46. Il lamento
Comprese perché, fin dall'antichità, veniva detto che non si doveva mai giocare con il fuoco. E non si trattava solo del rischio di venire bruciati, ma della distruzione inarrestabile che un simile potere poteva scatenare. Lei stessa l'aveva fatto in passato, aveva pensato, ingenuamente, di poterlo controllare. Nei primi giorni alla tenuta, quando il mondo era ancora così semplice da dividere in amici e nemici, credeva che bastasse colpire duramente chi riteneva avversario. Maicol, pensava allora, fosse la radice di ogni male, e così aveva rubato due mine dall'arsenale e le aveva fatte esplodere, in un atto di rabbia che voleva essere liberazione.
Il gesto, però, non aveva portato a nessuna libertà. Era stato come sferrare un colpo a una bestia addormentata, risvegliandola in tutta la sua furia. Le fiamme divamparono più rapide di quanto avesse potuto immaginare, senza discernimento. Inghiottendo tutto ciò che trovavano, scavalcando le pareti e divorando vite innocenti. Ciò che aveva inflitto stava semplicemente ritornando indietro come un boomerang a cui non poteva più sottrarsi. Le immagini di quel giorno si confusero con il presente: le urla di chi era corso via terrorizzato, il terrore che si rifletteva nei loro occhi, il bagliore del fuoco che si arrampicava sulle pareti come se le mura stesse fossero fatte di carta.
L'esplosione li aveva scaraventati violentemente all'interno del sottopassaggio, sbattendoli contro le pareti di cemento e spargendo detriti tutto intorno. Solo quando la coltre di polvere iniziò a depositarsi, Skye riprese lentamente coscienza. Il mondo attorno apparve distorto, i suoni ovattati, quasi assenti, come se i timpani avessero subito un violento colpo barometrico.
Si ritrovò distesa con la faccia schiacciata premuta contro il terreno ruvido, la bocca riempita da un gusto ferroso che ormai conosceva bene. Aprì le palpebre con sforzo, le ciglia coperte dalla cenere le rendevano la vista sfocata. Lentamente, la sua attenzione si focalizzò sul corpo accanto al suo: Yuri.
Il cuore accelerò di colpo, provocandole una stretta al petto, percepì il panico incendiarle le vene mentre si trascinava verso di lui, ignorando il dolore lancinante ai muscoli probabilmente stirati. Ogni movimento le provocava piccole fitte alle braccia, colpite da abrasioni e schegge di cemento.
I suoi occhi, colpiti dalla luce dell'esplosione, faticavano ancora a mettere bene a fuoco, ma in un mare di rovine, il suo mondo si riduceva a quell'unico corpo, l'unica cosa che contava. Toccò il torace di Icaro con mani tremanti, cercando disperatamente di percepire il lieve sollevarsi del suo petto, quel ritmo vitale che potesse dirle che era ancora vivo. La sua mente era sovraccarica di adrenalina e shock, incapace di formulare pensieri chiari. Un impulso primordiale guidava ogni suo gesto, mantenendo in lei una fragile lucidità. E poi, in mezzo a quell'oscurità senza tregua, avvertì il lieve sollevarsi del suo petto. Un sussulto, debole e spezzato, ma abbastanza per restituirle un frammento di speranza. Le sue mani, sporche e insanguinate, si strinsero sul suo corpo come per proteggerlo da ulteriori pericoli. «Yuri!» rantolò. I suoi splendidi occhi verdi erano spalancati, ma non la stavano focalizzando. «Yuri!» ripeté, stavolta più forte, ma il suono le si strozzò in gola. Si mise a sedere con un movimento brusco, ignorando le fitte lancinanti che si irradiavano in tutto il corpo, cercando di valutare le condizioni del suo Re.
La sua maglietta, ormai ridotta a brandelli, era incollata alla carne viva della schiena martoriata. La pelle, bruciata in diversi punti, si mescolava a sangue rappreso e alle vecchie cicatrici in rilievo. Ogni fibra del suo essere urlava al pensiero di tutto il dolore che doveva star provando. Con mani tremanti, le sue dita sfiorarono la pelle ustionata, come se il solo tocco potesse ridonargli vita, ma il calore che emanava dal suo corpo era insopportabile, quasi febbrile. Il cuore le si spezzò ulteriormente.
Non posso perderti. Tutto questo non è giusto, non deve andare cosi. Non è giusto.
Pensò, quelle parole le risuonavano costantemente nella mente anche quando si spostò di poco per osservargli meglio i tratti del viso. I suoi occhi verdi, limpidi ma persi, erano fissi su un punto preciso, dietro di lei. In un moto di sorpresa, si voltò e vide una sagoma che giaceva a terra, seminascosta dai detriti. Un brivido le percorse la schiena mentre cominciava a realizzare cosa fosse successo. L'onda d'urto non aveva scagliato soltanto loro due nel sottopassaggio.
Nel momento dell'esplosione, aveva avvertito la stretta di Yuri intensificarsi su di lei in un modo cruento, ma ora, si rese conto che non era stato soltanto lui a stringerla con tale veemenza. Qualcun altro aveva preso su di sé l'impatto devastante dell'esplosione, aggrappandosi a Yuri e facendogli da scudo nel tentativo di salvarlo.
Qualcuno che lo amava...qualcuno che condivideva il suo stesso sangue.
Maicol.
Era lì, riverso a terra, il corpo scosso da spasmi irregolari, il suo viso era deformato da una smorfia di dolore tanto profonda che le sue linee sembravano incise, scolpite. Il petto si sollevava in modo labile, fragile, come se ogni respiro potesse essere davvero l'ultimo. Paralizzata dall'angoscia, rimase immobile, incapace di distogliere lo sguardo da quella scena. La sua mente si era come congelata. Non sapeva quanto fosse rimasta lì a guardare, finché non vide un movimento. Qualcuno si era chinato su di lui: una figura dai lunghi capelli rossi, splendenti come le fiamme che avevano appena divorato tutto il loro mondo.
Prima che potesse reagire, una mano forte le si posò improvvisamente sulla bocca, soffocando il grido che nemmeno si era resa conto di aver lasciato uscire. Una voce familiare le sussurrò «Shh» vicino all'orecchio, mentre delle braccia salde la circondavano, allontanandola con fermezza da quella scena. Era Saleem, e lei riconobbe la stretta protettiva, quel tocco che le trasmetteva una parvenza di stabilità. «Va tutto bene» la rassicurò, ma non rimosse la mano dalle sue labbra perché le sue stesse grida le risuonarono ancora nelle orecchie, soffocate solo dalle sue dita premute contro. «Lasciami!» provò a divincolarsi, a liberarsi dalla sua stretta, lottando contro le sue braccia che la tenevano indietro, ma era inutile.
«Sta bene, stai bene» le ripeté più volte, stringendola per farla smettere di tremare. «State tutti e due bene, siete vivi» scandì bene ogni singola parola, sperando che riuscisse a fare breccia in quella barriera di disperazione che sembrava soffocarla. «Siete vivi ed ora torneremo nella Trincea» la tranquillizzò, girandola di scatto verso Icaro, costringendola a guardarlo, a vederlo ancora lì, nonostante tutto.
Pierre e Dan lo stavano sollevando con cura, le braccia robuste erano premute sotto alle spalle per issarlo in piedi, ma il corpo del suo Re rimase quello di una marionetta priva di volontà. I suoi occhi, freddi e vacui, non si erano staccati nemmeno per un secondo dal fratellastro riverso a terra. Perfino lei, d'un tratto, sembrava scorgere quel legame invisibile di sangue assottigliarsi pericolosamente.
Pierre, le cui ciocche bionde impolverate gli arrivavano poco sotto le orecchie, sembrava stremato eppure si accollò tutto il peso dell'amico, sostenendolo come un pilastro. Dan si trovò dietro di lui ad aiutarlo, la sua espressione seria e preoccupata osservò la schiena del Re con apprensione. «Andiamo, amico. Resisti» lo incoraggiò, carico di determinazione. Ma da parte sua non c'era alcun lamento, né un gemito che potesse tradire il dolore straziante che stava affrontando. La sua resilienza appariva quasi disumana, ma allo stesso tempo, il suo sguardo sembrava spegnersi sempre di più.
«Yuri!» urlò, sperando che quel grido potesse riportarlo indietro, strapparlo dall'abisso in cui stava sprofondando e farlo concentrare su di lei, come un tempo quando i suoi occhi verdi brillavano di verde e malizia. Ma il suo richiamo sembrava rimbalzare contro un muro impenetrabile.
Venne strattonata con decisione nella direzione opposta, dove c'era Giun che singhiozzava ancora disperatamente sul corpo a terra. Di fronte a ciò, non riuscì a trattenere di conficcare le unghie negli avambracci del soldato. Era un gesto involontario, un modo per scaricare l'incredibile sofferenza che sentiva.
Con decisione, la girò ancora finché non riuscì a trascinarla fuori dal sottopassaggio. Quando raggiunsero la cima, il panorama che si estese davanti a loro era infernale. Le macerie si ergevano come monumenti di distruzione, mentre le fiamme danzavano impazzite, avvolgendo il paesaggio in una luce rossa e surreale. Il calore era opprimente e l'aria, densa di fumi tossici, pizzicava la pelle e i polmoni, rendendo ogni respiro sempre più difficile.
Saleem imprecò tra i denti, poi si allontanò appena, giusto il tempo di afferrarle il viso con mani forti e callose. I suoi occhi neri e intensi si abbassarono fino alla sua altezza, colmi di una preoccupazione quasi straziante. «Skye...» mormorò, come se quella fosse l'unica parola possibile in quel momento. Poi, con un impeto quasi disperato, le premette le labbra sulle sue con fama urgente, come se avesse atteso quel momento dopo lunghi giorni di carestia.
Quando si staccò, a malapena e con riluttanza, la guardò negli occhi, più intenso che mai. «Ritorna qui. Ritorna da me» la sua voce aveva il tono di un ordine. «Ho bisogno che tu salga su un cavallo e corra lontano, diritto verso la Trincea» ebbe un attimo di esitazione prima di sottolinearle: «Icaro ha bisogno di te» quella frase, appuntita come una freccia, mirò direttamente al suo cuore, nella speranza di abbattere la barriera di disperazione che la teneva prigioniera e...miracolosamente ci riuscì.
La potenza di quel gesto e di quelle parole le scatenò dentro alle membra un fremito che scacciò la paura come nebbia al primo sole.
Icaro ha bisogno di te.
«Non me ne andrò mai senza di lui» sibilò, battendo le palpebre come se si risvegliasse da un lungo sonno. «Riusciresti a portarlo con te?» le chiese, afferrandogli i polsi, dove le vecchie cicatrici delle corde si mescolavano con bruciature fresche. «Non è niente. Non sento alcun dolore» disse in fretta, come per minimizzare. Ma lui scosse la testa, fermo. «L'adrenalina ti regge ora, ma quando svanirà...non credo che tu sia in grado di portarlo in queste condizioni» dichiarò risoluto. E non era chiaro se parlasse del suo stato fisico o di quello di Yuri, entrambi consumati da battaglie che avevano lasciato il loro segno.
«Sarò io a portare Icaro» sentenziò infine, lanciando uno sguardo verso un gruppo di cavalli che si agitavano in lontananza, legati a dei vecchi lampioni ammaccati, mentre il caos continuava a imperversare attorno a Nuova Capitale. Ancora non sapeva quanto tempo fosse trascorso nel sottopassaggio, ma il sole ormai era calato del tutto e la fuliggine impregnava le criniere come dei manti scuri.
«Muovetevi voi due!» entrambi si voltarono nella direzione dove stava arrivando Ronald. Un sospiro di sollievo le si affacciò sulle labbra quando vide l'amico correre verso il sottopassaggio «Io porterò Maicol» gli urlò, scendendo con un passo deciso.
Pochi minuti dopo, si ritrovò di nuovo in groppa a una sella scricchiolante, vagando nel deserto sotto a un cielo privo di luna. Accanto a lei, il destriero di Saleem portava il corpo inerte di Yuri, quest'ultimo sembrava sempre più distante, incapace di parlare o di rispondere a qualsiasi stimolo esterno. Dietro di loro, Ronald, Maicol, Giun e Dan galoppavano con determinazione, seguiti da un Pierre stremato.
Gli altri, invece, si erano già diretti verso la Trincea con qualche minuto di anticipo, cercando di guadagnare terreno.
Sui suoi fianchi delle dita tremarono sotto alla brezza del vento che, seppur caldo, formicolò sulla loro pelle. «Quanto manca?» borbottò Lama, dietro di lei.
Le sue dame e gli altri, a quanto pareva, erano già stati messi in salvo da George, Wave e Joseph. Secondo le loro stime, non doveva mancare molto al loro arrivo alla Trincea, dove ad attenderli ci sarebbero stati quasi tutti.
Suo malgrado, non poté fare a meno di intuire la verità: Zaid e Tariq non ce l'avevano fatta. Feriti com'erano, dubitava che fossero riusciti a sfuggire all'esplosione. In realtà, temeva che i due non fossero neanche riusciti a rimettersi in piedi, sopraffatti dall'emorragia che li aveva colpiti a causa dei proiettili alle gambe.
Un gorgoglio quasi soffocato attraversò il deserto. Era Maicol, la sua voce ridotta a un mormorio indistinto, che lamentava parole senza alcun senso. Da ore sussultava, tormentato dalle atroci ferite subite.
Skye, come una vigliacca, fu grata per la notte. Il buio, insieme alle stelle nascoste dal fumo, rendeva impossibile scorgere l'aspetto delle sue ferite. Se non era in grado di affrontare il dolore di un uomo che aveva sempre detestato, figuriamoci quelle cicatrici impresse a fuoco sulla schiena di Icaro.
Il pensiero le si attaccò al cuore come un chiodo: la schiena del Re era ridotta in quel modo solo ed esclusivamente a causa sua.
Ma c'erano altri due motivi per cui Skye era grata alla notte. Primo, perché così nessuno poteva vedere le lacrime che continuavano a scorrere silenziosamente da ore. Secondo, immaginava che da quel momento in poi avrebbe sempre temuto le luci accecanti, non solo perché erano state il preludio di una bomba, ma perché portavano con sé il ricordo del lamento straziante di Icaro, mentre l'esplosione irrompeva dietro la sua schiena.
Quando finalmente appoggiò lo stivaletto vicino al gradino della scaletta che portava ai corridoi della Trincea, un breve sospiro di sollievo le sfuggì dalle labbra. Il suo corpo, intorpidito dalla stanchezza e dalla tensione, si mosse automaticamente verso Yuri, senza prestare attenzione a chi la circondava.
Saleem, già sceso, aiutò Icaro a fare altrettanto, afferrandolo con mani forti e trascinandolo via dalla sella. «Grazie» mormorò, prendendo il posto di Saleem e sorreggendo suo cugino. Ronald si avvicinò rapidamente. «Dobbiamo disinfettargli tutte le ferite» annunciò, afferrando un braccio di Yuri e portandoselo intorno alle spalle per sorreggerlo. Studiò velocemente la pelle esposta della schiena. «Dobbiamo muoverci in fretta per evitare infezioni» precisò subito dopo.
«Lo farò io» intervenne Lama, facendo un passo avanti per unirsi a loro. Sul volto della donna era scomparsa ogni traccia di arroganza o ostilità. I suoi occhi, solitamente impassibili e taglienti, erano spenti ed ogni elemento di aggressività che normalmente la caratterizzava sembrava svanito. «D'accordo, anche perché dubito che questa notte Giun abbia molto tempo da dedicargli» borbottò in risposta il rossiccio, lanciando un'occhiata nervosa verso Maicol. «Portiamolo subito in infermeria» consigliò Lama. «No» gracchiò subito lei, ottenendo subito un'occhiata torva da parte di entrambi. «No?! e dove intendi portarlo?» tuonò il soldato. «E che...Non voglio stia nella stessa stanza di Maicol» ammise. «Non so se è in grado di sentirci o meno. Ma non permetterò che ascolti i lamenti del fratellastro per tutta la notte. Starà meglio nella nostra camera» contro ogni sua aspettativa, nessuno obiettò. La soldatessa abbassò le spalle e mormorò un «D'accordo. Muoviamoci, dobbiamo andare a prendere tutto l'occorrente».
Quando finalmente raggiunsero la porta della loro stanza, Saleem, con l'aiuto di Ronald, adagiò il corpo di Icaro sul letto improvvisato, distendendolo a pancia in giù. Restò per un secondo immobile sulla soglia, osservando la sua schiena piena di ustioni e cicatrici.
Lama si avvicinò rapidamente, portando con sé bende, disinfettante e medicinali. Il suo volto era pallido, ma i suoi movimenti sicuri. La tensione tra loro sembrava svanita, almeno per il momento. Non c'era spazio per le rivalità, non in una situazione come quella. «Devo medicare subito le ferite» annunciò, posizionandosi meglio accanto a lui. Cominciò a lavorare con attenzione, lavando via il sangue rappreso e le tracce di polvere dalle ferite. Ogni volta che disinfettava le ustioni, il Re non reagiva. Nonostante il dolore che avrebbe dovuto essere insopportabile, il suo corpo non mostrava alcun segno di resistenza o di reazione nervosa.
Skye trattenne il fiato, come se ogni fitta di dolore lo attraversasse anche lei. Ogni goccia di sangue, ogni bendaggio applicato, sembrava un colpo diretto al suo cuore. Una mano si strinse attorno alla sua e inizialmente pensò fosse quella di Ronald. Ma quando si voltò, scoprì che era Saleem, ancora al suo fianco. Lui rimaneva muto e inespressivo, gli occhi fissi sulla scena davanti a loro, ma non con lo sguardo di chi finalmente assaporava la sofferenza del nemico. Sembrava piuttosto intrappolato in un ennesimo conflitto interiore. Tutto sembrava essersi ribaltato e forse, dopotutto, nemmeno a lui piaceva più vedere suo cugino ridotto in quel modo.
«Starà meglio ma ci vorrà del tempo. Non tutte le ustioni sono superficiali, ci sarà da lavorare per evitare infezioni» constatò Lama, concentrata minuziosamente nel suo lavoro. Staccò le mani dal suo superiore quando sentì dei passi. Erano di Wave che li raggiunse, osservandoli con sguardo preoccupato. «Maicol?» gli domandò appena comparve sulla soglia. «Giun è con lui. Ma non so quanto ancora potrà resistere» riferì rattristato. Nonostante non avesse mai provato vero affetto per lui, l'idea di vederlo morire in quel modo, tra dolori atroci e senza speranza, le provocava un senso di angoscia insopportabile. E non poteva permettere che Icaro fosse esposto a quel dolore.
Ronald, rimasto in un angolo stretto della stanza, si scostò dalle pareti. «Ora» disse infine, con un cenno verso Lama. «Ti lascio lavorare. Se hai bisogno di qualcosa, non esitare a chiamarmi. Devo vedere Maicol» detto ciò, il soldato dai capelli fiammeggianti uscì velocemente dalla stanza.
Poco dopo, anche Wave e Saleem andarono via, e rimase da sola con l'amica. Fece qualche piccolo passo nella stanza, con l'intento di andare vicino al letto quando sentì qualcosa che si stava quasi rompendo sotto alla suola delle sue scarpe. Alzato un piede, vide la corona di legno a terra. L'afferrò cautamente, era ancora intera. «Dovrei uscire di qui» mormorò, la voce bassa, quasi priva di vita. La sua mente, sopraffatta dal peso degli eventi, si concentrava su ciò che avrebbe dovuto fare.
Era la Regina, o almeno così si supponeva. Eppure non riusciva nemmeno a mettere piede fuori da quella stanza, troppo terrorizzata dall'idea di lasciare Yuri solo. «Se fossi davvero una Regina dovrei essere là fuori, a contare le vittime, a infondere speranza. So che lui l'avrebbe fatto» adagiò ai piedi del letto la corona. «Credo che nessuna vera Regina si arrenderebbe in questo modo» si morse un labbro per evitare che tremasse. Non sapeva perché gli stava confidando quello, ma stranamente, dirlo ad alta voce la fece stare un po' meglio.
La soldatessa restò muta mentre estraeva con una pinzetta dei frammenti di metallo dalla carne. Ogni volta che un frammento colpiva la bacinella con un tintinnio metallico, l'eco riecheggiava nelle piccole pareti. Dopo aver finito di estrarre un'altra scheggia, alzò lo sguardo su di lei. «Io non credo che ti stia arrendendo» irruppe, priva di giudizio. «Stai lottando per lui, per il tuo Re. E questo ti rende...solo umana» mentre lo diceva, il suo sguardo si faceva distante, come se una parte di lei stesse rivivendo un ricordo. Aveva perso troppi compagni, troppi volti cari che erano caduti per una causa che ormai sembrava sbiadita. Afferrò il rotolo di benda e ne strappò alcuni strati. «Stai solo lottando per il tuo Re» ripeté anche se nell'ultima parola, la sua voce calò fino a quasi disperdersi. Legò l'ultima benda e si scostò dal letto. «Prima, ho rischiato di perdere per sempre Wave» c'era un tremore impercettibile nella sua voce. «Quando l'ho tirato fuori dalle macerie, il solo pensiero di perderlo per davvero mi ha fatto impazzire. Quindi no, non ti biasimo. Se fossi in te, anche io resterei qui accanto a lui» le confidò, radunando velocemente tutti i medicinali e avviandosi alla porta. «Soprattutto dopo quello che ha fatto per te» concluse, uscendo fuori e lasciandola lì.
Titubante si avvicinò al letto e, lentamente come se rischiasse di poterlo uccidere con la sola sua vicinanza, si adagiò accanto a lui. Aveva il profilo rivolto verso di lei, la mascella premuta su un lato. Le palpebre erano chiuse e le lunga ciglia quasi sfioravano la sua guancia. Si allungò a sfiorargli i capelli, accarezzandoli delicatamente. Era impossibile dire se fosse consapevole del mondo intorno a lui o se fosse intrappolato in uno stato di incoscienza. Non sapeva neppure se fosse in grado di sentire lei. Tuttavia, qualcosa le diceva che Icaro era abbastanza forte da sopportare anche quello. Aveva già conosciuto torture atroci per mano di suo padre e per questo aveva imparato ad adattarsi al dolore, a farne parte della sua esistenza. Gli aveva sempre accennato in modo vago alle torture subite da parte di Gor, come se quel capitolo della sua vita fosse qualcosa che nemmeno lui osava affrontare completamente.
«Starà bene» sussurrò Skye, più a sé stessa che a chiunque altro, mentre sentiva il respiro del Re, per quanto irregolare, farsi più profondo.
La notte sembrava interminabile, scandita dai respiri spezzati di Icaro e dai lamenti di Maicol, che continuavano a riecheggiare attraverso le pareti sotterranee.
«Torna da me» le sue labbra si muovevano con difficoltà, come se quelle parole, così semplici eppure tanto pesanti, richiedessero ogni suo briciolo di forza. «Farò qualsiasi cosa per risparmiarti questo dolore» si sentì avvolgere dalla determinazione mentre pronunciava quella frase. Non sapeva se lui potesse sentirla, se fosse ancora abbastanza presente per cogliere il suo appello, ma non importava. Mentre parlava, i suoi occhi vagarono per la stanza fino a soffermarsi sulla porta di fronte. Un lampo di consapevolezza le attraversò la mente e in quel momento, capì cosa avrebbe dovuto fare per proteggerlo.
«Qualsiasi» scandì bene. Non sapeva ancora quale fosse il prezzo da pagare, ma se c'era una strada che avrebbe potuto salvare Yuri, anche la più oscura, lei l'avrebbe percorsa. Anche se significava mettere da parte ogni regola, ogni legame, ogni limite che fino a quel momento aveva rispettato.
Quella notte, avrebbe barattato ciò che aveva con la morte.
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