50. Inciso nella memoria
Riaprì gli occhi, il suo corpo sul sedile sussultava ad ogni fosso che prendevano.
Il vento ululava ancora dal finestrino, infiltrandosi nei tessuti e nei capelli sparati in aria, sfrecciava caldo sul viso che guardava all'esterno.
Non si rese conto di aver dormito fino a quel momento, si voltò lentamente verso Saleem, accettandosi che alla guida ci fosse ancora lui e il furgone non stava finendo in un dirupo.
Non la degnava di uno sguardo, aveva gli occhi fissi sulla sabbia di fronte per chissà quanto tempo.
«Hai» si schiarì meglio la voce «Hai bisogno di un cambio per guidare? Posso farlo io» propose nonostante non avesse mai guidato veicoli di quella portata, diede un'occhiata dietro, anche Wave era ancora alla guida nonostante il sole stava per tramontare inghiottito dalle montagne distanti.
«Siamo quasi arrivati» informò, e lei riportò lo sguardo davanti a sé.
Solo pochi palazzi si ereggevano ancora all'orizzonte, il resto era stato completamente raso al suolo dai bombardamenti, come se Icaro avesse rincarato di più la dose in quell'aria estesa.
È più avanzavano, più appurò che fosse effettivamente cosi.
Quando giunsero alle porte della città, andavano più lenti del solito.
Entrarono in quella che una volta sarebbe dovuta essere una strada principale, l'asfalto largo aveva diverse buche profonde e anomalie, accanto a tutto il guard rail ceduto non c'era nient'altro che detriti e poltiglia, nessun albero e nessuna dimora intatta.
Attraversarono un ponte che li divise dal terreno per molti metri, sembrava essere ancora intatto nonostante Skye ebbe l'ansia di attraversarlo per tutto il tragitto, temendo il peggio. Quando furono abbastanza in alto poté vedere dall'alto tutto ciò che era rimasto di quel luogo, la via che percorrevano sfociava in tante altre piccole stradine, che portavano sempre allo stesso medesimo scenario apocalittico.
Dietro di lei, Wave e Lama nell'altro veicolo si guardavano intorno cupi.
Aprì la sua empatia, provando a capire quanto dolore sentissero in quel momento.
Quella era stata casa loro, le loro terre, lì avevano avuto una famiglia, degli amici e degli amori e ora erano costretti a guardare le ceneri rimaste di tutto ciò che era stato importante per loro.
Saleem strinse saldamente la presa sul volante fino a far diventare le nocche bianche, la mascella tesa e gli occhi ardenti la fecero destare.
«Questa era anche casa tua» ricordò, Wave e lui avevano condiviso lo stesso palazzo per anni, e lei se ne era completamente dimenticata fino a quel momento.
Lui si voltò sorpreso, non ricordando di averle detto nulla riguardo a dove erano ora, o dove sarebbero andanti in quella missione, ma probabilmente gli altri non avevano fatto lo stesso.
Come risposta ebbe solo un rapido sospiro, riportò infine gli occhi sulla strada finché non si fermarono poco dopo lungo la carreggiata.
Quando parcheggiarono, Wave scese dal veicolo per primo, andandogli incontro con grandi falcate.
Anche lei scese dal furgone dando una rapida occhiata intorno a sé, una vecchia insegna al neon era caduta da chissà quale edificio, auto schiacciate da grossi massi incorniciavano la strada e tanta polvere si levava nell'aria secca e occupava tutta la materia come fosse una seconda platina. Finn la salutò seduto nell'altro veicolo mentre Lama non scese, era rimasta a guardare fuori dal finestrino e non degnava loro di uno sguardo. Si stava per avvicinare a lei, seguendo quel filo di empatia che la collegava agli altri, quando Wave si avvicinò di nuovo al furgone, urlando dalle spalle
«Torneremo al più presto, nel caso come punto d'incontro tieni il palazzo» asserì l'americano, prima di rimettersi nel veicolo e ripartire con un rombo fumoso del motore.
«Dove stanno andando?» chiese, mentre il veicolo gli sfrecciava avanti sollevando tutta quella polvere bianca nell'aria, il vento che aveva apprezzato dai finestrini era già un ricordo lontano.
«Andranno a ispezionare alcune vecchie pompe di benzina, questi veicoli non vanno ad aria» mormorò, rientrando e aspettando che lei lo seguisse.
«E noi?» chiese ancora, mentre lui girò la chiave e avviò anche lui il motore. «Cerchiamo un rifugio per la notte» accelerò, rimettendosi in quella che era una vecchia carreggiata.
Passano altri minuti prima che Saleem accostò di nuovo il veicolo, incanalandosi in una stradina secondaria fino ad arrivare a due vecchi minareti rimasti ancora in piedi, nonostante la sabbia li avesse completamente corrosi e privati di quella che era la vecchia pittura, si reggevano ancora stabili nonostante il palazzo centrale che li collegava era completamente crollato.
«Questa, era la corte» annunciò Saleem, entrando nel cancello arrugginito che a malapena si ereggeva in piedi, dovette far forza e spingere nel terreno per aprirlo giusto il poco che bastava per lasciarli oltrepassare.
Entrarono in un piazzale immenso, incorniciato da un vecchio giardino di cui non era rimasto nulla se non vecchie pietre opache che una volta era certa fossero di un bianco splendente.
Triangoli vuoti prima erano riempiti da fiori e un verde lussureggiante mentre vecchie cupole spaccate erano riverse al suolo, la pietra crepata sotto ai loro piedi era composta da grandi mosaici che si intrecciavano fra loro fino a raggiungere quello che prima era stato l'ingresso principale.
Archi e portici si susseguivano per svariati metri ai loro lati, anch'essi in gran parte erano privi di tetti o il restante degli edifici laterali che prima li aveva sorretti.
Tutto, di quel posto, urlava distruzione.
Si avvicinò silenziosa a Saleem, che per un momento si era fermato all'ingresso studiando la zona, quella non era la prima volta che rivedeva il suo palazzo in rovina, aveva cercato per molti giorni il futuro Re fra quelle stesse macerie. Ma ogni volta, era comunque una visione difficile da reggere.
Quando gli fu completamente accanto, provò ad allungare una mano verso la sua per conforto, proprio com'era successo giorni prima sulla Torre, ma Saleem riprese a camminare, privandogli di quella possibilità.
«Non c'è più niente per cui vale la pena cercare, neanche più avanzi dalle vecchie dispense» mormorò, indicando una pietra azzurra staccatasi da una delle cupole riverse al suolo in mille cocci.
«Quella l'avevo spostata io diversi mesi prima, nell'identico punto» spiegò, sottolineando quanto nulla fosse cambiato.
Skye annuì, rivelandosi una presenza silenziosa, non sapeva come muoversi fra i suoi ricordi né cosa avrebbe mai potuto dire per alleviare il suo dolore, sapeva però, che un singolo passo falso le sarebbe bastato per farsi cacciar via. Ormai lo conosceva, e sapeva che quando più ne aveva bisogno, lui la mia respingeva via.
«Andiamocene» ordinò, ripercorrendo gli stessi passi di prima mentre lei sollevò ancora il viso verso il vecchio palazzo.
Si sforzò di immaginare com'era dai pochi indizi rimasti, le mura e i pavimenti colorate dai mosaici da colori come azzurro, giallo e verde, si estendevano per metri, due grandi cupole adornavano la parte alta della struttura, e dal vetro rimasto vi erano state anche tantissime finestre che sicuramente si susseguivano simmetriche sopra agli archi che contenevano varie entrate e dipinti a mano.
Giardini verdi, palme, cancelli robusti con stemmi reali incisi, statue in gesso, sculture altrettanto enormi e minareti alte per chilometri circondavano tutte quelle mura, la casa dove Saleem e Wave da bambini scorrazzavano frenetici nascondendosi dal Re in persona.
Del piccolo Re Edwin però, non vi era traccia.
Seguì infine Saleem, che già l'aspettava nel furgone, quando chiuse lentamente la portiera, non lo guardò per lasciargli la sua privacy, nonostante la sua empatia gridasse di stargli accanto, di consolarlo come meglio credeva per colmare la miriade di vuoti che celava dentro.
Sapeva che aveva bisogno di spazio per metabolizzare, perché ad una scena cosi era impossibile abituarsi anche se per anni l'avesse avuta continuamente davanti.
Seguirono la strada fino ad un vecchio edificio in rovina poco distante, l'intera facciata che dava sulla strada era franata, Skye poté vedere dal finestrino tutti e tre piani cementati illesi per poco.
Scesero ancora dal mezzo, e questa volta Saleem prese entrambi gli zaini prima di avvicinarsi all'ingresso.
«Questa all'epoca era una scuola» spiegò Saleem, e dal suo sguardo, Skye poté capire che si era perso in alcuni ricordi lontani.
Forse lui stesso era stato un suo alunno, magari aveva avuto degli amici lì prima che la guerra distruggesse tutto.
Quante persone aveva realmente perso? Lei non ne avrebbe mai avuto idea.
Restò in un religioso silenzio, rispettosa di tutti i minuti di silenzio che avrebbe dovuto fare per ogni singola vittima, e quando entrarono dentro, spostando di tanto in tanto qualche filo di corrente rimasto appeso, non vi era rimasto molto se non una enorme rampa di scale che si soffermava al terzo e ultimo piano.
Saleem le chiese di aspettare, salì parte di quelle scale fino a raggiungere il pianerottolo più alto, dove pensò fosse il posto più adeguato che avrebbero potuto trovare per quella notte; abbastanza in alto per avere una visuale migliore.
Quando lo raggiunse, la notte stava quasi totalmente calando, le fece cenno di seguirla al di sopra.
Scaltri e silenziosi salirono tutte le rampe prima di giungere all'ultimo piano superiore, lui si affacciò verso la parte mancante della palazzina, gli occhi in due fessure scrutavano il paesaggio, provando ad individuare il furgone di Wave.
Si sedette lì vicino al bordo, la torcia trovata nella base stretta in una mano faceva piccole capriole in aria per poi atterrare sul suo palmo.
Lei, si accomodò al suo fianco guardando la luna piena risplendere nel cielo.
«È troppo tardi ormai, non verranno più, a quest'ora avevano ordine di fermarsi a riposare da qualche parte» annunciò, abbassando le spalle.
«Non temi che Icaro...» disse lei, lasciando quella frase a mezz'aria, preoccupandosi per gli amici nel caso gli avevano teso un imboscata?
«No, conosco mio cugino, rispetta i patti e so anche che non basterà perlustrare solo una stazione di servizio per trovare ciò che stiamo cercando» spiegò atono.
Suo cugino.
Era la prima volta che lo diceva ad alta voce, fino alla vecchia missione lei non sapeva neanche della loro parentela. Evitò comunque di chiedergli il motivo per cui l'avesse nascosta, immaginò si vergognasse che l'essere che più ripudiava al mondo, fosse proprio un membro della sua famiglia.
«Passeremo qui la notte, e l'indomani ci ritroveremo» asserì, voltando il capo verso il cielo.
«Conviene già dormire se vuoi farti abbastanza ore di sonno, domani partiremo prima dell'alba, appena la strada sarà leggermente più visibile, ci sono troppi ostacoli sul rettilineo» ma Skye non si distese, avvicinò lo zaino verso di lei e si appoggiò al muro dell'edificio, continuando a guardare la visuale di fronte a sé su gran parte della città, il crollo di tutti quegli edifici, aiutava ad estendere la sua vista per molti chilometri.
Iniziò a pulire il suo fucile con un panno striminzito. Non poteva neanche immaginare come si sarebbe potuta sentire se tutta la sua città fosse caduta in mille pezzi e non le rimasse da fare nient'altro che sedersi sui resti della sua vecchia dimora.
Quanti ricordi gli stavano riempendo la testa in quel momento?
Pulì quel fucile molto più del dovuto. Fino a quando le tenebre non invasero completamente la città e il sonno giunse, non le rimaneva altro da fare che fidarsi suo malgrado del suo nemico, nella speranza che realmente non li avrebbe attaccati fino alla data destinata.
«Dormi» le ordinò impaziente quando la vide ancora sveglia intenta a seguire ogni suo minimo movimento, ma come suo solito non eseguì il comando, si accomodò meglio sul posto.
«Non ho sonno» mentì, sapendo bene che avrebbe dovuto approfittare della sua presenza per dormire, come quando era nella grande sala dell'arsenale, ci riusciva solo perché si sentiva al sicuro.
Un lieve venticello le raschiava il viso secco, non c'era bisogno di specchiarsi per capire quanto spettinata fosse.
«Ti pareva che non avevi sonno» osservò con un sopracciglio alzato.
«Mi spieghi perché devo fare squadra proprio con te?» si lamentò, alzando un sopracciglio quando lui fece una smorfia.
«Nel mio paese, le bimbe devono sempre essere accompagnate da un adulto, sai per non perdersi» contestò divertito, prima di posare il suo fucile carico al suo fianco.
Se avesse mai avuto il potere di sputare fuoco dalla rabbia, l'avrebbe senz'altro fatto per incenerirlo.
«So badare a me stessa» reagì, sollevando un sopracciglio anche lei in segno di sfida.
Saleem era questo, fuoco e cenere. Era in grado di farla ardere per poi lasciarla spegnere lentamente.
L'argomento cessò, e i minuti ripresero a scorrere veloci.
Più voleva evitare quel pensiero, e più ci finiva dentro, pensava continuamente a quando sentì i primi bombardamenti al Villaggio, allora c'erano diversi strati di terra a separarli da quel cielo, se solo ora Icaro avesse voluto mandare i suoi cacciabombardieri, non ci sarebbe stato nulla a dividerli e proteggerli dal cielo aperto.
«Cosa farai dopo?» domandò ad un certo punto Skye, quando gli occhi le iniziarono a pungere dal troppo sonno e gli sbadigli erano più frequenti.
Saleem non rispose in un primo momento, pensò si fosse addormentato, stava giusto per accettarsene quando proruppe «In che senso dopo?»
«Dopo...quando la guerra sarà finita... quel dopo» Saleem si voltò piano verso di lei distogliendo finalmente lo sguardo dalla vecchia città, e quando la guardò, capí che lui non aveva mai pensato ad un eventuale dopo.
Anche durante il falò aveva evitato quella risposta, aveva pensato fosse per noia, ma realizzò in quel momento che non si era mai permesso di pensarci.
Forse era vero, la guerra rendeva possibile vivere solo il presente, eppure...era triste pensare che non avesse nessuna visione di un futuro, era come se quel conflitto l'avesse prosciugato di tutti i sogni.
Aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiuse pensieroso, perché forse non sapeva cosa voleva realmente dire o fare se mai fosse riuscito a mettere fine a tutta quella situazione.
«Tu invece...ritornerai a Dover?» chiese, sfuggendo alla domanda.
Dover. La sua bellissima città. Dove sua madre e Cal la stavano aspettando a braccia aperte, forse addirittura cercando per tutto il mondo.
Qualche settimana fa, Skye non desiderava altro che tornarsene a casa sua, nella sua vecchia camera da letto al sicuro e rivedere tutta la sua famiglia riunita, sana e salva.
Dimenticarsi del Villaggio era tutto ciò che desiderava, prima ma sentì che se avesse risposto di sì, avrebbe mentito a se stessa.
Certo che voleva tornarsene a casa, eppure... Perché non riusciva a dirlo ad alta voce? Perché non ne era più così tanto convinta? Sfuggì dal suo sguardo.
«Sono stanca» disse invece, ovviando al problema.
Improvvisamente sentì anche freddo con il calare della notte, quindi si mise distesa al suolo con la schiena appoggiata ad un vecchio muro distrutto che l'aiutava un po' a ripararsi da quel leggero vento.
La luna piena illuminava il cielo e anche grossa parte di quella scuola.
Ce l'avevano proprio sopra le loro teste, e anche le strade divennero per fortuna più visibili e definite.
Si sdraiò comoda mettendosi un braccio sotto alla testa, guardò lui che scrutava ancora gli orizzonti piatti e cosi bui che era difficile riconoscere la terra dalla volta.
Sentì poi un suo movimento, seguendone ogni gesto, spostò il fucile ancora più lontano, e contro ogni aspettativa, dopo ancora un rapido sguardo alle strade, Saleem si sdraiò esattamente come lei, mettendosi di lato rivolto verso di lei, appoggiò le sue braccia muscolose sotto alla sua mascella.
Era cosi vicino, da averla quasi intrappolata fra il muro e lui, che come uno specchio riflesso la guardava, forse capendo la sensazione di freddo che provava.
Con il cuore in subbuglio, seppe che mentirgli equivaleva a perdere pezzi integri della sua anima.
Quindi aveva scelto di non rispondere alla domanda che gli aveva posto, se fosse mai ritornata nella sua isola natia rimaneva ancora un mistero perfino per lei.
Guardandolo diventava tutto sempre più confuso.
E forse era diventata simile a lui, le era difficile immaginarsi un futuro, soprattutto senza tutti loro.
Guardò a labbra dischiuse e la luna che illuminava un lato del suo viso e l'altro lato lo lasciava in penombra, come per rivelarle i sue due caratteri opposti, il Saleem della sera del vino, e il Saleem tagliente che fronteggiava spesso.
Sdraiati su quel pavimento duro, fra le macerie di quei resti e fra quel gioco di ombre ebbe un illuminazione.
Skye sapeva di poter contare su questo, su loro. Sul fatto che si fossero sempre guardati le spalle a vicenda da qualsiasi nemico.
Le lame taglienti che scintillavano come fuoco freddo nello sguardo di Saleem, sembrarono placarsi, anche i suoi occhi scorrevano lungo il viso di Skye, osservandone i lineamenti delicati, gli zigomi alti e gli occhi azzurri che rispecchiavano il suo riflesso.
Imprudentemente forse, passarono tutta la notte in quella posizione.
Distesi uno di fronte all'altro, si guardarono fino a imprimersi a memoria, e quando il volto dell'altro divenne confuso e sfocato dalla stanchezza, crollarono entrambi in un sonno profondo.
Non ricordò Skye quando precisamente avesse smesso di guardarlo e si fosse addormentata.
Ricordò solo un vago pensiero di lei che voleva protendersi per accarezzare il suo viso, di cui era certa, fosse liscio e caldo.
Quell'ultimo pensiero la portò finalmente a svegliarsi di soprassalto. Senza neanche aprire prima le palpebre si ritrovò già seduta, incredula e dolorante dalla testa ai piedi era totalmente irrigidita.
Si massaggiò il braccio su cui aveva dormito che le formicolava, guardandosi confusa intorno.
Dopo aver assembrato tutto quello che era successo la notte prima, si accettò che fosse rimasto tutto uguale, eccetto per un sole minuscolo che sbucava ad Est i cui i raggi deboli facevano ancora fatica a crearsi spazio nelle tenebre.
Si girò lentamente verso sinistra, con il collo si irrigidiva per i suoi gesti.
Vide prima le strade deserte e poi Saleem ancora disteso come la notte prima.
Dormiva profondamente, gli occhi completamente chiusi e il viso finalmente rilassato gli donavano un aspetto diverso.
In quel momento era lo stesso ragazzo magnetico che vide in metropolitana, la mattina prima del saggio di danza.
I bagliori lievi sottolineavano i suoi lineamenti, mascolini ed incredibilmente attraenti.
L'istinto della notte prima non si era placato, quindi gliela diede vinta. Si protese, accarezzando con le dita le sue guance ruvide grazie all'accenno di barba. Se si fosse svegliato in quel momento, era sicura che le avrebbe rivolto una parola scontrosa oppure si sarebbe scansato velocemente. Ma approfittò che stesse dormendo, lasciando che le sue dita accarezzassero quanto più delicatamente i suoi capelli, come se fossero un vento sottile e lieve.
Scivolò con l'indice sul suo naso perfetto, e guardò le sue labbra, il respiro regolare fuoriusciva da esse ed era come una lenta melodia che la cullava fra le stelle del mattino.
Poi si ritirò, perché l'aveva detto anche lui che in guerra non vi erano distrazioni che potessero permettersi.
Eppure si erano concessi il lusso di addormentarsi in in possibile campo nemico.
Richiuse quella notte in un angolo della sua mente e si concentrò ad ammirare l'ennesima e maestosa alba giungere al termine.
Era quasi finita completamente, quando sentì un piccolo movimento dietro alle sue spalle.
«Ma dimmi un po', stai guardando le strade o l'alba?» la voce ancora troppo roca di Saleem le accarezzò l'udito smuovendo corde in lei.
Si voltò, lui era ancora disteso protestoso di doversi rimettere in piedi.
«E tu invece? Stai guardando le strade oppure continui a russare?» di fronte a quella frecciatina, Saleem sorrise e si zittì, rimettendosi lentamente sull'attenti e guardandosi intorno dove per fortuna nulla era cambiato.
«Da quanto tempo sei sveglia?» chiese, afferrando il fucile con uno slancio e issandosi completamente.
Si chiese se non dormiva anche lui da tempo, perché non l'aveva mai visto così rilassato, nonostante il pavimento scomodo e il leggero freddo giunto dalle porte spianate del deserto.
«Abbastanza da ammirare questo» rispose, riportando l'attenzione sull'alba quasi agli sgoccioli.
Lui annuì anche se lei non poté vederlo, e alzò lo sguardo oltre il cielo.
«Eccoli» puntò l'indice verso un puntino splendente all'orizzonte, poi quel puntino si mosse, e Skye seppe fosse il furgone dei loro amici.
«Dobbiamo andargli incontro» sussurrò lui, mentre le parole di lei uscirono troppo velocemente per arrestarle.
«Solo un momento» Sapeva che aveva un tono di voce quasi supplichevole, ma non era ancora pronta a lasciare quel posto e quel cielo e rimettersi quella notte alle spalle come tutte le altre.
Voleva godersi ancora quel momento, ovunque fosse.
Saleem stranamente non ribatté, la lasciò fare. Non si voltò per sapere che era rimasto in piedi in silenzio dietro di lei. Con la schiena appoggiata ad un mezzo muro grigio carbonizzato, aveva la completa attenzione nella sua direzione.
E quando l'alba finì con tutta la magia che si era portata dietro, fu pronta per ritornare alla vita spietata di quel posto.
Si decise quindi ad alzarsi e incamminarsi.
Quando si voltò verso le scale, trovò Saleem ancora appoggiato al muro a guardarla, e non fu certa se fosse rimasto a guardare l'alba appena finito o lei.
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