentita io.

Lui sorride ancora, come se avesse la consapevolezza estrema che quello che dico non è vero.

Bastardo.

Quando mi sorride ancora, perdo totalmente il controllo. Mi alzo dalla sedia, facendola rovinare a terra, ma non m'interessa. Voglio solo andare via.

«Sei ancora mia.» Lo sento sussurrare, prima di voltargli le spalle e scappare da quel posto, da lui.

Si accorgerà che mi tremano le gambe?

Appena esco, il freddo mi inebria ogni senso, e per la prima volta, dopo quasi mezz'ora di conversazione con Thomas, riesco a respirare di nuovo.

Mi concentro sul fruscio degli alberi, dovuto al vento freddo, e all'odore della terra, mentre cerco di scacciare via il suo odore, che sento ancora nelle narici. Ho provato a non annusarlo, ma come una drogata, mi sono goduta quel profumo come se fosse la mia ultima dose, oltre che l'unica al mondo in grado di farmi avere queste sensazioni.

Mi porto una mano sul petto e cerco di calmare i battiti, mentre in lontananza scorgo Tiffany che sta inveendo animatamente contro quello che credo essere Connor.

«Piccola.» La voce di Sean mi fa sussultare. Mi volto e lo trovo dietro di me, che mi guarda con un'espressione arcigna, come se si stesse domandando che cosa abbia. Forse il mio aspetto stralunato non mi aiuta.

«Sean, dov'eri?» gli chiedo, tenendo ancora una mano ben salda sul petto.

Mi analizza da capo a piedi. «C'è stato un incidente mentre venivo qui, una macchina è andata fuori strada, quindi c'era molto traffico», mi spiega. «Tu stai bene?»

No. «Si.»

I suoi occhi incontrano i miei, e dentro non ci vedo nessun oceano, nessun pozzo profondo, nessun demone pronto a sbranarmi il cuore. «Dov'è?» mi chiede in modo deciso, come se avesse già capito tutto.

«Dentro.» È inutile mentirgli, il mio aspetto la dice chiara, e lui mi conosce troppo bene.

Annuisce pensieroso. «Ci hai parlato?»

«Si», rispondo con un sussurro, mentre il mio sguardo cade sulle mie scarpe.

«Lo ammazzo», ringhia, mentre lo vedo addentrarsi, in tutta furia, nel locale.

«Sean, no!» grido, cercando di corrergli dietro, ma è molto più veloce di me, e non sembra intenzionato a fermarsi. 

spazio autrice

scusate il ritardo ma sono tornata a casa proprio ora. 

Fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti! 

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