Le palpebre pesanti di Skye si aprirono con troppa difficoltà e appena lo fecero, una fitta intensa le partì dal lato destro della testa e si propagò velocemente su tutto il resto del corpo che ora era... disteso. Il dolore la riportò a destarsi rapidamente contro il suo volere, mise una mano alla nuca istintivamente, come se potesse bloccare l'emicrania che già pulsava forte.
Tutto era sfocato, dovette sbattere gli occhi più volte prima che spaventata si alzasse di colpo tenendo la schiena piatta al muro spoglio che trovò dietro di sè. Dopo che le vertigini le passarono, potè guardarsi intorno con un espressione di confusione mista al dolore dipinta sul volto.
Le pareti mostrano un colore che prima era sicuramente bianco ma che ora non lo era più, un unico ambiente composto da un tavolo raggrinzito consumato dai tarli, un cuscino ed una coperta logora dall'aspetto poco invitante, erano le uniche cose presenti lì con lei.
Non aveva nient'altro a disposizione per capire dove fosse.
Però la mancanza dei servizi principali come un vero letto, un orologio o un bagno la fece ricredere di essere in una stanza d'ospedale.
E allora: dov'era?
Guardò di fronte a lei e si precipitò, troppo fiduciosa, sull'unica porta della stanza ma essa, una volta abbassata la maniglia, rimase immobile.
Provò allora con tutte le sue forze a prendere una rincorsa, nonostante la piccola metratura della camera, e si lanciò con il suo peso verso l'uscita ma tutti i suoi tentativi fallirono miseramente.
Già stanca con il dolore martellante di un grosso mal di testa, si accasciò contro la porta, le spalle toccarono il metallo freddo, facendole chiudere per un attimo le palpebre.
Caldo, faceva tremendamente caldo.
Ma dove si trovava? In una fornace?
Desiderò subito di essere ovunque, ma non lì.
Sembrò essere passata un eternità da quando era rimasta ferma mezza accasciata alla porta, e per quanto ne sapeva, poteva essere realmente passato quel lasso di tempo. Continuava a crogiolarsi nei suoi stessi pensieri cercando di non pensare al dolore alla testa, quando un rumore la fece sussultare. Aguzzò le orecchie in cerca del minimo suono, sperando di non averlo sognato, quando ne risentì uno uguale.
Un piccolo palpito, no... non un palpito, uno bussare!
Era come se qualcuno picchiettasse sul metallo della porta.... Come un lampo, Skye si alzò e si allontanò da essa andando dall'altra parte della stanza con un enorme salto mentre, con suo stupore, la porta venne schiusa e il cuore le arrivò in gola dalla sorpresa e dalla paura che si confusero bene fra loro.
Piano a piano che essa veniva aperta, il metallo lasciava spazio ad altro, poté finalmente intravedere un anfibio nero, poi il suo sguardo salì lungo a delle gambe lunghe, troppo lunghe, per poi arrivare a vedere quel viso.
Era come tuffarsi a bomba nell'oceano più freddo. Skye schiuse le labbra secche mentre associava quel viso a quella notte.
Era di nuovo lui; lo stesso uomo che aveva sparato al teatro, era stato capace di uccidere.
Sembrava essere in un incubo senza fine, e Skye sperò fino al midollo di star sognando.
Questa, per lei, non poteva essere la realtà.
Milioni di domande e pensieri poco gradevoli si accavallarono nella mente di Skye che rimase immobile come una statua che rischiava di andare in frantumi, gli occhi fissi nei movimenti lenti e pacati di chi aveva di fronte.
Capì subito di essere finita chissà come, ad essere una pedina della scacchiera che c'è iva mossa da fili invisibili.
Il ragazzo che a prima vista sembrò avere la sua stessa età, entrò definitivamente nella stanza lasciandosi la soglia alle spalle.
Le dita lunghe e piene zeppe di graffi stringevano un vassoio di plastica con sopra qualcosa di fumante che Skye a malapena guardò, invece si gettò come un falco alla porta, con la mera speranza di passarla liscia e scappare via.
Spostò con una gomitata il ragazzo e provò ad aprire la maniglia, ma essa restò di nuovo ferma.
Ma com'era possibile? aveva appena visto la porta chiudersi pochi secondi prima senza nessuna mandata di chiave.
Il cuore le sussultò al petto e con la mano ferrea sulla maniglia si voltò di nuovo indietro, sperando di non avere una qualsiasi arma puntata contro... invece, contro ogni aspettativa, il ragazzo non la degnò di uno sguardo.
Sembrava... quasi restio a stare lì con lei.
Fissava invece ammutolito il tavolo ai suoi piedi, era come si aspettasse ogni singola mossa da lei e forse l'aveva calcolato per davvero.
Qualcosa in lui, le dava sui nervi.
Forse le sembrava totalmente disinteressato alla situazione, se ne stava lì in silenzio, a invadere la stanza con tutta la sua altezza, e il viso magro mostrava una maschera impenetrabile.
Guardandolo meglio... a Skye faceva davvero paura quel tipo.
Lui si limitò ad abbassarsi all'altezza dell'unico tavolo presente, adagiando sopra di esso il vassoio che poco prima aveva visto fra le sue mani. Tolse un coperchio di plastica e un contenuto simile a del riso con qualcos'altro di commestibile prese presenza davanti a lei.
Skye sentì in risposta il suo stesso stomaco brontolare, per colpa dell'adrenalina non riusciva neanche a rendersi conto dei suoi stessi bisogni. Quanto tempo era passato dal teatro?
Da quanto tempo non beveva o mangiava? Sembrava un'infinità.
Ma Skye non si mosse dalla porta. Nonostante l'appetito, non voleva altro che andarsene. Solo quello! E mai e poi mai avrebbe mangiato del cibo che le veniva offerto, benché da lui.
Dopo minuti interminabili, ore o chissà quanto, Skye sfinita da quel silenzio e ostinazione, si lasciò scivolare al suolo, con lo sguardo fisso sul piatto ormai freddo e sulla bottiglia d'acqua che prima non aveva neanche notato al suo fianco.
Forse la voleva torturare, forse quello dentro al piatto era veleno, si sarebbe divertito così, dunque, con lei?
Il ragazzo dal suo canto, continuava a non parlarle e a non sfiorarla neanche con lo sguardo, se ne stava lì composto. Questo di rimando faceva, letteralmente, impazzire lei.
Fu brava e attenta a non avvicinarsi a lui, anche se l'acqua era tutto quello che desiderava in quel momento. Aveva domande... ma aveva ancora più paura di porle, o di udire la risposta. Di questa non ne era certa.
Rimasero in un rigoroso silenzio finché Skye iniziò a tremare, provò a nascondere i tremolii, il suo corpo le stava dicendo qualcosa. Forse era prossima ad un attacco di panico? Piano mise la lingua fra i denti per evitare che i denti sbattessero fra loro, non voleva catturare la sua attenzione. Nonostante lui fosse lì da un po' e ancora non le aveva staccato la testa dal collo o piantato una pallottola al cuore, non aveva il coraggio di ricambiare il suo sguardo o di chiedere qualsiasi cosa.
Per questo, iniziò lui a parlarle e per la prima volta, Skye sentì la sua voce, aveva un timbro profondo, chiaro e tagliente. Ma non capí la sua lingua.
Il ragazzo aveva stampato in viso una smorfia di quel che sembrava pura noia e, contro ogni sua aspettativa, si allungò verso ciò che era posto sul tavolo.
Le lunga dite si strinsero intorno alla bottiglietta d'acqua e, con lo sguardo puntato su di lei, bevve un sorso di acqua.
Il suo sguardo lo seguiva, lo vide gettare la testa all'indietro mentre il suo pomo d'adamo muoversi su e giù a ritmo.
Lo riconobbe come un gesto di... fiducia. Per dimostrare che non vi era nessuna tipologia di veleno in quel liquido.
Quando il ragazzo abbassò la bottiglia sul tavolo, Skye fu bramosa di dissetare il suo corpo e prima di poter riflettere, con un gesto repentino afferrò la stessa bottiglietta e aprì la bocca, subito il contenuto si riversò in lei, spezzando finalmente la sua sete; ogni cellula del suo corpo fremette alla sensazione di freschezza che finalmente aveva preso posto sul suo palato, si sentì subito meglio. Sentì anche meno caldo, nonostante i tremori sapeva che non erano dovuti a nessun freddo. Lì l'aria sembrava non circolare, o almeno era cosi per lei. Bevve finché non ne rimase un'altro misero goccio, che decise però di conservare.
Lui non le disse niente, a malapena la guardò invece. E fu cosi anche dopo, quando Skye fu sfinita dal dolore di testa e il sonno la vinse.
Dopo un lasso di tempo che le parve interminabile, Skye si sentì scivolare in un sonno profondo. Lasciò il cibo ormai stinto ancora intatto e l'ultima cosa che vide fu il viso del ragazzo di fronte a lei, impassibile.
Chiuse gli occhi lentamente domandandosi quale mostro sarebbe stato impassibile di fronte a tanto dolore.
Si sentì presto avvolta da Morfeo, e non fu più convinta di essere sveglia o di stare nel dormiveglia, forse ciò che percepiva non era più la realtà e forse si sarebbe risvegliata nel suo letto a Parigi, per questo non era certa di quel che aveva appena sentito.
Come se fosse tutto ancora un equilibrio poco definitivo fra sogno e realtà, sentì uno spostamento d'aria intorno a lei, dei passi pesanti e in lontananza sembrarono indugiare per un momento sulla soglia della porta accanto a lei.
Sentì sussurrare qualcosa a malapena ma che le sembrò infine comunque una frase sensata mentre la ripeteva in continuazione nell'oblio.
«Capirai che non voglio farti del male» sembrò dirle o sembrò lei sentire. Poi chiuse la porta dietro a qualsiasi cosa si celasse all'esterno.
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