4. Joseph e Finn

Al suo risveglio Skye non si sorprese di ritrovarsi nella stanza scolorita e vuota, non si chiese neanche quanto tempo era trascorso perché sapeva di non ricevere risposte. Piuttosto badò che di fronte a lei vi era ancora il piatto colmo di cibo di qualche ora prima e sentì, questa volta, di non essere abbastanza tenace da resistere. Prese fra le mani il piatto e iniziò a masticare veloce, nonostante le ore passate sul tavolo, le sembrò comunque buono, molto probabilmente era la prima cosa che metteva sotto ai denti dopo giorni, per quanto ne sapeva.

Stava per finire l'ultimo boccone abbondante di riso quando la porta si spalancò richiedendo la sua completa attenzione e, issò il capo verso lo stesso ragazzo che ormai avrebbe riconosciuto ovunque, soprattutto nei suoi incubi più infimi.
Entrò e sembrò quasi sorpreso di vederla, la fissò in silenzio.
La cosa che lei più odiò in quel preciso momento fu la smorfia che si formò sul suo volto...quasi compiaciuta, che prese largo rapidamente come una macchi d'olio, distendendo i lineamenti rigidi del ragazzo.
Glie avrebbe volentieri rivolto il dito medio se non fosse per lo spavento di rivederlo che, contro se stessa, le fece andare di suo malgrado l'ultimo boccone di traverso.

Iniziò a tossire con leggeri spasmi, nonostante la sua bocca fosse spalancata non riusciva a inalare neanche un soffio d'aria.
In un batter d'occhio il ragazzo, preso alla sprovvista quanto lei, si fece largo nella stanza.
E solo in quel momento, dettata dal rancore verso lui, riacquistò il controllo, saltò in piedi celere, non volendo assolutamente nessun tipo di contatto con quella strana figura che era diventata il suo rapitore, anzi mise rapidamente quanta più distanza possibile fra loro. Riservandogli uno sguardo truce sperando di inchiodarlo sul posto.

Si prese un attimo per destabilizzare il suo respiro continuando a tenere fra loro una distanza di sicurezza, si guardarono inaciditi come due leoni nell'arena pronti a scontrarsi con un grido di guerra di una folla invisibile che li acclamava.
Gli occhi di lui erano carboni ardenti puri ed era certa che se avesse allungato una mano per toccarli, si sarebbe ustionata.
Colta da un'improvvisa idea, lo sguardo felino della ragazza ricadde alla porta socchiusa.
Bingo.
Ricordò improvvisamente di non averlo visto chiuderla prima che fosse entrato nella stanza e, con uno sguardo fugace alla sua figura ancora inerme e scossa di fronte a lei, si precipitò quanto più veloce verso essa.
Si sorprese della sua velocità.

«Non farlo!» la intimò lui troppo tardi.
Lei stava già spalancando la porta al vento quasi staccandola dai cardini.
Il ragazzo si mosse provando ad afferrarle il lembo della maglia ma fu inutile e le sue mani si chiusero in un pugno d'aria.

Skye corse all'esterno, sentendo finalmente di correte verso il centro della sua esistenza: la libertà.
Come un colibrì in una tempesta, disorientata ma mai per vinta mosse le ali a ritmo, sempre più veloce.

Con il cuore che le palpitava forte e si propagava a ritmo costante anche nelle orecchie, dimostrò di essere brava ad evitare i massi e detriti sul suolo, non voltandosi mai indietro.

Nonostante il caldo afoso dell'esterno una scia di puro brivido la percorse tutta la spina dorsale. Pensò che, molto probabilmente, era proprio cosi che si sentiva una preda che stava per essere assalita mentre correva in cerca di salvezza.

Sapeva bene di non dover sprecare nemmeno un istante per rivendicare la sua libertà. Doveva essere più brava, più veloce, più forte.

Voltò di scatto un angolo, una parete rocciosa l'affiancava, scivolò alla destra di un bivio per poi ritrovarsi davanti ad un corridoio sterrato, poco illuminato se non da una luce bianca in fondo che Skye immaginò fosse l'uscita dal suo purgatorio.

Quando si voltò alle sue spalle, fu contenta e sopraffatta dalla felicità di non vedere il ragazzo dietro di lei, il pensiero di averlo davvero seminato le gonfiò il petto.

Quest'ultima speranza le diede lo slancio, si rivoltò non rallentando mai il suo passo spedito verso l'unica uscita trovata che le sembrò più lontana del previsto.

Non fece caso alle fitte della milza, al cuore scalpitante, alle gambe che bruciavano e al respiro troppo corto che sembrava farle bruciare entrambi i polmoni.
Superò diversi tendoni al suo fianco, era sul punto di mollare eppure i suoi piedi continuarono a muoversi in quella direzione, sentendo la luce tenua accogliere ed illuminare quasi il suo corpo.

Ce l'aveva quasi fatta! se non fosse stato per i due uomini che si alzarono in simbiosi, come burattini mossi da fili invisibili, lasciando cadere a terra con un tonfo le due sedie arrugginite.

«Aiutatemi!» Urlò con voce spezzata.

I due si guardarono confusi e accigliati, prima di spostare lo sguardo, questa volta più deciso, di nuovo verso di lei.

Ma quello che l'arrestò di colpo era ciò che stringevano saldamente fra le mani, avvolta da una spessa corda, intorno al loro collo, vi era un'arma cosi grande che lei stessa avrebbe avuto difficoltà solo a reggerla: fucili.

Accadde tutto in un secondo, il tempo si diede un timeout e Skye rallentò per poi bloccarsi. Questa volta le gambe le tremarono per due diversi motivi: sforzo e paura.

Era forse finita di nuovo nelle fauci del nemico o l'avrebbero aiutata a fuggire?

I due uomini in risposta imbracciarono il fucile e portarono il mirino all'altezza dell' occhio, puntando definitivamente l'arma contro di lei che, desiderò per un misero attimo di riavvolgere il nastro e ritornare indietro e di non essere mai scappata o, meglio ancora, non essere mai andata a quello spettacolo di danza. Mai a Doha. Mai a Parigi.

L'indice degli uomini sfiorava delicatamente il grilletto pronti a dar fuoco, se non fosse per un piccolo particolare che salvò la situazione: La mano che si piazzò nel campo visivo di lei contrapponendosi tra loro.

«No!» spezzò l'aria circostante.

Tutto riprese a scivolare lento.

Skye indietreggiò, aveva ancora lo sguardo sui suoi carnefici prima di puntarlo sulle spalle rigide del ragazzo ormai di fronte a lei.

Lo sentì sospirare furioso prima di voltarsi verso di lei, con uno sguardo privo di pietà nei suoi confronti. Skye non l'aveva mai visto cosi, neanche quando aveva ucciso quell'uomo.
Era davvero fuori di sé.
I suoi occhi le intimarono di restarsene buona e in silenzio una volte per tutte. Una volta assicuratosi che Skye avesse ben recepito il messaggio, cambiò la traiettoria dei suoi occhi e li riportò sui due uomini.

«Joseph e Finn» disse e i due miracolosamente,l o quasi come per magia, abbassarono l'arma di fronte all'ordine del suo superiore, nonché suo amico.

Joseph, quello più grassoccio e alto poco più di un metro e novanta, lo guardò di rimando.

«Ci devi spiegazioni, amico.» posò definitivamente l'arma dietro alla sua spalla e raddrizzò la schiena mentre il collega alla sua destra arrivò presto alla conclusione, sbattendo le mani come colto da una fragrante e improvvisa illuminazione.

«Ci sono! lei è la ragazza che hai portato qui! ecco perché non l'avevo mai vista prima!» esclamò Finn indicandola con un indice e con tono entusiasta.

Joseph riportò lo sguardo sulla ragazza intimorita che se ne restava dietro alle spalle del superiore e la squadrò da capo a piedi concordando infine con Finn, non l'aveva mai vista prima al Villaggio. Era troppo pienotta rispetto alle ragazze esili e scarni che vedeva ogni giorno aggirarsi lì. E poi si conoscevano quasi tutti da anni, era ormai certo che non aveva mai visto un viso come quello.

«Ha il consenso di uscire?» domandò allora, mettendosi di lato e liberando il passaggio verso il tunnel.

«No, se non vuoi vederla morta» balbettò il superiore, tirandosi i capelli corvini dietro la nuca spazientito. I due ridacchiarono in risposta per l'accaduto che ai loro occhi non poteva essere altro che una barzelletta da raccontare in futuro. Skye pensò di esser giunta all'inferno, eppure se avesse visto la terra soprastante, avrebbe cambiato subito idea. Era come se il mondo si fosse capovolto.

«Beh, allora impara a tenerla sott'occhio prima che la veda il Vecchio, altrimenti la sua vita non dipenderà più solo dal tuo volere...» sottolineò, alludendo a qualcosa a cui Skye non poteva ancora capire ma, dalla serietà della sua voce, intuì fosse un sentito avvertimento.

«Ormai è fuori. Che pericolo c'è?» Finn fu gentile, si avvicinò alla ragazza e le tese la mano, ma lei sussultò, diffidente ad accettare di stringere la mano di un ragazzo che solo poco prima le teneva puntato addosso un fucile.

«Tranquilla! non mordo. Non sapevo chi eri e pensavo fossi una di loro. Io sono Finn!» Continuò a tenerle la mano tesa e solo allora, Skye notò quanto fosse giovane. Strinse titubante la mano come a voler dimostrare di essere più forte di quel che era, dopotutto era solo un ragazzino, provò a trascurare il pensiero dell'arma.

Lei non poteva di certo sapere le intenzioni di Finn, ragazzino o meno, era comunque colui che aveva un fucile alle spalle e le privava la via di fuga da quel posto.
Ma avrebbe dovuto adattarsi all'idea che la paura non poteva avere il sopravvento su tutto.

«Skye» rivelò, confusa da quel gesto e riportando lo sguardo sul ragazzo.

«Saleem ti ha già fatto vedere il Villaggio?» le domandò con un sorriso genuino, aprendo la bocca sottile indicò con il capo il ragazzo alla sua destra. Skye si voltò verso di lui, era quindi quello il nome del ragazzo che l'aveva rapita?

Saleem, d'altro canto, non sapeva ancora come comportarsi con lei. Sapeva che non sarebbe stata una scelta facile quella di portarla con sé. Ma quella notte non fu in grado di voltarsi e abbandonarla lì al suo misero destino. Per la prima volta gli fu difficile accettare la morte di un'altra persona che sentiva premere sulla sua stessa coscienza.
Era stata senza dubbio coraggiosa a permettere all'amica di scappare al posto suo e, in quelle determinate circostanze, sapeva che poche altre persone avrebbero avuto l'eroismo di far ciò.
La verità era comunque che in guerra i gesti eroici erano solo delle assurde mosse da fare prima di morire. Le amicizie infatti, erano qualcosa che non avrebbero dovuto permettersi.

La guardò , ed occhi verdi come il muschio si mischiarono ai occhi limpidi e celesti, il ragazzo si chiese se mai sarebbe stato davvero pronto a farle vedere la realtà in cui loro vivevano; come gli avrebbe detto che fuori da quel luogo, non si celava più nessun palco, nessuna accademia, nessuna metropolitana, niente della sua vita precedente.
Sarebbe stato pronto ad aprirle le porte di quel che restava di casa sua ad una perfetta e irritante sconosciuta?

«Finn non è un posto per lei.» lo ammonì e Skye voltò il capo verso di lui, stizzita.

Si sentì sopraffatta da quelle parole, da quella spavalderia di sapere lui cosa fosse meglio per lei.
Dopottutto l'aveva portata prigioniera in un luogo che non sapeva nemmeno esistesse, le aveva puntato una pistola contro per poi rapirla. Ed ora si prendeva il privilegio di sapere addirittura cosa fosse giusto e appropiato per lei.
Insomma chi sadico avrebbe fatto tutto ciò? cosa poteva saperne lui di ciò che lei desiderava? chi si credeva di essere?

«TU!» ringhiò a denti stretti fiondandosi verso di lui presa da una rabbia avida.
Avida di riappropriarsi dei suoi diritti, della sua vita e della sua libertà.
«Devi dirmi dove sono! lo esigo! devi riportarmi indietro! portami a casa!» urlò a pieni polmoni mentre, inghiottita da un vortice violento di disperazione, prese a premere forte i pugni sul suo petto. La durezza del suo torace e del suo viso, la minacciarono di crollare. Era come se sapesse che non si poteva più tornare indietro. Non si poteva più uscire da quel posto... quel posto che lei si ostinava a non guardare e a non vedere veramente.
Batteva i pugni su quel torace, esigeva rispetto, esigeva di essere riportata indietro e rimessa nel suo letto a Parigi.
Saleem era un carnefice, un assassino, un codardo, un egoista...
Eppure perché non le aveva ancora fatto del male? Perché se ne restava lì in silenzio?
Dov'erano finiti tutti?

«Ehi. Ehi.» Joseph si avvicinò in tutta la sua altezza, prese per il colletto la ragazza senza nessuno sforzo, come se stesse semplicemente aprendo un'anta dell'armadio. L'allontanò rivolgendo uno sguardo stranito al suo superiore chiedendosi come mai non avesse reagito ad una ragazzina impertinente. Poi abbassò lo sguardo verso la stessa ragazzina che sotto alla sua presa ferrea prese a calciare come una belva inferocita

«Perché mi hai fatto questo? sei solo un lurido egoista!» urlò Skye, ma sembrò che niente potesse scalfire la corazza dura di Saleem.
Più Skye non leggeva nessun'espressione sul suo viso e più le suscitava collera e rabbia.
Ed era proprio quella calma inopportuna che costruiva come un tassello alla volta tutto il muro d'odio che Skype provava da quella notte.

Sfinita dal non ricevere risposte, non volle mostrarsi debole alla sensazione di pianto che subentrava ogni qualvolta si arrabbiava tanto.
Ricordò tutte le volte che lei e suo fratello Dean si stuzzicavano a vicenda per poi scoppiare in liti stupide a cui erano soliti. E a tutte le volte che dopo aver urlato dalla rabbia si sentiva sopraffatta dalle emozioni e piangeva nascosta da qualche parte.

Diede con tutta la forza che aveva in corpo una gomitata a Joseph che, preso alla sprovvista, mollo la presa dal suo colletto e si massaggiò il punto colpito, imprecando a bassa voce mentre guardava la ragazzina allontanarsi da lui.

«Lasciatemi andare e non provate a seguirmi!» disse prima di andarsene dal lato opposto a quel che le sembrava l'uscita, sapendo bene che con loro tre non l'avrebbe mai avuta vinta.

Era quasi giunta alla fine di quella strada, stava per voltare l'angolo della parete rocciosa quando sentì uno sbruffo dietro al suo orecchio e poi subito dopo la terra si levò da sotto ai piedi e venne sollevata come un sacco di patate, da Saleem.
Joseph e Finn non potettero far altro che guardare le loro schiene venir inghiottite dal buio.

Con il passare del tempo, Skye avrebbe capito che Saleem avrebbe sempre mantenuto un primato indelebile nei suoi incubi. E l'odio che sentì quel giorno per lui, non l'avrebbe mai lasciata sola.

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