48. Un Addio Avvelenato
Icaro Pov's:
Da sempre, aveva trovato bizzarro il fatto che, da morti, il corpo dovesse ricongiungersi alla terra, fino a venirne sotterrato. Era una danza strana, quella della vita e della morte, in cui nascevamo nella natura e poi morivamo per farne parte.
Lui avrebbe preferito le fiamme alla terra, e il giorno della battaglia era pronto a morire per Skye. E forse l'avrebbe preferito, piuttosto che accettare di stare in quel posto, davanti ad una buca.
Nonostante non avesse ancora visto Maicol, il peso della sua assenza già gravava sulla sua esistenza come un fardello. I colori del mondo sembravano essere stati risucchiati, lasciando spazio a un'esistenza monocromatica, simile al cielo plumbeo che si ergeva sopra la sua testa. Sollevò lo sguardo verso la volta grigia, cercando risposte, una spiegazione valida a quella perdita.
Con un clima insolitamente mite per quel luogo desolato come il deserto, sentì ogni cicatrice sulla schiena risvegliarsi, rilasciando una scia di dolore che conosceva fin troppo bene. Doveva essersi abituato a quella sofferenza, perché ogni singola ferita portava con sé un ricordo che cercava di dimenticare ad ogni costo. A quelle cicatrici, però, si erano aggiunte da poco ustioni ardenti; la sua schiena, ridotta a brandelli, parlava di battaglie mai vinte. Eppure non era lui a essere morto.
Si fece forza, abbassando lo sguardo e ritrovandolo lì, disteso nella fossa scavata quella mattina da Ronald, Pierre e Dan. Un'ondata di consapevolezza lo colpì, e l'aria sembrò farsi più pesante: Maicol non c'era più. Non ci sarebbero mai più stati i suoi occhi insolitamente grigi, né il sorriso spavaldo.
Il ricordo del loro primo incontro lo attraversò come una freccia appuntita, facendosi largo con prepotenza nella sua mente.
All'epoca erano soltanto due bambini di sette anni, entrambi intrappolati in un mondo che non li voleva. Maicol e Constance erano stati invitati al Palazzo per delle vacanze estive, e subito quel piccoletto era stato evitato da tutti i membri della corte. Ogni adulto lo guardava con disprezzo, come se fosse un errore imperdonabile, un'ombra che il Re Gor preferiva ignorare. Figlio illegittimo, portava con sé il peso di uno stigma insopportabile.
Constance, sua madre, era partita subito dopo per conoscere Gerald ed era stata troppo assorbita dalle proprie ambizioni e dal desiderio di potere per difenderlo; non vedeva il figlio che aveva abbandonato in favore di un altro trono più grande. Questo perché era convinta che più gioielli e più ricchezze avrebbero potuto riempire ogni crepa dentro di lei, come la perdita del suo primo marito o il rifiuto di Gor.
Era stato proprio Yuri il primo a fare un passo verso suo figlio, sfidando audacemente i pettegolezzi che si sussurravano nei corridoi del Palazzo. Da quel gesto nacque un'amicizia forgiata in un mondo che li rifiutava entrambi con disprezzo. Icaro scoprì in lui il suo primo amico, un'affinità che si costruiva giorno dopo giorno, tra risate e grida soffocate dal dolore, tra giochi nei giardini rigogliosi e segreti sussurrati nella cella, dove Gor lo rinchiudeva dopo averlo pestato a sangue.
Maicol, che aveva sempre vissuto ai margini della società, trovò in Icaro un faro di luce in un'esistenza altrimenti terribilmente solitaria. Poco dopo, si unì a loro Giun. In un modo che nessuno si aspettava, quei tre divennero inseparabili, tessendo un legame indissolubile che, nonostante le avversità, avrebbero sempre ritrovato. Proprio come una famiglia.
In un certo senso, erano sempre stati uniti, ma dopo la morte di Constance, aveva percepito nei gesti di Maicol una paura più viscerale. Era come se temesse che il destino fosse pronto a strappargli via anche l'ultimo legame che gli era rimasto.
E ora, osservando il suo corpo immobile, comprese anche lui l'importanza di quel legame.
Sangue del suo sangue.
Suo fratello.
Assente, continuava a fissarlo, rendendosi conto che non avrebbe mai più avuto l'opportunità di dirgli quanto avesse significato la sua presenza.
«Digli che è sempre stato l'unico Re» erano state le sue ultime parole, almeno secondo quanto riferito da Skye. Così, Maicol non aveva mai creduto che suo padre, Gerald o persino sua madre potessero sottrargli il regno.
«Sono il tuo Re» ripeté nell'aria calda, non distogliendo gli occhi dal volto pallido e apparentemente sereno nella fossa. «Ti ordino di ritornare da me» mormorò, pur sapendo che nulla di tutto ciò sarebbe mai accaduto. Era consapevole che le sue parole, per quanto cariche di significato, sarebbero svanite nell'aria come un sospiro, senza risposte, e senza la magia di un ritorno.
Chiuse le palpebre per un istante, strinse i denti e i pugni, e in un attimo, si ritrovò nelle fredde segrete del vecchio castello, circondato dai lamenti dei prigionieri che languivano di fame dietro le sbarre arrugginite e putrite del sottoterra.
Il tintinnio delle chiavi della sua cella rimbombava nelle orecchie, un suono familiare e sinistro: Gor lo aveva rinchiuso di nuovo, blaterando sul suo essere un figlio ingrato, un debole, indegno di ereditare il suo trono. Le ferite sulla pelle e il sapore di sangue sulle gengive riemergevano dal passato, mentre udiva i passi pesanti del padre che si allontanava. Subito dopo però, riecheggiavano altri piccoli passi affrettati lungo il corridoio, erano quelli di Maicol che si avvicinava.
«Victor sta di nuovo dormendo!» esclamò, ansimando per la corsa, mentre mostrava una chiave rubata e scintillante tra le sue piccole mani. La infilò con decisione nella toppa. «Andiamo! Giun ti sta già aspettando!» Giun, nonostante la sua giovane età, avrebbe medicato Yuri per la dodicesima volta quel mese. Era lecito pensare che fosse diventata un'infermiera del Palazzo proprio per questa ragione: per prendersi cura di lui ogni volta che ne avesse avuto bisogno.
Maicol corse in avanti facendo strada, l'entusiasmo di averlo liberato brillava vispo nei suoi occhi grigi mentre si affrettavano a restituire le chiavi rubate, posandole su un tavolino malandato all'ingresso dei sotterranei. Victor, una delle numerose sentinelle, dormiva pesantemente, lasciando scivolare una scia di saliva sul mento, un'immagine che fece storcere il naso a Yuri. «Ha bevuto di nuovo troppo» commentò ridendo il fratellastro, anche se le bottiglie vuote sparse intorno ai suoi piedi parlavano di una dipendenza sempre più crescente.
«Muoviti! Non voglio che gli altri ti vedano così!» lo incoraggiò. Non voleva che la corte gettasse su Yuri lo stesso sguardo di indifferenza e disgusto che riservava a lui. Non voleva che pensassero fosse un debole. Tutt'altro. Lui desiderava che Yuri si mostrasse sempre forte, e lo fosse abbastanza da sottrarre il regno sia a Gor che Edith, in un atto di ribellione che avrebbe giovato su chiunque.
Così, per la terza volta in quella settimana, riuscirono a sgattaiolare via. Maicol sapeva bene che ci sarebbero state altre occasioni in cui non sarebbe riuscito a salvarlo; in quei momenti, Yuri si limitava a rimanere a marcire in una cella finché i sovrani non si fossero ricordati di lui in qualche modo. E a volte i giorni si trasformavano rapidamente in settimane. Anche se per fortuna, per la maggior parte delle volte, era sempre stato il fratello a tirarlo fuori da quei guai.
Presto, suo padre avrebbe scatenato la sua furia contro Victor o le altre guardie, quando gli avrebbero comunicato la sua assenza nelle segrete.
Riaprì gli occhi solo quando udì dei passi lenti avvicinarsi. Sollevò leggermente il profilo da una spalla, scrutando l'ombra titubante che si avvicinava. Era Giun, il volto segnato da una tristezza che rifletteva la sua.
«Anche tu qui?» sussurrò, una domanda mista a una dolorosa constatazione. Non rispose, limitandosi a rivoltarsi verso suo fratello. Anche lei si affacciò, portandosi una mano alla bocca per trattenere un respiro smozzato. Intuendo il suo stato d'animo, Yuri allargò un braccio, invitandola. Giun si avvicinò, appoggiandosi alla sua spalla e lasciandosi andare a un pianto risentito.
«Lui è...non... non ritornerà mai più» balbettò in lacrime, piangendo come un fiume in piena.
Sapeva bene che, se Maicol era stato fondamentale per lui, lo era stato altrettanto per lei. Non solo perché i tre erano cresciuti insieme, affrontando le difficoltà imposte da Gor, le ambizioni distruttive di Constance e l'indifferenza della corte, ma soprattutto perché, per anni, aveva visto i due innamorarsi profondamente. Col tempo, però, entrambi avevano rivolto il loro sentimento verso Icaro, stabilendo una nuova dimensione di affetto, innamorandosi anche di lui e formando così un triangolo di emozioni e complicazioni che li aveva uniti in modi inaspettati.
«Non c'è più» assonò come un automa, assaporando il suono di quelle parole pungenti sulla punta della lingua. Sembravano acido, corrosive e bollenti. Ma doveva abituarsi; e prima lo avrebbe fatto, meglio sarebbe stato per tutti loro.
«Non sono pronta a una vita senza di lui» affermò Giun, aggrappandosi di più.
In quel momento, Pierre e Ronald apparvero in lontananza, avvicinandosi lentamente dall'altra estremità della buca. Non riusciva a distogliere lo sguardo dalla pala che stringevano tra le dita, lo stesso strumento che avrebbe sotterrato per sempre suo fratello, ponendo una fine definitiva a tutto ciò che era stato. Nonostante i volti desolati dei suoi amici e gli sguardi di scuse, sentì che ogni parte del suo corpo voleva opporsi. Giun si distaccò da lui, singhiozzando rumorosamente quando anche lei vide ciò che reggevano tra le mani.
«Vi prego, non fatelo!» protestò, muovendosi verso il corpo inanimato di Maicol. L'afferrò per i fianchi, pronta a gettarsi nella fossa e compiangerlo in un gesto di disperazione.
«Giun» la richiamò con severità, forse fin troppo. Non desiderava essere brusco, eppure le parole gli uscivano dalla bocca come schegge di vetro, taglienti e dure. «Dobbiamo andarcene ora» disse, mentre Pierre e Ronald si preparavano a compiere il loro compito funesto. Non voleva restare a guardare suo fratello essere sotterrato sotto metri e metri di sabbia. Non voleva che l'ultimo suo ricordo fosse quella scena straziante. Con un gesto deciso, trascinò via l'amica da quel baratro e la condusse di nuovo nella Trincea, dove Dan, Greg e Raya attendevano, pronti a offrirle supporto.
La donna anziana strinse subito Giun tra le braccia, cercando di rincuorarla, e lo stesso fece Dan, avvicinandosi con un'espressione di profonda empatia.
Ma Yuri sentì il bisogno di distaccarsi da loro, di allontanarsi per un momento dal dolore che lo circondava. Si avviò lungo uno dei corridoi, passandosi nervosamente la mano tra i capelli in un gesto abituale. Quando riaprì la porta della stanza dove aveva lasciato Skye qualche ora prima, la trovò distesa su un manto di coperte spesse e aggrovigliate, un'immagine che la rendeva sfinita. O forse, finita.
I suoi occhi azzurri, iniettati di rosso, si posarono subito sulla figura rimasta ferma sulla soglia. Un misto di desiderio e dolore lo travolse contemporaneamente; avrebbe voluto rifugiarsi in lei, abbracciarla e farci l'amore finché ogni ricordo di Maicol non si fosse completamente cancellato. Ma la realtà era molto più complessa.
Mentre faceva un passo verso le coperte, le parole che gli aveva urlato quella mattina gli risuonarono nelle orecchie come un vecchio canto funesto. «So che non potrai perdonarmi mai, ho ucciso tuo cugino, tua zia e ora tuo fratello!». Non poteva ignorare il peso di quelle parole, ma infondo si chiedeva quale corona poteva essere retta senza spargimenti di sangue? La sua vita era stata da sempre intrisa di violenza e perdite, come quella di sua sorella o dei suoi genitori. Per questo a volte stentava a credere di avere ancora davanti Skye. Qualcuno ancora in grado di amarlo, nonostante tutti i suoi scheletri nell'armadio.
Dopo la battaglia, quando aveva riaperto gli occhi, lei gli aveva rivelato di aver usato il veleno di sua nonna per porre fine a tutte le sofferenze di Maicol. Avvelenandolo.
E mentre le parole fluivano dalle sue labbra tremanti, scoprì che infondo lui già sapeva che suo fratello sarebbe morto a causa delle ferite riportate; l'aveva capito nel momento stesso in cui aveva visto le sue condizioni nel sottopassaggio. Eppure quel pensiero era troppo pesante, troppo lontano dalla realtà che desiderava.
Fissando Skye, era come guardarsi ad uno specchio.
«Dovevi proprio andare da lui?» lo rimproverò, mantenendo un tono dolce. Si alzò e si avvicinò, posando con delicatezza le dita sui contorni del suo viso. Serrò le labbra in una linea sottile, annuendo in risposta.
Lei sospirò, appoggiando la fronte contro la sua per un lungo istante. In quel momento, in una vita fatta di soli bianchi e neri, vide uno sprazzo di colore: prima il cremisi del sangue, seguito poi da tutti gli altri.
«Ti amo» gli ricordò, consapevole che fosse l'unica verità rimasta in un mondo avvolto dagli inganni e dalla distruzione. La sua mano si spostò dalla sua guancia, andò lungo il suo braccio come una carezza fino ad intrecciare le loro dita con una delicatezza che contrastava con la forza dei suoi sentimenti.
«Ti amo» si affrettò subito a ricambiare lei.
L'amore, pensò Yuri, aveva il potere di riscrivere la storia, di infiammare le ceneri di un cuore spezzato con una nuova fiamma più ardente.
Era un potere antico, capace di trasformare il dolore in passione. E lui sapeva che loro due, insieme, avrebbero potuto riscrivere ogni cosa.
«Ti prometto che saremo noi, questa volta, a bruciare il mondo intero» le promise, il fuoco nei suoi occhi che sfidava ogni tenebra.
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