RESTA

David Ras

Dedicato a G. e V. 🖤

Giulio spense la sigaretta contro il muro. Sollevò gli occhi verso le finestre del secondo piano espirando una nuvoletta di fumo bianco. Le serrande erano abbassate, sembrava che non ci fosse nessuno in casa.

Sorrise malinconico e premette il pulsante del citofono.
Nessuno gli rispose e decise di accendersi un'altra sigaretta.

Non voleva che finisse come il giorno precedente: si era attaccato al suo citofono a ogni minima occasione e senza ottenere risultati. Sapeva ch'era in casa, sapeva che stava lì a fissarlo tra le fessure delle serrande della finestra della cucina: era l'unica che gli permetteva di avere una parziale visuale del marciapiede intorno al palazzo; lo stesso che Giulio occupava da due giorni.

Ormai aveva deciso, gli avrebbe concesso ancora un po' di tempo per distaccarsi da quanto era accaduto due giorni prima, ma poi avrebbe preteso da lui tutto ciò che sentiva dentro il suo cuore.

Inspirò ed espirò.

Stava perdendo tempo, e tanto: i suoi genitori lo chiamavano di continuo; Silvia gli aveva riempito la memoria di messaggi e lo aveva tempestato di audio lunghissimi su WhatsApp.

A lavoro si era dato malato, ma se le cose non fossero mutate anche il suo capo, così come i suoi genitori e la sua ragazza, avrebbe incominciato a chiedergli che cazzo gli passasse per la testa.

Giulio lo sapeva bene, a differenza di coloro che gli stavano intorno, cosa riempiva i suoi pensieri, spingendo le sue azioni verso determinate direzioni.

Non si sarebbe mosso di lì: la sera si chiudeva in macchina, la stessa che teneva posteggiata a ridosso del marciapiede, alle sue spalle; la stessa contro la quale ogni tanto cercava sostegno per le sue gambe ormai provate da quella situazione.

Se doveva andare al bagno correva al bar di fronte; se doveva mangiare correva al bar di fronte. Nel giro di un paio di minuti era di nuovo al suo posto e da lì, non si sarebbe schiodato.

Sentì il cellulare vibrare ancora.
Spense la sigaretta nello stesso punto del muro dove già aveva schiacciato contro le precedenti: se continuava di quel passo avrebbero dovuto ridipingere il muro per nascondere l'enorme macchia nera che si stava allargando sul cemento.

"VATTENE", diceva il messaggio che ricevette e Giulio sorrise. Era arrivato il momento.

Citofonò al portiere del palazzo.
-Signor Franco sono Giulio, potrebbe aprirmi il portone, per favore, che Emanuele è sotto la doccia e non mi sente citofonare?- disse tutto d'un fiato.

Dall'altra parte dell'apparecchio,  Franco rimase in silenzio qualche secondo, combattuto nel suo dilemma: fare finta di niente, comportarsi come sempre e aprire al ragazzo, oppure palesare la sua indiscrezione, facendogli notare che sapeva benissimo che stava da due giorni piantonato sotto casa dell'amico senza che quello si degnasse di aprirgli il portone?

Molti inquilini del palazzo erano entrati e usciti dall'edificio, ma Giulio non ne aveva mai approfittato e aveva sempre aspettato. Era forse cambiato qualcosa?

-Certo- si convinse a dire l'uomo, aprendo il portone al ragazzo.
Giulio entrò nell'androne, si diresse verso la Scala B e fece i gradini a due a due, arrivando velocemente al secondo piano. Si guardò intorno trovandosi solo.

Emanuele gli aveva scritto, dopo due giorni, gli aveva finalmente mandato un messaggio; dato un segno di vita.

Sospirò ancora e tastò con una mano dietro la piantina posta all'interno di una rientranza di fianco alla porta. Trovò la chiave di scorta e aprì la porta dell'appartamento del suo migliore amico.

L'intera casa era avvolta nella semioscurità e nel silenzio. Giulio fece strada verso la cucina e trovò Emanuele rannicchiato su se stesso in un angolo della stanza, sotto la finestra che dava sulla strada.

Si sedette al suo fianco senza che l'altro accennasse al minimo movimento.

-Non sai leggere?- gli sentì dire poco dopo con voce malferma, mentre rimaneva nascosto con la fronte poggiata sulle ginocchia.
-Sì, per questo sono qui-
-Ti ho detto di andartene!- urlò l'altro e Giulio si trovò a sorridere.
-Davvero, Ema?- gli chiese.
-Perché sei qui?- 
-Lo sai già-
-Forse...- incominciò col dire Emanuele alzando il viso stravolto dal dolore per incontrare gli occhi dell'altro. -... forse ho ancora bisogno che tu me lo ripeta- mormorò.

Giulio sorrise di nuovo e passò un braccio intorno alle spalle dell'amico.
-Perché ti voglio bene, perché siamo amici e non importa cosa dicono gli altri. Io sarò sempre dalla tua parte-

-Anche dopo quello ch'è successo?-
-I tuoi genitori capiranno...-
-E tu?- lo interruppe.
-Io lo sapevo- Emanuele sgranò gli occhi, sorpreso da quelle parole.
-In che senso?-
-Cristo!, Ema!- esclamò Giulio stringendo il ragazzo al suo petto. -Ti conosco da quando eri un nano! Siamo amici da sempre!, ho sempre saputo che ti piacciono i maschi. Dimmi la verità... ti piacevo anche io, eh?!-

Di fronte quelle parole Emanuele arrossì furiosamente, mordendosi la punta della lingua.

-Oddio! Ma da quando...?- gli chiese stupito.
-Da sempre?- gli domandò di rimando Giulio, assumendo un tono di voce canzonatorio.
-E...?-
-E sei felice?-
-In questo momento, no-
-Di essere gay o della situazione che si è venuta a creare dopo il tuo coming out?-

Emanuele si morse le labbra riflettendo sulla domanda che gli aveva posto l'amico.
-La seconda...- mormorò infine. Giulio rise.
-Allora, va bene- disse.
-Cosa?-
-Tutto quello che ti rende felice, basta che non scappi più da me, nano! O giuro che ti vengo a trovare anche in capo al mondo, ma non tagliarmi mai più fuori dalla tua vita-
-Scusa...- borbottò il giovane.

Entrambi si alzarono da terra.

-Saresti rimasto ancora là sotto, se non ti avessi mandato quel messaggio?- gli chiese poco dopo Emanuele stringendosi le braccia intorno al busto, mentre un brivido gli correva lungo la schiena. Giulio gli si fece vicino e lo abbracciò, sentendo i tremori del suo amico calmarsi un po' per volta.

-Assolutamente, sì- rispose.
-Perché? Ti avevo detto di andar via-
-Davvero, Ema?- gli domandò e il ragazzo scosse la testa, impossibilitato a dare voce ai suoi sentimenti. Ricambiò l'abbraccio dell'amico, stringendosi maggiormente a lui.

-Saranno tutti preoccupati per te. Conoscendoti, sarai sparito dalla circolazione per piantonare me...- disse Emanuele e Giulio ridacchiò.
-Lo stesso avresti fatto anche tu e, poi, sono sicuro che mia sorella avrà già detto in giro di mantenere la calma, che non sono morto, ma impegnato in un salvataggio-

Emanuele rise, allontanandosi dall'amico, imbarazzato.

-Allora... resti un altro po' con me?- gli chiese titubante e Giulio annuì e rimase lì al suo fianco, asciugò le sue lacrime, condivise le sue risate e gli strinse la mani quando il baratro sembrava riaprirsi sotto i suoi piedi. E non si aspettò mai un grazie, perché sapeva che non sarebbe bastato, che non sarebbe stato sufficiente, perché niente l'avrebbe mai potuto ripagare davvero per tutto ciò che aveva fatto, stava facendo e avrebbe continuato a fare in futuro. Niente.
Se non l'affetto sincero e genuino del suo migliore amico.



ndA: mi dispiace, ma non ho potuto farne a meno. Scrivo sempre e tanto, forse troppo della mia vita e finisce che in ogni storia, tra le varie personalità dei miei personaggi, si intrecci qualcosa di me. Tuttavia, rileggendo a destra e a manca quanto ho scritto sinora, mi sono reso conto di aver poco intrecciato i miei sentimenti di amicizia alle mie storie. Questo perché sono uno a cui piace stare solo, che passa molto del proprio tempo da solo; che passa più tempo tra cani che tra esseri umani. E va bene così... a me e alle persone che mi circondano, che mi accettano per quello che sono. Soprattutto G. e V. che non chiedono mai il conto, non mi stressano e non mi giudicano, ma sono sempre lì, INSISTENTI, MOLESTI, INVADENTI, a tendermi la mano ogni qualvolta in cui sento, oppure non mi accorgo, di averne bisogno. Forse non merito amici così o forse me li sono conquistati strada facendo. Forse siamo un trio perfetto e meraviglioso semplicemente perché siamo ciò che ci meritiamo: tre pezzi della stessa anima. 🖤
Non so se leggeranno mai niente di tutto questo, ma forse è giusto così, perché la verità è che, altrimenti, non avrei mai trovato il coraggio di scriverlo.

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