3. Il Piano

Avevano cenato tutti insieme abbastanza silenziosamente. Sua madre, dopo aver visto i suoi occhi rossi, aveva preferito non indagare oltre per paura di un suo eventuale attacco di panico. Era palese che non sapeva gestirla, ma ancora di più era la sua inettitudine a fare la madre. Continuava però a lanciarle sorrisi affettivi e al contempo occhiate furtive. Cal invece era ancora arrabbiato. Del tutto contrariato di sapere che Skye desiderava ritornare in quelle terre e buttarsi nel bel mezzo di una guerra piuttosto che restare in salvo lì con loro. Gli stessi che avevano sofferto per la sua assenza quasi come fosse stato un lutto.

Suo padre invece, era stato subito contento di rivederla. L'aveva abbracciata stringendola forte e chiedendole come stava. Ma una volta seduto a tavola, aveva scrutato Grace e Cal e aveva capito che forse era meglio non parlare troppo. Se n'era stato sulle buone, parlando del più e del meno. Soprattutto del suo nuovo lavoro e fingendo che tutto quello che era successo, non fosse mai accaduto.

Come se loro potessero essere una famiglia felice.

Non c'era niente di più falso.

Poi l'aveva avvisata che la polizia sarebbe passata ad interrogarla fra un paio di giorni. come se gli avesse raccontato qualcosa di semplice come le previsioni del meteo. Skye aveva pensato che qualsiasi dovesse escogitare per scappare via, l'avrebbe dovuto fare al più presto. Possibilmente prima dell'interrogatorio. Aveva infine accettato di vedere una commedia a lieto fine tutti insieme, come se quello sarebbe bastato a risanarla. Quando finalmente erano giunti ai titoli di coda, Cal si era alzato ed era andato via in mezzo alla tempesta. Sua madre invece era andata a dormire, e suo padre era rimasto con lei sul divano. Per farle compagnia o tenerla sott'occhio ancora non l'aveva ben capito.

La guardò mentre girava i canali della TV e differentemente da sua madre non le dedicò nessun falso sorriso rassicurante. Quelli che sapevano di menzogna. Nel suo sguardo vi era pura tristezza.

«Sai Skye, credevo che tu...» non riuscì a finire quella frase. Lei lanciò uno sguardo sulla parete accanto alle scale, sui suoi ritratti incorniciati come se fosse stata una qualche sorta di trofeo da esibire.

«Credevi che fossi morta» concluse per lui. Lo vide annuire flebilmente un po' sorpreso, probabilmente dal fatto che la figlia che aveva di fronte era cambiata, prima non aveva mai avuto quella schiettezza né la determinazione che sembrava incisa perennemente nei suoi occhi.

«Già...» si grattò la nuca in un gesto nervoso. «Non avevamo più avuto tue notizie e visto ciò che è successo a tutte le altre...ecco...abbiamo pensato a quello dopo un po'» sentenziò. Ciò che era successo alle altre era stato un massacro da Constance e Maicol. Storse il naso e rispose secca «No, non sono morta come loro. Tutt'altro» osservando l'uomo che l'aveva cresciuta, provò solo pena nei suoi confronti. Pena perché non sapeva cos'era amare per davvero. Skye era certa che avrebbe fatto di tutto per ritornare dall'uomo che amava, mentre lui per sua figlia che immaginava all'inizio essere stata rapita...Non aveva alzato un dito. Aveva lasciato il caso alla polizia come se fosse stato il massimo che avrebbe potuto fare.

«Ed ora...che si fa?» le domandò accavallando le gambe e lanciando un'occhiata al nuovo programma in TV. Suo padre non era mai stato forte nei dialoghi, molto probabilmente era per questo che la relazione con Grace era arrivata al capolinea. Immaginò non dovesse essere stato bello, per sua madre, aver perso i genitori ed essersi affiancata un uomo incapace di amare pienamente.

«Intendi per caso riprendere la danza...non so, iscriverti all'università?...trovare un lavoro? ci sono tante alternative» propose elencando sulle dita di una mano tutte le scelte che avrebbe avuto a disposizione. Rilasciò un sospiro contenendo la sensazione dentro di lei che ormai aveva imparato a conoscere fin troppo bene, perfino a gestirla perlopiù. Era rabbia. Oltre la pietà, quello che provava per suo padre, era rabbia. «Nessuna di queste. Me ne ritorno da dove sono venuta» Jack non aveva mai rappresentato una minaccia. Come Grace erano entrambi senza spina dorsale. Due ombre che si aggiravano nel mondo. Senza sogni e desideri nel cassetto. Si limitavano semplicemente ad esistere. Non sapeva se era sempre stato cosi o no. Forse prima erano stati felici, ambiziosi e miravano ad essere qualcuno insieme. Ma con il tempo, il loro amore si era corroso al tal punto da renderli dei gusci vuoti. Contenitori di loro stessi e scelte sbagliate.

Seppur Jack credeva fosse illogica la sua affermazione, non si sarebbe mai opposto come invece avrebbe fatto qualcuno come Cal o addirittura William.

«T-tu c-c-co-sa» biascicò imbarazzato dal non sapere cosa fare né dire. Non doveva essere facile ammettere che sua figlia preferiva diventare una martire piuttosto che accettare di stare lì in quell'isola con loro.

«È quello che ho deciso. Quello che voglio in realtà» chiarì, giocando con i nodi della sua felpa. Nonostante l'idea che ormai aveva di Jack, fu comunque triste quando infine si ammutolì non combattendo per lei. Non aveva neanche provato a chiederle di rimanere. E quello, nonostante avesse avuto a disposizione diversi anni per conoscere com'era fatto suo padre e incassare tutti i colpi, faceva comunque ancora male. Per questo si alzò e lo lasciò da solo con se stesso nel soggiorno, sperando che i demoni interiori che nascondeva dentro lo divorassero in un sol boccone.

Quando entrò nella sua camera, chiuse la porta alle sue spalle con un tonfo, incurante di aver svegliato o no sua madre. Si appoggiò per un attimo contro essa. Cosa aveva creduto avessero fatto i suoi genitori? che suo padre fosse finalmente cambiato durante la sua assenza?

Le mancanze che l'avevano spinta a partire per Parigi, c'erano ancora. Alloggiavano perennemente dentro quelle mura. Dover ormai era solo come una tomba aperta che l'aspettava.

Serrò gli occhi per ricacciare indietro le lacrime di rabbia. I suoi pensieri si sarebbero dovuti focalizzare presto sul piano che avrebbe dovuto mettere in atto per ritornare in Qatar. Con o senza aiuto.

Il vento soffiò sull'albero, agitando sia rami che foglie. Sospirò e si staccò dalla porta. Stava per raggiungere il suo letto quando qualcosa picchiettò sul vetro della sua finestra. Sobbalzò quando vide una mano su di esso e senza neanche rendersene conto, stringeva fra le dita il coltello che aveva avuto premura di rubare da tavola durante la cena.

Sua madre aveva sicuramente scoperto della sua assenza, ma come sempre, aveva preferito non dire niente al riguardo e fingere che la cosa non era successa. Anche se poteva sospettare assieme a William che Skye l'avrebbe potuto utilizzare per ferire se stessa.

Non era affatto cosi. Dopo il Villaggio e il Palazzo, Skye aveva bisogno costantemente di tenersi al sicuro. Per dormire in pace, aveva avuto bisogno di un'arma accanto a lei. Oppure di una dose massiccia di medicinali come invece era successo in ospedale.

La mano si spostò, e il viso tondo di Cal apparì sotto ai bagliori di luna piena che erano stati lasciati trapelare dalle nuvole dense.

Corse ad aprirlo e tirar su il vetro della finestra. Entrò subito al centro della stanza, fermandosi sul tappeto peloso e scrollandosi come un cane l'acqua di dosso.

«Sei venuto nonostante la tempesta?» osservò il brutto tempo che c'era fuori. Cal non abitava molto distante da lei, e sicuramente era arrivato con il catorcio parcheggiandolo a pochi metri da casa sua. Si preoccupò lo stesso. «E da quanto in qua la tempesta mi ha mai fermato?» fece un sorrisetto di sfida. Skye chiuse la finestra prima che il vento potesse ruggire all'interno della stanza rischiando di sparpagliare cose in giro.

«Che ci fai qui?» chiese. Non era dell'umore per battibeccare anche con lui. Non dopo ciò che era successo con i suoi genitori, anzi, ciò che non era successo con i suoi. Evidentemente Cal lo intuì perché saggiamente restò in silenzio. Osservò ogni minimo movimento di Skye, di come andò verso il suo letto e si portò addosso la coperta preferita che aveva avuto fin da bambina. Cal si tolse il giaccone fradicio e poi le scarpe. Stava per raggiungerla quando lei Skye scosse il capo, indicandogli i suoi jeans bagnati.

«D'accordo» protestò con un sospiro frustato, lasciandoli scivolare fino alle caviglie. Distolse lo sguardo per non guardarlo solo in boxer, nonostante tra loro era stato normalissimo per molti anni.

Si rivoltò a guardarlo solo quando entrò sotto alle coperte con lei, allungando un braccio intorno alle sue spalle. Nonostante tutto, fu lieta di avere qualcuno vicino in quel momento. Si beò del suo calore appoggiandosi contro alla sua spalla.

«È successo qualcosa?» domandò, dimostrando che dopotutto la conosceva ancora bene. Scosse il capo, evitando di ripensare a suo padre e accantonandolo in un angolo della mente. «Niente di nuovo» ed era il vero. I suoi erano sempre la stessa merda. Immaginò che qualsiasi altro genitore, se avesse scoperto che in realtà sua figlia non era morta, avrebbe reagito diversamente. Perlomeno l'avrebbe supplicata di restare. Ma infondo non le importava. Skye aveva altre cose a cui badare e altre persone che avrebbero fatto di tutto per lei, doveva solo trovare un modo per ritornare da loro.

«Allora? sei ancora sicura di voler ritornare laggiù?» in quella mezz'ora che erano stati separati di certo non aveva cambiato idea al riguardo e molto probabilmente non sarebbero bastati neanche cinquant'anni per farlo.

«Assolutamente sì» confermò. L'amico sospirò e rimase in un lungo silenzio prima di spezzarlo chiedendole «Hai già un piano?» scosse il capo. La sua mente non era riuscita ancora ad elaborare un bel niente.

«Vediamo un po'...Ci serve un'aereo. O un elicottero. O qualsiasi cosa che voli. Sai perché da Dover al Qatar non è proprio una passeggiata» mormorò. «Se decidessi di andare via terra ci vorrebbero...credo almeno tre giorni di viaggio o quattro se comprendiamo qualche sosta» almeno a quello aveva pensato. Ma le serviva denaro, ed un mezzo in grado di affrontare un viaggio simile.

«Il catorcio non credo sarebbe in grado» scherzò facendole fare un piccolo mezzo sorriso. «Hai parlato al plurale» mormorò e lo sentì annuire contro la sua nuca. «Ti aiuterei, Skye. Lo sai già» lo guardò da sopra alle ciglia folte. «Farei di tutto per te» quello che le dedicò, era un vero sorriso rassicurante. Uno che ti diceva ''non ti preoccupare, mal che vada ci penso io a te.'' e fu tremendamente confortante. Sentirsi persi e poi ritrovati.

«Anche dopo tutto questo tempo?» annuì di nuovo in risposta. Lei si scostò, dandogli un pugno scherzoso sul braccio. «Non dovresti» l'ammonì. Era cambiato tutto da quando era partita. Perfino la loro relazione. «E poi non venirmi a dire che durante questi mesi non ci sia stata qualche bella pollastrella» scherzò e lui sorrise imbarazzato. Avevano rotto da due anni, da poco prima che partisse per l'accademia a Parigi senza di lui. «Beh...in realtà mi starei frequentando con una» era stata cosi persa nei suoi pensieri, che non aveva neanche domandato a Cal di come stava procedendo la sua vita. Si sentì in colpa. «Davvero e chi? la conosco?» lui alzò gli occhi al cielo. «Purtroppo sì...è Bonnie» arricciò subito il naso in disgusto. Non le era mai piaciuta quella ragazza. Troppo frivola e manipolatoria. E una volta credeva che fosse lo stesso per Cal. «Scommetto che ora ti ucciderebbe se sapesse che sei qui» Bonnie aveva sempre avuto una cotta per lui, fin dai tempi delle scuole e per questo era sempre stata gelosa di Skye, come se fossero acerrime nemiche fin dalla nascita. Lui annuì consapevolmente. «Mi taglierebbe la testa. Sai... è ok. È cambiata dalla Bonnie che conoscevi tu» ne dubitava. Ma non poteva non credergli o non dimostrarsi felice per lui. «Sono contenta per te, se è ciò che vuoi» provò ad abbozzare un sorriso incoraggiante ma dubitava ci fosse riuscita.

Lui le cinse di nuovo il collo con un braccio, riportandola a sé. «Sei tu quella che si è innamorata di un Re lontano» la schernì scherzoso. Il cuore di Skye vacillò al solo pensiero di Icaro. Gli aveva omesso deliberatamente le notti focose passate insieme a lui. Il modo in cui l'aveva fatta sentire, le cose che aveva provato solo con lui. Erano stati sentimenti travolgenti, lontani anni luce da quelli che aveva provato per Cal la sua prima volta. E tutte il restante delle volte.

«Lo ami vero?» Cal era bravo ad ascoltare i suoi silenzi. Skye tremò. Questa volta non per il freddo. «Da morire» sussurrò, sentì di nuovo le lacrime pizzicarle gli occhi azzurri.

Lo sentì sospirare di nuovo sommessamente. «Io sceglierei sempre te a Bonnie» le svelò. Ma Cal era legato più ai ricordi che aveva di Skye, che a lei stessa. Anche perché da quando si erano lasciati, era diventata un'altra donna. «Ma ho modo di pensare che invece tu non sceglieresti nessun altro messo al confronto con lui» il suo respiro si mozzò perché aveva ragione. «Neanche i tuoi genitori» aggiunse. Si sarebbe dovuta sentire uno schifo all'idea. Una traditrice. Sia nei confronti di Cal ma anche di Saleem.

Però quello era esattamente ciò che Skye provava. «E come se...» cercò le parole. «Se il mio mondo ora avesse imparato a girare e solo intorno a lui» ripensò ai sorrisi furbi e maliziosi di Yuri e sorrise quando ricordò le sue amabili fossette. «È come se fosse il mio sole. Senza di lui, avvizzirei come le foglie senza luce. Mi spegnerei lentamente» che era un po' quello che già stava facendo. Ma doveva radunare le energie dentro di lei, anche le briciole, per poter ritornare da lui.

«Sembra...bello amare qualcuno cosi» era per quello che Skye sapeva che non l'amava. Dopo Saleem e Yuri, aveva capito che quello che c'era tra di loro era un altro tipo di affetto. «No, è da deboli amare cosi» sputò fuori. Ma nonostante ciò non poteva fare altrimenti.

Cal scivolò sul suo letto, trascinandosi Skye con sé. Come spesso accadeva anni fa, l'abbracciò da dietro con fare protettivo. Misero entrambi la testa sul cuscino, e poco dopo, si addormentarono dolcemente.


Si risvegliò con i raggi del sole sul viso. Alzò una mano per schernirsi, ricordando solo allora che quella finestra aveva assolutamente bisogno di una tenda. Si alzò controvoglia e si voltò alle sue spalle. Cal era già sgattaiolato via il mattino presto dalla sua finestra. Lo faceva sempre, per evitare che suo padre, nel ritornare a lavoro, vedesse parcheggiato il suo catorcio vicino casa e potesse fare due congetture al riguardo. Non che Jack avrebbe mosso un solo dito se avesse saputo che sua figlia dormiva ogni sera con lui nel suo letto.

Sbruffò e risentì quel suono. A svegliarla non era stato soltanto il sole ma qualcuno che stava bussando ripetutamente alla porta d'ingresso.

«Arrivo! arrivo!» urlò sua madre dall'altra parte della casa, sentì i suoi passi frettolosi dalla cucina attraversare tutto il soggiorno poi la porta aprirsi e poi un silenzio che durò poco.

Skye mise un piede foderato dal calzino sul pavimento in legno della sua camera. Si alzò sentendo tutti i muscoli rigidi e distese le braccia verso l'alto, sbadigliando.

«Buongiorno signora. Vostra figlia Skye è per caso qui?»

Quella voce.

Non poteva essere.

Balzò via dalla sua camera e scese troppo velocemente i gradini perché quando arrivò infondo alle scale e quindi alla porta, si aggrappò ad essa vittima degli ennesimi capogiri.

«Maledizione» biascicò non riuscendo a vedere altro che puntini neri davanti alla vista. Ci mise un po' per abituarsi alla luce accecante del sole. Aveva dimenticato che Dover era spesso cosi, la sera tempesta e il mattino sole.

Vide prima Grace. La sua crocchia di capelli biondi disfatta con rughe sotto agli occhi e lo sguardo smarrito di chi non capiva. Reggeva ancora la porta fra le dita. «Lo conosci per caso?» le chiese. Skye stabilizzò la vista e il suo equilibrio e poi si voltò verso la persona che stava nel suo piccolo giardinetto.

Era un uomo sulla cinquantina. Aveva una stazza massiccia quanto Joseph seppur più snella in alcuni punti. La testa rasata maldestramente e gli occhi castani la fissarono prima di rivolgerle un sorriso a trentadue denti.

«Hai presente quante Skye esistono qui?!» chiese retorico ed esasperato. Poi il suo volto cambiò in un ghigno divertito. «Solo due!» scherzò, sventolando una mano verso di lei come se niente fosse.
Come se non fosse lì invece che in Qatar.

«George!» ruggì, fiondandosi subito fra le sue braccia.
Per sua fortuna l'afferrò a volo, e la strinse un momento prima di osservarla. «Pesi meno di un granello di sabbia» bofonchiò studiando il suo corpo. Forse era dimagrita durante quelle due settimane, ma sicuramente un buon allenamento l'avrebbe rimessa presto in sesto.

«Che ci fai qui?» esordì, non riuscendo però a reprimere il suo sorriso.
Lui lanciò un'occhiata a Grace, rimasta ancora interrogativa sulla soglia. Poi tornò a guardare Skye.
«Come che ci faccio qui?! vengo a riprenderti»

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