30. Mistake

Passarono un paio di giorni dall'annuncio di Adil.
Il Villaggio sembrava sotto assedio, i membri erano sempre frenetici ed impegnati, ognuno si era reso utile in qualsiasi modo.
Nessuno più badava alle occhiaie marcate che Skye sfoggiava in volto, esse contraddistinguevano ancora di più il viso pallido in netto contrasto con la carnagione olivastra di quelle terre. Gli altri abitanti del Villaggio non stavano messi meglio, ebbero poco tempo per le lamentele o dormire, e lei poteva osservare la preoccupazione incisa sul viso di ognuno.
Avevano tutti paura di immaginarsi quel "dopo'' tanto imminente.
Le persone quando si riunivano per i pasti non parlavano d'altro, il loro malcontento era palese anche al capo del villaggio nonostante tutti credessero in lui ciecamente e appoggiassero infondo la sua scelta.
Quando passava fra le botole che precedevano i tavoli, sentiva spesso gli occhi di tutti addosso, e quando si voltava verso di loro, distoglievano lo sguardo altrove.
Eppure mai nessuno l'aveva indicata o maledetta.
Dopotutto la sua mente le ricordava spesso che la colpa era stata sua e il fatto che tutti loro erano costretti ad uscire allo scoperto era solo una mera conseguenza.
Nonostante tempi addietro la gente era andata alla ghigliottina per meno, mai nessuno le aveva recato torto. Muna le aveva spiegato sussurrando che tutti loro credevano che Skye potesse realmente cambiare le cose, tutto solo perché ora Icaro voleva lei. E che finalmente ora avrebbero potuto avere anche loro un po' di potere nelle trattative.

Partecipando a quella missione aveva sicuramente aggravato, se possibile, la situazione di tutti loro nonostante la sua premessa fosse quella di voler aiutare quella gente, aveva fatto tutto l'opposto senza neanche volerlo.
E questo, per Skye, era difficile da mandar giù. Spesso, anche durante gli allenamenti, doveva inghiottire la bile di ansia che le si formava sulla punta della gola. Evitare di scoppiare era diventata una sua priorità.l quotidiana, fare la martire sarebbe stato più facile.

Soprattutto quando le persone che tanto avrebbe voluto salvare, erano cosi clementi con lei.

Adil non l'aveva cacciata dal Villaggio come Saleem aveva avuto paura facesse, tutt'altro, l'aveva resa realmente partecipe della squadra. Aveva però dovuto aumentare la vigilanza all'entrata e la produzione, rintanandosi nel suo edificio per progettare un piano che reggesse. Prima di farlo però, le aveva ordinato di non lasciare mai la squadra e di non allontanarsi, mentre i membri del Villaggio avevano iniziato a preparare l'occorrente che avrebbero dovuto trasferire all'esterno da lì a poche settimane.
Dopo gli allenamenti, quando passava oltre i Campi e si dirigeva alla grotta che precedeva le botole, sentiva il lieve mormorio che proveniva dall'atrio principale della Torre, la maggior parte di quelli che conoscevano avevano preso a pregare di più e la Torre non era mai vuota e priva di suppliche, probabilmente perché sentivano il bisogno di farlo.

Mentre anche il ronzio incessante degli artificieri si mescolava a quei mormorii, anche la squadra aveva dovuto aumentare gli allenamenti e insegnare alla gente le regole di base su come difendersi, quasi come se l'indomani stesso avrebbero dovuto marciare tutti insieme contro le schiere del tiranno.
Erano proprio Lama e Finn a spiegare l'autodifesa, mentre Saleem e Joseph spiegavano l'attacco.
Lei e Wave insegnavano invece come reggere fra le mani un'arma da fuoco e come tirare a segno. Nonostante fossero tutti pronti ad imparare e a sforzarsi di capire, erano comunque giorni duri per tutti loro.
Allenarsi ed insegnare era ancora più stancante, ma immaginò fosse più complicato per chi apprendeva e chi non aveva mai avuto il bisogno di avere un'arma in mano.
Proprio come lei mesi prima.

Saleem invece... Non l'aveva più rivisto, immaginò fosse chiuso nell'edificio con il Vecchio per stabilire il piano notte e giorno. Non l'aveva più intravisto neanche alle lezioni con Joseph. Eppure qualche volta sentiva Patrick e la sua combriccola lamentarsi spesso del fatto che il loro superiore gli aveva imposto orari e regole assurde di lavoro. Ma seppur era sgusciato fuori dall'edificio qualche volta, lei non l'aveva mai visto fra i volti di quella gente.

In compenso però, aveva sempre avuto la lieta compagnia di  Finn, Muna e Indie, che facevano qualsiasi cosa per non farle pesare la pressione di Icaro. Quando era con loro, quel vestito blu si dissolveva un po' dalla sua mente.

Indie e Muna non si erano mai spinte a chiederle dettagli del pacco ricevuto da Icaro, probabilmente per discrezione, ma lei sospettava fossero al corrente sia dell'abito che aveva ricevuto in dono, sia della strana situazione che si stava creando con Saleem.

Per questo ogni volta, le ringraziava mentalmente per non farle domande, anche se avevano tutto il diritto di sapere a volte.

Tutti e quattro dopo gli allenamenti seguivano Indie fra i pazienti, medicavano e disinfettavano ad ogni occorrenza. A volte rimanevano fino a tarda notte a far compagnia a qualche malato, appoggiati alle spalliere delle brandine, ridevano e scherzavano per alleggerire quelle giornate di fuoco.
La sua persona preferita era il vecchio George, un uomo di guerra che aveva a malapena cinquant'anni, aveva lavorato in squadra con Joseph prima che tutto accadesse, raccontava loro tantissimi aneddoti su quest'ultimo e sulla sua vita in generale. Per fortuna era lì per una ferita in via di guarigione al braccio che si stava rimarginando, e Skye si chiese spesso se mai fosse rientrato in squadra, in quel caso c'era da divertirsi.

Dopo aver mandato giù tre cucchiaiate di riso infreddolito senza condimento, si era decisa a ritornare nella botola anche per quella serata. Aveva cordialmente salutato Finn, Muna e George, dileguandosi prima che Muna potesse farle ancora la paternale su quanto era indispensabile associare una corretta alimentazione, alla sua attività fisica, per quanto le risorse rendevano tutto possibile.
«Sei troppo magra e pallida, cosi non puoi andare avanti» le raccomandava sempre.

Quella sera però, Skye se l'era data a gambe prima che Muna potesse controbattere, l'aveva lasciata con il cucchiaio a mezz'aria che prendeva ad agitare spesso utilizzandolo come arma per indicarla.
Nessuna predica per quella sera. Indie, vedendo già Skye troppo lontana per essere rimproverata, se la rise di gusto ricevendo un'occhiata ammonitrice dell'altra, che se la prese anche con lei indicandola sempre con il cucchiaio.

Oltrepassò i tendoni deserti dagli stessi fabbri che poco prima erano a tavola con lei. E si avviò ai Campi per arrivare alla sua botola.

il piano di metallo di un tavolino, rifletté la luce lieve di un proiettore creando una piccola scia luminosa che le passò velocemente in viso.

Skye si bloccò.

Chiuse gli occhi e provò a domare brividi sparsi che la inondarono. Ed ecco lì di nuovo la bile risalire per l'esofago.

Quella luce cosi tagliente e accecante, le ricordò esattamente l'ultima cosa che vide prima di ricevere una pallottola da Icaro.

Grugnì esasperata sforzandosi di mandare giù il groppo e si incamminò veloce pensò che avrebbe dovuto darsi una mossa per vomitare nella sua botola.

Passò veloce per i Campi, allungando gli occhi solo quando vide un'ombra immobile poco distante da lei.

Saleem era assorto da un pezzo di carta, alzò di poco lo sguardo da quest'ultimo con la matita a mezz'aria, come percependo la presenza di qualcuno.

I loro sguardi si incontrarono, ma come sempre, come risposta, vide solo il volto imperscrutabile di lui, lo sguardo tagliente, la mascella perennemente contratta in un broncio e le sopracciglia folte ad incorniciare uno sguardo già duro di per sé.

Deviò lo sguardo e ritornò sui suoi passi per accelerare la sua andatura.

«Skye» chiamò come un superiore intento a fare l'appello del suo esercito. Lei si arrestò, con il piede a mezz'aria. Piroettò all'indietro verso di lui e attese facendo un verso stizzito per incitarlo a parlare.

Saleem ritornò con lo sguardo verso il foglio e si incamminò verso di lei, raggiungendola in due grosse falcate. Poi rialzò lo sguardo, portò il foglio dietro di lui e la squadrò.

«Dove stai andando?» le chiese. Skye lo fronteggiò.

«Botola» assonò.

«Mhm» mugugnò ancora, non staccandole gli occhi di dosso.

Skye avrebbe voluto dirgli che era stanca dei suoi toni accinti, delle sue continue sfide o restrizioni, dei suoi sbalzi d'umore e del suo essere sempre corrucciato e scontroso, soprattutto verso di lei.

Come se remassero in due direzioni opposte restando sulla stessa barca; sentiva che quest'ultima continuava nervosamente ad oscillare, facendo entrare acqua da tutti i punti, ma non andava mai alla deriva, rimaneva inspiegabilmente a galla, non affondando nemmeno, anche se ad un certo punto però l'aveva sperato.

Piuttosto che rimanere cosi, piuttosto che guardarli arrivare fino a quel punto, stremati ed esausti, avrebbe voluto farsi inghiottire dagli abissi.

E invece picchiettò una mano sul petto di Saleem, costringendolo ad arretrare, poi si portò avanti di un passo mettendosi sulle ginocchia e vomitò. Proprio in mezzo a loro due.

Sentì finalmente quella bile dissiparsi. Guardò il ristagno appena creato sul terriccio e si sentì finalmente meglio.

«Vieni» gli sussurrò. Afferrandole dolcemente le spalle, troppo dolcemente, per aiutarla a rimettersi diritta. Skye lo guardò torva. «Lascia stare, non sei troppo impegnato per questo?» lo sfidò con sguardo torvo. Gli occhi di Saleem scivolarono di nuovo nei suoi, cupi e neri come un cielo senza stelle.

Non le rispose, la spinse solo debolmente dalla spalla invitandola a seguirlo.

Andarono in infermeria, e Skye lo lasciò fare.
Appena entrarono nel tendone, Indie diede un'occhiata da lontano, quando la vide si accigliò, e lo fece ancora di più nel vedere Saleem con lei. Nonostante la confusione indicò comunque loro una stanza libera con un cenno della mano.
Entrarono in quest'ultima, e lo sentì subito aprire i vari cassetti intento nella ricerca di una cura.
Quando gli porse un medicinale per la digestione e una brocca d'acqua, sedendosi di fronte a lei, non ebbe il coraggio di opporsi.
Era solo stanca e... odiava pensare a quel dannato abito blu.

Ma non glielo disse, sentiva che se l'avesse fatto si sarebbe sottoposta ai suoi occhi inquisitori e in quel momento non sapeva se avrebbe retto senza vomitare di nuovo.
Al solo pensiero, il suo stomaco si contrasse di nuovo.
Piuttosto che ammettere che stava male, accettò la pillola, la buttò giù con un sorso d'acqua tiepida e aspettò che andasse giù.

Saleem nel frattempo si era seduto su uno sgabello di ferro, aspettò con lei che facesse effetto. Pian piano il suo stomaco smise di contrarsi, i suoi muscoli si allentarono appena.
Lui non la guardava, aveva lo sguardo chino sulle sue mani in grembo.

«Sto meglio, grazie. Possiamo andare ora» ammise. In realtà piuttosto che non vederlo per giorni interi, avrebbe preferito restarsene in silenzio in quel tendone a fingere di avere un malore che non aveva. Perché in quelle notti, proprio non riusciva a stare da sola e nonostante fosse sfinita per gli allenamenti di lei e del Villaggio, non riusciva comunque a dormire bene.

Si alzò quindi per incamminarsi ma Saleem parlò.

«Skye, io non sono uno che resta a guardare, sono uno che agisce. Non sono impegnato perché mi piace essere lontano dalla squadra. Sono impegnato perché devo agire. Devo mettere in atto un piano. Portarci in salvo. Rimediare ai miei stessi errori» sparò improvvisamente.

«Perché mi dici questo? Non mi devi spiegazioni, Saleem» Iniziò Skye ma lui la interruppe.

«In questo Villaggio non abbiamo il lusso di preoccuparci, tanto meno per gli altri. Questo può essere una debolezza ed è per questo che ognuno sa badare a sé. Ma nella squadra non è spesso cosi. E a volte mi è impossibile capirti o sapere se stai bene» rivelò guardandola profondamente negli occhi.

Lei ci sguazzò dentro in quegli abissi, perdendosi, affogando, ritornando a galla per respirare e perdendosi di nuovo.

Occhi cosi bui dovevano essere illegali.

«Tu non capisci me? che caso. Io avrei detto viceversa» scherzò, sconcertata dalle sue parole. Era pronta ad esplodere finché non lo risentì parlare.

«Già, non è facile capirci a quanto pare» una leggera smorfia simile ad un sorriso, gli si allargò in viso per una frazione di secondo. E la sua rabbia dinanzi a quella smorfia si affievolì appena.

«Di quali errori stai parlando comunque?» chiese ancora.

«Tanti, fra cui anche quello di averti permesso di unirti alla squadra» rispose atono, la sua espressione era ritornata impassibile.

«Te ne sei pentito?» disse aumentando il suo tono di un'ottava. Ci aveva impiegato del tempo, ma era arrivata alla conclusione che era vero, se Saleem non l'avesse portata al Villaggio quella sera, lei sarebbe molto probabilmente morta insieme agli altri.
Gli altri a cui lei continuava a non pensare.

«Diamine certo che no!» tuonò, e fu rincuorata del fatto che neanche dopo l'incontro con Icaro lui la volesse morta. «Intendevo che non avresti dovuto neanche metterti ancora di più nei guai...Guai che neanche io stesso riesco a risolvere a quanto pare» Skye annullò la loro distanza e gli si piazzò di fronte, assicurandosi che la stesse guardando.

«Non sono solo i tuoi errori. Non sei tu che ci hai condotto a questo. Io so cavarmela perché sai cosa sono diventata? un soldato» proferì con tono piatto ma deciso, non ritirò il suo sguardo perché voleva che lui vedesse quanta determinazione provava e quanto quelle parole, per lei, erano vere.
«Sono un soldato» ripetè convincendo prima se stessa.
Perché era vero. Skye ormai era un soldato, e niente più l'avrebbe cambiata cosi tanto a fondo più di quella stessa esperienza.
Resse il suo sguardo prima di sospirare.
«Lo so» ammise e lei sapeva quanto gli fosse costato ammetterlo.

«Stiamo tutti rimediando agli errori altrui. E so che non è facile e spesso non abbiamo il privilegio di tenere a qualcun altro, ma è questo quello che fa una squadra» ci si prende cura l'uno dell'altro. Avrebbe voluto aggiungere prima di rendersi conto che era la cosa che Saleem aveva appena fatto con lei.

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