capitolo 7- Come se bruciasse
Non sono del tutto sicura che accompagnare Thomas, in qualsiasi posto lui abbia in mente di andare a quest'ora, sia stata una buona idea. È che sono una ragazza istintiva ed impulsiva, faccio tutto ciò che mi passa per la testa senza pensare alle eventuali conseguenze.
Thomas mi odia, ed io odio lui...eppure, c'è qualcosa in lui che m'intriga e mi affascina, forse è il dolore che vedo nei suoi occhi, la sofferenza che offusca quella luce che potrebbe avere, ma che invece è ricoperta dall'ombra più oscura che abbia mai visto. Forse è il suo modo di fare, di comportarsi, di essere così spavaldo e sicuro di sé, come se niente al mondo potesse scalfirlo, eppure sono sicura che c'è qualcosa che l'ha distrutto nel profondo.
Non sono solita a pensare che le persone nascano cattive, ma sono sicura che ci diventino dopo aver passato molte cose brutte, cose che hanno cambiato il loro essere, che hanno fatto a lotta con la loro psiche e l'hanno condotte alla depravazione, direttamente a bussare alle porte dell'inferno. Nonostante ciò, mi appassiona questo ragazzo nel modo più assoluto possibile. Ovviamente, lo odio ancora e non smetterò mai di farlo, ma la mia mente mi suggerisce di scoprirlo fino in fondo, di vedere oltre le apparenze, perché le persone che si fermano ad osservare solo la superficie sono vuote. Sotto questa bellissima corazza, secondo me si nasconde altro e forse un giorno riuscirò a vederlo anche io. Per il momento, l'unica cosa che ci lega, però, è l'odio reciproco e la soddisfazione perversa che proviamo entrambi nello stuzzicarci, nel provocare i nostri demoni a vicenda, e vedere chi dei due rimarrà per l'ultima battaglia.
Il viaggio in macchina è piuttosto silenzioso e mi mette abbastanza a disagio. Per questo, inizio a giocherellare con l'orlo della maglietta e ad osservare le case e gli alberi che scorrono veloci una dietro l'altra. C'è anche un bambino, nel vialetto di quella che presumo essere casa sua, che si diverte a giocare con un pallone. Accanto a lui, il nonno che gli insegna a giocare a calcio. Entrambi sorridono, felici e spensierati per quel piccolo momento di intimità tra loro.
Vorrei tornare indietro nel tempo e godere della stessa felicità, ma purtroppo la persona con cui vorrei stare non è più in questo mondo.
Penso al tempo che scorre inesorabile, la visione che si offusca data la velocità a cui stiamo andando. Mi fa pensare che la vita mi stia scorrendo di fronte, ed io non posso fare nulla per fermarla, nulla per rivivere solo un momento di assoluta libertà, quei momenti in cui non ti rendi ancora conto di essere felice, ma che visti dal futuro, rimpiangi da morire.
Ad un certo punto, Thomas mi distrae dai miei pensieri, accendendo l'autoradio e mettendo al massimo il volume di questa sua orribile musica metallara.
Mi fanno male i timpani.
Decido, con un gesto inaspettato, di spegnere la radio, perché davvero mi stanno facendo male le orecchie per quanto è alta la musica. Forse avrei dovuto solo abbassarla, ma il mio istinto ha preso il sopravvento. Forse volevo solo farlo arrabbiare.
«Non toccare la mia radio, Sirenetta», ringhia lui lanciandomi un'occhiata di avvertimento.
Ogni volta che parla sembra sempre nervoso. Ogni tanto è freddo, così tanto che sembra non provare alcuna emozione; invece, le rare volte che ne esprime una è questa: il nervosismo o la rabbia.
«Mi fanno male le orecchie», confesso in tono lamentoso.
«Se non vuoi che ti lasci in mezzo al nulla, non toccarla mai più», mi avvisa, poi la riaccende e la rimette a tutto volume.
Me lo faccio andare bene solo perché sono da sola con lui e ho davvero paura che possa lasciarmi in mezzo alla strada. Di solito non sono così remissiva, ma al momento il mio istinto di sopravvivenza mi suggerisce di lasciar perdere una litigata in cui, quasi sicuramente, non vincerei e mi lascerebbe in una strada deserta e sconosciuta.
Arriviamo davanti a quello che sembra un locale abbandonato. C'è un'insegna che sta cadendo a pezzi, ma ci sono delle auto parcheggiate sul vialetto, sintomo che ci sia qualcuno dentro.
«Dove siamo?» chiedo con un po' di preoccupazione.
Non è che vuole uccidermi e seppellire il mio corpo in questo posto abbandonato da Dio? Penso tra me e me.
«Fatti i cazzi tuoi», risponde secco.
Scende dall'auto ed io lo seguo a ruota. Lo osservo da dietro, con le spalle larghe, la maglietta che gli fa da seconda pelle, le vene delle braccia in rilievo che mi fanno venir voglia di toccarle una ad una, di passarci le dita e vedere fino a che punto sono così visibili. Il bacino che si stringe, fino a dare inizio alle cosce dure e possenti.
Va a passo spedito, finché non si ferma per un attimo, come folgorato, e si volta verso di me che sto praticamente correndo per stargli dietro.
«Non ti allontanare da me», ordina. «Chiaro?» La sua voce è autoritaria, come quella di un padre che sta sgridando la sua bambina...e perché l'effetto che mi fa è così devastante che mi fa bagnare le mutandine e sfregare le cosce tra loro per darmi un po' di sollievo?
«Ci tieni alla mia incolumità, ora?» lo prendo in giro, cercando di ridestarmi, ma lui non ride. Non accenna neanche ad un sorriso.
«Sono serio. Questo non è un posto per te, ragazzina.» Pronuncia l'ultima parola con disprezzo, per poi far scendere il suo sguardo lungo tutto il mio corpo, come ad enfatizzare il fatto che lui mi vede proprio come una bambina, incapace di stare in un posto come questo.
«Allora perché mi ci hai portata?» chiedo quando ricominciamo a camminare, ma stavolta va più piano, permettendomi di stargli accanto.
«Perché sei come un gattino attaccato alle palle, Smith, sei sempre in mezzo e sei fastidiosa.»
Dovrei sentirmi offesa, invece decido di lasciar correre perché, anche se mi ha insultata, l'ha fatto in modo simpatico.
E poi ho un po' di paura.
Quando entriamo, vengo invasa subito dalla puzza di fumo, talmente tanta che tossisco un paio di volte, lui mi lancia uno sguardo che a tratti potrei definire divertito, che viene sostituito subito dalla sua solita espressione di ghiaccio.
Ma io l'ho visto, quello sguardo, Thomas.
Ci saranno cento persone, solo che qua dentro è un buco. E tutti stanno fumano o bevendo qualcosa. Sono quasi tutti uomini.
Al centro di questo locale, se così posso chiamarlo, c'è una specie di gabbia che mi ricorda quelle da box che guardavo in tv da piccola, con mio padre.
Ed ora capisco. Siamo ad un incontro di box.
Mi volto verso Thomas, che se ne sta appoggiato al muro e si sta accendendo una sigaretta, che ha tutta l'aria di essere uno spinello.
Non posso fare a meno di guardare quando si porta il veleno sotto forma di fumo alle labbra, in un gesto così innocuo; eppure, così sensuale da farmi quasi sussultare.
Tutto il lui sprigiona sensualità e virilità, anche un semplice gesto come questo.
«Non dirmi che...» traggo le mie conclusioni.
«Si, gareggio fra poco», m'interrompe lui, dandomi la conferma di ciò che stavo pensando.
«Tayler non vuole che tu faccia cazzate», ribatto subito, già impaurita e ansiosa per la situazione.
Non mi va di vederlo pieno di sangue e tutto ferito, suo fratello non lo vorrebbe ed io sono qui per evitare di fargli fare delle cazzate come questa.
Lui sorride, il primo sorriso che gli vedo spuntare oggi. «Sirenetta, queste non sono le cazzate di cui mio fratello ha paura», dice con calma, come se volesse spaventarmi, avvertirmi che ciò di cui è davvero capace non è solo un incontro di box clandestino. Farmi capire che è capace di cose molto più pericolose.
E ci riesce, a farmi spaventare, sempre.
«Che...che vuoi dire?» farfuglio.
«Non sono cose adatte ad una bambina come te.» Si porta la sigaretta alle labbra, mentre i suoi occhi sono puntati nei miei, e aspira il fumo.
Sto per insistere, quando un uomo sulla quarantina, che puzza tremendamente di alcol, si avvicina a noi e sussurra qualcosa nell'orecchio di Thomas, ma con gli occhi punta su di me. Rabbrividisco all'istante e sento l'impulso di uscire da lì. Ma l'ho promesso a Tayler, non posso.
«Lei appartiene a me», dice poi Thomas guardando l'uomo, per avvertirlo di non toccarmi, presumo.
L'altro annuisce appena, poi toglie subito gli occhi da me e sospiro di sollievo.
Non appartengo a te, Thomas!
Vorrei dirglielo, ma sono abbastanza sicura che l'abbia fatto per proteggermi. E non posso mentire dicendo che quelle parole non mi abbiano procurato le farfalle nello stomaco e dei brividi lungo tutta la colonna vertebrale, oltre che un arrossimento spontaneo sulle guance.
Mi ripeto che è normale. Thomas è bellissimo, non è difficile che faccia questo effetto a chiunque.
«Devo andare a cambiarmi. Non muoverti da qui», mi intima, usando sempre questo tono che fa pensare ad un ordine, più che ad una richiesta.
«E se non lo facessi?» Lo sfido, con il mio sguardo impertinente, consapevole che odia non esercitare il controllo sulle persone, ed io adoro farglielo perdere.
I suoi tratti si induriscono. «Se quando torno non ti trovo qui, giuro che ti vengo a prendere ovunque tu sia e...» Si avvicina a me, arrivando ad un soffio dal mio viso e mi soffia il fumo della sua sigaretta sulle labbra. «Ti sculaccio come si fa con le bambine disubbidienti», conclude, con un sorrisetto sul volto.
Le mie gambe diventano ad un tratto molli come gelatina, e rischio di barcollare o addirittura di cadere a terra. Respiro il fumo che mi ha buttata addosso e assaporo le sue parole come se fossero una caramella gustosa. Arrossisco violentemente e mi si secca la gola al pensiero di farmi sculacciare da Thomas.
Probabilmente, la sua mano forte e potente atterrerebbe sulla mia natica procurandomi un dolore atroce, ma allo stesso tempo, se ci penso, mi farebbe bagnare ancora di più.
«I..io», boccheggio, alla ricerca di ossigeno, mentre un fiotto caldo mi bagna le mutandine. Stringo le gambe tra loro, sia per procurarmi un po' di sollievo, sia per la vergogna di ciò che le sue parole hanno provocato al mio corpo traditore.
Thomas sorride in modo provocatorio, conscio delle sensazioni che mi ha fatto provare. È un bel ragazzo, il più bello che abbia mai visto, e credo sia abituato a far provare certe emozioni alle ragazze. È consapevole della sua virilità e della sua bellezza disarmante; perciò, sa benissimo che con queste parole potrebbe mettere in ginocchio anche un angelo. E anche me.
«Rimani qui, ci vediamo tra poco, ragazzina», dice in modo ancora più sensuale, calzando bene l'ultima parola.
«Mi lasci qui da sola?» chiedo d'un tratto, cercando di riprendermi. Non voglio sembrare una ragazzina in pericolo, ma stavolta ho davvero un po' d'ansia. Questo posto puzza di depravazione e perversione, tra questi uomini adulti che sanno di alcol puro e sudore.
«Sanno che sei con me. Non ti guarderanno neanche», sbuffa, infastidito dalla mia insistenza.
Annuisco, convincendo me stessa a dargli ascolto.
«Torno subito», dice prima di sparire dentro quello che sembra un camerino.
La situazione è palesemente assurda. Non sono solita ad assistere ad un incontro, che sicuramente è illegale, di box dal vivo. L'unica cosa spericolata che ho fatto nella vita è uscire di casa per portare fuori il cane della mia vicina in piena pandemia. Non sono pronta a fare questo.
D'altro canto, però, non posso ignorare le gambe che mi tremano e i fremiti che sento in tutto il corpo. Non posso far finta che tutto questo non mi ecciti almeno un po'.
Sono sempre stata una ragazza solitaria, non mi piacciono le feste, non mi piace la vita sociale. Non ho mai fatto niente che mi ricorderò quando sarò vecchia. Per questo, forse quest'esperienza, che mi mette i brividi, potrebbe anche rivelarsi interessante.
In fondo, io devo solo guardare, no?
Thomas ci è sicuramente già stato e altrettanto sicuramente ha già fatto questo genere di cose. Non dovrei avere nulla di cui preoccuparmi.
«Signori e signore», strilla il tizio che prima ha parlato con Thomas, al centro, dentro la gabbia, «Oggi assistiamo all'incontro più atteso di sempre. Il nostro campione, Walker, contro Parker.» Tutti iniziano a strillare e ad applaudire.
Io ho ancora più brividi. Mi sento eccitata come se fossi lì, al posto di Thomas, a godermi gli applausi e le urla delle persone che tifano per me.
Quando vedo Thomas entrare nella gabbia, il mio cuore si ferma. Indossa solo dei pantaloncini sportivi ed è a torso nudo.
Porca puttana, Ariel!
Mi soffermo sul suo addome robusto, guardo ogni singolo addominale e i solchi che li dividono, e per un istante penso che vorrei passarci la lingua, nel modo più lussurioso possibile. È pieno di tatuaggi sul petto e sull'addome, ma non ne intravedo nemmeno uno colorato, sono tutti neri. Ha pochissimo spazio libero e mi chiedo quando abbia iniziato a tatuarsi, per arrivare ad oggi così completamente pieno. E mi chiedo dove se lo farebbe, se volesse farsene uno nuovo.
Passo al bacino stretto, e alle cosce possenti, e penso che vorrei testarne la durezza, solo perché sembrano troppo vigorose per appartenere ad un essere umano.
Sono a corto di salivazione mentre lo osservo in tutta la sua potenza, e quando i suoi occhi s'incastrano nei miei, ricambiando il mio sguardo, sento il corpo andare a fuoco, così decido di distoglierlo e portarlo sulle mie scarpe, per riprendermi e riacquistare lucidità.
Dio, ma è sceso dall'olimpo?
All'inizio girano uno intorno all'altro, come per decidere chi attaccherà per primo. Poi, Parker decide di iniziare dando un pugno a Thomas, che lo schiva prontamente e contrattacca, piazzandogliene uno proprio nel naso, che inizia subito a sanguinare.
Vorrei distogliere lo sguardo, ma proprio non ci riesco. Vedere i muscoli delle braccia di Thomas guizzare ad ogni pugno, mi fa perdere il lume della ragione.
Parker attacca di nuovo, ma neanche questa volta riesce a colpire Thomas, che lo colpisce sull'addome, facendolo piegare in due. Poi ne approfitta per tirargli un altro pugno sul viso e Parker crolla a terra. A quel punto Thomas gli si posiziona sopra e continua a colpirlo, talmente senza pietà che stavolta sono costretta a distogliere lo sguardo da quella visione orribile.
***
Mi ritrovo in macchina, seduta, ad aspettare che quell'incosciente di Thomas torni. Quando ha finito di colpire l'avversario, mi ha detto di aspettarlo in macchina mentre si cambiava. Non ha neanche un graffio, e la cosa mi fa pensare che combatta quotidianamente. Il problema è che non sono ancora riuscita a capire se la cosa mi ecciti o mi spaventi. Forse entrambe.
Dopo cinque minuti di attesa, Thomas entra in auto e mette subito in moto, senza neanche degnarmi di uno sguardo o di una spiegazione.
Ma lui non deve spiegazioni a nessuno, non dipende dalla volontà di nessuno, se non della propria.
«Hai saltato la lezione solo per combattere?» gli chiedo, dato che la cosa mi sembra assurda e incomprensibile.
Nonostante io sia la prima a cui non piace andare all'università ogni giorno, anzi, lo vedo proprio come un peso, ma sono una ragazza che tiene conto dei propri impegni.
Eppure, oggi sono venuta qui con Thomas, ignorando del tutto i miei compiti.
«No, avevo altri programmi, ma una ragazzina fastidiosa ha deciso di unirsi a me, perciò ho dovuto cambiare divertimento», mi dice.
È stranamente di buonumore. Cioè, voglio dire, non che sia felice, ma perlomeno non è scorbutico come sempre. Evidentemente combattere lo fa sentire bene, credo sia una valvola di sfogo per lui, ed ora capisco perché ci tiene a farlo. Quando è entrato a lezione, con quella sua aria nervosa, insistendo per andarsene, era di umore pessimo. Mentre ora, dopo aver combattuto, ed evidentemente, aver sfogato la sua rabbia, è abbastanza stabile e sembra in uno stato di benessere.
«Perché lo fai?» gli chiedo, quindi, cercando di capire se le mie intuizioni siano giuste.
Alza le spalle e guarda fisso nella strada, «Fatti i cazzi tuoi, Sirenetta.» Ed eccolo: il solito arrogante. Ma, nonostante ciò, il suo tono non è sprezzante come al solito, ma me lo dice in modo calmo e tranquillo, nonostante le sue parole siano taglienti.
«Smettila di chiamarmi così», lo sgrido, cambiando argomento, dato che non otterrò alcuna spiegazione da lui.
Curva appena il labbro, come per fare un mezzo sorriso. «Perché, Sirenetta?» Calza l'ultima parola, scandendola bene, lettera per lettera, solo per infastidirmi.
Adesso ti tiro uno schiaffo, Thomas Walker.
«Mi da fastidio, Walker.» Cerco d'infastidirlo, ma non credo che essere chiamato per cognome gli dia fastidio, anzi, credo che un po' lo compiaccia, perché crea quella specie di distacco tra due persone. Chiamare qualcuno per nome, comunque, è una sorta di gesto intimo, più confidenziale, mentre chiamarlo per cognome spezza quella familiarità, e credo che lui non voglia avere legami con nessuno, a parte la sua cerchia ristretta.
«Ma se ti bagni ogni volta che ti ci chiamo», dice con la sua voce sensuale, continuando a guardare fisso la strada davanti a noi. Lo dice con naturalezza, eppure le sue parole escono seducenti a livelli estremi.
Cosa?
Credo di aver capito male.
Mi schiarisco la voce, cerco di ignorare le farfalle nello stomaco che mi ha causato la sua affermazione e cerco di spazzare via la consapevolezza che sia dannatamente vero.
«Ti ripeto, Walker, neanche se fossi l'ultimo uomo sulla terra mi faresti bagnare, come dici tu», ribatto, ma le mie parole escono poco convinte.
Non so se sono davvero così brava a nascondere le emozioni, ma almeno ci provo.
Punta gli occhi sui miei per qualche secondo prima di tornare a guardare la strada. «Menti pure a te stessa, ma non a me. Sappiamo entrambi che se volessi scoparti l'avrei già fatto.»
«Tiratela di meno, Thomas, io non ti vorrò mai», dico con tono autorevole.
Ed è vero. Per quanto sia incredibilmente bello e attraente, non andrò mai a letto con una persona così. È pericoloso. Ed io ho bisogno di serenità nella mia vita.
Eppure, sono attratta dal fuoco.
Sorride appena. «Ragazzina, non mentirmi», dice prima di fermare l'auto, dato che siamo arrivati a casa mia.
Ma come fa a sapere dove abito?
Glielo sto per chiedere, quando i suoi occhi puntano i miei, attirandoli come una calamita, e la sua mano mi tocca la coscia, strizzandola appena. Ogni terminazione nervosa del mio corpo si aziona. Mi irrigidisco all'istante e sussulto per quel contatto inaspettato, ma che mi fa vibrare l'anima.
Mi fa dannatamente male, mi stringe la coscia in una morsa d'acciaio, così potente da farmi mancare il fiato. Ma è una sensazione allo stesso tempo piacevole. Sento la pelle andare a fuoco dove lui la tocca, con una presa così decisa da costringermi a chiedere come sia, sentire queste mani su di me, mentre siamo a letto. Sentirle ovunque, in tutto il mio corpo, che viaggiano per le mie forme, fermandosi e stringendo quelle che adora di più.
Si avvicina pericolosamente al mio orecchio, tanto che riesco a sentire il suo profumo che mi inebria i sensi, che mi costringe a chiudere gli occhi per godere di quella sensazione devastante.
Dovrei togliergli la mano da me, allontanarlo e persino arrabbiarmi per essersi permesso di toccarmi, ma non ci riesco. Sono come paralizzata sotto il suo tocco, completamente assuefatta e volubile. Potrebbe sgretolarmi con un dito se volesse, ed io non mi muoverei.
Vedo la sua mano, grande e forte, sulla mia coscia che sembra così esile, in confronto a lui. Il contrasto con la sua pelle scura e tatuata e la mia candida mi crea una voragine alla bocca dello stomaco.
«Non riusciresti mai a resistermi, ragazzina», mi sussurra all'orecchio, prima di lasciarmi andare la coscia. «Adesso vai», mi ordina poi.
Non so se sia per quello che è appena accaduto, ma sono così confusa che decido di obbedirgli ed uscire dall'auto in risoluto silenzio.
Mi guardo per un istante, ormai da sola, il punto che lui ha toccato e vedo un arrossamento enorme proprio lì. Sicuramente mi verrà un livido.
Dovrei esse furiosa, cazzo, ma perché sono ancora così eccitata?
Mi chiedo cosa diavolo sia appena successo, e soprattutto, perché la coscia, che è ancora dolorante, mi crea una reazione così piacevole da volerla risentire subito?
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