21. Una strana squadra
La luce a neon sfavillò ad intermittenza quando riaprì le palpebre oppure erano i suoi capogiri, era ancora piuttosto confusa al riguardo.
Quando la testa smise di vorticare e il corpo rigido iniziò a collaborare, seppur a rilento, si permise di lasciar scivolare la nuca verso l'altro lato del cuscino. Esaminando dov'era sdraiata, il suo cuore si alleggerì quando dedusse che non era finita di nuovo nell'ospedale di Dover.
A fatica riconobbe i tendoni verdi infondo, Il ferro battuto delle brandine, i carrelli arrugginiti temprati dai vecchi fabbri ed infine gli scarponi di alcuni membri della sua squadra.
No, decisamente non si trovava a Dover ma era ancora nel Villaggio.
E la donna che attendeva impaziente il suo risveglio vicino al letto non era una perfetta sconosciuta, bensì Lama. Dall'altro capo della stanza invece, ritrovò Pierre e Saleem. Entrambi si tenevano ben distanziati l'uno dall'altro. Osservandoli era impossibile non notare il modo in cui erano seduti, come se volessero andare in due direzioni opposte e non sfiorarsi neanche per sbaglio. I due in effetti non avevano proprio nulla che potesse accomunarli, se non lei.
«È sveglia» avvisò la voce allarmata di Lama, la stava già raggiungendo a passi veloci.
«Segui il mio dito» istruì mentre spostava a destra e poi a sinistra il suo indice. Skye non badò a lei, piuttosto si concentrò sulle due facce che sbucarono oltre la sua spalla.
«Ciao» disse con voce arrochita che la fece imbarazzare. Saleem si accigliò incupendosi mentre Pierre si limitò a dedicarle un sorriso rassicurante.
Accanto a loro sbucò ancora un'altra testa avvolta da spessi capelli biondi.
«My Lady» salutò rallegrato. Alzando il naso verso la direzione dell'americano, intravide anche il volto spento di Joseph, accanto a lui c'erano Cal e George e dietro le sue dame. Tutti schiacciati verso il fondo della tenda, come se per nessuna ragione al mondo avessero voluto ostacolare la visita della sua compagna di squadra. Con occhi leggermente sgranati la guardavano con estrema ansietà, come se Skye rischiasse di spezzarsi il collo da un momento all'altro.
«Ronald ed Icaro sono nel camper con...» la informò Ginevra prima di interrompersi a metà frase, come se anche solo menzionare il nome di quell'uomo le provocasse una sorta di lacerazione interiore.
«Con Maicol» si affrettò a precisare Koraline al suo posto.
Pierre alzò uno sguardo di ringraziamento verso l'amica, poi si scostò per raggiungere Ginevra che abbassò rattristata lo sguardo verso le stringhe delle sue scarpe.
«Sta bene» appurò Lama dopo averle tastato il viso, le gambe e le braccia. Quando però premette le dita sottili sul suo addome, non riuscì a non piegarsi per il dolore e imprecare sottovoce. Per evitare di immergersi nello strapiombo di quella sofferenza, si concentrò sui movimenti di Lama mentre la esaminava.
Non aveva dimenticato che una volta la compagna di squadra aveva frequentato l'università di medicina e anche se non l'aveva mai conclusa, aveva spesso aiutato Indie e Muna a curare diversi pazienti. Quel ricordo le fece storcere le labbra in una specie di sorriso che avrebbe voluto invece trattenere. Dopotutto aveva pur sempre cercato di strangolarla dopo che aveva confessato a tutti la fine di Finn.
«Non credevo che riusciste a stare tutti insieme in un'unica stanza» fece un risolino malconcio con i nervi a fior di pelle, ignorando lo sguardo affilato di Lama che studiava con diffidenza la condizione delle sue costole. Saleem le lanciò uno sguardo di sbieco ma non si oppose. Sapeva che aveva attaccato Ronald non perché avesse un problema personale con lui soltanto ma probabilmente non vedeva di buon occhio nessuno di quelli del regno di Icaro. Per questo apprezzò particolarmente il suo sforzo nel restarsene in silenzio.
Wave fu l'unico a ridacchiare a quella battuta poi si accomodò al suo capezzale e le accarezzò come un gatto con le fusa una caviglia mezza slogata.
«Hai proprio una pessima cera» commentò quando ebbe finito di ridere.
In effetti non si era mai sentita cosi tanto... guasta. Forse neanche dopo la battaglia del Palazzo, e forse ciò era avvenuto solo per merito dei medicinali con cui l'avevano imbottita per guarire a Dover.
«Ci spieghi cosa diavolo ti è venuto in mente?»
«Perché sei andata lì?»
«Cosa ti ha detto o fatto?»
«Cosa ti aspettavi di ottenere da uno come lui?!»
Decine di domande si accavallarono l'un l'altra in una cacofonia totale, vennero dette tutte assieme da ogni singolo presente e Skye fece difficoltà a comprendere anche solo ad una di esse.
Mentre ognuno iniziò a farle un interrogatorio di terzo grado degno di un investigatore, lei si focalizzò su Joseph rimasto in un angolo, schiacciato ancora contro ad una tenda, non partecipava a quella discussione. Era estraniato da tutto.
Riconosceva quel dolore, ci era passata e l'aveva provato. «Mi dispiace» per parlare dovette attingere ad un bel po' della sua forza rimanente, a causa della sete la sua voce era rauca e stonata come un violino scordato.
Si era rivolta unicamente al suo amico. Non a Lama, non a Saleem, non a Wave e neanche a George, nonostante tutti stessero compiangendo ancora la morte di Finn.
Calò il silenzio. Come se quelle parole Skye le avesse urlate anziché mormorate con flebile voce. Ginevra e Koraline la guardarono con una leggera disapprovazione, come se quella non era di certo la risposta che avrebbero voluto sentirsi dire dalla raffica di domande che gli avevano appena posto. Infatti Skye non si era degnata di rispondere a nessuna delle domande, con più decisione di prima ripeté
«Mi dispiace». Sentì già le lacrime riaffiorare agli angoli dei suoi occhi.
«Avrei voluto salvarlo» ogni parola pesava come un macigno sul cuore. Il respiro era già irregolare nel vano tentativo di tenersi tutto dentro.
«E mi manca» sussurrò. «Ogni giorno, Finn mi manca» infine la sua voce si spezzò come uno specchio scivolato sul pavimento che andava in mille frantumi. Si portò le mani sul viso nel misero tentativo di camuffare quelle nuove lacrime.
«Andiamocene. Non c'è niente da vedere qui» intervenne Lama prima di fare qualche passo verso la fine del tendone. Attese che qualcuno la seguisse con uno sguardo fiammante.
Skye si asciugò alla meglio il viso, mordendosi un labbro tremante provò a rimettersi seduta, ma il dolore fu cosi struggente che ci ripensò due volte e infine decise fosse più saggio rimanere ancora sdraiata in quella posizione. Joseph intanto, aveva portato gli occhi su di lei attonito. Sembrò guardarla per la prima volta dopo tanto tempo. Boccheggiò più volte ma infine non disse niente. Si avvicinò a piccoli passi verso la sua brandina e di conseguenza tutti gli altri si fecero all'indietro per lasciarlo passare. Tranne Wave che rimase seduto al suo capezzale e riappoggiò una mano sulla caviglia, un gesto che le parve come se in quel momento stesse stabilendo se lasciarla sola con lui o meno. Quando l'omone più alto di tutti gli altri le fu di fronte, alzò una mano a mezz'aria e sentì le dita di Wave stringersi di più intorno alla caviglia.
Joseph appoggiò impacciato il palmo sui suoi capelli annodati e la guardò con estrema serietà. Nel suo sguardo solitamente vispo non vi era altro che infinita tristezza. Titubante, con la mano ferma immobile sulla sua testa, capì che quel gesto gli costasse molta fatica. Ritirò indeciso la mano, come se ad un tratto non sapesse più cosa farne di essa. Incapace di scompigliarle i capelli, come invece spesso aveva fatto in passato sia con lei che con Finn.
Il vuoto nel suo stomaco si ampliò nel vederlo cosi esitante, come se la morte dell'amico gli avesse appena amputato un arto. Inetto di fare perfino quei piccoli gesti che tanto lo caratterizzavano. «Mi dispiace» ripeté lei con voce grave. Il soldato annuì e prese un lungo respiro prima di sedersi sulla brandina che, sotto al suo peso e insieme a quello suo e di Wave, sembrò vacillare come una zattera in mezzo ad una tempesta. «Lo so che ti dispiace» a quelle parole, anche Skye rilasciò un piccolo respiro, costole permettendo. «Lo so» borbottò con spalle basse. Tralasciò il dolore fisico e lo raggiunse rimettendosi goffamente seduta. Fra respiri smozzati gli cinse il collo con entrambe le braccia. Con sua grazia non si oppose, premette il testone sulla sua clavicola e si lasciò cullare in un abbraccio docilmente.
«Dobbiamo prima parlare di questioni più urgenti» li interruppe il loro superiore, ottenendo l'attenzione di tutti i presenti che si stavano accingendo solo in quel momento a lasciare la stanza.
«Questioni che possono aspettare» lo corresse Wave incredulo, lanciandogli poi un'occhiata torva incenerente. «No, questo» indicò loro tre sulla brandina. «Può aspettare. Quello là fuori» fece un gesto verso la fine del tendone, come se all'esterno ci fosse già un campo di battaglia pieno di sfidanti. «Richiede la nostra più completa attenzione» nonostante non lo volesse, dovette dargli ragione. Skye sciolse il suo abbraccio e Joseph si sfregò più volte una mano sul viso prima di portare gli occhi vacui su di lui.
«Le cose rispetto a quando eravamo nel Villaggio sono cambiate» borbottò Wave e Saleem ostentò un sopracciglio sollevato, come se con quella frase avesse minimizzato il tutto. In realtà le cose erano più che cambiate, si erano completamente capovolte. «Prima avevi il diritto di comandare insieme ad Adil, perché eri il nostro superiore» solo a quel punto Wave lasciò la stretta intorno alla sua caviglia. «Ora non è più cosi. Non c'è più il Vecchio. Non sono d'accordo con le tue decisioni e non dovresti decidere solo tu con chi poter collaborare o no» si alzò facendo cigolare pericolosamente tutta la brandina. Fece un passo di lato verso le sue dame, come se stesse delineando una sorta di linea di confine immaginaria. «Questa volta io scelgo di allearmi con loro» quelle parole lo lasciarono basito. Solo Pierre lasciò che un sorrisetto trionfante gli si stampasse diritto in faccia.
«Quindi decidi di allearti con i nemici?» chiese in conferma Saleem.
«Ha ragione. Amico, non sei obiettivo. Siamo in tre a garantirti la loro lealtà» ammise George, indicando lei e Joseph con un cenno di mento.
A quel punto si chiese Lama chi avesse intenzione di seguire. Un tempo era certa che fra l'americano e lei ci fosse stato del tenero, ma da quando erano arrivati al Villaggio non ne era più tanto sicura.
Dall'espressione sconcertata sul viso del superiore, Skye preventivava il peggio. «Vi state alleando con Icaro» sottolineò aspro, come se nessuno capisse la gravità di ciò che stavano per scegliere. Lama fu l'ultima, tentennò più volte verso l'uscita prima di stabilire definitivamente la sua decisione, piazzandosi al fianco a Wave, George e tutti gli altri.
«Non abbiamo più il privilegio di decidere la nostra squadra. Siamo in pochi e credo che un paio di mani in più» lo disse anche se guardò diffidente Ginevra e Koraline, come se stesse già stabilendo che erano i punti deboli del gruppo. «Ci farebbero comodo dopotutto» si giustificò, ricevendo in cambio un fischio di approvazione da parte dell'americano. Lei lo squadrò rudemente, ma rimase comunque al suo fianco.
«La domanda è» intervenne George che era rimasto fra Cal e Koraline. «Cosa deciderai di fare tu» Saleem inchiodò lo sguardo torvo in quello di Skye e non si sorprese di vedere Cal sgattaiolarle accanto nel misero tentativo di proteggerla.
«Ti fidi di loro?» domandò con voce piatta, ma conosceva già la risposta, non li avrebbe portati al Villaggio se cosi non fosse stato. Per questo non esitò ad annuire, nonostante quel semplice gesto le costò diverse fitte che si irradiavano dalle costole. «Ciecamente» gracchiò mentre si distendeva per attenuare in qualche modo il dolore. Cal al suo fianco l'aiutò a rimettersi meglio sulle coperte che fungevano da materasso.
Occhi tenebrosi la lasciarono e valutarono con circospezione quelli che per lui erano estranei. Studiò Pierre, Koraline, Ginevra e perfino Cal attentamente, come se dalle loro espressioni potesse realmente capirne le intenzioni.
«Fa un po' paura» provò a sussurrarle ad un orecchio Cal appena gli occhi neri del superiore saettarono sugli altri presenti. Skye fece una smorfia che voleva essere una specie di sorriso.
«Già, fa sempre quest'effetto alle persone».
«D'accordo» sentenziò a denti stretti. «Domani mattina vi aspetto tutti ad allenarvi nei Campi e chi non verrà sarà buttato fuori» incrociò le braccia al petto e quel semplice gesto evidenziò tutti i suoi muscoli.
«Precisamente come si fa, qui sotto, a capire quando è mattina?!» vociferò Koraline arricciando il naso verso il tetto di rocce sopra alla sua testa. Nello stesso momento Ginevra ripeté con perplessità. «Allenarsi?» Saleem adocchiò le loro braccia fin troppo esili.
«Esatto, allenarvi. Sembrate cosi fragili che stento a credere che riuscireste ad alzare anche solo un fucile» replicò senza troppi giri di parole.
«Noi non siamo fragili!» latrò infastidita Koraline. Se Saleem l'avesse sentita o meno però, non lo diede a vedere. Sì concentrò di nuovo su Skye distesa e in automatico Cal arretrò di un passo, come se fosse stato appena spinto via.
Le sue dame non erano deboli, ne aveva avuto la prova schiacciante durante la battaglia del Palazzo. Quando tutte e tre avevano provato a mettere in salvo un Ronald moribondo.
«Riposati» ordinò e qualcosa le diceva che nonostante le ultime opposizioni la sua mania da generale non sarebbe svanita tanto presto.
«Chiariremo ora i dettagli di quest'alleanza nell'edificio» dettò non mascherando la sua ostilità, poi si dileguò inghiottito dal buio infondo.
Joseph fu il primo a seguirlo e alle calcagna lo raggiunsero tutti gli altri. Lama invece si fermò di nuovo. Lanciò uno sguardo indeciso verso Cal rimasto al suo fianco e poi di nuovo di lei.
«Io...» iniziò indecisa.
«Esci fuori» bofonchiò poi rivolgendosi all'amico al suo fianco. Quest'ultimo sussultò e lanciò uno sguardo permesso a Skye, che una volta annuito in approvazione lo convinse a lasciarle sole. Cal raggiunse frettoloso le sue dame.
Quando furono rimaste sole, rifletté bene prima di rivelarle «Non pensavo ti saresti alleata con loro» Skye ancora stentava a credere di aver ricevuto il suo supporto al riguardo. Dalla sua espressione qualcosa le fece credere che forse era stato proprio Wave ad essere riuscito a persuaderla. Arricciò le labbra e cambiò argomento. «Dovresti davvero riposarti. Hai almeno tre costole rotte»
«Lo so» le rughe perennemente accigliate sulla sua fronte si distesero di colpo. «Lo sai?» iterò. Skye fece scivolare il suo sguardo sulle sue mani, provò ad aprire e chiudere le dita più volte, un esercizio che le avevano insegnato in ospedale e che forse l'avrebbe aiutata a riacquistare la piena padronanza. Lama la osservò bene prima di affermare «Sei diversa da come ti ricordavo» qualcosa, in quelle parole, le diede da riflettere sul suo stupore nel valutare Skye e come aveva reagito al suo attacco, l'inglesina si era difesa con una forza di cui forse l'amica non credeva fosse fornita.
«E mi dispiace per come ho reagito quando...» tossicchiò più volte. «Quando ci hai comunicato la morte di Finn» concluse con voce priva di emozioni.
«So anche questo» ripeté affranta, eppure aveva voluto che lei gli porgesse comunque quelle scuse. Le accettò senza rammarico, non aveva tempo per detestarla o ignorarla. Non quando entrambe erano ancora nella stessa squadra.
Lama aspettò un po', come se attendesse qualche altra cosa da lei. Poi si arrese e si limitò a farle un piccolo cenno di capo prima di correre per raggiungere gli altri diretti nell'edificio.
Nonostante anche lei avrebbe voluto andare nell'edificio per chiarire la loro alleanza, dovette arrendersi all'evidenza che non ci sarebbe mai riuscita.
Il suo corpo bramava riposo e tranquillità. Due cose che non aveva mai ottenuto. Per una volta rinunciò alla sua squadra, confidando che riuscissero a dialogare in modo pacifico anche da soli.
Non le restò far altro che lasciarsi scivolare in un sonno che invadeva ogni centimetro di lei.
«Sei viva per miracolo» a risvegliarla era stata quella voce. Aprì di scatto gli occhi e si voltò lentamente nella sua direzione, cercandolo lo trovò seduto su una sedia. Le mani lungo i braccioli di ferro sembravano diverse soltanto perché non mostravano più l'anello con incisa sopra l'aquila che simboleggiava stemma reale. Lo stesso che teneva nella tasca dei suoi pantaloni da diversi giorni e che ancora non aveva avuto l'opportunità o il coraggio di restituirgli e fare ammenda.
Quell'affermazione sembrò racchiudere diversi significati, come ad esempio il fatto che non si aspettava di rivederla lì dopo il viaggio in cui l'avevano spedita a Dover, la sua terra natia. E molto probabilmente era lo stesso per quanto riguardava la fuga dalla Fortezza.
Erano settimane che desiderava parlare con lui, ma in quel momento era cosi arrochita che non riusciva più a ricordare anche solo una di tutte le cose che voleva in realtà confidargli.
«Beh, anche tu» commentò rauca, alludendo al fatto che era stato imprigionato per settimane e appeso ad una parete come se fosse stato un pezzo di carne.
In quel momento, osservando le cicatrici impresse sulla sua pelle e valutando quanto Gerald era stato crudele, Maicol non sembrò poi un'alternativa tanto scadente come nemico. Almeno lui non aveva mai alzato un solo dito contro il suo fratellastro.
Riflettere sulle parole che quell'uomo gli aveva confidato nel camper, ovvero sulle vere ragioni di tutte quelle ferite, era doloroso. Skye era la causa di tutte quelle dannate cicatrici, come se gliele avesse procurate lei stessa con le sue mani.
«Touche» rispose con un mezzo sorriso che però non fece spuntare nessuna delle sue adorabili fossette. «Cosa speravi di ottenere?» lei abbozzò una risatina ironica, ma appena distese le labbra, una smorfia affiori sulla sua faccia e la fece pentire subito di quel gesto. Ogni graffio presente sulle sue labbra si riaprì e dovette passare la lingua più volte su di esse per attenuare il bruciore e leccarsi via il sangue.
«Niente» borbottò lei, adocchiando le sue nocche bianche e le dita strette intorno ai braccioli sottili. Aprì i palmi di scatto.
«Non farlo, Skye, non mentirmi» solo il sentir pronunciare il suo nome da lui, riaccese ricordi che le facevano mancare ancora l'aria.
«Io non l'ho mai fatto» ribadì e sapeva fosse maledettamente vero.
L'impostore che tutti credevano fosse, era una teoria ben lontana dalla realtà. Di Icaro si potevano dire molte cose, tranne che fosse un falso.
Erano giorni in cui ostinatamente sembrava ignorarla, non rendendola più partecipe della sua vita e delle sue decisioni, come dei suoi piani.
Aveva la più pallida idea di quanto questo facesse male?
D'altronde erano ancora alleati, a prescindere dal fatto che lei fosse o meno una vera Regina, avevano stretto un patto che era tuttora valido.
Il loro patto non poteva essere stato già sciolto, perché nessuno dei due ne era uscito vincitore. Lei non aveva riacquistato la libertà per tutte le persone che amava, e lui non era diventato l'unico sovrano del regno.
Anzi erano ben lontani dai loro vecchi obiettivi.
«Siamo alleati» sputò fuori quelle parole che avevano acquistato lo stesso identico sapore di un pugno di cenere. Lui indietreggiò sulla sedia come fosse stato colpito da quelle parole.
«Lo so! è questo ha fatto in modo che tu ti buttassi direttamente nella gabbia del leone?» era stupito. Perfino lui sapeva che Skye era molto più intelligente di quello.
Ma quando si trattava di esigere delle ragioni che il suo cuore voleva sembrava improvvisamente più stupida e avventata che mai.
«Certo che no! sapevo perfettamente quello che stavo facendo!» replicò indignandosi e lui si sporse di più dalla sedia, nella sua direzione, mettendo i gomiti sulle ginocchia e osservandola contrariato.
Il verde acceso delle sue iridi era la cosa più bella che vedeva da mesi.
«Si vede» ironizzò, provocandole di nuovo una smorfia. Skye si voltò verso la parete opposta, incapace di reggere ulteriormente il suo sguardo perché il cuore in quel momento le fece più male delle costole. Dovette mordersi di nuovo il labbro per evitare che tremasse vergognosamente.
L'intensità dei suoi occhi era ancora altrettanto disarmante, ma la distanza che sentiva esserci fra loro era peggio di qualsiasi ferita.
«Skye» la richiamò affinché potesse tornare a riguardarlo.
«Volevo solo delle risposte» soffiò, incrociando le braccia al petto, ma prima che potesse stringerle contro il busto, allentò la presa e le ridistese per via delle fitte.
«Potevo dartele io» d'un tratto era cosi accondiscendente e disponibile che le venne quasi da ridere stizzita.
Aveva dimenticato che da quando si erano rincontrati l'aveva a scarso guardata?!
Aveva la sensazione che lui non accettasse per niente il fatto che fosse ritornata.
Sperava davvero che se ne fosse rimasta a Dover dopotutto quello che avevano passato?
«Beh, non mi sembravi cosi disposto a fornirmele» l'accusò, voltandosi di nuovo verso il suo lato per osservare meglio la sua reazione. Non riuscì neanche ad attraversare la maschera inflessibile che aveva corazzato i suoi sentimenti.
La stava tenendo alla larga dai suoi problemi, ciò che invece prima non aveva mai fatto.
Aveva da sempre trovato in lei un'alleata, una compagna di squadra e perfino una Regina.
Com'erano finiti dunque a quel risultato?
D'un tratto capì cosa avrebbe voluto dirgli il suo cuore. Il vero motivo per cui l'aveva cercato in tutto il deserto.
Yuri sospirò pensieroso prima di abbassare lo sguardo, non obiettò di fronte alla sua accusa.
«Perché hanno torturato solo te?» chiese di fronte alla sua corazza.
«Davvero Skye?! è questo quello che vuoi dirmi dopo quasi un mese che non ci rivediamo?» irruppe, serrando le labbra in una linea severa.
«No. Vorrei dirti anche altro» riconobbe e lui sembrò calmarsi, anche se i muscoli della sua mascella rimasero tesi come sciabole.
«Del tipo?» la incalzò.
C'era stato un tempo, in cui lei aveva teso corde di lui che neanche sapeva. In cui l'aveva capito come pochi, trovando una connessione tutta loro.
Desiderava ritornare a quel punto.
Schiuse la bocca e...
«Eccoti!» brontolò Ronald entrando nel tendone in un misto di tessuto e capelli rossi. Il soldato si azzittì appena vide Yuri seduto sulla sedia.
«Ciao» lo salutò ma evidentemente quando vide le loro espressioni si fermò. «Scusate io...ho interrotto per caso qualcosa?»
dannatamente si, avrebbe voluto urlargli, ma restò saggiamente in silenzio.
«Tranquillo, stavo per andarmene» rispose il Re, alzandosi dalla sedia con un piccolo slancio, agile come se non fosse mai stato incatenato per settimane.
Il suo cuore affondò. Dovevano ancora chiarire cosi tante cose ma evitò di intrattenerlo. Lo vide andar via e percorrere il corridoio pieno di brandine vuote.
Guardò la sua schiena illuminata a intermittenza dal neon, qualcuno l'aveva fornito di una maglia nera che nascondeva in parte le sue cicatrici, ma non quelle sulle braccia.
Deglutì tutte le parole che avrebbe voluto confessargli e si concentrò invece su Ronald rimasto ancora in piedi al centro.
«Non sapevo ci fosse lui» si giustificò e lei annuì comprensiva. «Neanche io in realtà» l'amico si sedette sulla sedia appena lasciata vuota e puntò lo sguardo in lontananza dov'era appena scomparsa la figura del Re.
«Come va con lui?» domandò e Skye giocherellò con il suo anello, gesto che aveva iniziato a placare un po' della sua ansia.
«Non saprei» gli aveva riconfermato che erano alleati eppure sentiva ancora quel divario tra loro. Avrebbe voluto colmarlo, riavvicinare i loro corpi e sussurrargli che non l'aveva mai smesso di pensare.
Ma ancora una volta, rimase lì dov'era e ingoiò il rospo.
Dalla confessione di Maicol, dedusse che quelle cicatrici erano state causate da lei stessa. Sembrava che ogni volta che gli stesse vicino, lo ferisse involontariamente.
«Temo che la sua condanna sia proprio io» sussurrò le stesse parole che lui le aveva sussurrato una volta, mentre facevano l'amore.
Solo in quel momento sembrò comprenderle meglio.
«Che diamine di guerra c'è ora in quella tua piccola testolina?» si avvicinò con la sedia fino alla brandina e le passò una mano davanti agli occhi come se avesse potuto risvegliarla dal suo stato di trance.
«Dico che forse» irruppe con voce sommessa.
«Icaro sta meglio senza di me»
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