31. I love it and I hate it at the same time

Skye non aveva nulla da impacchettare, la sua esistenza lì si riduceva al vecchio completo di danza che aveva indossato quella fatidica sera e che non avrebbe portato, e al misero plaid della sua stanza.

Per questo stava dando una mano al Villaggio, era sommersa dalle tende che sarebbero servite a trasportare materiale chirurgico e scorte. Mentre ai tendoni, le armi sarebbero state trasportate in scatole in legno o ferro realizzate appositamente.

Con lei c'erano tanti membri del Villaggio, oltre a Finn e Indie. Quest'ultima più taciturna del solito. Finn invece, era come sempre arzillo nonostante l'aspetto smunto, correva fra un posto e l'altro e aiutava a trasportare tutto ciò che era pesante fino al furgone.

Mentre chiudeva a sacco il tessuto e sistemava il riso in un altra sacca, si guardò intorno e si chiese se a quelle persone sarebbe mai mancato il Villaggio sottoterra...magari per loro, nonostante tutto, era diventato un luogo sicuro in cui rifugiarsi, dopotutto erano stati rintanati lì anni prima di essere stati scoperti.

Per colpa sua.

Puntualizzò la sua mente. Fece una smorfia mentre sollevava il sacco e lo rimetteva sul tavolo assieme a molti altri già pronti.
Almeno sarebbe stato più facile trovare del cibo lì fuori.

Da lì a poco, sarebbero usciti e quella sarebbe stata l'ultima notte.

Una parte di lei, era contenta. Avrebbero potuto finalmente respirare aria pulita, bearsi della vista del sole e delle stelle. Ma era anche spaventata a morte.

Stavano riponendo fiducia in uno come Icaro.

E se avrebbe cambiato idea uccidendoli tutti all'istante appena messo piede fuori? Era possibile che come merce di scambio, per una breve tregua, bastava proprio lei?

Finito l'ennesimo compito, raggiunse gli amici all'altra estremità del tavolo.

«Serve una mano?» si propose ancora, qualsiasi cosa pur di non pensare all'imminente partenza. Guardò ancora Indie intenta a sistemare i chicchi di riso, Finn invece stava guizzando ancora fra la folla prima di raggiungerle con altre stoffe, alzandole vittoriose.

«Quanta gente oggi» ammise, guardandosi intorno. Erano a centinaia che si davano da fare per preparare tutto l'occorrente. Patrick e gli altri della sua squadra stavano preparando il furgone, lo stesso che avrebbero riempito di molte scorte e altri equipaggiamenti mentre la squadra e i membri avrebbero camminato a piedi.
Nessuno più sarebbe ritornato lì.

Quanti ospedali e basi militari saccheggiate c'erano volute per creare quel posto? lo notò solo in quel momento guardando i furgoni colmi di merce, e nonostante questo avrebbero comunque dovuto portare sacche e armi sulle spalle.
Solo allora notò che i veicoli fossero due, ma erano cosi conciati male entrambi, che era impossibile individuare su quale settimane prima era salita.

Indie chiuse il sacco, face per alzarlo ma Finn glielo tolse velocemente dalle mani.

«Faccio io» si propose, allontanandosi per riporlo nel furgone poco distante da loro.

Indie appoggiò le mani sul tavolo, sul viso un'espressione che non le aveva mai visto.

«Bene... suppongo sia tutto finito per ora...posso ritornare all'ospedale» mormorò a scarsa voce. La mano minuta di Finn si appoggiò alle sue spalle.

«Vengo con te» propose quest'ultimo e Indie scosse il capo «No...No... non è giusto, è una cosa che devo fare io, già avrei dovuto fare anche...» Ma Finn insistette fino a non farla arrendere.

«Cosa succede?» chiese allora Skye, accigliandosi. Perché d'un tratto l'ospedale sembrava l'ultimo posto in cui Indie voleva andare? eppure aveva sempre visto l'opposto, lei sorridente fra i pazienti, anche nelle situazioni peggiori. La sua amica era quel tipo di persone che avrebbero dato qualsiasi cosa pur di poter curare i propri pazienti. Aveva una vera e propria propensione nel curare.

Indie la guardò, per poi abbassare subito lo sguardo «Io...Non ce la faccio a spiegarglielo» si arrese, voltandosi verso Finn che ora la cingeva per un fianco, quasi a sostenerla.

«D'accordo, allora...» sospirò quest'ultimo guardandola. «Adil due giorni fa le ha comunicato che chi non avrebbe avuto nessuna possibilità di guarire e chiunque avrebbe potuto rallentarci inutilmente o chi non ce l'avrebbe semplicemente fatta all'esterno, avrebbe avuto già da qui sospese le cure essenziali per sopravvivere» concluse Finn, fra i piccoli singhiozzi che Indie provava a nascondere.

Le sue gambe si mossero involontariamente verso di lei, e neanche si rese conto di averla abbracciata. Le dita sottili si chiusero intorno alla sua vita, nascondendo il capo nella sua spalla, dove poco prima c'era stata una ferita che solo a quel contatto l'avrebbe fatta urlare dal dolore.

«Ho sempre curato Skye, sempre. Sono nata per curare e non per uccidere, non poteva chiedermi quello...» si sciolse in lacrime, mentre lei le accarezzò i capelli.

«Lo so, lo so» le sussurrò rassicurante, ma il suo cuore era stretto in una presa ferrea.

«Non è la prima volta che accade. Non mi sento di giudicare Adil per questa scelta. Purtroppo non siamo nei panni per poterlo fare» disse Finn, abbassando gli occhi su suoi scarponi. Era soltanto un ragazzino, e Skye seppe che aveva visto più morte lui che tutte le persone che aveva conosciuto nella sua vita. Nonostante il suo aspetto lo mostrava come un ragazzo gracile e minuto, Finn era un vero e proprio guerriero, e potette confermalo anche in quella stessa situazione.

«Oggi era l'ultimo giorno. A quest'ora...» singhiozzò l'amica, stringendola forte e non riuscendo a continuare la frase. A quest'ora sarebbero morti. concluse la frase che rimase a mezz'aria.

Poi la sua mano si fermo fra i suoi capelli, e gli occhi di Skye scattarono in quelli sconfinati di Finn. Se Indie era stata lì tutto il giorno con loro a preparare il Villaggio alla partenza...Chi aveva eseguito gli ordini di Adil?

Perché quello era stato un vero e proprio ordine...Ed Indie in fondo non era un soldato pronto ad eseguirli.

L'aveva detto, era una che curava.

«Finn» lo chiamò a riprendersi quando gli occhi di lui sgattaiolarono via.

«Chi ha eseguito quest'ordine?» a lei non le era stato minimamente accennato. L'amico di squadra distolse ancora gli occhi, puntandoli sulla schiena di Indie che, se possibile, pianse più forte.

«Non mi perdonerò mai per non averli salutati» stridette. Skye rafforzò la presa su di lei mentre attese senza respiro le parole di Finn.

Esse arrivarono.
E lei già conosceva quella risposta.

Chi altro avrebbe potuto eseguire quell'ordine se non il soldato principale? colui che Adil riponeva più fiducia? colui che aveva sempre servito il Villaggio, anche prima che esso stesso ancora non l'era diventato.

Il loro superiore.

L'aria le si spezzò e risucchiò dai polmoni, e come ad un gatto a cui avevano appena calpestato la coda, si sciolse dall'abbraccio dell'amica, quasi scattando indietro.

«Indie» rantolò, guardando l'amica, le prese il viso fra le mani e con l'indice le tolse celere le lacrime dalle guance. «Devo andare ora» avvisò.

Lei annuì, si asciugò il restante della lacrime con il polso e annuì ancora.

«D'accordo...» si ricompose lentamente con il respiro tremante, Finn ritornò accanto a lei in un batter d'occhio.
«D'accordo» ripeté quest'ultima. Asciugandosi le ultime lacrime.
«Attenta, in certi casi...Non è facile stargli vicino, la scorsa volta ha fatto a pezzi un edificio» l'avvertì Finn intuendo cosa volesse fare.

«Va da lui. Ti prego, io non ne ho il coraggio» implorò invece l'amica, mentre i piedi di Skye erano già in corsa e se pensava di conoscerlo bene, sapeva dove avrebbe potuto ritrovarlo.

Quando passò fuori dall'ospedale, non fu sorpresa di non sentire più i canti che accompagnavano un'anima all'aldilà. Gli stessi che lei aveva avuto la spiacevole occasione di udire.
Quante anime erano volate via quel giorno? Sperò non tante.

Proseguì verso la sua rotta, salendo i gradini due alla volta, e quando arrivò all'atrio, non si sorprese di avere il fiato corto, ma non si diede tempo di ricomporsi, aprì con una mano la porta che dava alla Torre.

Non aveva mai visto la Torre di notte, e quella fu la prima e ultima volta.

La luce lunare si rifletteva sul pavimento in pietra, illuminandolo quasi tutto. Al di fuori delle vetrate, per la prima volta non vi erano macerie, solo oscurità.
Le tenebre la circondavano da ogni lato, e i suoi occhi impiegarono diversi secondi per abituarsi al buio.

Poi lo vide, appoggiato a terra con la schiena al muro.

Era lì.

Avrebbero voluto dire qualcosa, anche per spezzare quel silenzio che lasciava cogliere solo i suoi respiri irregolari. Quasi il cuore le fosse appena uscito dalle scapole per la corsa.

Prese un unico grande respiro profondo, e decise di non proferire parola mentre il suono dei suoi scarponi riecheggiò nella stanza, avvicinandosi a lui e sedendogli accanto.

Alzò gli occhi verso il cielo di fronte e finalmente le vide; miriade di stelle li sovrastavano proprio in quel momento, sembrarono infinite mentre occupavano tutti gli orizzonti e riflettevano il proprio splendore su tutto il mondo.

Fu difficile distogliere lo sguardo da quello spettacolo per riportarlo su Saleem.

Intravide nel buio lieve il suo profilo, i suoi respiri erano irregolari tanto quanto i suoi precedenti, eppure lui non aveva corso, i suoi occhi cupi erano persi in un punto indefinito di fronte a loro.

Quanta forza ci era voluta? Era certa che fosse stato disumano fare un gesto simile. Per questo dovette trattenersi dal piangere, eppure lei poteva solo immaginare com'era stato, per questo aveva spesso pensato che la sua stessa empatia sarebbe stata la sua condanna a morte.

Saleem non le parlò, era intento a ricomporsi, nonostante mostrava solo i respiri irregolari, sfoggiava una forza che lei non avrebbe mai avuto molto probabilmente.

Eppure riuscì a vedere parti di Saleem cosi chiaramente sotto quella luce, che pensò finalmente di capire e vedere per davvero chi era realmente.

Non vi erano parole che avrebbero avuto il potere di lenire quella sorta di squarcio che si era aperto in lui, cosi chiuse gli occhi e si permise di far scivolare la testa sulla sua spalla, incastrandosi meticolosamente fra l'angolo del collo e la spalla. Sentì il suo cuore pulsare forte, forse troppo, e il suo respiro molto più vicino. Solo diversi minuti dopo, quando il respiro di lui si era regolarizzato del tutto e sentì il suo cuore calmarsi, decise di aprire di nuovo gli occhi, perdendosi fra le stelle di fronte a loro.

Voleva distaccarsi dai pensieri che le vorticarono in testa, perché non era solo dispiaciuta, era anche furiosa.

Arrabbiata perché proprio lui, che aveva sempre protetto a tutti i costi la gente di quel posto, aveva dovuto commettere un'atto tanto orribile. Forse era proprio lei che avrebbe voluto spaccare un edificio al suo posto, perché sapeva che Saleem non meritava questo. Decise quindi di concentrarsi solo sul cielo notturno, lasciando indietro quei sentimenti intensi che le facevano vibrare i muscoli.

Aveva ragione quando pensava che dalla Torre le stelle si sarebbero viste meglio.

«Oggi è stata proprio una brutta giornata» la voce di lui la riportò con i piedi a terra. Risuonò calma e pacata, come il Saleem di sempre, ma non aveva il solito timbro...tagliente. Guardò il palmo della sua mano sul ginocchio, la piccola cicatrice che gli medicò tempi addietro si era rimarginata del tutto ora, non aveva più avuto tempo di chiedergli come stava al riguardo.

«Lo so» gli sussurrò, facendo scivolare timorosamente la mano sulla sua cicatrice.
Sembrava camminare su carboni ardenti e il suo cuore continuava a perdersi qualche colpo.
Con la punta dell'indice percorse la piccola linea frastagliata, e indugiò lì imbarazzata. Avrebbe dovuto stringergliela? sicuramente lei voleva. Ma aveva anche paura di esser respinta. Non si diede modo di chiedersi come mai avrebbe voluto tenergli la mano.
Non ebbe modo di pensarci ulteriormente, perché la sua mano venne rinchiusa a scatto nel suo grande palmo, e le sue dita, in un modo stranamente familiare, si intrecciarono e incastrarono.
Skye guardò sorpresa le loro mani unite, dalla spalla di lui sembrarono ancora più belle mentre la luna le illuminava, avvertì del calore provenire da loro e se ne beò.
Sembrava cosi strano, quasi inappropriato eppure... eppure era familiare. Era come se anche i loro corpi si conoscessero cosi bene.

Erano ottimi compagni di squadra, e si sarebbero sempre supportati l'un l'altra. Avrebbero fatto lo stesso anche con il resto della squadra.
Tutto qui, si disse mentalmente.

Gli stava soltanto dando conforto, anche se in quel momento si sentiva lei confortata.

Quel semplice contatto rischiò di farle ritornare i battiti irregolari che tentò di camuffare soltanto per poter restare ancora un altro momento lì accanto a lui, sulla sua spalla, fra quella luce.

Soltanto loro, lì.

E perfino la guerra le sembrò arretrare.

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