02 Christopher.

Christopher andava matto per i fine settimana, specialmente perché il venerdì finiva scuola prima non seguendo nessun corso extrascolastico. Presa la macchina, si diresse subito a casa di Daniel, il suo migliore amico. Nonostante i cinque anni di differenza, i due avevano una grande intesa. Per Christopher, Daniel era il fratello maggiore che non aveva mai avuto oltre che un amico fidato e un compagno durante le difficoltà.

Arrivato a casa Lewis, Christopher parcheggiò l'auto in garage. Ormai, quella era per lui come una seconda casa, ne aveva addirittura una copia delle chiavi e il codice dell'antifurto. Il suo migliore amico lo aspettava accanto alla porta che conduceva all'entrata della casa dal garage.

«Ci metti sempre meno tempo da scuola a casa» gli disse Daniel andandogli incontro. Christopher alzò gli occhi al cielo ma non trattenne un sorriso.

«Finché non riceverò una multa per eccesso di velocità penso che continuerò a "metterci sempre meno tempo". Andiamo, ho un'Audi r8!»

«Quando ti ritroverai su una sedia a rotelle non mi fermerò dal dirti "te l'avevo detto"»

«Sì, mamma» ridendo, Christopher batté la mano al suo migliore amico, poi lo abbracciò. «É bello vederti» disse poi Christopher, sincero.

Era da una settimana che il ragazzo non vedeva il suo migliore amico, questo perché Daniel aveva cominciato a lavorare a tempo pieno allo studio di sua madre che era una stilista gli abiti da sposa. Nonostante fosse il primogenito, Daniel aveva sin da bambino espresso il desiderio di non praticare la professione di suo padre, che era un avvocato, perché non voleva avere niente a che fare con la legge o le ingiustizie della politica, o semplicemente col parlare con le persone. Daniel non era mai stato bravo a interagire con gli estranei, riusciva ad aprirsi esclusivamente con la famiglia, con gli amici e con le ragazze che adocchiava per un secondo fine. I suoi sentimenti li esprimeva solo attraverso l'arte; infatti il suo obiettivo era sempre stato quello di diventare uno stilista proprio come sua madre. Fin da bambino aveva avuto la passione per l'arte, il disegno, la pittura. Christopher aveva convinto il suo migliore amico ad abbellire le pareti di casa sua con alcuni suoi disegni. Sia al liceo che, successivamente, all'università, Daniel aveva continuato a sviluppare le sue passioni, a migliorarle facendole diventare qualcosa di unico. Presa la laurea triennale, aveva cominciato uno stage allo studio di sua madre. E il prossimo inverno, avrebbe lanciato la sua prima collezione primavera/estate di abiti da cerimonia. Christopher non era mai stato più fiero del suo migliore amico.

«Anche per me. Ma sarà ancora più bello andare in giardino, Thimoty e Archie ci stanno aspettando per un due contro due a basket»

Christopher e Daniel si spostarono sul retro, dove si trovava un immenso giardino. Christopher rimase qualche secondo a contemplarlo estasiato come gli capitava tutte le volte che ne aveva l'opportunità. Immediatamente alla sua sinistra, si trovava una vasca con un satiro che sputava acqua e alcuni pesciolini che nuotavano all'interno della vasca. Sul parquet, c'erano alcune poltroncine in stoffa e un tavolino in legno sul quale era poggiata una bottiglia d'acqua e alcuni bicchieri. Subito dopo, già sul verde del prato c'era una piccola vasca idromassaggio accanto alla quale si trovavano due lettini in legno. A contornare il parquet del balcone c'erano aiuole piene di fiori dalle varie tonalità, forme e dimensioni. A una decina di metri di distanza, si trovavano due canestri conficcati nel verde. La signora Lewis aveva acconsentito alla richiesta del figlio maggiore di mettere due canestri in giardino ma non a cementare l'area. E come le si poteva dar torto? Quel giardino era un vero e proprio angolo di paradiso. Christopher riusciva a sentire il cinguettio degli uccelli e il profumo dei fiori, solo quello bastò a rilassarlo completamente.

Qualche minuto dopo si ritrovò a palleggiare con una palla diversa da quella da football. Palleggiare sul prato era completamente diverso dal farlo in palestra ma cercò di vederne i lati positivi: ad esempio, poteva sviluppare più controllo, poteva imparare ad essere più reattivo, poteva ridere ogni qual volta i suoi amici sbagliavano a muoversi e la palla gli andava a finire sul viso o in parti ancora più scomode del corpo. A Christopher piacevano un po' tutti gli sport, anche il basket, ma soprattutto il football.

Faceva parte della squadra di football della scuola da quando aveva cominciato il liceo quattro anni prima. Da quell'anno, inoltre, era anche diventato quarterback siccome il suo predecessore era andato al college. Per lui, l'emozione di segnare un touchdown non era nemmeno paragonabile al fare un canestro. Il football era sudore, corsa, scontro fisico, cadute e risalite. Aveva imparato a dare tutto sé stesso durante le partite e gli allenamenti, a non deludere il coach o suo padre che, in passato, era stato un membro della squadra di football del liceo e, successivamente, del college. Non vedeva l'ora che ricominciasse il campionato scolastico per tornare a giocare il venerdì sera assieme alla sua squadra. Nel frattempo, si concentrava sugli allenamenti e sui pomeriggi con gli amici.

Il tempo sembrò volare e ben presto passarono un paio d'ore. Ormai stremato, fece per accasciarsi a terra per prendere aria quando qualcosa, o meglio, qualcuno catturò tutta la sua attenzione.

Quel qualcuno era Rebecca, la sorella minore di Daniel, la ragazza più bella che avesse mai visto. Dalla testa ai piedi, per Christopher quella ragazza era sinonimo di perfezione. I capelli castani le scendevano lunghi e un po' mossi sulla schiena. Gli occhi azzurri erano espressivi e svegli, troppo spesso malinconici e tristi, ma penetranti anche senza trucco. Il naso sottile, schiacciato solo un po', ma perfettamente simmetrico. Le labbra, poi, erano carnose, a forma di cuore, rosa scuro come se fossero state reduci da una sessione di baci durata più di qualche minuto. Per non parlare del suo fisico. Le braccia sottili con un accenno di muscolo, il corpo fine e asciutto, le gambe magre ma ben delineate dai muscoli. Quelle erano gambe da ballerina. Lo sapeva perché anche sua sorella lo era stata. A differenza di Savannah, però, Rebecca sembrava danzare anche mentre camminava. Si muoveva leggiadra come una farfalla, era delicata come un petalo di rosa, bellissima quanto la Creazione.

Inutile dire che era completamente, follemente, perdutamente e irrimediabilmente innamorato di lei nella maniera più piena, vera e assoluta. Erano anni che provava quei sentimenti, ma non aveva mai avuto il coraggio di esprimerli. Ogni qual volta si trovava nella stessa stanza con Rebecca finiva per dire qualcosa di stupido o a fare qualcosa di idiota per mettersi in mostra. Probabilmente Rebecca lo considerava patetico a causa delle sue sciocchezze e questa consapevolezza, qualche volta, gli toglieva tutte le forze.
Christopher aveva provato a stare con qualcun altro, a dimenticarsi di Rebecca, ma ogni suo sforzo andava a finire nella pattumiera ogni qual volta tornava a incontrare la ragazza da vicino, o la vedeva sorridere, o incontrava il suo sguardo. Siccome non era un ragazzo a cui piaceva prendersi gioco delle ragazze, aveva preferito mettere in pausa la ricerca di un'eventuale fidanzata finché non gli sarebbe passato l'amore che provava per la sorella del suo migliore amico. Dalla sua ultima relazione, finita per la causa sopra citata un anno prima, non era cambiato niente.

Anzi, mentre osservava Rebecca camminare verso di loro si ritrovò a pensare: è davvero una dea. Poi gli arrivò una pallonata dritta nello stomaco.

«Smettila di guardarla così o la farai scappare» suggerì Archie facendo un cenno con la testa verso Rebecca. I ragazzi lì presenti conoscevano bene i sentimenti che Chris provava per Rebecca, Daniel compreso. "Magari si mettesse con te" gli aveva risposto il suo migliore amico quando gli aveva confessato di essere innamorato di sua sorella. Da quel che Christopher sapeva, Rebecca non aveva mai avuto un ragazzo. Quanto gli sarebbe piaciuto essere lui il primo a farle scoprire l'amore..

«Hey, ragazzi, come va? Vi vedo distrutti» Rebecca diede a tutti un piccolo asciugamano con cui lui e i suoi amici si asciugarono il sudore.

«Grazie» mormorò Christopher ammaliato dai movimenti della ragazza.

«Volete che vi prepari qualcosa da mangiare?»

«Sì.. a me piace mangiare, mi piace molto mangiare-» Thimoty gli diede una gomitata sullo sterno.

Christopher strinse i denti e lanciò un'occhiataccia all'amico, allo stesso tempo però si rese conto che lo aveva salvato dalla figuraccia assicurata che avrebbe fatto se avesse continuato a parlare.

«Sei un angelo, piccola» Daniel prese la mano di sua sorella e la strinse, poi le baciò la fronte. L'attimo dopo Rebecca aveva già fatto retro front per tornare in casa.

Christopher si sedette per terra e si passò una mano tra i capelli. «Penserà che sono un'idiota».

«Questo perché lo sei. Quando ti deciderai a dirle cosa provi?» gli chiese Daniel prendendo posto accanto a lui.

«Quando comincerò a parlare in modo connesso davanti a lei, magari?»

«Non riesco a capire. Con le ragazze che non conosci sei sempre sicuro di te, perché con Rebecca non riesci nemmeno a comporre frase di senso compiuto?» la stessa domanda che gli aveva posto Archie se la poneva anche lui ogni singola volta che si trovava nella stessa stanza con Rebecca.

A scuola, alle feste, al Country Club o anche per strada non aveva problemi a fermare una sconosciuta e parlare con lei. Non era mai stato timido o introverso, né si era mai ritrovato a parlare in modo sconnesso e senza un senso davanti a tutte le ragazze che conosceva e non. Ma con Rebecca cambiava qualcosa in lui. Gli si annebbiava la vista, finiva per non ragionare. Apriva la bocca ancora prima di aprire il cervello. Le mani sudavano. Il cuore batteva all'impazzata. La vista si appannava tutt'intorno a Rebecca, era solo lei l'epicentro del suo interesse.

«Sarà che sono pazzo di lei» concluse, non trovando altra spiegazione.

Qualche minuto dopo si ritrovò di nuovo in piedi con i suoi amici. Daniel accompagnò lui, Archie e Tim nelle varie camera degli ospiti, dopo tutti si fecero una doccia e si cambiarono con i vestiti che avevano lasciato lì precedentemente. Sotto il getto d'acqua, Christopher pensò alla festa che si sarebbe tenuta la sera dopo sulla spiaggia. Avrebbe voluto invitare Rebecca per passare un po' di tempo con lei, ma non gli sembrava un luogo adatto ad un primo appuntamento. E poi non vedeva Rebecca tipa da festa. La inquadrava più in un ambito più romantico e formale. Al massimo da aperitivo con gli amici. Per quanto immaginasse, in realtà Christopher non aveva idea di com'era nella vita vera la donna dei suoi sogni. Non aveva mai avuto davvero a che fare con lei, né le aveva mai parlato in privato. Conosceva il suono della sua voce, la dolcezza con cui parlava e la passione che aveva per la danza. Ma cos'altro sapeva di lei? Niente. E questo perché non aveva mai trovato il coraggio di farsi avanti, rischiando così di perderla per sempre.

Vestitosi, raggiunse i suoi amici in sala da pranzo. Sin dal corridoio si sentiva un odore fantastico di burro fuso, gli ricordava le colazioni che, quand'era più piccolo, faceva con la sua famiglia la domenica mattina. Era da quando i genitori si erano iscritti al Country Club che quei momenti di intimità familiari erano venuti a mancare. Ogni weekend lo passavano al club svolgendo varie attività come tornei di tennis, golf, addirittura di polo, ma i momenti di dialogo erano notevolmente diminuiti. Non che non parlasse affatto con suo padre e sua madre, anzi. Amava i suoi genitori e sapeva che poteva contare su di loro per qualsiasi dubbio, ansia o preoccupazione. Ma aveva la netta sensazione che i suoi genitori non lo conoscessero sul serio, come se si fermassero all'apparenza e non scavassero nel suo essere più profondo. Chi era davvero Christopher Cooper, figlio del famoso avvocato Vincent Cooper e della giornalista Myranda? Forse solo Daniel lo conosceva sul serio.

«Pensavamo che non arrivassi più» Archie prese in giro il suo amico, che ricambiò con una maturissima linguaccia.

Christopher prese posto di fronte a Rebecca. «Mi piace lavarmi con calma»

«Con tutto quel sudore non posso che darti ragione» si intromise Rebecca e Christopher le fece l'occhiolino procurando qualche fischio dai suoi migliori amici. Quella, forse, era stata la conversazione meno imbarazzante che lui e Rebecca avevano avuto. Più o meno.

«Hai preparato tutto tu?» le chiese Chris osservando tutte le pietanze che aveva davanti agli occhi.

Sul tavolo in marmo che la signora Lewis aveva accuratamente scelto come tutto il resto dell'arredamento c'era una spremuta d'arancia fresca, macedonia di frutta, addirittura pancakes con burro e sciroppo d'acero. «Ho pensato foste affamati»

«Hai pensato bene» mormorò Daniel divorando metà dei suoi pancakes con un solo boccone.

Christopher prese un po' di macedonia che mise accanto alla sua porzione di pancakes. Alzato lo sguardo, notò che Rebecca stava mangiando la macedonia ma non aveva i pancakes.

«E tu?»

«Io cosa?»

«Come mai non mangi il frutto delle tue fatiche?»

«Non voglio appesantirmi, dopo ho danza e preferisco mangiare solo un po' di frutta»

«Non vuoi proprio nemmeno assaggiare questa squisitezza?» disse lui con la bocca piena provocando il sorriso della ragazza. Prese una forchettata di pancakes su cui mise anche una fragola. «Nemmeno un pezzettino piccolo? Guarda, qui c'è anche una fragola, quindi mangi anche la frutta»

Alzati gli occhi al cielo, la ragazza si sporse sul tavolo. «Solo uno» sentenziò, poi aprì la bocca. Quando le labbra di Rebecca si poggiarono sulla sua stessa forchetta Christopher temette di star sognando. «Contento?»

Christopher non rispose, troppo emozionato da quello era era appena successo.

In assoluto, quella fu la conversazione più lunga che avessero mai avuto lui e Rebecca. Infatti, i successivi minuti li passò quasi in estasi, completamente perso ma preso da lei, dal suo viso, dal movimento delle sue labbra, da ogni cosa.

Era innamorato. Era innamorato perso. E sapeva che, prima o poi, Rebecca sarebbe stata sua. A qualunque costo.

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