59- 𝙒𝙝𝙚𝙧𝙚'𝙨 𝙢𝙮 𝙡𝙤𝙫𝙚 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢

🎵 Where's my love, SMYL

🛼programma di gara: Caputo-Campoli, LP 2022

LASCIATE UNA STELLINA, VOI CH'ENTRATE ⭐ 


Mi aveva portato a cena in uno di quei ristorantini locali lontani dal turismo, dove era possibile assaporare la vera Venezia. Le persone sedute accanto a noi avevano chiacchierato per tutto il tempo con una cadenza che sembrava più un'allegra cantilena che una parlata, riempiendo i nostri momenti di silenzio.

Davanti all'ottimo cibo italiano non facevo che chiedermi come sarebbe stato il mio viaggio in una situazione diversa. Se saremmo stati anche noi come le coppiette che camminavano mano nella mano, quando invece eravamo piegati da un lutto inaspettato che ci aveva divisi.

Con me lui era rimasto sempre attento, nonostante vedessi la fatica che gli costava. Si era assicurato che avessi ripreso a mangiare e che avessi chiesto di nuovo aiuto alla Cameron.

Mi parlava sempre guardandomi in faccia, ascoltandomi quando ero io a prendere parola. Ma ogni volta in cui distoglievo lo sguardo per arrotolare gli spaghetti poi lo trovavo a fissare il vuoto con espressione vitrea.

Provai a parlargli di come la Cameron mi stesse aiutando in tutto e per tutto, sperando di invogliarlo a fare altrettanto. Ero ben consapevole che io avrei potuto stargli accanto, ma non guarirlo e nemmeno superare il lutto al suo posto. Quello era un compito che spettava a lui, ma finché non avrebbe accettato la realtà nessuno avrebbe potuto fare niente.

Schivò la domanda alzandosi dal tavolo per andare a pagare e invitarmi a una passeggiata sulla via centrale. Non aveva nemmeno finito il calice di vino che diceva essere il suo preferito.

Sembrava che fossimo tornati all'inizio, quando io gli domandavo del suo passato e lui se ne distaccava cambiando argomento oppure rispondendomi in malo modo.

Lo seguii lungo le vie centrali che percorremmo dopo cena, senza insistere oltre. Il caldo si era fatto meno opprimente e le calli erano illuminate dalle luci delle vetrine dei negozi. Sapeva che delle grandi firme della moda italiana me ne importava poco, così si soffermò a colpo sicuro davanti alle botteghe caratteristiche: guardai incantata il modo in cui erano esposti dolciumi di ogni tipo e mi incantai davanti alla caduta fluida della fonduta di cioccolato da una fontana i cui gradini erano fatti di gondole d'oro.

Nella maggior parte delle vetrine erano esposte maschere artigianali e variopinte accanto a lavorazioni murrine dalle forme più disparate, ciondoli e gingilli che in altra situazione avrei comprato come ricordo.

In quei souvenir c'erano tutti i colori che mancavano a noi.

Perché per quanto lui mi spiegasse ogni cosa, ogni tradizione e usanza locale, per quanto provasse davvero a rendere quell'uscita normale... Io lo sentivo completamente assente.

Parlava come se si fosse estraniato da se stesso.

Come se dovesse, ma non volesse. Costretto a stare con me dalla circostanza e non dal piacere, perché sarebbe stato da maleducati rimandarmi a casa e lui, nonostante tutto, restava sempre il ritratto della galanteria.

Una sola cosa del suo distacco emotivo mi aveva permesso di non crollare: da quando eravamo usciti dal ristorante, non aveva mai permesso che le nostre mani si dividessero, nemmeno quando mi propose un giro sulla gondola, la piccola imbarcazione tipica veneziana che univa i cuori scivolando lungo il canale centrale.

Jordan si fermò accanto a uno degli stazi e confabulò con un gondoliere dal cappello in paglia e la maglia a righe orizzontali sfoggiando un italiano così perfetto che lo rividi sorridere quando il barcaiolo mi guardò stupito per il fatto che fossimo americani.

Ne avevo visti a bizzeffe di gondole con il tipico ferro di prua per quel poco che avevo girato in città, ma sembravano così leggere e fragili che quando dovemmo salire un po' mi allarmai.

Con un passo incerto salii su quella foglia di legno traballante, aiutata da Jordan. Che preferivo i suoli stabili e non barcollanti fu fin troppo chiaro dalla mia espressione attonita, ma sperai che portasse a qualcosa di buono.

Ci accomodammo stretti l'uno all'altro sulle poltroncine in velluto rosso veneziano e il gondoliere impugnò la forcola per iniziare a scivolare lentamente lungo il rivo.

Il lieve croscio dell'acqua e il chiacchiericcio poliglotta dei turisti che non sapevano dove posare gli occhi per la bellezza della città furono un dolce sottofondo al nostro silenzio.

Per quanto continuassi a osservare i dettagli barocchi dei palazzi che costeggiavamo, sapevo di cosa dovevo parlargli. Continuare a evitare quella domanda mi faceva sentire un peso nel petto sempre più insopportabile e rendeva l'aria troppo tesa.

«Ti manca pattinare?» In qualche modo dovevo entrare nel discorso, nonostante l'agitazione.

«Ho preso la borsa dei pattini come prima cosa, quando me ne sono andato. Ma non sono ancora riuscito a metterli.» Se non altro il fatto che li avesse ancora con sé era un buon segno.

«Non sono passate nemmeno due settimane.» Cominciai a sentire la mia presenza lì un grosso errore, anche quando mi circondò le spalle con un braccio per attirarmi al suo petto. La paura che mi abbandonasse di nuovo era troppa.

Presi a giocherellare nervosa con la cucitura sgualcita del vestitino, pensando che fosse inutile girarci intorno. «C'è una cosa che non ti ho detto.»

La sua mano libera carezzò il mio ginocchio nudo fino a prendere la mia, incitandomi a proseguire. «Dimmi...»

«Chloe ha sporto denuncia contro Audrey. La federazione, in via precauzionale, le ha revocato il patentino da allenatrice fino alla fine del processo.»

«Ha quel che si merita», ribatté veloce. Fino a lì ero certa di come avrebbe reagito. Era quello che volevamo tutti e ne avevamo parlato a lungo di ritorno da Fresno.

«Tua madre mi ha consigliato di non metterti fretta, ma io non posso non dirtelo.» Fissai le nostre dita intrecciate, e il bracciale di Ellison che rifletteva tenue le ultime luci del giorno. Il ciondolo con l'incisione, stretto tra i nostri polsi, mi diede la forza di continuare.

«Martina vuole che torniamo in pista.»

«Tu lo vuoi?»

«Ne ho bisogno.» Non era nemmeno più importante il mondiale, ma pattinare mi era necessario tanto quanto respirare.

La vita non si ferma per chi resta.

La Cameron lo aveva rimarcato più volte, con tutta la sua dolcezza. Stavo ancora facendo fatica ad accettarlo, avevo quasi paura all'idea di provare di nuovo emozioni positive. Perché da quel momento in avanti ogni esperienza vissuta, ogni risata fatta sarebbero state un qualcosa che la mia migliore amica non avrebbe più potuto provare neanche attraverso il racconto. Non avrei più potuto condividere nulla con lei, bello o brutto che fosse.

«Non mi stai dicendo tutto.» Lui era sempre lo stesso acuto osservatore, e mi fu di conforto sapere che, anche se era così distaccato, restava comunque in grado di leggermi dentro.

«Se tu non vuoi tornare...» cercai di non balbettare mentre le parole faticavano a uscire arrovellandosi sulla punta della lingua. «L'alternativa è quella di allenarmi con Kevin, dato che la società di Daytona si sta disgregando. Se Kevin dovesse accettare saremo seguiti solo ed esclusivamente da tua madre, per evitare di ricadere in vecchie dinamiche.»

Io non volevo. Dio, se non volevo. Mi veniva il panico al pensiero di tornare in pista con quel pomposo del mio vecchio partner, e rimpiansi il fatto che il pattinaggio fosse uno sport così poco praticato dal genere maschile da non avere alternative.

Martina era stata più che chiara: non potevo permettermi di perdere quella possibilità, perché se il male era tanto e la paura ancor di più, il lavoro che avevo fatto su di me e sulle rotelle aveva richiesto troppo impegno per abbandonare tutto a due mesi dal mio sogno di sempre.

Dovevo trovare la forza di pensare al futuro, dando ancora più valore alla mia vita.

D'altra parte lei fu piuttosto candida nell'ammettere che aveva bisogno di stare in pista più tempo possibile, perché insegnare era l'unica cosa che le permetteva di allentare la morsa di dolore provocato dalla perdita della figlia.

«Oppure... puoi sempre tornare a casa con me», conclusi.

E, ti prego, dimmi di sì.

Il canale proseguiva dritto davanti a noi fino a riversarsi nella laguna, inghiottendo il sole del tramonto sotto l'orizzonte.

Non rispose. Non commentò nessuna delle due opzioni.

«Lo vedi quello?» Indicò il ponte in pietra bianca sotto il quale stavamo per passare.

Sembrò che le mie parole gli fossero scivolate di dosso, che non le avesse nemmeno sentite.

Eppure gli avevo appena detto che la sua stessa madre aveva intenzione di farmi pattinare di nuovo con il mio ex partner, se lui non fosse tornato a casa con me.

Il suo atteggiamento evitante e la sua reazione passiva mi diedero i nervi, e nemmeno io gli risposi. Fregandomene del suo tentativo di cambiare discorso, abbassai lo sguardo al punto in cui le nostre ginocchia si sfioravano l'una sull'altra con i dolci movimenti dell'acqua.

«È il ponte dei Sospiri», rispose pacato. «I condannati lo attraversavano mentre venivano accompagnati alle carceri. Passando di lì avevano diritto a un ultimo sospiro con lo sguardo dritto alla bellezza di Venezia. Non avrebbero più visto niente di così bello per lungo tempo.»

In quel momento della storia della città non poteva fregarmene di meno.

Ma sbirciai comunque quel ponte peculiare dal passato malinconico. Un tunnel coperto che univa due palazzi, la cui pietra bianca era stata finemente scolpita lasciando solo due piccole grate intagliate per lasciar passare qualche piccolo stralcio di luce all'interno.

Era da lì che i carcerati prendevano l'ultima boccata d'aria prima della reclusione definitiva.

I rintocchi delle campane delle nove presero a suonare in lontananza sancendo la fine del giorno mentre il ponte si faceva sempre più vicino, avvolgendoci nel suo cono d'ombra.

Jordan accarezzò il ciondolo di Elly e lo strinse appena tra il pollice e l'indice, e poi, nell'esatto istante in cui la gondola passò sotto l'arco, mi prese il mento tra le dita, assicurandosi che i miei occhi fossero nei suoi.

«Baciami, Amelia.»

Lo vidi chiudere quelle perle d'ambra per schiantare le sue labbra sulle mie. Bastò solo un bacio, un fugace contatto, per abbattere qualsiasi barriera ci fosse stata tra noi fino a quel momento.

Quanto mi era mancato.

«Baciami, perché la leggenda promette amore eterno ai due innamorati le cui labbra si incontrano sotto il ponte dei Sospiri mentre le campane annunciano il tramonto.»

A quelle parole sussurrate a fior di labbra, la nostalgia mi devastò il cuore e l'anima con un tornado che non conobbe limiti.

«Baciami, perché non ti ho mai amata tanto quanto il momento in cui ti ho vista arrivare qui, a cinquemila miglia da casa».

La sua mano si posò possessiva sul mio volto per attirarmi a lui e le sue labbra, dopo troppo tempo, si schiusero sulle mie bramose di desiderio. Inclinai il volto per approfondire il bacio e cancellare le ultime settimane senza di lui.

Mi fece sua annullando qualsiasi distanza e io chiusi gli occhi come se solo così potessi imprimere nella mia mente quel bacio idilliaco nato da parole indimenticabili.

Mi rubò il fiato, la vista e tutte le paure.

Fu un bacio poetico, così potente da scacciare la nostalgia per accendere la speranza, perché potevo sentirlo, da quel suo modo di stringermi, dal leggero tremolio delle dita che mi scalfivano la guancia che quel noi cui tanto tenevo non era mai scomparso.

Un bacio tangibile reso idilliaco dalla leggenda per eccellenza della città dell'amore, a prova del fatto che sì, noi esistevamo ancora.

Spezzati e vulnerabili, ma pur sempre noi.

Jordan e Amelia.

Quelli che inginocchiati sui chiodi, al cospetto del dolore, erano riusciti a isolarsi dal mondo per un frammento di speranza. La sentivo scorrere sulla pelle increspata dai brividi e dalle palpitazioni al cuore.

Fu lì che capii che noi saremmo stati eterni.

Oltre ogni tragedia, oltre ogni leggenda.

Le labbra di Jordan mi lasciarono una piccola tregua, il tempo di un respiro per poggiare la sua fronte sulla mia. Il palmo scivolò sul mio collo e i nostri corpi restarono avvinghiati perché ci eravamo mancati troppo e finalmente eravamo lì, di nuovo uniti.

«Ti amo», gli dissi sicura sorridendo al pensiero che nel viaggio di ritorno sarebbe stato accanto a me. Avremmo potuto rialzarci insieme, pattinare, addormentarci ogni notte sotto le stesse lenzuola.

Dopo giorni difficili, l'euforia mi bruciava nel petto.

Ma quando aprii gli occhi, mi si strinse il cuore.

Una lacrima, timida e incerta, gli bagnava le ciglia folte solcando i suoi zigomi lisci.

Gli asciugai con il pollice quella stilla di dolore e con le labbra feci mia la successiva. Gli posai un bacio in fronte e tanti altri piccoli baci su tutto il viso, fino a fermarmi sulle sue labbra.

Scosse la testa con il respiro spezzato da un piccolo singulto, senza il coraggio di guardarmi.

Gli tenni il volto stretto tra le mani, anche se non aveva coraggio ad aprire gli occhi e mostrarsi sofferente. Tratteneva il respiro e volevo capisse che io per lui ci sarei stata sempre e comunque.

Non era più quel bambino costretto a nascondersi dietro un cespuglio per piangere il suo male.

Non era solo.

«Devi accettarlo quel dolore, Jordan. Vivilo, affrontalo, lascia che ti spezzi e poi rialzati.»

Prendimi le mani, pattina con me.

Puoi farcela.

Possiamo farcela.

«Starò meglio Amelia, è una promessa. Ho solo bisogno di più tempo. Ma non posso impedirti di vivere aspettando me.»

Mi ci volle un minuto per capire la piega che stavano prendendo il suo discorso e mi paralizzai. Avrei voluto con tutta me stessa trovare un modo per fermare il tempo e non ascoltare una singola parola di più.

«Torna a casa», mi disse con voce tremante, le mani strette attorno ai miei polsi. Il cuore palpitava contro il mio palmo come non mai. «Pattina con Kevin e con mia madre. Fate di tutto per quel mondiale.»

Non poteva essere serio. Non aveva nemmeno il coraggio di guardarmi in faccia.

«Non puoi farmi questo. Siamo solo noi, ricordi?»

Come quando dobbiamo andare in gara e isoliamo il resto del mondo per affidarci l'uno all'altro.

«Ti amo troppo per impedirti di vivere il tuo sogno», aggiunse infine. Finalmente i suoi occhi si allinearono ai miei. Non vi scorsi nessuna tristezza, nessun vuoto. Le pagliuzze dorate infondevano nient'altro che certezza. «Quando tornerò in America vorrà dire che sarò pronto ad andare avanti, ma fino ad allora... resto qui.»

Poteva aver detto di amarmi, poteva avermi baciato in un posto da sogno, ma io capii solo di aver attraversato il mondo per ricevere l'ennesimo rifiuto.

Buongior...NO?

Vi aspetto su instagram, il box domande è già attivo!

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