53. Il Prezzo Della Corona


Epilogo.

Si risvegliò di soprassalto. La guancia premuta contro il legno rigido le restituì un'indolenzita consapevolezza del proprio corpo: aveva dormito al freddo, di nuovo. Ogni parte dei suoi muscoli protestava, un muto ricordo di notti trascorse in condizioni simili. Aprì e richiuse le palpebre pesanti più volte finché la vista si rischiarò. Davanti a sé ritrovò una landa desolata dove le sagome spettrali dei rami spogli creavano strani giochi d'ombra.
«Sei ancora qui» mormorò una voce, gentile e pacata. Skye si voltò verso Wave che, in piedi, l'osservava con un sorriso velato di rammarico. Era strano vederlo così elegante, come se i giorni di battaglia fossero solo un lontano ricordo sbiadito. Indossava un panciotto grigio stretto sul busto, che lasciava intravedere una camicia bianca con le maniche arrotolate fino ai gomiti. La sua giacca, stropicciata con noncuranza, pendeva sul braccio. Era così distante dall'immagine familiare del combattente che aveva conosciuto.
Era strano abituarsi a tutto questo, rifletté.

L'americano si abbassò verso di lei, appoggiandosi al legno laccato. Una mano sicura le sfiorò il fianco, scuotendola delicatamente. «Su andiamo, hanno bisogno di te» disse.
Lei si rialzò a fatica, sentendo il freddo insinuarsi nelle membra mentre la stoffa pesante del vestito, inzuppata dall'umidità notturna, le aderiva al corpo. Prima di muoversi, gettò un ultimo sguardo dietro di sé.
«Ritornerai dopo» le consigliò, come se le avesse appena letto nella mente. Le porse una mano, che lei accettò, e insieme si incamminarono verso il Nuovo Palazzo, distante soltanto pochi minuti a piedi.

Il Nuovo Palazzo era un castello antico, annidato ai piedi di una catena montuosa che li separava dal resto del deserto. Nonostante le sue mura avessero visto secoli di storia, nelle otto settimane che erano seguite all'esplosione, il palazzo era stato ristrutturato con una sorprendente rapidità, preservando comunque l'austerità e il fascino che lo caratterizzavano. Quel periodo intenso di lavori, aveva visto fabbri, artigiani e soldati impegnati giorno e notte, trasformando il vecchio castello in un rifugio sicuro. Avevano trovato asilo proprio lì, sessanta miglia più a est da Forte di Iblis, in una città che si affacciava direttamente sul mare. La nuova posizione, anche grazie alla conquista inaspettata del territorio di Gerald, si era rivelata strategica per i commerci e gli sbarchi, segnando l'inizio di una nuova era per tutto il popolo.

Mentre varcava l'entrata, una raffica di vento marino le scompigliò i capelli. Sollevò lo sguardo per evitare che le ciocche le coprissero totalmente la vista e si ritrovò ad osservare le maestose statue ai due lati del cancello. Erano alte diversi metri e raffiguravano due guerrieri in procinto di combattere: lei e Icaro.

La rappresentazione di Skye trasmetteva furia e distruzione. Era stata raffigurata in posizione di attacco, un ginocchio flesso e le braccia incrociate davanti al viso, stringeva salde tra le mani due lunghe sciabole. Le labbra spalancate in un urlo silenzioso e gli occhi deformati dalla collera avrebbero fatto indietreggiare tutti i meno coraggiosi.

La statua di Icaro, invece, non brandiva nessun'arma, perché non ne aveva bisogno. La sua figura imponente, scolpita con precisione, metteva in mostra la brutalità del suo stesso corpo: muscoli definiti, vene sporgenti e un'espressione fredda che gli dava la parvenza di un angelo della morte.
Accanto ai cancelli, come due guardiani, sembravano essere un monito per chiunque osasse sfidare la rinascita del nuovo regno.

Wave le sfiorò il braccio, richiamando la sua attenzione. «Andiamo» la condusse attraverso i corridoi di pietra grezza, dove il pavimento trasmetteva ancora il gelo del primo mattino. Le mura massicce e i lampadari imponenti evocavano un'epoca passata che parlava di arte e storia, ben lontana dalla guerra appena conclusa.
«Hai saputo dell'incoronazione?» le domandò, facendole ancora strada su per le scale.
Anche se erano passate settimane dal forte, stentava ancora a credere che quel giorno stesse arrivando, quindi deglutì e mormorò un vago «Si» che sembrò celare bene ogni preoccupazione.
Il vecchio compagno di squadra le aprì una porta in massello e la lasciò entrare all'interno della stanza dove l'aspettavano.
«Alla buon'ora, ragazzina!» gracchiò immediatamente Raya, intenta a strofinarsi le mani per riscaldarsele. Nonostante un piccolo fuoco ardesse già nel camino, l'umidità del mare si insinuava nelle finestre creando leggeri spifferi.
La ristrutturazione del castello si era concentrata perlopiù sui tetti e sulle mura, ma riguardo alle finestre, avevano ancora un bel po' di lavoro da svolgere.
Raya la osservò con occhio critico, scuotendo la testa in disapprovazione. «Hai dormito di nuovo lì, non è vero?» era più un'affermazione che una domanda, perciò non rispose. Allargò le braccia affinché potesse avvicinarglisi e abbassarle la cerniera del vestito, aiutandola poi a sfilarselo. Una volta rimasta in biancheria, andò al centro della stanza, davanti ad uno specchio arcuato.

La sarta minuta sbucò da un angolo, avvicinandosi con il metro. «Posso, Vostra Maestà?» chiese, con rispetto. Skye annuì e subito dopo la donna iniziò, come di consueto, a prendere tutte le misure necessarie, annotandole con precisione su un quaderno. Quando ebbe finito, le rivolse un sorriso emozionato. «Non immaginate che onore sia per me...» balbettò. Ma la gioia si spense appena incrociò dallo specchio il suo sguardo.
Fra il popolo, in molti avevano iniziato a venerarla come una dea, convinti che era soltanto grazie a lei se quella guerra era finalmente finita, con la loro vittoria. Ma non le piaceva per niente quel nomignolo e neanche la statua eretta in suo onore. Evidentemente la donna alle sue spalle se ne rese conto solo in quel momento, notando la sua espressione contrita.
La sarta abbassò lo sguardo desolata e per fortuna fu Raya ad intervenire. «Ora che abbiamo anche le ultime misure...il vestito sarà pronto in tempo, giusto?» la donna annuì con deferenza, si inchinò velocemente e lasciò la stanza in fretta, insieme all'anziana.

Rimasta sola, Skye guardò il proprio riflesso nel vetro opaco. La corona che l'attendeva sembrava più pesante di qualsiasi arma avesse mai impugnato.
Come avrebbe fatto a portarne il peso, da sola?

Con un sospiro, si diresse verso la doccia. Aprì il soffione e attese, osservando distrattamente il vapore che iniziava a riempire l'aria. Quando l'acqua fu abbastanza calda, si lasciò avvolgere da quel calore, sperando che potesse lavare via almeno una parte delle sue insicurezze.

Più tardi, rivestita e con i capelli pettinati, era pronta per affrontare un'altra giornata. La luce del sole, ormai più calda, filtrava dalla finestra della stanza e le accarezzava il volto. Dall'altezza in cui si trovava la sua camera, poteva scorgere la vita che cominciava a fluire nella città sottostante. Mercanti e artigiani si affaccendavano nelle stradine polverose, sistemando merci, aprendo botteghe. Un brulichio ordinato, interrotto solo da quei pochi che lavoravano ancora per restaurare le case abbandonate. In lontananza, le navi cominciavano a delinearsi all'orizzonte, dirette verso la città, cariche di spettatori pronti a partecipare al grande evento del giorno seguente.

Uscì dal castello e si lasciò tutta quella vita alle spalle. Con un gesto distratto, pizzicò una mollica di pane che aveva preso dalle cucine dove Victor, sempre così puntiglioso, l'aveva già rimproverata come abitudine. «Una Regina non può vivere di due pezzetti di pane al giorno!» le aveva detto, con il tono severo di chi si preoccupa, ma lei era riuscita comunque a svignarsela con il suo piccolo bottino.
Sospettava, però, che ormai tutti sapessero dove fosse diretta.

Mentre camminava, si prese un momento per assaporare il tepore del sole prima che diventasse troppo rovente. Raggiunse il solito posto: un vecchio albero che svettava su una piccola collina. Non molto elegantemente, si issò sul legno della bara che riposava lì da poco più di due settimane. Sedendosi sopra, prese un altro morso dal suo pane e trascorse lì diverse ore. Quando sollevò lo sguardo verso il cielo, attraverso i rami spogli, intravedeva già l'azzurro del cielo lasciare spazio ai colori del tramonto.
«Domani ci sarà l'incoronazione» soffiò, abbassando lo sguardo sotto di sé, le dita che sfioravano distrattamente il bordo ruvido della pagnotta che ancora non aveva mangiato. «Non so neanche com'è fatto quel dannato vestito» spezzò un piccolo pezzo e lo gettò a pochi passi. Poco dopo, due uccellini arrivarono a beccarne le briciole. Li osservò con attenzione, il loro movimento rapido e leggero le fece desiderare per un istante di essere proprio come loro, libera da tutto quel peso, capace di spiccare il volo con un semplice battito d'ali.
«Ma forse non è il vestito che conta, giusto?» esordì, quasi sperando che il corpo dentro la bara potesse risponderle. Con la punta delle dita tracciò linee invisibili sul legno levigato.
«Non so se posso farcela e che...tutti si aspettano che io abbia risposte, che sappia cosa fare. Ma...cosa succede se non lo so? Cosa succede se mi perdo anch'io?» gli uccellini, ignari delle sue paure, continuavano a cinguettare tranquilli. Il loro canto, così semplice e puro, le diede un briciolo di conforto. Forse, pensò, c'era ancora qualcosa di bello al mondo, qualcosa che valeva la pena preservare.
Si appoggiò al tronco dell'albero che sorgeva accanto alla tomba, lasciandosi avvolgere dal ruvido abbraccio della corteccia. Chiuse gli occhi per un istante, respirando il profumo salmastro del vento che proveniva dal mare.
Era ironico, pensò, che qualcuno che era stato così pieno di vita, così vibrante e presente, ora fosse ridotto ad un silenzio eterno. Profondamente ingiusto.

«Non succede assolutamente niente» esordì Ronald, con la sua solita sfacciataggine. Quando lei alzò lo sguardo, i suoi occhi finirono sulla lunga cicatrice che correva dallo zigomo fino alla mascella. Il sole del tramonto danzava sui suoi capelli rossicci, trasformandoli in lingue di fuoco vive. «Nessuno obbliga una Regina a essere perfetta» aggiunse, come se nulla fosse.
«Ronald» fece, a mo' di saluto. Lui sventolò una mano verso di lei e si appoggiò con una spalla all'albero, abbassando la punta del naso verso il feretro.
«Non è carino origliare» lo rimproverò, cercando di assumere una postura più composta mentre lisciava l'abito. Lui rise, ma il suono era fioco, privo della sua solita energia. Sembrava che quella risata portasse ancora con sé frammenti della loro ultima battaglia.
«Non puoi monopolizzare questo posto» ribatté con una scrollata di spalle prima che il suo sguardo cambiasse, diventando serio. Quando faceva così, sapeva che stava per dirle qualcosa di importante.
«Non è più nella sua stanza» la informò, senza più nessuna traccia di ilarità.
Lei deviò lo sguardo dal suo, diventato troppo profondo. «Diamogli del tempo» mormorò, quasi come se stesse cercando di convincere sé stessa. Portò una mano al ventre, cercando di placare la nausea che le saliva, e un dolore acuto le attraversò il fianco, laddove una cicatrice recente ardeva come brace.
Ronald scosse la testa, serrando la mascella. La sua espressione sembrava essersi indurita da quando lo conosceva, e non sapeva se la causa fosse la sua nuova cicatrice o la guerra appena terminata. «No, non ne ha più» rispose, stizzito.
«E cosa intendi fare?» avevano solo bisogno di tempo, pensò. Tempo per dimenticare, per lasciar sedimentare quel dolore e riavere di nuovo la forza di affogare ogni emozione tentasse di risalire a galla. Era così che si sopravviveva, giusto?

«Non può più permettersi di fare così» protestò l'amico, passandosi una mano sul mento, dove aveva lasciato crescere un accenno di barba. «Non so in che modo, ma devi risolverla. E se non lo farai tu con le buone, lo farò io con le cattive» lasciatole quell'ultimatum, si voltò bruscamente e si allontanò. Rimase ferma, il cuore pesante mentre alzava lo sguardo verso il resto della collina dove intravedeva il marmo rigido delle altre lapidi. Il sole morente accarezzava quelle superfici, facendo scintillare i nomi incisi. Con un ultimo sguardo al cielo tinto di arancio, si costrinse a muovere un passo verso il Nuovo Palazzo.
Il primo di tanti altri.

Rientrata al castello, Raya le aveva subito comunicato che nel pomeriggio era giunta una missiva importante, sebbene fosse arrivata con qualche giorno di ritardo. La lettera annunciava che la squadra inviata alla ricerca dei suoi due amici stava per fare ritorno al castello e che sarebbe arrivata quel giorno stesso. L'improvviso respiro di sollievo, però, non sembrava essere sufficiente a calmare la sua agitazione. Ecco perché stava camminando nervosamente nella sala principale del trono, percorrendo e ripercorrendo lo stesso tratto di pavimento in un continuo andirivieni che non accennava a fermarsi da almeno due ore. I suoi passi nervosi rimbombavano tra le mura, un ritmo irregolare che contrastava con il frastuono dei preparativi. La sala era animata da sudditi indaffarati che si muovevano velocemente, trasportando drappi, sistemando decorazioni e parlottando tra loro a voce alta. Quel chiasso incessante si fermò bruscamente quando la porta della sala venne spalancata con un fragore improvviso.

Karim entrò nella sala, trascinando la gamba malandata. Dietro di lui, i suoi uomini si accovacciarono lungo la soglia, rispettosi e immobili dopo le lunghe ore di viaggio. Skye si fermò di colpo. Era in piedi al centro della sala, con i capelli sciolti che le ricadevano sulle spalle in un disordine naturale. Il suo volto era segnato dalla stanchezza, ma gli occhi azzurri ardevano come acciaio fuso. «Allora?» esclamò, incapace di trattenersi un secondo di più. «Li hai trovati?» era così agitata che sembrava sul punto di esplodere, come un temporale trattenuto troppo a lungo che minacciava di abbattersi ovunque senza preavviso.

La guardò per un istante, lasciando che il silenzio si prolungasse oltre il sopportabile. Poi annuì. «Sì» confermò, lasciando che una punta d'orgoglio trasparisse nella sua voce. «Questa volta siamo riusciti a rintracciarli» portò una mano al petto appena sentì il cuore battere selvaggiamente. «Stanno bene?» chiese frettolosamente. Lui si fece largo nella sala, raggiunse una delle sedute più vicine, abbassandosi lentamente con un gemito soffocato. Il suo sguardo si soffermò sui due troni vuoti che dominavano la stanza. «Stanno piuttosto bene» affermò, vagamente.

Lei esitò, incerta se formulare la domanda che le bruciava sulla lingua. «E...verranno?» non era per una questione di protocollo o cerimoniale. Skye desiderava che in un giorno cosi importante, George e Cal fossero lì con lei.
Scrollò le spalle, stancamente. «Non lo sanno ancora» bofonchiò. Non era la risposta che avrebbe voluto, ma era sufficiente. Le bastava sapere che entrambi erano vivi e vegeti.

Osservò il profilo di Karim, ricordando che aveva iniziato a collaborare con loro solo dopo la fine dello scontro a Forte di Iblis. Era stato proprio lui a raccogliere i superstiti, a portarli al sicuro, radunandoli uno per uno tra le macerie. Skye non dimenticava il momento in cui si era risvegliata, le ferite che le bruciavano e ogni movimento che le causava tormento. Ma non appena aveva riaperto gli occhi, George e Cal erano accanto a lei, come una promessa di speranza.
Pochi giorni dopo la loro convalescenza, tutto era cambiato. George l'aveva fissata con uno sguardo che trasudava determinazione. «Io non resto» aveva deciso «Devo andare. Ho capito che è arrivato il momento di stare accanto a mia sorella e di ritornare a una vita normale. Tutto questo...» si era guardato intorno, gli occhi che scrutavano le pareti come fossero gabbie, prima di scuotere la testa con veemenza. «Voglio lasciarlo alle spalle» Cal, accanto a lui, era rimasto in silenzio. Insieme se n'erano andati, senza dire una parola di più. Da quel giorno, non li aveva più sentiti.

Ma non c'era tempo per lasciarsi travolgere da quei ricordi perché, nonostante fosse da poco scoccata la mezzanotte, Victor entrò nella sala con passo affrettato, quasi ansimante. Si fermò appena il tempo di rivolgere un saluto educato a Karim, prima di avanzare spedito verso di lei. «L'ho trovato» farfugliò, il petto che si alzava e abbassava per lo sforzo. Si asciugò la fronte imperlata di sudore con un tovagliolo di seta, un gesto goffo e affaccendato, poi le porse l'avambraccio in un invito silenzioso a seguirlo.

«Ti ringrazio di averli trovati per me» pronunciò rivolta al vecchio membro del Villaggio. Afferrò il braccio corpulento del maggiordomo, sentendo il velluto del suo abito sotto le dita. Ormai giunta sulla soglia della porta, lo sentì urlare dall'altra parte della stanza, dov'era seduto. «Non dimenticarti una cosa: è vero che portare una corona richiede forza, ma chi ha affrontato ciò che hai affrontato tu non può temerne il peso!» si fermò per un istante, voltandosi leggermente, abbastanza da lanciargli un cenno del capo, poi varcò la porta, lasciandolo alle sue spalle.

Appena furono abbastanza lontani dalla sala del trono e dai sudditi, si avvicinò al maggiordomo, abbassando la voce affinché soltanto lui potesse sentirla: «Dov'è? sta ballando ancora sopra a qualche altra tomba?» la domanda fu tanto diretta quanto crudele nella sua onestà, e Victor, che pure conosceva fin troppo bene la loro situazione, si strozzò. Un lampo di disagio gli attraversò il volto e le guance gli divennero velocemente color porpora. «Questa volta no» balbettò.

Questa volta no.
Non si lasciò ingannare da quella fragile speranza. Sapeva che era solo una tregua momentanea, che le sue parole non volevano promettere nulla. Era passato troppo tempo da quando l'aveva visto sobrio, troppo tempo da quando le sue notti non erano scandite da lei e Ronald che cercavano di trascinarlo via dalla collina. Quante volte lo aveva trovato lì, perso tra le ombre della notte, con lo sguardo fisso su qualche lapide e la mente annebbiata da un liquore?

Si aspettava che Victor la conducesse verso la collina, invece si stupì quando si soffermarono davanti alla porta dei dormitori reali. Le maniglie lucidate brillavano fioche nella penombra del corridoio. Il maggiordomo le aprì, e lei rimase immobile per un attimo, indecisa sul da farsi. Alla fine, andò verso l'anticamera e, appena lo fece, la porta si richiuse alle sue spalle con un tonfo. Victor non era entrato.
Alzò lo sguardo e si ritrovò circondata da un'atmosfera che le era estranea. Le tende rosse, pesanti e ornate di ricami intricati, sembravano soffocare ogni luce della stanza. Il profumo dolciastro della cera delle candele saturava l'aria, mescolandosi all'odore stantio del legno antico delle scrivanie che riflettevano i bagliori caldi delle candele accese. Tutte le pareti erano adornate da quadri antichi, salvati dalla distruzione, quasi tutti raffiguranti il deserto in tutta la sua vastità. Deglutì a fatica, il sangue sembrava defluirle dal viso mentre si ostinava a guardare alcuni quadri che raffiguravano una Torre, molto simile a quella del Villaggio.

«Li cambierò» disse una voce sommessa, attirando la sua attenzione.

Lui era lì. Seduto sull'orlo del letto, il corpo piegato su sé stesso come se reggesse il peso di un mondo intero. Il capo era chino, incastonato fra i gomiti, mentre le mani affondavano nei capelli lunghi e corvini che cadevano attorno al viso. Anche senza vedere i suoi occhi, immaginava cosa aspettarsi...ovvero le guance arrossate dall'alcol e il sorriso sghembo che usava come scudo.
Era come vedere una statua spezzata, un tempo maestosa, ridursi in mille pezzi. Eppure, anche così, c'era in lui una bellezza dolorosa, qualcosa che non riusciva mai a ignorare.

Sentì il cuore stringersi, come se un artiglio invisibile avesse affondato le sue dita gelide nel petto. Sembrava diverso.
Era sobrio? O almeno abbastanza lucido per parlare?
La speranza fece capolino, fugace come un raggio di sole tra le nuvole. Ma lei la ricacciò indietro, dolorosamente consapevole di quanto fosse pericoloso nutrirla. Non poteva permetterselo. Non ancora.
Rimase immobile, solitaria nell'anticamera. Il suo respiro era lento, quasi impercettibile. Aspettava, consapevole che ogni parte del suo cuore era pronta ad affrontare l'ennesima delusione.

La sua voce la raggiunse come un sussurro «Non sono stato un bravo Re» quelle parole, dette con sincerità, la spinsero a fare qualche passo in avanti.

Con un gesto lento e incerto, si abbassò e alzò una mano tremante, posandola delicatamente sulla sua guancia. La sua pelle era calda e tesa, e per un istante sembrò irrigidirsi sotto quel tocco. Poi, come un uomo che annega, l'afferrò. La sua presa sulla mano di lei era forte, disperata, come se quel gesto fosse l'ultima ancora tra lui e l'abisso.
Lo guardò andare in mille pezzi mentre lei stessa era a pezzi.

«Non dire così» lo rincuorò. «Tu sei nato per esserlo» ed era vero. Non c'era nessuno come lui. Il popolo lo amava, e lui lo ricambiava quindi...cos'altro poteva andare storto?
«Non sono riuscito a salvarli» confessò, la voce incrinata dal rimorso. «Tutti contavano su di me, e io li ho lasciati morire. Ho premuto quel fottutissimo tasto. E il popolo...loro non sanno chi sono. Non sanno cosa ho fatto per arrivare fin qui» la rabbia inacidiva ogni parola, ma la delusione più grande era rivolta a se stesso.

«Hai premuto quel tasto perché non c'erano altre vie» sottolineò con severità, come se volesse riscuoterlo dalla sua disperazione. Quella notte, non era stato l'unico a premere il tasto del detonatore, la scelta ricadeva anche su di lei e su Wave. Dopo un lungo sospiro, aggiunse... «Domani ci sarà l'incoronazione» non era sicura del perché lo avesse detto. Forse aveva bisogno di ricordarglielo, o forse di ricordarlo a sé stessa. Ripensò alla corona che l'attendeva e le sembrò immeritata. Quel metallo freddo l'avrebbe inchiodata al suolo, come se ogni grammo racchiudesse le voci di chi aveva perso.
Le avevano detto che il popolo la venerava come una dea, che vedevano in lei la salvezza incarnata, ma ogni volta che sentiva quelle parole, una parte di lei si ritraeva, come se volesse fuggire da quelle aspettative.
In fondo, Skye si sentiva ancora intrappolata nella polvere delle battaglie, con l'odore acre del sangue che le pizzicava le narici e il fragore delle urla che le risuonava incessante nelle orecchie. Dopotutto, prima di essere una regina, rammentò, sarebbe sempre stata un soldato.
«Sei pronto?» ma la domanda, in realtà, era il riflesso dei suoi stessi dubbi. Lo era lui? Lo era lei?
«Tu sei pronta?» replicò lui, quasi come una sfida, annuì. Si sedette al suo fianco, e insieme posarono lo sguardo sulla corona di legno appoggiata sul comò, quella che gli aveva regalato nella Trincea. Era semplice, priva di ornamenti, ma proprio per questo perfetta.

Sono pronta da quel giorno, avrebbe voluto dirgli, anche se non lo fece.

Icaro si alzò, e la luce fioca delle candele illuminò la sua schiena nuda, rivelando una mappa di cicatrici argentee che riflettevano debolmente il loro bagliore tremolante. Ogni segno raccontava un dolore sopportato, una battaglia combattuta, e la causa, seppur involontariamente, era sempre stata lei.
A volte, dimenticava che Yuri non era mai stato amato durante la sua infanzia. Cresciuto a corte, tra la spietatezza dei suoi genitori, Edith e Gor, l'amore era qualcosa che non aveva mai conosciuto. Anche quando aveva trovato un briciolo di affetto, in Maicol e Giun, era stato un amore irregolare, distorto, e mai davvero suo. Ogni legame che aveva stretto, prima o poi, era stato segnato da quella solitudine che lo accompagnava. Questo lo aveva forgiato in un uomo che non sapeva cosa fosse l'amore, o se meritasse davvero di riceverlo. Forse per queste ragioni non si sorprese quando la sentì dire: «Domani non sarai obbligata a presentarti all'incoronazione, se non lo desideri» quelle parole furono come un colpo basso, una lama ben assestata. Non riusciva a capire se stesse cercando di auto sabotarsi, di punirsi o, ancora una volta, di proteggerla. Si passò una mano tra i capelli in quel gesto distratto e familiare che la riportò indietro nel tempo. Il cuore le fece una capriola nel petto, tradendola.

«Se volessi ricominciare altrove...con i tuoi amici o con chiunque tu voglia...io lo capirei» pronunciò quelle parole, come se stesse cercando di allontanarsi da lei prima che lei avesse la possibilità di farlo. Non riuscendo a sopportare una risposta, Yuri voltò le spalle e uscì dalla stanza.
Affondò le dita fra le coperte, pronta per darsi lo slancio e rincorrerlo, per dirgli che avevano lottato insieme per arrivare fino a lì e che non lo avrebbe mai e poi mai abbandonato. Ma, all'ultimo istante, le forze le mancarono. Si lasciò cadere sul materasso morbido, chiuse gli occhi e...

Il rumore delle ossa che si frantumavano sul selciato dei giardini reali la strappò da quel incubo. La visione di Constance precipitò davanti ai suoi occhi, nitida come il giorno in cui era accaduto. Con il cuore che le martellava nel petto, si mise a sedere sul letto. Si passò una mano sul viso, cercando di scacciare il sudore freddo che le bagnava la fronte. Fu allora che la porta della camera si schiuse con un rumore secco.

«Vedo che ti sei svegliata»

Raya entrò nella stanza come un vortice. I suoi passi la condussero alle tende di velluto, che spalancò con un gesto ampio. La luce del sole già alto inondò la stanza, facendo scintillare i bordi d'oro del mobilio e scaldando le mura.
«Sono contenta che per una volta non ti ritrovo a dormire nel cimitero» bofonchiò, affacciandosi alla finestra e guardando il cielo limpido con un sorriso soddisfatto, come se fosse stata lei l'artefice di quella bella giornata. «Ah! Oggi è davvero un bel giorno!» la sua voce si fece più squillante. «Una giornata davvero perfetta per proclamare una nuova Regina» si voltò e trottò verso il bordo del letto. Le scostò le coperte pesanti dal corpo e l'aiutò a rialzarsi, ignorando il modo in cui lei si lasciava trascinare, ancora intontita dal sonno. L'anticamera le si aprì davanti come un salotto di luce e profumi inebrianti.
«Hai bisogno di mangiare qualcosa?» le chiese, scostando una sedia e indicandole il tavolino già imbandito di cibo. Il profumo del pane caldo e del miele si mescolava a quello pungente del tè speziato.
Skye esitò per un istante, confusa. Quanto aveva dormito? Come aveva fatto a non accorgersi che Raya l'aveva coperta durante la notte? Non c'era stato nessun movimento che l'avesse svegliata...possibile fosse cosi stanca da non rendersene conto?

Dall'altro capo del tavolino, una figura la fissava attraverso il vapore sottile della tazza di tè.

«Sai che fai degli strani versi quando dormi?» le fece notare Ronald, con un sopracciglio sollevato e un tono che sapeva di scherno. Spinse un piattino pieno di biscotti nella sua direzione. «Mangia. Il Re ti avrà sfinito questa notte» arrossì, sentendo il calore salirle alle guance. Aprì la bocca per controbattere, ma lui la interruppe con un gesto teatrale della mano, sventolandola come per scacciare l'aria stessa. «Qualsiasi dettaglio sconcio tu stia per condividere con me» annunciò con tono beffardo «Sappi che non mi interessa» l'ambiente si riempì subito dopo della sua risata, leggera e malinconica, e la luce scintillò sulle stoviglie d'argento. Anche lei, controvoglia, si lasciò sfuggire un sorriso, mentre un respiro più calmo le scivolava via dal petto. La normalità di quel momento fu come un balsamo sulle ferite aperte.
«Le sarte sono qui, è il momento!» annunciò Raya, versandole del tè caldo in una tazza. Il vapore dolciastro le salì nelle narici, scaldandole il viso intorpidito. Osservò il riflesso nel liquido bollente: il volto ancora pallido, i capelli sciolti che cadevano ribelli sulle spalle. Un soldato stanco, non una vera e propria Regina.

Skye annuì piano, come se il semplice movimento del capo fosse un gesto monumentale.

«Da ora, nessun altro entri! E tu, esci fuori di qui!» Raya batté le mani con decisione, facendo entrare le sarte che si muovevano con la rapidità e la grazia di ombre silenziose. Appena Ronald fu uscito, la stanza si riempì del fruscio delle stoffe e delle parole sussurrate, mentre mani esperte sistemavano ogni piega dell'abito come se stessero componendo un'opera d'arte. L'anziana, con una grazia che il tempo non aveva intaccato, intrecciava i suoi capelli, restituendole un aspetto ordinato e raffinato, come se quei mesi di trascuratezza non avessero mai avuto luogo. Il vestito era bianco con inserti d'oro, elegante nella sua sobrietà, privo di orpelli eccessivi. Ammirandolo, pensò che la semplicità fosse ciò che più l'avrebbe rappresentata.

L'aria nella grande sala del trono era densa di attesa, come se il respiro dell'intera città fosse sospeso. I drappi di velluto rosso e oro pendevano dalle pareti, mentre il soffitto altissimo, decorato con intricati affreschi, rifletteva il brusio della folla. Skye si accinse a percorrere la navata centrale con passi lenti e misurati, le dita strette lungo le cuciture dell'abito, tentando di placare il tremore che le percorreva le mani. Ogni sguardo nella sala era puntato su di lei: nobili e guerrieri, mercanti e cittadini, tutti lì per assistere alla sua incoronazione.
Si fermò davanti ai due troni, imponenti e rivestiti di velluto scarlatto. Accanto a uno di essi Icaro era già in piedi. La sua figura, avvolta in un mantello scuro bordato d'argento, sembrava scolpita nella pietra, come la statua costruita in suo onore. Le sue spalle erano perfettamente dritte e il mento sollevato con orgoglio, ma quando i suoi occhi verdi cercarono i suoi, in quello sguardo c'era solo lei, una concentrazione così intensa che la colpì come un'ondata improvvisa, lasciandola quasi senza respiro.

Con un movimento lento e ponderato, si inginocchiò al cospetto del suo Re. Il pavimento freddo le punse le ginocchia, ma lei non vacillò, radicata nella consapevolezza che quel gesto, antico e carico di significato, andava ben oltre la mera cerimonia. Era il simbolo di una nuova alleanza, di un inizio che riscriveva le regole del loro destino, un atto che celebrava non solo il loro impegno, ma anche l'amore che li univa.

Yuri si mosse subito dopo, inginocchiandosi a sua volta di fronte a lei. Non c'era un Re sopra una Regina, né una Regina sopra un Re. Erano compagni, pari.

L'eco di quel gesto vibrò in ogni angolo della sala, mentre il silenzio avvolgeva ogni cosa. Poi, con un movimento deciso, Icaro si rialzò, tendendole la mano per aiutarla a rialzarsi e a sedersi sul trono. Rimasero immobili, fianco a fianco, scambiandosi uno sguardo che parlava di stima e comprensione profonda. Senza dire una parola, si voltarono insieme verso il popolo che avevano giurato di servire.

L'arcidiacono, un uomo anziano con la barba candida e un abito cerimoniale decorato d'oro e rosso, si avvicinò con una corona in ciascuna mano. La prima, forgiata in oro e ferro, era destinata a Yuri. La seconda, più delicata ma altrettanto austera, era per lei.
«Con questa corona» proclamò l'arcidiacono, la voce profonda che rimbombava nelle volte della sala «Vi consacriamo come sovrani del Nuovo Regno. Non come padroni, ma come guide. Non come dominatori, ma come custodi» posò la prima corona sul capo di Icaro, poi si rivolse a Skye che chiuse gli occhi un istante. Quando il metallo freddo toccò la sua pelle, sentì l'intero regno stringersi attorno a lei, come se ogni sorriso, ogni speranza, ogni cicatrice fosse un filo invisibile che la legava a quella gente.
Appena l'arcidiacono si distanziò di qualche passo, tutti si chinano. In prima fila, riconobbe Wave e Ronald, e subito dietro di loro, Karim e Giun. Quando si rialzarono, un applauso esplose, fragoroso come un tuono, mentre i tamburi cominciavano a rullare, scandendo un ritmo festoso che presto si mescolò alle voci dei bardi e dei suonatori di flauto. All'esterno, nel cortile e oltre le mura, tutta la città era in festa: le campane suonavano, le ghirlande di fiori decoravano ogni casa, e i bambini correvano per le strade gridando canti di prosperità.

Skye si soffermò a scrutare la folla e tra la marea di volti, ne cercava altri. George e Cal non c'erano. Ma tra la folla, notò un movimento goffo. Un ragazzino saltellava tra le persone, agitando le mani per attirare l'attenzione. Era Tom. Nel rivederlo, un sorriso involontario le sollevò le labbra. Poi, senza volerlo, il suo sguardo venne calamitato verso l'entrata della sala. Lì, appoggiato allo stipite della porta, c'era Saleem.
I suoi occhi erano fissi su di lei con quella stessa intensità che le era sempre stata così familiare. Non la guardava come una Regina, ma come Skye, l'unica che avesse mai conosciuto.

Più tardi, mentre i festeggiamenti continuavano in tutto il castello con cene sontuose, musiche e balli che avrebbero illuminato tutta la notte, andò fuori dal cancello principale, avvolta nel silenzio fresco della sera. Saleem era lì, con un mazzo di fiori gialli e arancioni tra le mani.
«Sapevo che non avresti avuto il tempo di procurarteli» spiegò, tendendole il mazzo. Prese i fiori e insieme camminarono lungo il sentiero che li avrebbe condotti alla collina.
Arrivati alla cima, si fermarono davanti alla fila di lapidi. Una a una, Skye appoggiò i fiori, che gli aveva procurato il soldato, sul marmo. Greg. Lama. Dan. Pierre. Ginevra...
Solo quando ebbe finito, si voltò verso il soldato, che la stava osservando con uno sguardo serio, quasi come se volesse fissare quel momento nella memoria.

«Ci ho pensato molto» esordì Saleem, con un tono deciso. «E declino la tua offerta. Sono sicuro che anche Wave e Ronald saranno dei bravi consiglieri della corona» fece una breve pausa, fissandola negli occhi, come se cercasse di misurare ogni parola prima di pronunciarla. «Non tornerò più qui» aggiunse, con una voce ferma come la terra sotto i loro piedi. «E neanche tu dovresti. Le tombe non hanno bisogno di noi» lo guardò in silenzio, le parole che cercavano di formarsi sulle labbra, ma nessuna riusciva a uscire. Alla fine, si limitò ad annuire. Non c'era nulla da dire, nulla da aggiungere. Dopotutto, quella era la sua vita, e Saleem aveva tutto il diritto di viverla come desiderava, forse più di chiunque altro.

Inoltre, non poteva più avanzare nessuna richiesta. La guerra era finita. Tutto era finito.
Intuì che quella sarebbe stata l'ultima volta. Non solo con lui, ma con quella parte della sua vita.

«Lo capisco» comprese, voltandosi verso l'ultima tomba, quella sotto l'albero dove aveva trascorso le ultime notti. La corona sulla sua testa scintillò come un piccolo sole quando Saleem le lanciò un ultimo sguardo, prima di voltarsi e iniziare a scendere il pendio.

«Spero che in questo momento starai insieme ai tuoi fratelli, Koraline» sussurrò al vento che portò via quelle parole come un soffio gelido, disperdendosi oltre le dune del deserto.

Quando alla fine si allontanò, lasciando le tombe alle spalle, sentì per la prima volta, che poteva farlo davvero.

Fine.

Angolo Autrice:

Non ci credo nemmeno io, ma siamo arrivati alla fine di questa storia.

Che dire? Voi non potete immaginare quante volte ho riso e pianto davanti a queste pagine. Scrivere questi tre libri è stato un viaggio lungo anni, e i personaggi di questa storia sono diventati una presenza costante nella mia vita quotidiana. Ora, all'idea di lasciarli andare, provo una profonda tristezza.

Tristezza, sì, ma anche un immenso orgoglio, perché finalmente sono riuscita a dare una conclusione alla prima stesura. Ogni singolo personaggio ha avuto il suo momento, la sua voce, e per me questo significa moltissimo. Adesso inizia un nuovo capitolo per me: riprenderò il primo libro per una revisione attenta e accurata, con l'obiettivo di rendere questa storia ancora più speciale.

Adesso però voglio chiedere a voi: quali sono state le vostre parti preferite? Quali momenti vi hanno lasciato senza fiato? Quali capitoli vi hanno emozionato di più, rimanendovi impressi anche a distanza di giorni? Non solo di questo ultimo libro, ma di tutti e tre. Mi piacerebbe tantissimo sapere cosa ne pensate, perché il vostro punto di vista per me è prezioso.

Magari inizio io con le mie scene del cuore:

Primo libro:

Capitolo - Canis Majoris: Skye sceglie la sua sciabola e combatte contro Saleem.Capitolo - Inciso nella memoria: quando lei e Saleem "si addormentano" nell'edificio, rimanendo però sempre vigili per proteggersi.

Secondo libro:

Capitolo - Gli altri lati del diavolo: Icaro che per la prima volta aiuta Skye durante un attacco di panico.Capitolo - Una lunga notte: Yuri che salva Skye da Maicol e, nonostante tutto, la stringe forte mentre la porta via in salvo.Capitoli - Alleanze e L'ultima notte: si svela sempre di più il personaggio di Icaro e le sue motivazioni.Altri capitoli indimenticabili: La cura, Vecchie tradizioni e Questo non è un addio, ma solo un arrivederci.

Terzo libro:

Capitoli - Rimedi naturali, Il Dominatore, Enigmi, Il Punto di Non Ritorno.Ma soprattutto il capitolo- Il piacere del controllo: qui emerge tutta la perversione di Yuri e il suo legame unico con Skye. Lui la conosce a fondo, e con i suoi mezzi discutibili riesce a farle affrontare una delle sue paure più grandi. 

Insomma...tutto! 😂
E voi? Quali sono stati i vostri momenti preferiti?

Aspetto con ansia i vostri commenti. Intanto vi auguro di cuore un meraviglioso Natale! 🎄✨

P.S. Scrivetemi i vostri nomi! Se un giorno questa storia diventerà un libro cartaceo, lo dedicherò a voi: @ValeMRM e @liberoutente. Grazie per il vostro supporto. ❤️

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