50. Forte di Iblis

Non avevano molte alternative, o meglio, ogni opzione sembrava un salto nel buio.
Obiettivamente, c'era solo una scelta: fidarsi di Karim, o no.

Se avessero deciso di non farlo, si sarebbero trovati senza il carico delle cinque navi. Era un rischio immenso: significava essere in svantaggio numerico e senza rifornimenti, un presagio funesto per chiunque volesse affrontare una guerra del genere.
Ma se avessero scelto di fidarsi...beh, quello restava un mistero.

Ancora non riusciva a crederci. Dopo mesi di piani studiati al dettaglio, di dubbi e di sofferenza, tutto si riduceva a questo: affidare il destino di tutti a Karim.

Saleem era rimasto in disparte. Lo aveva visto appartarsi, seduto in un angolo del bosco spoglio. I tronchi nudi e contorti si piegavano sotto il sole impietoso del deserto, e lui era lì, immobile. La mascella serrata, le mani incrociate sulle ginocchia, il corpo rigido come un arco teso.
Per il soldato, il mondo era sempre stato bianco o nero, giusto o sbagliato. Le sfumature non facevano parte del suo vocabolario.

Gli altri, però, non erano altrettanto silenziosi.
Il gruppo discuteva animatamente, le voci si sovrapponevano e gli animi si surriscaldavano. Wave perse la pazienza. «Ancora? Ma lo volete capire che non esiste nessuna scelta giusta?» sbottò.

George imprecò sottovoce, scuotendo la testa, mentre Lama avanzò con un'espressione dura. «Io voto per non fidarci. Karim ci sta usando. Vuole gettarci in pasto a Gerald».

Skye decise di allontanarsi da loro, lasciando che la discussione proseguisse senza di lei. Giun, seduta poco distante tormentava le sue unghie. La rossa sembrava un'ombra di sé stessa. I suoi capelli, solitamente lisci e brillanti, cadevano disordinati lungo le spalle. C'era qualcosa di straziante nella sua postura, qualcosa che non riusciva a ignorare.

Non poteva fare a meno di ricordare lo sguardo che Karim le aveva rivolto, poco dopo aver visto Giun ai piedi della nave. Quello era stato il momento in cui capì che Maicol era morto. Come se avesse colto qualcosa che nessun altro aveva notato.

Si avvicinò lentamente, fino a sedersi accanto. Un tempo, l'infermiera avrebbe sospirato frustrata o avrebbe trovato un modo sarcastico per respingerla, forse con uno di quei commenti pungenti che sapeva sempre regalarle, un po' come avrebbe fatto Maicol, d'altronde. Ma ora no. La donna le lanciò un'occhiata distratta, prima di tornare a fissare le sue cuticole rovinate.

Era strano vederla così. La perdita dell'uomo l'aveva devastata, lo si vedeva in ogni gesto, in ogni respiro. I due erano stati molto più che vecchi amanti: erano stati complici, amici, uniti da un legame che sfidava le convenzioni. Quando entrambi si erano accorti di amare Icaro, la loro relazione non si era spezzata, ma forse trasformata e Skye ignorava fino a che punto. Era come se in qualche modo, quel sentimento condiviso li aveva avvicinati ancora di più, creando una dinamica che aveva sempre trovato incomprensibile.
Ora, però, tutto era finito. Maicol non c'era più, e Giun sembrava diventare fragile e ossuta come lo scheletro di un uccello caduto.

«Tu cosa faresti?» le chiese, indicando con un leggero cenno il gruppo intento a discutere a pochi passi da loro. Cercò di ammorbidire il tono, cosa che non aveva mai fatto in passato con lei.
Sollevò lo sguardo, sorpresa dalla sua domanda. Le sue mani, che fino a quel momento avevano tormentato le unghie fino a consumarle, si fermarono. Le appoggiò al grembo, immobili, mentre il suo sguardo vagava tra l'interrogativo di lei e il gruppo.

«Cosa ne penso io?» ripeté, con un tono misto tra il sarcasmo e l'incredulità. «Perché lo chiedi proprio a me?» forse temeva che quella domanda fosse nata dalla pietà, un'idea che sembrava disgustarla. Fece spallucce, come a minimizzare il momento. «A volte è utile sentire un parere esterno. Un occhio non condizionato dalla guerra può vedere cose che noi non vediamo» evidentemente la risposta sembrò convincerla perché la vide riflettere attentamente.

A Dover, la sua vita era stata un monotono intreccio di doveri e giorni che si somigliavano tutti, un grigiore ininterrotto che si rifletteva in ogni angolo della sua esistenza. Una famiglia incapace di comprenderla, un futuro grigio . La sua esistenza lì era stata una prigione soffocante. Quando si era trasferita a Parigi, era come se un mondo nuovo si fosse aperto davanti a lei. Ma anche lì aveva trovato un vuoto, un senso di inutilità che la tormentava. Solo immersa in quella lotta disperata aveva scoperto cosa davvero mancava nella sua vita: la sensazione di essere utile. Non in modo banale o pratico, ma utile davvero, per qualcosa di grande, qualcosa che facesse battere il cuore. Immaginò che a lei ora, le mancava proprio quello.

«Penso che Karim sia astuto. E che sappia benissimo che Maicol è morto a causa della bomba che hanno lanciato su Nuova Capitale» pronunciò triste. «Karim tenterà di vendicarlo. Forse per questo accetterà di aiutarci. Ma non illuderti, neanche un solo istante. Non si metterà mai contro Gerald» notando la sua espressione confusa, precisò «Se decide di aiutarci, sarà per un tornaconto personale. Forse ci fornirà armi o addirittura la dinamite, se saremo fortunati. Ma non aspettarti un nuovo alleato. Karim non combatte per nessuno, se non per sé stesso. E Maicol era la sua unica eccezione»

«Sembri conoscerlo bene» indagò, con una punta di sospetto. La vide annuire lentamente, ma non aggiunse nulla. Era evidente che non voleva approfondire. Tornò a mordicchiarsi le unghie, quasi con irritazione, il silenzio tra loro rotto solo dal lieve rumore delle dita contro i denti e poco dopo, Skye ritornò dagli altri con l'intento di scoprire quale sarebbe stato il loro destino.

Alla fine la maggioranza aveva optato per fidarsi di Karim. Gli unici ad opporsi erano stati Saleem e Lama, contro tutti gli altri che invece avevano alzato la mano in favore.

Senza perdere altro tempo, si misero subito in marcia nonostante sapessero che l'incontro concordato con Karim sarebbe stato solamente l'indomani.

Forte di Iblis non solo era il luogo d'incontro tra la sua squadra e lui, ma anche il posto dove avrebbero incontrato per la prima volta Gerald. E se tutto fosse andato secondo i piani, quando l'altro Re e i suoi scagnozzi sarebbero arrivati, ad attenderli ci sarebbero già stati loro, armati fino ai denti e con la dinamite a disposizione. Solo a quel punto, Gerald avrebbe dovuto dichiarare la sua resa. O questo, oppure tutti sarebbero saltati in aria, nessuno escluso.

Ma c'era ancora un'altra alternativa, quella a cui non voleva pensare: e se Karim li avesse traditi ancora una volta? quanto aveva tenuto a Maicol e fin quanto si sarebbe spinto per rivendicarlo?

Giun in merito non le aveva rivelato nulla sul loro legame, e di certo Skye non osava disturbare Yuri per chiederglielo. In verità, non voleva proprio menzionare il nome del fratellastro, per evitare di rivedere il suo volto adombrarsi fino a spegnersi.

In viaggio verso Forte di Iblis, il suo Re camminava avanti, procedendo con un passo deciso e sicuro, come se quel terreno lo conoscesse come il palmo della sua mano.

A un tratto del cammino, il terreno iniziò a cambiare. La sabbia lasciò spazio a un suolo più compatto, disseminato di rocce scure e crepe che sembravano profonde come ferite aperte. Fu proprio Yuri a fermarsi per primo, sollevando una mano per indicare il punto in cui il deserto sembrava spezzarsi.
«Siamo quasi arrivati» annunciò. All'orizzonte, nascosto tra le rocce e le dune, si celava un forte circondato da altri vecchi edifici, apparentemente disabitati. Da quella distanza sembrava un gigante addormentato. Le sue torri e mura si stagliavano contro il cielo, simili a una corona d'oro.
L'intero gruppo si fermò sulla piccola vetta di una collina sabbiosa e tutti posarono lo sguardo su quella struttura che avrebbe deciso il loro destino.
«Non sembra un forte...Sembra più...un tempio» commentò Cal.
Yuri gli lanciò uno sguardo breve. «Infatti era entrambe le cose. Un luogo di culto, ma anche una fortezza. Qui si incontravano Re e condottieri per stipulare alleanze o dichiararsi guerra» in breve, lì un tempo vi era stato Gor. E probabilmente anche Gerald, ecco perché aveva scelto proprio quel posto per deporre la merce delle navi.
«E ora chi lo controlla?» chiese ancora il suo amico, fissandolo con attenzione.
Icaro si strinse nelle spalle. «Nessuno. È abbandonato da anni. Credo che Gerald lo stia utilizzando solo come punto d'appoggio per i suoi affari, ma non oserebbe dormire davvero qui. È un luogo troppo...antico» le sue parole lasciarono un'eco nella mente di Skye. C'era qualcosa di inquietante nell'idea che Gerald, con tutto il suo potere, non avesse osato fare del forte la sua vera roccaforte. Come se persino lui temesse quel luogo.

«Tenete gli occhi aperti, potremmo non essere soli» consigliò Ronald, scandagliando l'area circostante con diffidenza.

Continuarono a camminare fino a raggiungere il perimetro esterno, che all'interno sembrava contenere una vera e propria città in rovina, con le rocce che circondavano tutto vecchie come il tempo stesso.

Saleem sembrava sempre più taciturno e scontroso all'idea di dover entrare nel forte. Si comportava come se la sabbia gli avesse graffiato l'umore.

Gli si avvicinò. «Cosa ne pensi?» chiese. Lui non rispose subito. Si limitò a fissare le mura, come se cercasse di leggere i segreti nascosti tra le loro crepe. Poi, finalmente, parlò. «Non mi piace»

Lei sospirò e sarcastica disse «A chi piace?»

Saleem si voltò, dandole un primo piano sui suoi occhi scuri come pozze di petrolio. «Non parlo del forte. Parlo di questa situazione. Di Karim. Di noi qui e di Gerald che stranamente ha lasciato libero il passaggio fin qui» ma prima che potesse rispondergli, Yuri richiamò tutti all'attenzione. «Questa è una delle entrate» avvisò, indicando un portone laterale apparentemente non sorvegliato. Anche se lei ebbe la sensazione di avere milioni di occhi puntati addosso quando lo oltrepassò. «Da qui possiamo raggiungere una sala sicura, magari all'interno della Torre, e attendere Karim».

Attese che anche il resto della squadra fu dentro prima di stabilire che Forte di Iblis li aveva accolti tutti. Ora non restava che scoprire se sarebbe stata la loro salvezza o la loro rovina.


Quando la notte calò sul deserto, scelsero una delle torri ancora erette come riparo. All'interno della torre, il gruppo si era sistemato alla meglio in un atrio sulla cima. Gli spazi enormi e austeri sembravano amplificare ogni passo che risuonava come un colpo di tamburo contro le pareti di pietra grezza.

Non riusciva a riposare. Ogni scricchiolio e ogni soffio d'aria le sembrava pericoloso, come se le ombre del forte fossero vive. Erano di nuovo in attesa, e questo era sempre stato il momento peggiore. Non poteva far altro che pensare, e i pensieri erano come una folla urlante in una piazza vuota, impossibili da ignorare anche nel silenzio.

Seduta vicino a una delle grandi finestre arcuate e spalancate nel vuoto, guardava il cielo stellato che sembrava farsi più vicino.

Dopo qualche ora, la raggiunse Lama, con lo sguardo fisso sul buio oltre le mura.

«Ci pensi?» disse, senza voltarsi. «A cosa?» batté più volte le palpebre per ridestarsi. «Al fatto che siamo nelle mani di Karim...Insomma se ora venissero i soldati di Gerald, sarebbe impossibile per noi batterli tutti e salvarci» lei strinse i pugni «Non ci pensare troppo. Dobbiamo solo resistere finché la merce non arriva» ma anche mentre lo diceva, non riusciva a convincersi del tutto. Il piano era fragile, troppo fragile, e il tempo non era dalla loro parte. Passarono insieme un'altra manciata di minuti, scambiandosi occhiate eloquenti e facendosi compagnia a vicenda.

Fin quando arrivarono.

Il primo segnale fu un sibilo nel buio, seguito da un suono metallico: una freccia che colpiva una delle colonne vicine. Skye si raddrizzò in fretta e il cuore cominciò a galoppare frenetico nel petto. «Sono qui» disse Lama, con un filo di voce, ma abbastanza forte da richiamare l'attenzione degli altri dietro di loro. Il messaggio non aveva bisogno di dettagli; tutti sapevano cosa significava.

In pochi istanti, il gruppo si risvegliò come un meccanismo ben oliato. Skye, lanciando un'occhiata alle sue spalle, intravide Saleem già in posizione, il fucile saldo nelle mani e uno sguardo glaciale. Non sapeva se avesse dormito o se fosse sempre rimasto lì, in quella posizione, immobile come una statua di pietra che vegliava su di loro.

Wave si mosse rapido verso l'entrata laterale, il corpo flessuoso che si dissolveva quasi nell'ombra, mentre Joseph, George e Cal erano già all'opera, organizzando una linea di difesa. Le loro mani si muovevano rapide, sicure, come se ogni gesto fosse stato provato mille volte. Poco più in là, Icaro frugava nelle sue tasche, le mani che si muovevano lente e metodiche, estraendo una dopo l'altra le sue armi. C'era qualcosa di profondamente inquietante in quella calma che sembrava fuori posto, quasi innaturale in un momento di così alta tensione. Skye non riusciva a distogliere lo sguardo. Alla Fortezza e durante l'ultima battaglia, l'aveva visto trasformarsi in una furia selvaggia, una bestia capace di travolgere qualsiasi ostacolo con una sete di sangue che le metteva i brividi solo a ripensarci. Eppure, eccolo lì, sereno come se fosse immerso in un rituale quotidiano. Sembrava portare il peso di un equilibrio impossibile, come se in lui coesistessero mondi opposti. Era feroce e calmo, passionale e spietato, e allo stesso tempo enigmaticamente controllato. Un controllo che poteva ostentare soltanto chi era cresciuto in una corte spietata come quella del Palazzo.

Guardandolo però, era come guardare una tempesta trattenuta in un'ampolla di vetro, una forza distruttiva che sembrava aspettare il momento giusto per esplodere.

«Spostati!» la intimò lui con un ringhio basso, ridestandola dai suoi pensieri. Ma prima che potesse reagire, sentì una presa forte sulla spalla. Ronald l'afferrò e la trascinò indietro di scatto. Fu questione di un attimo: una raffica di frecce appuntite attraversò l'aria con un sibilo minaccioso, sfiorandola e conficcandosi con un rumore sordo nella parete centrale, esattamente dove fino a pochi istanti prima c'era lei.

«Chi è là? Mostratevi!» tuonò Joseph, con una voce che sembrava vibrare nell'intero forte. Digrignava i denti, lo sguardo concentrato mentre puntava l'occhio nel mirino. La canna della pistola scivolava lenta da una parte all'altra, esplorando il buio che pareva inghiottire ogni cosa. Il chiarore della luna filtrava appena, ma non c'era traccia di movimento.

Tutto era immobile, tranne i loro respiri affannati e il suono distante delle frecce ancora oscillanti nella pietra. Qualcosa, o qualcuno, li stava ancora osservando.

«Solo dei codardi si nascondono!» ruggì Lama, scattando in avanti mentre le colt danzavano tra le sue dita come serpenti d'acciaio, Skye si allineò al suo fianco, le sue lame riflettevano sinistri bagliori lunari. Dal nero profondo dell'oscurità, un bagliore improvviso: una freccia infuocata squarciò l'aria come una cometa. Fu seguita da altre decine, un'ondata di luce mortale che si abbatté sul intero gruppo. Joseph rotolò di lato, evitando d'un soffio la morte, e si rialzò in un lampo, lo sguardo incandescente di sfida.

«Alle scale!» gridò Yuri, spingendo Ginevra e Koraline lontane dalla parete che stava ormai accogliendo il fuoco sotto l'assalto. Cal, sempre vigile, afferrò la mano della sua dama, guidandola rapidamente verso il rifugio degli scalini.

Da quelle ombre indistinte delle figure iniziarono a emergere una dopo l'altra. Sagome che prendevano forma alla luce tremolante delle frecce incendiarie. Uomini e donne. Alcuni avevano visi familiari, troppo familiari. Perché un tempo erano stati loro alleati, persino amici.

Adil avanzava per primo, con la sua figura alta e curva, la lunga barba che sembrava bruciare di riflessi ramati nel bagliore delle fiamme. Nonostante l'età, il suo portamento emanava una forza indiscutibile. Dietro di lui, c'era Muna, forse anche Indie, e tanti altri. Alcuni più giovani, nuovi guerrieri addestrati, pensò, dopo la loro partenza.

«Il Villaggio...» constatò Joseph con lo sguardo incredulo. Lo pronunciò come se fosse una sentenza.

Adil non perse tempo, puntò Saleem e Lama, che erano rimasti immobili al suo fianco. «Siete tornati» constatò con tono freddo e autoritario. «Avete scelto un pessimo momento per tornare qui. Sapete chi arriverà domani, vero?» una cosa restò chiara: Gerald sarebbe davvero arrivato, e quando lo avrebbe fatto, non ci sarebbe stato spazio per nessun errore. A quelle parole Joseph fece un piccolo passo avanti, il corpo teso, fermandosi sull'orlo del vuoto. «Non siamo qui per voi, non dobbiamo essere nemici. Abbiamo solo bisogno di...»

«Nemici?» lo interruppe Muna. I suoi occhi si inchiodarono su Skye. «Voi, che avete voltato le spalle al Villaggio? Voi, che avete scelto di combattere contro di noi invece di rimanere e proteggere la nostra gente?» la donna aveva il volto contratto in un'espressione di odio puro. Era stata lei a tentare di ucciderla e ora sembrava più che pronta a riprovarci.

«Non è andata così!» protestò con impeto.

«Potremmo risolverla senza sangue» a parlare era stato Patrick. Il suo sguardo era diverso. Non c'era rabbia, non c'era odio. Solo esitazione, lo stesso conflitto interiore che aveva già visto. Lo guardò, sorpresa che avesse trovato il coraggio di dirlo. Ma quel coraggio venne immediatamente schiacciato dall'occhiata fulminante di Adil.

«Non c'è nulla da risolvere» gracchiò il Vecchio «Loro sono traditori. E i traditori devono pagare con il sangue!» il rumore di una corda che vibrava fendette di nuovo l'aria e, subito dopo, scie rosse ricomparvero in cielo. Skye e Lama riuscirono ad evitarle tutte, ma quando entrambe si voltarono verso l'amico, il suo corpo sembrava pietrificato. Una freccia era conficcata profondamente nel suo petto e il sangue aveva già preso a macchiargli la maglia.

«Joseph!» urlò, carica di terrore. Si gettò in avanti, ignorando il calore soffocante delle fiamme che le lambivano la pelle. Ogni fibra del suo essere sembrava bruciare, non per il fuoco, ma per il dolore di vederlo lì, in bilico.

Lui portò una mano al petto, premendo disperatamente contro la ferita, come se potesse fermare l'emorragia con la sola forza della volontà. Fece un passo avanti, cercando l'equilibrio, ma le sue gambe cedettero. Barcollò verso il bordo della torre.

«No!» gridò, correndo più veloce. Lo raggiunse e allungò una mano per afferrarlo. Anche Lama si gettò in avanti, le sue dita sfiorarono appena il braccio del compagno. Ma lo slancio fu vano e le sue braccia si chiusero attorno al nulla. L'equilibrio dell'amico era già perso. La gravità lo reclamò con crudeltà ed il suo corpo attraversò l'aria rompendosi nel vuoto sottostante.

Joseph era lì un attimo prima. E quello dopo non esisteva più.

Saleem era corso giù dalle scale, come per accettarsi di ritrovare il corpo dell'amico sano e salvo.

Non c'era tempo per piangere. Non c'era tempo per respirare.

Muna scattò in avanti, seguita dal suo esercito. Iniziarono a sentire le loro grida di guerra invadere l'atrio e le scale.

Corsero anche loro giù per le scale dove si incontrarono e scontrarono più volte. Leon e un altro guerriero si erano gettati senza remore contro Wave e George, mentre Saleem cercava di mantenere la posizione guadagnata all'ingresso, smozzando con una spada le testa di molti di loro. Il volto del soldato rimase inespressivo ma ad un certo punto, gli occhi tradirono un lampo di tristezza. Quella era stata la sua gente. La sua famiglia. E ora li stava distruggendo, uno per uno.

Ai piedi dell'ultimo gradino, vi trovò un corpo agonizzante, era quello di Indie. Qualcuno l'aveva colpita e la vecchia amica stava morendo. Incrociò il suo sguardo quasi del tutto vitreo. «Finn» le disse, quasi sputando quel nome. Si accasciò al suo fianco per un attimo, guardando il suo viso per un ultima volta. «La sua ultima volontà, era stata quella di salutarti» le rivelò a fil di voce mentre il caos imperversava attorno. Strinse la mano di Indie per un attimo prima di lasciarla andare per sempre e ritornare in battaglia.

Rinsaldò la presa sulle sue lame e non ebbe più paura di utilizzarle. Schizzò tra i vecchi membri del Villaggio rimasti, e colpì quanti più fianchi e braccia possibili. Poi ritornò su di loro come un tornando e completò l'opera, volteggiando su se stessa in una danza macabra.

"Mia liberatrice, vendicami" le aveva detto una volta Edwin.

"Tu sei la morte" disse Maicol.

Quelle parole ora erano il suo canto di guerra e quelle persone ormai, non erano più ciò che credeva fossero un tempo.

Anche Lama aveva ripreso a combattere, con i denti digrignati e lo sguardo più inferocito che mai. La ritrovò dall'altro lato, entrambe falciavano i nemici come ombre impietose, lasciandosi dietro un cerchio di corpi esanimi. Quando si ritrovarono spalla contro spalla, al centro di quella carneficina, si scambiarono un rapido sguardo.

«Come sta andando?» le domandò l'amica, il respiro corto, il sudore che le colava sulla fronte macchiata di sangue.

«Una merda. E a te?» rispose con sincerità.

«Uguale» confessò l'altra, con un mezzo sorriso da belva che non raggiunse mai i suoi occhi.

Quando altri due nemici caddero ai loro piedi con un tonfo sordo, si voltarono verso una figura che avanzava lenta. Adil aveva superato l'ingresso. 

«Pronta?» si accertò la soldatessa al suo fianco. Skye annuì, deglutendo a fatica, le mani strinsero le sue armi come se fossero l'unica cosa a mantenerla salda.

«Ti prometto che sarà veloce e indolore» lo avvisò Lama e non capì se le sue parole erano per Skye o per il Vecchio.

Con un'inspiegabile serenità, Adil fece un leggero cenno del capo e sollevò il mento, come se fosse pronto ad accettare il suo destino. Non c'erano paura o rabbia nei suoi occhi, solo rassegnazione.

Lo accerchiarono, muovendosi con precisione. Lei puntò direttamente alla sua gola dal basso, mentre Lama saltava dall'alto, mirando con il calcio della pistola alla sua testa. Il Vecchio non fece alcuna resistenza. Si lasciò colpire. Non un grido, non un gemito, nemmeno un sussulto. Il liquido rosso scivolò lungo la sua barba, tingendola di un colore vivido.

«Addio» mormorò, ma la sua voce si spezzò mentre il corpo massiccio del Vecchio si accasciava a terra con un suono di ossa che si infrangevano. Il tempo sembrò congelarsi. Adil emise un ultimo respiro, appena percettibile, prima che i suoi occhi si fissassero sul vuoto.

Restarono entrambe immobili, con lo sguardo fisso su quella scena, i cuori che battevano come campane. Ma l'attimo di silenzio fu infranto da un urlo straziante.

«Demoni!» gridò qualcuno alle loro spalle. Era la voce di Muna ad esplodere nell'aria, spezzata dalla rabbia e dal dolore. Si lanciò verso di loro, i pugni stretti, gli occhi rossi di odio. «Avete distrutto tutto! Tutto ciò che era sacro, tutto ciò che eravamo!»

Lama si preparò all'impatto, ma fu lei a muoversi per prima. Sollevò le mani in un gesto difensivo, la voce tremante di disperazione. «Fermati! Non deve finire per forza cosi!» ma le sue parole rimbalzarono contro un muro di rabbia cieca. La donna l'afferrò per i capelli e cercò di colpirla con una spada. Bloccò il colpo con difficoltà, lottando per liberarsi, ma fu Lama a intervenire con un calcio preciso che la fece cadere all'indietro.

«Smettila!» urlò Patrick, avanzando tra i combattenti. Il suo volto era un ritratto di disperazione, le mani alzate in un gesto di tregua. «Non possiamo continuare così! Adil è morto, ma questo non deve significare la fine di tutto. Possiamo trovare un modo per collaborare»

«Un modo?» lo interruppe subito Muna, rialzandosi con una velocità sorprendente. La sua voce era velenosa, intrisa di un odio che sembrava fuori controllo. «Non c'è un modo, Patrick. Non dopo quello che hanno fatto! E tu...tu vorresti collaborare con loro?»

Patrick esitò per un istante. Poi, con un respiro profondo, confessò: «Ho già pensato di farlo. In passato. E ora più che mai penso che sia l'unica soluzione. Basta sangue. Non ci resta più nulla da distruggere» nonostante la stanchezza, Skye si permise un piccolo sorriso. Era contenta che lui avesse trovato il coraggio di ammetterlo.

Prima che qualcuno potesse intervenire, Muna eseguì un movimento rapido, affondando la spada nel petto di Patrick. L'uomo si irrigidì, emettendo un gemito soffocato mentre si accasciava a terra. «Muna» sussurrò con un filo di voce, il suo sguardo pieno di sorpresa.

Lei lo lasciò cadere senza dire una parola, il sangue che colava dall'acciaio mentre si voltava verso loro due. «Brucerete per ciò che avete fatto» disse. Poi, con un gesto deciso, conficcò la spada nel proprio petto. Il suo corpo si piegò in avanti, cadendo accanto a quello di Patrick e il sangue dei due si mescolò in un unica pozza scura.

Era successo tutto troppo velocemente. Cosi velocemente che restò ferma con il respiro spezzato dal peso di tutto ciò a cui aveva appena assistito. Lama, accanto a lei, rimase muta, le mani strette ancora intorno alle sue colt come se non potesse più fidarsi di nessuno.

Le fiamme delle frecce erano arrivate fino alle scale colme di cadaveri. Illuminavano i corpi senza vita a terra e il volto stravolto di Skye.

Il Villaggio era morto. Ma il prezzo era stato troppo alto.

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