61- 𝙆𝙚𝙚𝙥 𝙢𝙖𝙧𝙘𝙝𝙞𝙣𝙜 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢

🎵Musica: Keep marching, Brand X Music

🛼 Programma di gara: Parziale- Di Nunzio, FD 2024

⭐Al solito, vi chiedo una stellina di supporto prima di iniziare il capitolo ⭐ 

Avevo lasciato l'Italia sconfitta e delusa da me stessa.

Le parole della Cameron non si erano rivelate sufficienti, così avevo avuto parecchie ore per documentarmi come meglio potevo. Che il dolore fosse una tappa fondamentale del lutto era scritto in qualsiasi articolo online.

Per quanto Jordan lo rifiutasse, prima o poi avrebbe dovuto fronteggiarlo.

A farmi star male era l'idea che volesse affrontarlo da solo, mandando in frantumi tutto quello per cui avevamo lavorato da quando avevamo scelto di pattinare insieme.

Ma in quella lacrima, in quella goccia che aveva reso umano il suo volto così perfetto, c'era stato tutto: la consapevolezza che sua sorella, la sua migliore amica, non ci sarebbe più stata, il dolore e la conseguente accettazione, ospiti indesiderati che sarebbero diventati compagni con cui doveva imparare a convivere.

E per tutte e tredici le ore di volo di ritorno non avevo fatto altro che pensare a quanto era successo a Venezia. Alla sua dichiarazione. Quel modo tanto romantico quanto implicito per dirmi che sì, lui mi amava ancora, ma dovevo essere in grado di dividere l'Amelia persona dall'Amelia pattinatrice.

Se la prima avrebbe potuto restare in quella città al suo fianco per tutto il tempo del mondo, l'altra non se lo poteva permettere.

Non potevo costringerlo a tornare a casa per pattinare con me, non potevo forzare i suoi tempi. Dovevo crescere, riuscire a essere matura abbastanza da capire che anche se l'aria di casa era impossibile da respirare per lui, era giusto rispettare la sua scelta. Anche se faceva un male assurdo.

Non ti sto lasciando.

Ti amo, sempre.

Me l'aveva ripetuto infinite volte prima che prendessi l'aereo.

Prima dell'atterraggio avevo capito una cosa: l'amore vero non è come quello dei libri. Nella vita di tutti i giorni spesso le persone si trovano di fronte a un bivio ed è necessario percorrere due strade diverse per arrivare alla stessa destinazione.

Sopra ogni cosa noi volevamo stare insieme, senza perdere di vista noi stessi. Non potevo combattere la sua battaglia, ma potevo aspettare che riuscisse a prendere fiato a sufficienza per poter tornare sulla strada di casa e ricominciare a vivere.

E forse era tutto lì, il vero significato dell'amore: nel sapersi aspettare l'un l'altro, anche nei momenti no. Essere presenti nonostante la distanza, concedendosi il tempo per guarire. Allo stesso modo in cui lui aveva fatto con me durante i mesi di ricovero. Avevo estrema fiducia in lui.

Nessuno dei due era solo.

Per questo ero tornata a Clearwater più tranquilla, perché alla fine non ero riuscita a portarlo con me, ma forse l'avevo convinto a chiedere aiuto.

Non sapevo se sarebbe riuscito a tornare per il campionato del mondo, arrivati a quel punto mi interessava relativamente. La nostra storia era iniziata con i pattini ai piedi, ma era a piedi scalzi che aveva dato il suo meglio. Mi bastava sapere che aveva ripreso a lottare: per Ellison, per me, ma soprattutto per lui.

Io lo avrei aspettato, lasciandogli quanto più spazio possibile.

Quel bacio scandito dalle campane era stata solo la conferma di cui avevo bisogno. Mi amava ancora.

Per quello quando tornai a casa, non mi spaventai all'idea che Kevin mi avesse raggiunto dall'altra parte della Florida per allenarsi di nuovo con me.

Non ero più l'atleta di Daytona impaurita dall'idea di non essere abbastanza per lui e per loro, riconoscevo il mio valore come persona e come atleta. Questa volta sarebbe stato lui a doversi adattare a me.

Arrivata in pista e trovai Martina già in attesa. Nel suo sguardo c'era la promessa di lasciare fuori dalla porta qualsiasi tipo di dolore e pattinare. Era il nostro modo per affrontare il periodo.

La prima volta che Kevin entrò all'Arhena aveva il solito passo sicuro, ma lo sguardo basso scoperto dai capelli biondi freschi di taglio e le spalle leggermente incurvate. Lo conoscevo da quando ero bambina, abbastanza tempo da capire all'istante che era pentito di tutto. Anche se era stato necessario uno scandalo che aveva fatto rivalutare a tutta l'America la reputazione del Daytona Skating Club.

Chloe, con l'aiuto editoriale di suo padre, era davvero riuscita a far finire su tutte le testate giornalistiche d'America lo scempio di Audrey Clark. Il pattinaggio era comunque uno sport minore, ma si stava creando scalpore intorno all'abuso psicologico sportivo. Tante altre atlete, dalla ritmica alla ginnastica artistica, avevano trovato il coraggio di parlare portando alla luce gli aspetti nocivi che l'agonismo comporta se praticato in un ambiente tossico. Non vedevo l'ora di poter dire la mia in tribunale.

Non avevo bisogno delle scuse di Kevin, sapevo che non sarebbero mai arrivate da parte sua. Alla fine, in un modo completamente diverso dal mio, era stato vittima di quel mondo anche lui. Lo avevo capito quando, prima di tornare in pista, avevo sbirciato i suoi reel sui social, in cui aveva usato il suo folto seguito per invitare sempre a denunciare, schierandosi attivamente dalla nostra parte.

Poteva avermi insultata, criticata per un peso normale, incolpata per errori spesso non miei ma anche lui, come me, non aveva conosciuto altra realtà che non fosse quella in cui Audrey ci aveva cresciuto. Per lui, soprattutto, era stata una seconda mamma. Si era preso tutto il suo lato buono. Doveva essere difficile per Kevin rivalutarla. Nonostante questo, pensai che fosse corretto metterlo subito al corrente del fatto che davanti a sé non aveva più una partner su cui riversare tutte le sue frustrazioni:

«Mettiamo subito le cose in chiaro», gli dissi non appena poggiò il borsone a bordo pista, fortunatamente non nel punto preciso che usava sempre Jordan. Pensarlo mi provocò una fitta di nostalgia. «Non siamo a Daytona. Sono in perfetto normopeso, la mia forza esplosiva è aumentata, quindi, se fatichi a sollevarmi qui accanto c'è una bellissima palestra. Sentiti libero di usarla.»

Avevo decisamente bisogno di sfogare il contrasto di emozioni delle ultime settimane, e forse esagerai nel puntargli anche il dito contro e gesticolare come faceva sempre Martina quando doveva riprenderci. E, se lei soffocò una risata, Kevin strabuzzò gli occhi per una frazione di secondo, per poi lisciarsi con fare sicuro il tessuto tecnico della maglietta lungo l'addome scarno e scolpito.

«Ricevuto.» Quasi mi sentii in colpa. Sembrava un pesce fuor d'acqua, forse sconvolto dal mio cambiamento.

«Ti ringraziamo per essere venuto ad allenarti con noi, Kevin», aggiunse Martina con la gentilezza che a me era sfuggita. «Qui funziona in modo diverso rispetto a quello cui eravate abituati. So che ne abbiamo già parlato, ma ho bisogno di conferme. Sei sicuro di volerti allenare con Amelia per tutto il tempo necessario?»

«Sì», rispose deciso. «Come avevo detto, se Jordan non torna, sono pronto a imparare le loro coreografie per il mondiale.»

«Sto studiando tutti i regolamenti, nazionali e internazionali, per capire come muovermi. Non ci sono situazioni passate che costituiscano un precedente, nel caso in cui uno dei due partner si ritiri. Ma non posso permettere ad Amelia di perdere altro tempo.»

Lui annuì semplicemente, e mi sentii male al pensiero che quasi sicuramente avrei partecipato al mondiale con Kevin. Era come se negli ultimi mesi avessi sognato troppo in grande desiderando il mondiale con Jordan.

«Ho bisogno di conferme anche io», replicò sicuro di sé incrociando le braccia al petto. «L'accordo resta sempre lo stesso, giusto? Se mi alleno con lei avrò una nuova partner per la prossima stagione?»

Avrei voluto sprofondare all'idea di sapere Kevin in pianta stabile a Clearwater. Non solo nella mia stessa città, ma anche a condividere pista, allenamenti e allenatrice. L'espressione impassibile cui costrinsi il mio volto mi provocò un brivido che finì con uno scossone alle spalle.

Martina mi guardò, consapevole che quella per me era stata una doccia fredda. Ma il suo sguardo parlava chiaro: o così o niente. Forse era per questo che non mi aveva raccontato del loro accordo.

«È un periodo di prova. Il fatto che tu sia un ottimo atleta non ti garantisce l'accesso qui. Ho sempre preteso rispetto dai miei atleti, e qualsiasi comportamento scorretto non è ammesso. Umiltà prima di tutto.» Il modo in cui gli fece capire che avrebbe dovuto cambiare registro se voleva pattinare ancora fu micidiale. Poteva fare tutti i tiktok di questo mondo millantando i suoi buoni propositi, ma chi mi assicurava che dietro la perfezione mostrata sui social non nascondesse un'altra faccia?

Nelle settimane a seguire Martina non mi lasciò sola nemmeno un secondo. Era diverso tornare ad allenarsi con lui dopo aver pattinato per mesi con il partner perfetto. Non era difficile pattinare con Kevin, anche se sentivo mancare tutta la chimica che invece avevo con Jordan.

Il primo giorno avevamo steso un piano di allenamento che terminava il giorno della partenza per i mondiali. Preparazione atletica, coreografia e un numero considerevole di ore sui pattini. Il recupero di tutti gli elementi tecnici non fu un problema: eravamo atleti professionisti, e la memoria muscolare che ci permetteva di coordinarci era buona per entrambi. Ma il nostro grosso scoglio restava sempre la parte coreografica. Non mi sentivo a mio agio quando le note sensuali dello short program accompagnavano dei movimenti che erano stati studiati per me e per Jordan.

Odiavo farmi sfiorare da lui, odiavo doverlo guardare negli occhi come se fosse tutto il mio universo. A ogni mossa mi irrigidivo troppo, ed eravamo tornati a essere quelli che peccavano di complicità, che pattinavano in un unisono robotico ma non coinvolgente. Per questo era stato necessario rivedere completamente l'inizio del programma, tenendo però le parti che richiedevano grinta.

Scoprii anche che il problema a Daytona non ero solo io: tra i due, se io ero la più versatile nei diversi generi musicali, Kevin splendeva per lo più nei generi classici, che richiedevano più eleganza. Nei programmi di quegli anni Audrey aveva sempre fatto in modo che fossi io ad adattarmi a lui.

Fu un colpo amaro, per Kevin, sentirsi dire che doveva lavorare più sulla grinta. Abituato a essere il prediletto da Audrey, gli allenamenti con Martina lo obbligarono a ridimensionare il suo ego. L'essere considerato un atleta al pari di un altro pensavo che l'avrebbe fatto scappare a Daytona con un volo diretto, invece dovetti ricredermi quando a testa bassa si mise in gioco sul serio per migliorare.

Alla fine, per quanto potessimo essere diversi, pattinavamo entrambi per pura passione. Eravamo riusciti a mettere da parte gli screzi del passato.

In pista avevo imparato a starci. Gli allenamenti erano i momenti che mi permettevano di respirare, perché quando poi salivo nell'appartamento di Jordan ero completamente sola. A nulla servirono le video chiamate quotidiane con Lisa o le chiacchiere con mia madre, che quando poteva staccare dal lavoro per più di tre giorni veniva a trovarmi fermandosi a dormire nella stanza degli ospiti.

Il tempo continuava a marciare come se nulla fosse successo, e pian piano riuscii di nuovo a sorridere e poi a ridere di gusto con Martina, anche se per quello dovetti ringraziare alcune cadute circensi di Kevin.

Mi mancava Ellison. Mi mancava lui. Mi spezzava il cuore saperlo star male. La sera, nonostante la differenza di fuso orario, ci sentivamo sempre. Mi mancava ogni cosa di quello che eravamo prima del nostro ritorno, ma nonostante tutto riuscivo a stare a galla. Riuscivo a proseguire grazie anche agli incontri con la Cameron, che si erano fatti di nuovo più assidui.

La settimana prima della partenza per il mondiale di Miami, mia madre era venuta ad aiutarmi in modo che potessi pensare solo ad allenarmi. Mentre io trascorrevo le ore tra pista e palestra, lei faceva in modo che trovassimo tutto pronto: preparava il pranzo per me, Kevin e Martina, rassettava e girava da un market all'altro in modo che in gara avessi una riserva per tutto: forcine, che non erano mai abbastanza, gel per capelli dal finish opaco, deodoranti antimacchia, nuovi trucchi waterproof e decorazioni brillantinate per capelli. Ne aveva prese addirittura di più tipi, in modo che potessi scegliere quella che mi piaceva di più.

Negli anni l'avevo vista centellinare i soldi per qualsiasi spesa, ma in quei giorni sembrava un'altra persona. D'altronde, lei stessa aveva promesso che avrebbe fatto di tutto per aiutarmi ad arrivare alla gara più ambita da un atleta. Ci erano voluti quindici anni, e si era addirittura presa una settimana di vacanza per vedere le gare seduta in prima fila.

Nulla rese più tangibile il momento dell'imminente partenza tanto quanto il giorno in cui, salita in casa dopo l'allenamento, trovai un grosso scatolone ad aspettarmi. Perché la valigia poteva essere quasi pronta, ma tutto il materiale per il pattinaggio era ancora in attesa di essere sistemato. Le ruote erano state tutte pulite e riposte nelle custodie, avevo ricaricato un piccolo flacone di lubrificante per i cuscinetti, riorganizzato le chiavi dei pattini e recuperato qualche bullone di riserva, nel caso ne avessi perso uno per la fretta. Ma era tutto accatastato in un angolo insieme alle scorte di calze a staffa, che mia madre aveva decorato con cura attaccando un brillantino alla volta mentre ci allenavamo.

Mi inginocchiai a terra e mia madre stette in piedi alle mie spalle, con le mani intrecciate sotto il mento e, per una volta, in religioso silenzio.

La lama del cutter mi tremava tra le dita mentre tagliavo lo scotch che sigillava lo scatolone, attenta a non rovinare quello che sarebbe stato un cimelio che avrei custodito a vita e che avrei sempre guardato con orgoglio.

Sapevo che davanti a me, nella scatola con il mio nome marcato con l'indelebile, c'era quello che avevo sempre visto addosso ai miei idoli ma che non avevo mai posseduto.

Profumava tutto di plastica e di nuovo, e il cuore prese a battermi agitato quando nervosa aprii la cerniera del borsone con lo scomparto per i pattini e potei finalmente toccare con mano la divisa della nazionale americana di pattinaggio.

L'acetato scuro contrastava con la scritta U.S.A. e la toppa con la bandiera a stelle e strisce. Il tessuto magari non era di qualità eccelsa, ma era quello che rappresentava a pizzicarmi gli occhi. C'era orgoglio per essere tra le poche in tutta l'America a indossare quella divisa, senso di appartenenza alla nazione e il voler dimostrare a tutti i costi di essere meritevole, che la fiducia che la federazione aveva riposto in me convocandomi al mondiale non era una leggerezza, ma un compito che volevo onorare con ogni forza.

Il body che avrei indossato durante la cerimonia di apertura e per le foto di gruppo profumava di lycra nuova. Il tessuto era liscio e leggero, decorato da brillantini che richiamavano i colori della bandiera americana.

Martina aveva insistito affinché non mollassi. Mi aveva spronato a continuare a pattinare ben sapendo che sarebbe arrivato quel momento. Quello in cui la bambina che disegnava i vestitini luccicanti in un quaderno mentre guardava le gare dei suoi idoli alla televisione avrebbe stretto tra le mani la divisa della nazionale. Era una delle onorificenze più bella della vita di un atleta che ha dedicato tutta la sua vita a uno sport.

Non avremmo mai potuto battere le coppie italiane, non saremmo mai arrivati a podio, ma di una cosa ero certa: dopo quindici anni di allenamenti incessanti ero finalmente orgogliosa di me stessa.

«Dovresti mettere anche questi, nella valigia.» Mia madre si avvicinò a me lasciando intravedere la pallina che teneva tra le mani: i miei calzini fortunati.

Non sapevo nemmeno quale assurda divinità dovessi ringraziare per per aver assistito a un cambiamento di quella portata. Mi era stata vicino senza mai prevaricarmi, spettatrice delle mie scelte e spalla su cui piangere quando venivo sopraffatta dal dolore del lutto. Era stata...mamma.

«Sii egoista, Amelia. Per una volta, pensa a te stessa e goditi tutte le gare.»

Mi concentrai solo sulla voglia di partecipare al mondiale, cercando di non rovinarmi il momento al pensiero che Jordan non era lì a condividerlo con me. Sarei entrata in pista davanti a una giuria internazionale con il sorriso stampato in faccia, mi sarei goduta ogni singolo momento di quella gara. Gliel'avevo promesso.

Ero pronta a partire per il mio primo campionato del mondo.

Buon lunedì 💜

Vi sento imprecare contro Kevin!

Vi chiedo solo di avere fiducia in me! 😈

Ci sentiamo più tardi su instagram nel box domande del lunedì, il prossimo aggiornamento arriverà il 3 marzo, salvo miracoli.

A presto  💜

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