28 Rebecca.

«Hei, tesoro, sei pronta?» le aveva chiesto sua madre, entrando in palestra. Era passata un'altra settimana, era sabato, mancava esattamente un'altra settimana al saggio e ormai pochi minuti al primo colloquio con lo psichiatra che i suoi genitori avevano chiamato per aiutarla ad affrontare i suoi problemi. 

Rebecca sorrise in modo forzato spegnendo la musica. «Sì, arrivo» disse, guardandosi un'ultima volta allo specchio e sospirando. Fortunatamente aveva cominciato a danzare da poco, almeno non era sudata né aveva la pelle appiccicata perché si prospettava una lunga mattinata, che sperava finisse il prima possibile. 

Seduto in salotto, con un block notes in mano, gli occhiali poggiati sul naso e una mano a tenergli il mento, c'era Douglas Edge, uno degli psichiatri più importanti della California. Rebecca rimase ad osservarlo per qualche secondo sulla porta prima di sedersi sul divano. Era piuttosto giovane e in forma a differenza di ciò che Rebecca aveva pensato. E sapeva anche vestirsi bene. Aveva un tre pezzi azzurro, i capelli neri portati spettinati, gli occhiali dalla montatura spessa, le mani ben curate. Al polso aveva un Rolex da diecimila dollari e una fede d'oro quasi più grande di quella che avevano i suoi genitori. Se la passa bene lo psichiatra, pensò Rebecca. Quando poi Douglas la guardò, quasi venne ipnotizzata dagli occhi verdi del dottore. Erano verdi, quasi verdi come quelli di Beth. Possibile che fossero veri? Le parve strano. 

«Tu devi essere Rebecca» il dottore si alzò, aveva una corporatura robusta, probabilmente dovuta alla palestra. «Io sono Douglas Edge, è un piacere conoscerti» 

«Anche per me» mormorò lei, osservando gli occhi del dottore. «Usa lenti a contatto?»

Il dottore sorrise un po' stranito. «Come, scusa?» 

«I suoi occhi. Sono troppo verdi. Usa lenti a contatto?» 

Douglas rise e la invitò ad accomodarsi sul suo divano. «No, non uso lenti a contatto, Rebecca. I miei occhi sono naturali» 

Rebecca annuì. «Capisco» mormorò. «È che io le usavo, Beth lo faceva.. il colore dei miei occhi diventava come il suo» 

Lo psichiatra prese il suo taccuino. «Perché le usavi?» 

«Non lo sa?» il dottore alzò le spalle. «Lei non sa perché è qui?» 

Douglas si sporse in avanti e le sorrise. «Perché non provi a dirmelo tu?» 

Rebecca restò in silenzio per un paio di minuti, non sapendo cosa da dire, da dove cominciare. «Immagino di doverlo fare dal principio» mormorò, più a sé stessa che al dottore, che cominciò ad appuntare qualcosa sul suo block notes. «Per anni sono stata due persone diverse» 

«Due persone diverse? Spiegati meglio» 

Rebecca osservò Douglas, la sua postura, il suo atteggiamento. Anche se odiava il fatto che prendesse appunti su qualsiasi cosa, era certa che a lui interessasse davvero aiutarla. «Lei è uno di quei dottori che non lavora per il denaro ma perché vuole davvero aiutare qualcuno, vero?» chiese Rebecca e il dottore mise per un attimo da parte il suo taccuino. 

«I soldi sono importanti, ma non più importanti delle persone. Potevo scegliere di diventare qualsiasi cosa, ma ho scelto qualcosa che mi desse vere soddisfazioni nella vita, come il vedere una persona dal quasi suicidarsi al dirigere un gruppo di sostegno emotivo per chi ha avuto dei traumi come lei. Ora, io ti ho detto qualcosa di me. Ti va di dirmi qualcosa di te?» 

«Cosa c'è da dire?» chiese Rebecca stendendosi e portando le gambe sul divano. «Io e Beth siamo la stessa persona ma due varianti diverse. Lei è tutto ciò che io non sono e mi piace essere lei. Lei è libera, seducente, attraente, seduttiva, non si fa mettere i piedi in testa da nessuno, è forte, può fare ciò che vuole. Io invece sono un involucro triste, solo, che si sente oppresso»

«Quando è venuta fuori Beth?» 

«Quando Terrence è morto» 

«Terrence era il tuo ragazzo?» 

«Era mio fratello» Rebecca sospirò, chiuse gli occhi ricordando il viso di suo fratello. «Lui mi chiamava Beth. Così io ho deciso di isolarmi dal dolore creando una persona diversa. Ha funzionato, sa? Beth è riuscita a portare via un po' di dolore. Poi con Christopher lei era fantastica.. Vorrei non essere due persone» 

Rebecca cominciò a ragionare in modo quasi sconnesso, ma Douglas Edge riuscì a fare le domande giuste per capirci qualcosa. Parlò con lui dell'inizio del suo percorso come Beth, delle emozioni che aveva provato all'inizio, del fatto che non lo sapesse nessuno se non suo fratello e i professori. Da quando Terrence era morto, essere Beth era l'unica valvola di sfogo per Rebecca che, per cause che non dipendevano da lei, era finita per vivere una vita che non considerava giusta. 

Quasi a fine seduta le diede da fare dei test psicoattitudinali che, in concordanza con la sua diagnosi, confermarono che Rebecca aveva un disturbo da doppia personalità, seppur iniziale, assieme ad una profonda depressione. Questo aveva destabilizzato Rebecca, che aveva sempre temuto di soffrire di depressione, ma il dottore l'aveva rassicurata dicendo che con della buona psicoterapia, i farmaci giusti, sedute regolari, attività fisica e un programma sano, tutto sarebbe andato per il verso giusto. «Fidati di me, Rebecca. Ne usciremo insieme e vincitori da questa storia. Nel frattempo, sai cosa posso consigliarti? Di non lasciare la scuola, né di abbandonare la danza. Torna a studiare e impegnati per il saggio, sono sicuro che andrai benissimo e prometto che verrò a vederti con mia moglie sabato prossimo se non dovessero sorgere imprevisti. Okay?» 

«Va bene» aveva annuito Rebecca, seppur stordita. «Ma quindi.. quando sento il cuore battere forte e mi viene voglia di piangere e mi sento girare la testa e mancarmi l'aria, è dovuto alla depressione?» 

«È dovuto agli attacchi di panico» Il dottore le passò un foglietto. «Qui ci sono dei farmaci che dovrai prendere tre volte al giorno. Non spaventarti per la quantità, tra qualche mese, quando starai meglio, diminuirà. Sono dei farmaci per la depressione e gli attacchi di panico. Hanno degli effetti indesiderati ma spariranno quando il tuo corpo si sarà abituato» 

«E lo farà presto?» 

«Molto dipende da quanto sei determinata tu a guarire»

«Io lo sono» disse subito Rebecca con non troppa convinzione. «Lo sarò, più che altro..»

Il dottore le sorrise un'ultima volta e presero appuntamento per il sabato successivo, il sabato del saggio. Rebecca e la sua famiglia salutarono educatamente il dottore, poi Rebecca aspettò che la porta si chiudesse per gettarsi tra le braccia del padre e scoppiare in un pianto liberatorio. «Christopher aveva ragione, papà. Sono malata davvero» disse tra i singhiozzi e Philip osservò sua moglie, poi di nuovo sua figlia. 

«Ne usciremo insieme, piccola. Lo sai, vero, che saremo le tue palle al piede finché non guarirai? Uhm?» Rebecca continuò a piangere tenendo stretto il collo di suo padre. «Passerà tutto, tesoro. Te lo prometto, capito?» 

Rebecca annuì ma non si staccò dalle braccia del padre. Si ritrovò a tornare bambina, quando da piccola correva dal papà per qualsiasi cosa, che fosse perché Daniel la chiamava rompiscatole o perche cadeva dalla bici. Si ritrovò a pensare a quando, da bambina, considerava suo padre la sua roccia, il suo punto fermo, l'uomo migliore del mondo, il suo unico riparo dal vento. Rebecca capì che il tempo era passato, lei non era più una bambina, oramai si poteva definire quasi una donna, ma suo padre rimaneva la sua roccia e il suo riparo dal vento, il luogo più sicuro in cui si fosse mai riparata. Suo padre ci sarebbe stato sempre. L'avrebbe amata sempre. L'avrebbe aiutata sempre.

Rebecca lo sapeva. Fu per questo che si staccò dal petto di suo padre e lo guardò negli occhi. «Ti voglio bene papà» sussurrò.

«Lo so, piccola. E te ne voglio anche io»

Dopo ciò, Rebecca tornò in camera sua non avendo fame. Si sedette sul divanetto sotto la finestra e osservò fuori, non soffermandosi tanto sul paesaggio quanto sulle sue emozioni. All'interno si sentiva devastata, vuota, priva di ogni contentezza o spensieratezza. Rebecca si sentiva svuotata dopo la diagnosi che aveva avuto, ma in realtà un po' se lo aspettava. 

Dopo la morte di Terrence niente era più stato come prima. Per due intere settimane dopo l'accaduto, Rebecca non aveva parlato con nessuno. Per due mesi non aveva danzato. Per anni aveva deciso di non farsi più amici, per paura che potessero abbandonarla. Si era chiusa in sé stessa, si era sempre limitata a sopravvivere ad una vita che non voleva più vivere. Non aveva voluto farsi seguire da uno psicologo o seguire le sedute che i suoi genitori e suo fratello facevano come famiglia, sapeva già di stare male. Non voleva farselo diagnosticare e far preoccupare ulteriormente i suoi genitori, o suo fratello. 

Gli anni poi erano passati e con l'aiuto di Beth le cose erano più o meno migliorate. Più o meno, perché Beth aveva incasinato tutto con Christopher e questo aveva alterato un'altra volta il benessere psicofisico di Rebecca. 

Ormai niente più aveva senso, ma non poteva lasciarsi andare. Non ad una settimana dal saggio, non ora che la Juilliard era alle porte, non ora che la sua famiglia le era così accanto ed era toccata da quello che le stava succedendo. Non poteva far loro del male. Doveva provare ad alzarsi, ascoltando i consigli che le venivano dati, fidandosi della sua famiglia, facendo sì che fosse la loro forza ad alimentare la sua. 

In preda ai pensieri, non si rese conto di essere osservata. Dopo un po', qualcuno bussò alla porta e Rebecca si girò verso il rumore notando con piacere che Archie e Timothy erano all'entrata, con in mano un grande pacco rosso con su un fiocco bianco. «Hei, ma cosa?» chiese Rebecca, non trovando esattamente le parole. Si alzò e si avvicinò ai suoi amici. 

«Be', sorpresa!» urlarono i ragazzi in coro, porgendole il pacco. Rebecca lo prese un po' titubante e si sentì confusa quando sentì il pacco muoversi e.. abbaiare? «Perché non lo apri?» 

Rebecca non se lo fece ripetere due volte. Mise a terra la grande scatola rossa e tolse il fiocco bianco. La scatola si aprì in quattro e, dal suo interno, uscì un meraviglioso cucciolo di shiba inu dal pelo marroncino e bianco, dal musetto allungato e gli occhi verdi vispi. Abbaiò un paio di volte prima di leccare il viso di Rebecca che, ancora stordita, prese il cucciolo tra le mani e lo abbracciò. «Voi mi avete- mi avete-»

«Regalato il cucciolo di cane che hai sempre sognato da che eri bambina ma che i tuoi non ti hanno mai voluto regalare? Certo» Archie si inginocchiò accanto a lei. «Ti piace?» 

Rebecca accarezzò sulla testa il cucciolo che parve sorridere. «Se mi piace? È una meraviglia. È- è bellissimo»

Timothy si sedette a terra assieme ai suoi amici e diede una carezza al cucciolo. «Un'amica di mia madre aveva una cucciola che ha partorito ad ottobre. Due dei tre cuccioli è riuscita a darli via, lui invece voleva tenerlo con sé ma ha avuto dei problemi e ha dovuto darlo via. Ho colto la palla al balzo, ne ho prima parlato con i tuoi che mi hanno dato il via libera. È di razza e ha tutta la documentazione, già ha il microchip e le prime vaccinazioni. Tutto ciò che devi fare è dargli un nome e firmare questo foglio che attesta che adesso ne sei tu la padrona»

Rebecca abbracciò Timothy di getto. «Grazie Tim, è davvero fantastico. Io non so cosa dire» 

«Non c'è niente da dire. È un regalo che abbiamo voluto farti io e Archie perché entrambi sappiamo cosa vuol dire avere l'amore di un cane. Non sarà come l'amore che può darti un essere umano ma credimi, a volte è molto meglio»

Rebecca sorrise dolcemente, poi abbraccio anche Archie. «Che ne dici se lo portiamo a fare un giro al parco? Magari possiamo prenderci un gelato e approfittarne della bella giornata. Sei chiusa in casa da due settimane, penso sia arrivato il momento di respirare un po' d'aria fresca» 

Un po' titubante, Rebecca guardò il cucciolo. Scodinzolava e aveva la lingua a penzoloni. Era piccolissimo, aveva un viso dolcissimo, ed era decisamente voglioso di uscire. Così «Va bene» disse e poi si alzò. Lasciò il cucciolo tra le braccia di Tim, nel mentre prese un maglioncino rosa, un jeans aderente tagliato sulle ginocchia e delle scarpe rosa. Dopo essersi  vestita e aver pettinato i capelli, tornò in stanza e trovò i suoi amici a ridere assieme al suo nuovo cucciolo di cane e suo fratello. «Questo cucciolo è uno spasso, Becky. Hai già scelto come chiamarlo?» 

«Penso Eros» mormorò Rebecca prendendo il collare che c'era dentro la scatola aperta e mettendolo al suo nuovo cucciolo. «Eros è il dio dell'amore nella mitologia greca e questo cucciolo è sia un dono d'amore che un'amore. Quindi lo chiamerò Eros» 

«Eros, mi piace» Daniel sorrise a sua sorella. «Sei bellissima, Becky»

Rebecca abbassò le sguardo e mise il guinzaglio ad Eros. «Lui lo è molto di più. Vero, piccolo Eros?» Eros abbaiò. «Ha appena detto che lo è»

I ragazzi risero, poi si alzarono da terra. «Allora andate a prendervi un gelato. Verrei anch'io, ma ho promesso ad Evelyn che ci saremo visti oggi pomeriggio. Vorrei che le cose andassero bene, penso che lei sia fantastica e-»

«Dany, non hai bisogno di spiegarmi il perché tu non venga con noi al parco» sorrise Rebecca a suo fratello, poi lo abbracciò. «Dopo mi racconterai com'è andata, d'accordo?» 

«D'accordo, piccola» Daniel baciò sulla fronte sua sorella. «Ci vediamo dopo»

Rebecca prese poi una giacca e, tenendo Eros in bracciò, uscì dalla sua stanza e poi di casa insieme ai suoi amici. Usciti fuori casa misero giù Eros che, mentre loro parlavano del più e del meno, cominciò ad esplorare la strada che stavano percorrendo. Chissà come sarà crescerlo, si chiese Rebecca. Avere un cucciolo era sempre stato un suo sogno che non aveva mai potuto realizzare perché i suoi genitori non volevano avere animali in casa. Il perché era semplice: Jocelyn aveva paura degli animali, era amante del pulito e Terrence aveva un'allergia al pelo di cane. In passato Rebecca si era rassegnata al non poter avere un cucciolo, ma adesso.. Adesso ne aveva uno tutto per sé da crescere, amare, spupazzare e coccolare. Finalmente

Sapeva d'altronde che crescere un cane sarebbe stato come crescere un bambino. Gli animali hanno bisogno di cure e attenzioni continuamente, hanno bisogno di energie, educazione e immenso amore. E gli animali non ti voltano le spalle, ma ti dimostrano la loro lealtà e il loro rispetto sempre quando tu fai lo stesso con loro. 

Parlando del più e del meno arrivarono al parco. Presero il gelato, poi si sedettero su una panchina e rimasero in silenzio per qualche minuto, osservando Eros giocare. Fu Archie a spezzare il silenzio dicendo «Allora, sapevi che tuo fratello è quasi impazzito quando ha scoperto che Chris ha visto i tuoi  tatuag- ahi! Tim, sei impazzito?» 

«Idiota, cosa ti avevo detto?» ammonì Tim il suo amico, portando i palmi delle mani verso l'alto e quasi fulminandolo con lo sguardo.

Archie si toccò il braccio colpito da Tim, massaggiandolo. «Scusa, mi sono dimenticato, io non-» 

«Sul serio è impazzito?» chiese Rebecca, impedendo ai ragazzi di discutere. Era sinceramente curiosa di saperlo, perché Daniel non aveva mai accennato a questa storia con lei nelle ultime settimane. «Quando lo ha scoperto?» 

Archie diede una spallata giocosa a Timothy. «Penso la settimana scorsa, non lo so di preciso. Qualche sera fa però siamo usciti tutti e quattro e Daniel parlava di questo disegno che stava facendo per te ed è uscito fuori il discorso. Penso di non averlo mai visto così arrabbiato con Christopher in tutta la mia vita» Archie rise, facendo sorridere anche Rebecca. 

Al pensiero di Beth e Chris che stavano quasi per fare l'amore nel bagno alle erbe, Rebecca provò nostalgia e un dolore al petto. Prese una cucchiaiata di gelato più grande delle altre per far sì che il freddo la distraesse dalle sue emozioni, ma non bastò. «Penso che Beth non sia mai stata così audace in tutta la sua vita» mormorò Rebecca con la bocca piena. 

Tim le accarezzò un ginocchio, poi le circondò un braccio con le spalle. «Allora avevo ragione quella sera, quando ho detto a Beth che tu e lei eravate due gocce d'acqua» 

Rebecca annuì, poi posò il gelato sentendo un improvviso voltastomaco. «Il dottore ha detto che ho un disturbo da doppia personalità» mormorò la ragazza abbassando lo sguardo. «Sapevo di avere un problema, ma non pensavo fosse così grave»

«Non è poi così grave, Becky» le disse Archie. «A me piacciono entrambe le due ragazze. Ammetto che Beth all'inizio mi stava antipatica, ma quando ho imparato a conoscerla l'ho trovata una ragazza fantastica. E tu - io non ho parole per descriverti. Non saremo migliori amici, ma sei la cosa più vicina ad una sorella che io abbia mai avuto. Non penso di aver mai avuto per amiche ragazze che non mi sono portato a letto» Archie prese un'enorme cucchiaiata di gelato che fece ridere Rebecca e Timothy. 

«Archie non ha tutti i torti, Becky. Puoi unire le tue personalità e creare una te completamente nuova, migliore, puoi decidere di essere te stessa. Guardati adesso, per esempio. Porti un jeans strappato alle ginocchia e scarpe da ginnastica, quando mai Rebecca si è mai vestita così?» 

«Mai» scosse la testa lei. 

«E i tuoi tatuaggi sono fantastici, così come i tuoi occhi azzurri. Non c'è bisogno di cambiare ciò che sei e che vuoi essere, basta solo che tu sii te stessa e andrà benissimo» suggerì Archie. 

Rebecca si commosse sentendo le parole dei suoi amici. Si alzò e chiese ai suoi amici di fare lo stesso, poi li abbracciò in contemporanea facendoli ridere. Dal basso, si sentì abbaiare. «Va bene, vieni anche tu Eros» disse Rebecca prendendo il suo cucciolo tra le braccia. Dopodiché, si abbracciarono di nuovo tutti e quattro ridendo. 

Il resto del pomeriggio lo passarono passeggiando al parco e parlando di tutto quello che era successo a scuola o all'università. Archie e Timothy si dimostrarono due amici fantastici, da quel pomeriggio in poi ebbero per Rebecca più importanza di quanta già ne avessero, in un pomeriggio erano davvero diventati parte della sua famiglia. È pazzesco il modo in cui la percezione di una persona può cambiare nell'arco di un tempo relativamente breve. Rebecca conosceva Archie e Timothy da anni, eppure mai prima di allora sentiva di averli vicini, sentiva che le volevano bene. Non era una novità che per loro Rebecca fosse importante, ma quel pomeriggio glielo dimostrarono con atti pratici. A volte basta un niente per far sentire speciale una persona. Una passeggiata, un gelato, quattro chiacchiere o un abbraccio. Non sono gesti estremi, ma è quello che basta. Non è esprimendo i propri sentimenti una sola volta e in grande stile che dimostri ad una persona di volerle bene, ma sono i piccoli gesti fatti ogni giorno che le donano vera importanza. 

E Rebecca sentiva di essere importante per loro, nonostante tutti i guai che aveva combinato. In quelle due settimane Archie e Timothy le avevano scritto messaggi e fatto sentire la loro voce, ora se ne uscivano con un cucciolo di cane e la voglia di passeggiare al parco. Rebecca era felice di avere al suo fianco persone come loro, ma ancora non si sentiva completa. 

Spesso non è l'amore di tante persone che ti fa sentire speciale, ma è l'amore di una persona speciale che ti rende completa. E l'amore di quella persona Rebecca non l'aveva più. Con la sua famiglia e gli amici sarebbe stata contenta ma mai completa, questa era una sicurezza con cui avrebbe dovuto convivere. 

Magari un giorno le cose cambieranno, si diceva spesso lei per darsi coraggio. 
Magari un giorno torneremo a incontrarci, a scoprirci, a non poter fare a meno l'una dell'altro, ad amarci. Magari un giorno tornerai. Magari un giorno torneremo. Sta di fatto che ti aspetterò, perché ti amo. E l'amore, quello vero, so per certo che non finisce mai, neanche dopo aver affrontato una bufera o naufragio. Perché l'amore, se è vero, sarà più forte di ogni calamità, e continuerà ad infuriare per sempre.

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