30 Rebecca.
-Sei sicura che vada bene?- chiese Philip a sua figlia. -Perché se ti dovesse dispiacere, rimaniamo qui a casa.-
-Papà, ne abbiamo già parlato.- Rebecca chiuse definitivamente la sua valigia, mettendola poi ai piedi del letto. -È vero che io e Christopher non siamo in buoni rapporti, ma non è detto che perché noi non lo siamo allora dobbiamo venire meno alle tradizioni di famiglia. Stiamo a Natale con i Cooper ogni anno, in più quest'anno andremo in periferia di New York e tu sai quanto mi piaccia girare a Manhattan senza una meta.-
Philip sospirò e osservò con attenzione sua figlia, forse cercando un qualsiasi segno di incertezza sul suo viso. Infine -D'accordo, non insisto più.- disse. -Ti aspetto di sotto per caricare le valigie in macchina.-
Rebecca annuì e cercò di fare mente locale su ciò che le sarebbe servito durante il viaggio a New York. Sarebbero stati via solo undici giorni, ciononostante aveva preparato una valigia piena di vestiti e un bagaglio a mano stracolmo di altre cose. Infondo era una ragazza e le ragazze hanno bisogno di portarsi dietro il mondo nonostante finiscano poi per usare solo la metà delle cose portate. In più, da quanto Rebecca aveva cominciato a vestirsi come Beth, aveva un doppio lavoro da fare nella scelta dei vestiti. Prima era facile, Rebecca e Beth avevano uno stile completamente diverso l'uno dall'altra. Rebecca era elegante, cercava di essere sempre aggraziata, Beth invece metteva ciò che voleva. Da quando Rebecca stava cercando di unire le sue personalità si poneva ogni volta il dubbio su cosa indossare. Spesso si sentiva più Rebecca e vestiva in modo classico, altre volte più Beth e metteva vestiti provocanti. Stava di fatto che il suo cervello era in pappe, soprattutto dovuto ai farmaci che il dottore le aveva prescritto e che lei prendeva da una settimana, e questo non aveva per niente giovato alla preparazione delle valigie.
In più, il solo pensiero di passare con Christopher più di dieci giorni insieme, nella stessa casa, la disturbava e non poco. Il sabato prima, quando lei lo aveva abbracciato, lo aveva fatto con tutti i buoni propositi se solo lui avesse ricambiato. Avrebbe voluto scusarsi, chiedere il suo perdono, fargli capire che lui, per lei, era ancora importante. Invece Chris non aveva ricambiato. Era rimasto immobile nonostante lei gli avesse detto che aveva ballato così bene per lui e solo per lui. Questo aveva distrutto Rebecca ancora un po', ma per il bene della sua famiglia e la loro serenità aveva cercato di nascondere i suoi veri sentimenti dietro ad una maschera di stanchezza dovuta al saggio.
In effetti non le fu così difficile mostrarsi stanca, perché lo era davvero. Rebecca aveva sentito così forte e chiaro il saggio dentro di sé che questo le aveva prosciugato ogni energia. Almeno aveva ricevuto dei risultati, perché gli osservatori della Juilliard l'avevano notata. Le avevano fatto i complimenti e avevano chiesto con lei un colloquio a New York con tanto di provino. Anche questo agitava Rebecca ma in senso positivo. Infondo, la Juilliard era il suo sogno, avrebbe fatto di tutto per entrarci. Anche provare e riprovare per giornate intere ininterrottamente. Perché ballare era il suo sogno, e lo avrebbe realizzato.
Quindi andare a New York per le vacanze natalizie non sarebbe stato poi tanto male contando il fatto che avrebbe avuto l'opportunità di fare un provino alla Juilliard e di osservare Christopher appena sveglio tutte le mattine. Quel ragazzo era bello quanto una divinità e Rebecca lo aveva avuto sempre davanti agli occhi senza mai rendersene conto. Lo conosceva da una vita ma solo negli ultimi mesi aveva scoperto la sua vera personalità. E, purtroppo o per fortuna, quella personalità era proprio quello che lei aveva sempre desiderare trovare in una persona. Rebecca non sapeva come mai non se ne fosse mai resa conto, stava di fatto che conoscere Chris in quel modo era stata una benedizione. Grazie a lui aveva scoperto cosa voleva dire essere viva e tornare a vivere, credere nei propri sogni e sviluppare le proprie passioni. Lui era stato la sua salvezza, perché grazie al suo modo di fare le aveva fatto capire che lei valeva e che era importante. E purtroppo era anche la sua maledizione, perché dopo quello che era successo tra di loro Rebecca sentiva di essere tornata a non avere più uno scopo.
Arrivati all'aeroporto di San Diego, Daniel corse subito a salutare il suo amico mentre Rebecca si avvicinò a Vincent e Myranda. -Savannah ci raggiungerà direttamente a New York?- chiese, riferendosi alla loro primogenita che studiava archeologia a Oxford, in Inghilterra.
-Sì e finalmente riusciremo a vederla. È da un anno che nostra figlia non torna a casa, esattamente dalle scorse vacanze di Natale. Aveva da fare alcuni esami e recuperare qualche materia, mi sembra.- disse Vincent.
Ma Rebecca sapeva la verità sul perché Savannah non fosse tornata a casa quell'estate. Comunque non stava a lei spifferare tutto. -Vi mancherà tanto.- asserì, cercando di trattenere un sorriso.
-Molto e penso che quando la vedrò gliene dirò quattro sul suo aspetto. Ti rendi conto che, nelle foto che mi manda, si vede che è ingrassata? Quella ragazza non sa proprio darsi un contegno quando si tratta di cibo.- Rebecca rise alle parole di Myranda, facendole credere che stesse ridendo per quello che aveva detto. -Le ho scritto una dieta da seguire e degli esercizi. Forse il clima inglese non le permetterà di seguirli tutti, ma che almeno ci provi.-
-Non pensi di star esagerando, mamma? Sav non ha bisogno di dimagrire, è bella così com'è.- chiese Christopher, entrando nella conversazione.
-Lo dici solo perché non vuoi seguire neanche tu la dieta della mamma.- esclamò Vincent nei confronti di suo figlio.
-Neanche tu se è per questo.- mormorò Christopher facendo ridere di nuovo Rebecca.
Lo sguardo di lui cadde su di lei per un istante. Solo uno, perché poi distolse lo sguardo. Rebecca smise subito di ridere sentendo una voragine farsi spazio all'interno del petto ma non poteva cedere, non ora che doveva passare con Christopher più di dieci giorni in un altro Stato.
Poco dopo, lasciarono le valigie al check-in e si avviarono per i controlli di sicurezza. Rebecca prese Eros e lo mise nella sua cuccetta da viaggio, fortunatamente il cucciolo era ancora abbastanza piccolo per poter stare sotto al suo sedile, e poco dopo salirono in aereo. Lì ci fu un altro problema, ovvero i posti. Quando erano stati fatti i biglietti, Rebecca aveva insistito affinché Christopher potesse stare accanto a lei. Era riuscita ad ottenere quello che voleva, ma ora come ora desiderava solo allontanarsi il più possibile da lui. -Sono solo sei ore.- aveva detto loro Daniel osservando i loro sguardi truci.
Christopher sospirò ma non ribatté. -Finestrino?- chiese a Rebecca, che annuì.
-Sì, per favore, stare in mezzo mi fa venire il voltastomaco.-
Christopher lasciò Rebecca sedersi vicino al finestrino e posizionare Eros sotto il suo sedile, poi si sedette accanto a lei. -Lo so.- quasi sussurrò, guardando dritto davanti a sé.
Il viaggio fu decisamente imbarazzante ed estenuante, ma le sei ore passarono e ben presto arrivarono a New York. La casa che suo padre e Vincent avevano affittato per le feste era in una zona periferica di New York, dove non c'erano i grandi grattacieli ma solo villette private addobbate a festa. Aveva un grande giardino recintato in legno bianco con su delle luci natalizie, la casa era composta da soggiorno, sala da pranzo, bagno, cucina e terrazza al piano di sotto, al piano di sopra c'erano cinque camere da letto ognuna con bagno adiacente, infine su a tutto c'era la mansarda. Era una casa di per sé umile rispetto allo stile di vita che Rebecca aveva, e le piaceva.
Rebecca si innamorò soprattutto della sua stanza: non era troppo grande e spaziosa, ma era perfetta per lei. Aveva un letto posto alla sinistra della porta d'entrata, direttamente di fronte ad una porta finestra ed era pieno di coperte e cuscini di colore rosa e bianco. A terra, accanto al letto, c'era un tappeto rosa in pelo morbidissimo. Sulla sua destra un armadio rosa antico e accanto all'armadio la porta del bagno. Sulla parete alla sua sinistra erano appese varie fotografie in bianco e nero di New York e, dal soffitto, pendevano delle luci come quelle poste in giardino, che davano alla stanza un'aria magica. -Wow.- disse Rebecca gettandosi a peso morto sul letto, che era anche morbido.
Non appena si stese sentì un'improvviso bisogno di dormire. Come succedeva tutte le volte che doveva tornare ad alzarsi, Rebecca era riuscita a cadere sui cuscini nella posizione più comoda del mondo. Sbadigliò, poi cercò di rilassare i suoi muscoli. Probabilmente quella sarebbe stata la vacanza più difficile nella storia delle vacanze, quindi avrebbe avuto bisogno di riposo. Non ci sarebbe stato niente di male nel riposare e decise di farlo, anche Eros si era steso accanto a lei.
E quel riposino durò poco più di tre ore. Stordita Rebecca si alzò e andò in bagno a sciacquarsi il viso. Dopodiché aprì la sua valigia, con il suo cagnolino che scodinzolava e abbaiava felice perché la sua padrona si era svegliata. Con fatica Rebecca inserì ogni suo abito nell'armadio, poi chiuse la valigia e la posizionò sotto al letto. Si stiracchiò e guardò fuori notando che stesse nevicando e che fosse già buio, poi un auto gialla attirò la sua attenzione.
-È arrivata Savannah!- urlò, ritrovando l'energia per scendere di corsa le scale. -È arrivata Savannah!- urlò ancora, attirando l'attenzione di tutto il resto delle due famiglie.
Rebecca si incollò alla finestra osservando una ragazza dal lungo cappotto nero e le cuffie a coprirsi le orecchie intenta a prendere qualcosa dal sedile posteriore del taxi. -No, è impossibile che questa sia mia figlia.- mormorò Vincent quando la ragazza estrasse dal sedile un ovetto per passeggini che mise poi sulla sua base.
La ragazza prese una valigia, poi pagò il taxi, infine si girò verso di loro sorridendo. -Oh mio Dio.- sussurrò Myranda, rendendosi conto che quella ragazza era davvero sua figlia Savannah.
Rebecca si spostò elettrizzata verso la porta e la aprì. Savannah entrò in tutto il suo splendore, con i capelli biondi spettinati dal vento, gli occhi verdi vispi, il naso freddo e il sorriso sulle labbra. Ah, e dopo aver avuto una gravidanza. -Sav!- urlò gettandosi tra le braccia della sua amica. -Sei uno spettacolo!-
-Anche tu, tesoro.- Savannah la allontanò da poco da sé, osservandola. -Ho visto il tuo video del saggio sul blog della scuola. Sei stata unica, penso di non aver mai visto niente del genere in vita mia e hai avuto migliaia di visualizzazioni!-
Rebecca sorrise e tornò ad abbracciare Savannah, dopodiché si staccò e osservò l'ovetto. -Oh, Sav, posso?- chiese, già con le braccia tese. Savannah annuì e lei prese il neonato tra le braccia, rimanendo stupefatta dalla bellezza di quell'esserino minuscolo appena nato.
-Savannah? Ma che diamine..- Rebecca si girò verso Vincent, che aveva gli occhi strabuzzati. Sua moglie era decisamente più shoccata di lui, bianca cadaverica e che faticava a tenersi in piedi. Rebecca diede uno sguardo ai suoi genitori, che erano sorpresi ma decisamente in bene. Chris invece se ne stava seduto sulle scale ad osservare la scena senza dire una parola, mentre Daniel aveva appena raggiunto sua sorella e osservava il neonato quasi con le lacrime agli occhi.
-È bellissimo, Savannah. Ti assomiglia tantissimo.- disse Daniel, dando un bacio a Savannah.
-Assomiglia anche al padre.- mormorò Savannah sorridendo con dolcezza a suo figlio.
Vincent avanzò di qualche passo verso sua figlia. -Sav, cos'è successo in un anno? Vorresti spiegarci? Questo bambino è tuo figlio?-
-Papà, non ti scaldare tanto- disse Savannah, muovendo la mano come a dire di lasciar perdere.
-Non deve scaldarsi? Savannah, hai avuto un bambino!- urlò sua madre riprendendosi dallo shock. -E il padre dov'è? Che fine ha fatto? Oh, sapevo che non dovevamo lasciarti andare a studiare così lontano da casa!- Myranda si portò una mano tra i capelli, Rebecca non aveva mai visto quella donna così agitata. Myranda era stata una giornalista, aveva sviluppato negli anni la fermezza di non cedere davanti a nessuna notizia, aveva sempre avuto il coraggio di andare fino in fondo alla questione. Ora, invece, sembrava voler scomparire, nella speranza che tutto si rivelasse solo un brutto sogno.
Jocelyn si avvicinò a Myranda e le accarezzò un braccio. -Ciò che tua madre vuole chiederti, Sav, è come sia successo e perché non ne hai parlato con loro prima. Avrebbe potuto aiutarti, ognuno di noi lo avrebbe fatto.-
-E poi vorrei sapere anche come faceva Rebecca a saperlo.- continuò Philip avanzando verso di loro e baciando sulle guance la ragazza. -Ti trovo benissimo, comunque.-
Savannah sorrise. -Grazie, Philip. E Rebecca lo ha scoperto da sola, sa essere molto investigativa quando vuole.- Rebecca sorrise e accarezzò di nuovo il piccolo che aveva preso a giocare con il suo indice e a fare espressioni strane. -Mamma, papà.. semplicemente è successo, non c'è tanto da dire.- Savannah alzò le spalle, i suoi genitori la guardarono male di nuovo.
-Penso che lo sappiano come si facciano i bambini, Sav.- disse Christopher avvicinandosi a loro. -E il papà è scappato via quando ha scoperto quanto sei pazza? È andato anche lui in Messico?» Savannah rise, poi scosse la testa.
-No, ma ha deciso di scappare perché non aveva le palle di affrontare ciò che ne sarebbe susseguito. Ho deciso di tenere il bambino e penso sia stata la scelta migliore che io abbia mai fatto in tutta la mia vita.- Christopher si avvicinò a Rebecca e accarezzò il viso del bambino.
-Avete fatto davvero un bel lavoro, Savannah. Mio nipote è davvero un bambino stupendo.-
Rebecca sorrise e osservò il viso di Chris notando che, in effetti, il neonato assomigliava molto anche a lui. -Il padre si è dato decisamente da fare.-
-Savannah!- la ammonì suo padre.
-I bambini non sono uno scherzo, tesoro.- mormorò sua madre avvicinandosi. -Crescerli richiede sforzi e sacrifici. Come farai con l'università e con il lavoro?-
-Mamma, questo bambino è la cosa più bella che mi sia mai capitata.- Savannah si avvicinò ai suoi genitori, prese loro le mani. -Io non so come farò, ma so che per lui farei qualsiasi cosa. Jason è la mia gioia, la mia forza ogni giorno, è la mia parte migliore. Diventare mamma non era nelle mie scelte ma è successo, ed io so che, se è successo, un motivo ci sarà. Forse non sarà tutto rose e fiori,- Rebecca osservò gli occhi di Jason, poi la mano di Christopher accarezzargli il viso. -sicuramente sarà difficile conciliare tutto. Ma so per certo che ogni sforzo che farò per crescerlo ne varrà la pena. Il semplice fatto che lui sia con me mi riempie il cuore di gioia.- Rebecca deglutì sentendo il calore del corpo di Chris sempre più vicino al suo, quasi a sfiorarsi. Sapeva che l'unico motivo era quello di osservare Jason, ma quel contatto le piaceva. -Quando la mattina mi sveglio, la prima cosa che faccio è osservarlo. Lui si sveglia sempre prima di me e rimane ad osservare la giostrina sulla culla mentre è ferma e quando mi vede sorride a più non posso. E quando lo prendo in braccio, poi, mi guarda con i suoi occhi marroni e la bocca sdentata ed io vorrei solo riempirlo di baci e spupazzarlo. Sa quando deve stare in silenzio, all'università e al lavoro lo porto sempre con me e avrà anche un mese ma capisce tutto ciò che gli dico. Suo padre ha deciso di non dargli neanche il cognome, e ogni volta che lo vedo cerco di fargli capire cosa si sta perdendo. Ripeto, so che sarà difficile, lo è già adesso, ma qualsiasi cosa io faccia, quando la faccio pensando a lui, ne vale la pena.-
Christopher sospirò e Rebecca sentì l'aria solleticarle la guancia. Si girò verso di lui e osservò i suoi occhi, il blu oltremare sembrava in subbuglio. -È tutto okay?- chiese lei, quasi timorosa di una risposta.
-Sì, credo.- mormorò lui. -È solo che.. io mi sento.. non lo so, non ne ho idea.- Rebecca accennò ad un sorriso, notando quanto buffa fosse la faccia di Chris in quel momento. -È che vedendoti con un bambino in braccio mi ha fatto pensare a tante cose. E di certo il discorso di mia sorella non aiuta.- quasi sussurrò Christopher, tornando ad abbassare lo sguardo. -Vado di là.- disse poi, girandosi.
-No, aspetta.- lo fermò lei prendendolo per un polso. -Sta qui con loro, Chris.- Rebecca accarezzò un'ultima volta il volto di Jason, poi lo lasciò tra le braccia di Chris. -Penso che tua sorella abbia bisogno anche di te adesso.-
Christopher annuì e sorrise osservando suo nipote. Rebecca invece si girò e salì le scale, finendo poi per chiudersi in camera sua e gettarsi di nuovo sul letto. Non si era neanche svegliata da un'ora e già Christopher l'aveva mandata in confusione. Cosa aveva pensato Chris? Perché il discorso di Savannah lo aveva colpito così tanto? E perché lei doveva essere così debole, scoppiando a piangere per ogni minima cosa? In quelle due settimane dopo la visita dello psichiatra aveva provato a non farlo. Ci aveva provato, ogni volta, senza però avere successo.
Accadeva tutto in un attimo. Succedeva che stava bene, che non pensava a nulla, poi un minimo cambiamento della situazione la mandava in confusione e ne derivava una crisi di pianto stratosferica, con tanto di singhiozzi e mancamento d'aria. Gli attacchi di panico, poi, non aiutavano per niente. Le pillole del dottore erano servite a diminuirne la quantità, ma l'intensità era sempre la stessa. Forse è solo perché devono ancora fare effetto, si diceva sempre. E poi scoppiava a piangere perché ricordava di essere lei la causa di tutti i suoi problemi, e che se non fosse cambiata interiormente non sarebbe nemmeno guarita.
In quei giorni ogni minimo cambiamento di situazione la faceva preoccupare. Quand'era tornata a scuola aveva provato a mettere da parte il suo malessere, ma tra una lezione e un'altra si ritrovava sempre a correre per arrivare in classe così da non vedere nessuno, e a pranzo aveva scelto di stare fuori da sola o con Archie. Lui, che conosceva i sentimenti della sua amica, era stato disposto a lasciare il suo posto privilegiato a pranzo per passarlo con lei sul prato. Rebecca si rifugiava tra le sue braccia dopo aver mangiato e, senza farsi sentire, cominciava a piangere sul petto di Archie per sfogare, seppur in minima parte, ogni sentimento negativo o paura. Se fosse stato per Rebecca, sicuramente non sarebbe tornata a scuola. Ma il dottore glielo aveva praticamente imposto e lei voleva provare a guarire, quindi doveva farlo
Parlando di Edge, un po' l'aveva ferita non vederlo al saggio, ma già sapeva che non ci sarebbe stato. Quel sabato pomeriggio le aveva detto che aveva avuto un contrattempo con suo figlio e che quindi non ci sarebbe stato. Pazienza, si era detta Rebecca. Tanto non è per lui che devo ballare.
No, lei avrebbe ballato solo per Christopher e lo aveva fatto solo pensando a lui. Nonostante tutto, era ancora la sua forza, perché lui le aveva promesso che sarebbero stati delle aquile e ormai Rebecca doveva spiccare il suo volo. Quando la ragazza aveva cominciato il primo balletto e aveva visto Chris seduto lì, accanto a suo fratello, aveva trovato la forza per ballare ancora meglio. Voleva essere perfetta, sublime, voleva che lui la guardasse con ammirazione e venerazione ed era riuscita a suscitare in lui quelle emozioni. Rebecca aveva aspettato con ansia che il saggio finisse solo per poterlo rivedere. Quando Chris le aveva fatto i complimenti, poi, lei non era riuscita a trattenersi dall'abbracciarlo. Quel contatto aveva consolidato in lei l'amore per lui e peccato che lui avesse abbattuto ogni sua azione non ricambiando l'abbraccio, facendola sentire di troppo, non voluta, non amata. Rebecca aveva assistito al colloquio con i ricercatori della Juilliard con le lacrime agli occhi. Poi, tornata a casa, aveva salutato i suoi velocemente ed era andata a farsi una doccia nonostante ne avesse già fatta una, ma solo per mascherare i singhiozzi e il pianto per la delusione.
E si era ritrovata a piangere a singhiozzi anche quella sera, non prima di aver messo una canzone in sottofondo però, per non destare sospetti in nessuno.
Cosa sarebbe successo nell'arco delle vacanze? Come avrebbe fatto Rebecca a resistere? Sarebbe stato un vero incubo, ma ormai doveva essere pronta a sopportarlo.
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