56- 𝙏𝙝𝙚 𝙝𝙖𝙣𝙜𝙞𝙣𝙜 𝙩𝙧𝙚𝙚 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
🎵The hanging tree, Hunger Games Soundtrack by James Newton Howard
🛼Programmi di gara: -Gioia Fiori, LP 2019
-Lucas Yañez Perez, SP 2021
-Pari /Cavallini, LP 2024
Lisa era arrivata con il primo volo da Los Angeles dopo la mia chiamata, e per i giorni successivi fu la mia ombra.
Mi ero ridotta a un automa privo di sogni e desideri che veniva trascinato da un posto all'altro. Lei era riuscita a starmi accanto assicurandosi che mettessi qualcosa sotto i denti e che non mi lasciassi andare, nonostante fosse a pezzi anche lei.
Come se non bastasse, il telefono di Jordan continuava a squillare a vuoto. Mi aveva abbandonata in un letto troppo grande per una sola persona con un patetico bigliettino sull'isola della cucina, nello stesso posto in cui mi faceva sempre trovare i suoi dolci per colazione.
Ero arrabbiata e, al tempo stesso, preoccupata per lui. Pattini e vestiti erano spariti e nessuno sapeva dove fosse finito, nemmeno i dipendenti della sua palestra. Ogni giorno andai al molo, il nostro posto preferito, convinta che l'avrei trovato in una delle panchine in cui spesso ci rilassavamo con i pattini ai piedi. Ci ero stata anche poco prima del funerale.
Il giorno della cerimonia funebre i genitori di Ellison erano il ritratto del contegno.
Martina non voleva saperne di essere inondata di condoglianze e persone in giro per casa sua, così aveva scelto una casa funeraria per rendere un ultimo omaggio alla memoria di Ellison con una cerimonia laica. Voleva che fosse tutto il più rapido e indolore possibile, per poter tornare a casa a condividere il dolore con suo marito e nessun altro. Chiedeva silenzio ed esigeva solitudine.
La sala era adornata da fiori dai colori più vivaci, e alle pareti erano state esposte le foto che ritraevano Ellison nei momenti migliori degli anni vissuti. Il sorriso era una costante: lei da piccola con le scarpette da danza accanto alla sbarra, una insieme a Jordan e Hope, ancora cucciolo, e infine una che la immortalava nel suo ultimo spettacolo, con la rosa rossa che io stessa le avevo infilato tra i capelli.
Non era una sala molto grande, ma era accogliente. Si era riempita in poco tempo, e tante persone erano rimaste fuori, in piedi, ad ascoltare la funzione attraverso gli altoparlanti. Riconobbi alcune delle sue compagne del corpo di ballo, Xavier insieme ad altri atleti allenati da Jordan, e le ragazze del Fairwinds accompagnate dal personale medico al completo. La Cameron aveva preso posto alle spalle dei genitori rimasti all'improvviso senza la loro figlia.
Martina volle me e Lisa sedute in prima fila, accanto alla sedia vuota che era stata riservata per Jordan. Speravamo tutti che si facesse vedere. La cerimonia iniziò addirittura in ritardo per aspettarlo fino all'ultimo.
L'officiante prese a blaterare frasi sul senso di una vita che la persona che eravamo lì a piangere non aveva voluto.
Mi imposi di non ascoltare, o sarei crollata davanti a tutti. Continuavo a fissare l'urna cineraria in bella vista su un piedistallo adornato di fiori e piccole farfalle di un azzurro cangiante. Martina mi aveva addirittura chiamata per sapere se secondo me quelle decorazioni madreperla che riempivano gli intarsi del legno sarebbero piaciute a Ellison.
In testa, però, continuavo a vedere i suoi occhi aperti e privi di vita, la pelle liscia deturpata da rigagnoli rossi. La mano, immobile, con l'indice perfettamente poggiato sul metallo della pistola.
Ogni volta che quell'immagine mi tormentava, le lacrime mi soffocavano.
Come aveva potuto farlo? Come aveva trovato il coraggio di premere il grilletto? Come avevo fatto a non accorgermi di niente? Ero io quella che passava più tempo con lei. Ero io ad andare al campus con lei ogni giorno, ero io a darle il primo buongiorno e l'ultima buonanotte; eravamo noi quelle delle risate continue, noi quelle dei pasticci in cucina che finivano con il cibo d'asporto.
Solo con la sua lettera mi resi conto di quanto fosse stata brava a nascondere.
Il senso di colpa che mi assillava da quasi tre giorni era diventato insopportabile. Avrei dovuto accorgermene. Impossibile non avesse dato qualche piccolo segnale.
Sentii l'officiante fermarsi all'improvviso e le persone accanto guardarsi intorno curiose. Il suono di voci ricolme di rabbia aveva pervaso la sala. Il celebrante fu il primo a riprendere alzando il tono, come se potesse attirare su di sé le attenzioni che tutti stavano deviando all'esterno.
Parolacce. Imprecazioni. Affanni. Colpi.
L'avrei riconosciuta ovunque quella voce.
Mi alzai di scatto e corsi fuori, perché la rabbia di Jordan l'avevo sentita forte e chiara. Mi feci spazio tra lo sconcerto delle persone e una volta uscita lo trovai a ridosso del muro.
Teneva per il collo Steven.
Nonostante avesse il cappuccio sollevato, ne avevo riconosciuto i tratti spigolosi nel volto paonazzo.
«Sei una merda.» Lo sbatteva alla parete, gli occhi iniettati di rabbia. Ogni colpo un insulto diverso.
«Jordan» provai a fermarlo inutilmente.
«Lasciami spiegare» si difese Steven senza riuscirci, con una nota di terrore nella voce. Incassava i colpi, senza rispondere.
«Adesso?» Si sentiva preso in giro. «È troppo tardi, stronzo.»
Steven, stanco, non rispose nemmeno. Ogni volta che apriva bocca per provare a spiegarsi Jordan lo picchiava più forte. Non reagì, non si difese, si piegò colpo dopo colpo senza mai alzare le mani sul suo vecchio preparatore atletico.
Decisi di intervenire aggrappandomi al braccio di Jordan, tanto consapevole del rischio quanto menefreghista.
«Sono qui, Jordan. Basta.» Continuò a trafiggere Steven con lo sguardo, ma sembrò fermarsi per un attimo. Sembrava incapace di incamerare aria a fondo.
«Respira, amore. Sono io.» La stessa che hai abbandonato, continuai tra me e me.
Raggrinzì le palpebre e per un attimo parve stritolare ancor di più la felpa di Steven, ma poi, finalmente, mollò la presa e si distanziò. «Vattene», gli disse con un tono che faticavo a riconoscere in lui. Era la versione più distante dal Jordan pacato e razionale che conoscevo. «Non sei il benvenuto.»
Steven scappò con il dispiacere negli occhi ma senza indugio, e io non persi tempo a sostituirmi a lui. Mi avvinghiai al torace di Jordan e affondai la fronte nell'incavo del collo, bisognosa di averlo vicino. Erano giorni terribili per entrambi e mi mancava come non mai. La barba non curata come al suo solito mi prudeva la fronte, potevo sentire il suo cuore battermi accelerato contro il petto ansante. Puzzava di alcol e per un solo, piccolo, istante stentai a riconoscerlo.
«Non è colpa sua.» scandii quelle parole. Su questo, Ellison era stata più che chiara. Ma non potevo dirglielo. Non ancora. Perché lei aveva predetto bene: era troppo arrabbiato per accettare, sarebbe stato come gettare sale su una ferita aperta.
Ritrovai una parte di me tra le sue braccia, ma mi resi subito conto che ero la sola a volerlo. Jordan non ricambiava, non mi strinse a sé come mi aspettavo. Mi sentii rifiutata, di nuovo, e mi feci indietro. Non avevo bisogno di sentirmelo dire per capire di non essere desiderata.
«Siamo tutti preoccupati per te» riuscii a dirgli senza farmi sentire dalle altre persone.
«Ci sono.» Non era convinto quando disse quelle parole, e sembrò costargli uno sforzo enorme prendermi la mano, intrecciare le dita alle mie e guidarmi all'interno della sala mentre avevamo gli occhi di tutti addosso. Tremava. Mi guardai intorno, e prima di entrare vidi le spalle avvilite di Steven che se ne stava andando. Avrei pagato per sapere il motivo della sua assenza a teatro e nei giorni precedenti. Avrei voluto dirgli che nonostante tutto non era davvero colpa sua, perché Ellison aveva già deciso tutto.
Gli occhi di William si illuminarono quando videro Jordan entrare e prendere posto; Martina gli strinse con dolcezza un ginocchio, incurante del suo aspetto scialbo. Voleva fargli capire che non era solo. Io non mi sedetti di fianco a lui, perché Lisa mi invitò accanto a lei, dietro il leggio. Era arrivato il mio turno. La mano si strinse attorno alla tasca in cui avevo ripiegato il foglio con i pensieri per Elly. L'avevo letto così tante volte da averlo imparato a memoria, e mi decisi a parlare a cuore aperto.
Controllai Jordan prima di iniziare, teneva le dita serrate in un pugno immobile e il volto indurito da lacrime invisibili. Ma era me che guardava e io avevo un bisogno disperato di saperlo con me. Mi bastava quello.
«Non riesco a smettere di chiedermi cosa tu abbia provato in quel momento», iniziai. «Hai regalato tanta felicità a tutti noi, senza tenerne nemmeno un po' per te». Ma quando vidi il pomo d'Adamo di Jordan abbassarsi e spingerlo sull'orlo delle lacrime, non riuscii a sostenere le sue iridi color miele lucide come non mai. Era al limite della sopportazione. Fissai il braccialetto che mi aveva regalato Ellison, strinsi il ciondolo tra le dita e ne carezzai l'incisione, e con un respiro costrinsi le mie corde vocali a non tremare.
Era il momento di Elly. Dovevo continuare, per lei.
«Non riesco a smettere di chiedermi cosa tu abbia provato in quel momento. Non riesco a pensare a come andare avanti, perché non accetto che tu davvero non vedessi una via d'uscita. Lo so che a ruoli invertiti staresti pensando a chi resta. E ti prometto che ci sarò, per tutti quelli che hai lasciato. Fammi solo capire come posso ripartire. Hai finalmente la libertà che hai sempre cercato qui, Elly. Sono io a dirti di volare più in alto che puoi. E danza, amica mia, danza come mai prima d'ora.»
Quando terminai la frase, la sedia di Jordan era libera.
Se n'era andato di nuovo.
Non notai nemmeno le altre persone in sala, perché William mi rivolse uno sguardo colmo di gratitudine e Martina mi invitò a prendere il posto di Jordan, accanto a lei.
Tornai a sedermi con più dignità possibile, ma dentro di me potei sentire il suono di ogni pezzo di me frantumarsi in mille schegge.
Martina infilò l'avambraccio sotto il mio e mi prese la mano in una stretta di empatia. Non servirono parole per sapere che mi era vicino, e le fui grata per il tacito aiuto nel tenermi composta fino alla fine della cerimonia.
🛼🛼 🛼
Salutata Lisa e rimasta il più possibile accanto ai Davis, tornai a casa di Jordan. Non volevo saperne di tornare nell'appartamento del dormitorio. William mi aveva addirittura proposto di andare per un po' a casa loro, ma avevo bisogno di stare da sola e chiamare Jordan.
Speravo di cuore che mi rispondesse. Potevo capire quel suo momento di rifiuto, ma desideravo solo che condividesse con me una parte del suo dolore; che fossimo insieme.
Persi il conto delle chiamate senza risposta, e mi arresi.
Cestinai quel biglietto inutile, e nelle ore successive mi rifugiai nell'apatia più totale.
L'immagine senza vita del volto di Ellison compariva ogni volta che provavo a reagire.
L'assenza di Jordan, la preoccupazione per lui, mi facevano passare la voglia di fare qualsiasi altra cosa.
Non so quanto tempo passai seduta sul divano a fissare il vuoto. Risposi al telefono a mia madre, le dissi che stavo bene, che avevo solo bisogno di poco tempo per ripartire.
Chiamai di nuovo Lisa. Mi concessi un pianto insieme a lei, convinta che poi sarei ripartita.
Ma non riuscii.
Pulii di nuovo una casa già pulita, provai addirittura a distrarmi leggendo qualche pagina di un thriller della biblioteca di Jordan.
Tutto inutile.
Avrei voluto andare a casa di Martina e William, sarei voluta tornare al molo e respirare un po' d'aria sana, avrei voluto mangiare qualcosa, ma non riuscivo ad alzarmi da quel cazzo di divano.
Volevo davvero trovare la forza di ripartire, anche se consapevole di avere un immenso dolore al cuore con cui avrei dovuto convivere. E non riuscivo in nessun modo.
Me ne infischiai del fattorino che a ogni pasto mi portava qualcosa da mettere sotto i denti. Avevo capito che era Jordan a mandarlo. Lui non c'era, ma voleva assicurarsi che non buttassi via il percorso fatto. Ma tutto il cibo finiva nel cestino, a coprire il suo biglietto.
Le fitte della fame, almeno, sembravano attenuare un po' tutta quella desolazione. Ne avevo bisogno. Avevo bisogno di sentire qualcosa di così forte da eclissare il dolore per Ellison e l'assenza di Jordan: non accennavano a diminuire ed erano ormai fuori dal mio controllo.
Il digiuno fu di nuovo dalla mia parte.
E mi costrinsi a scendere in pista, per zittire ancora di più quel male che, senza invito, aveva preso il comando della mia mente ancora una volta.
Non avevo voglia di saltare, avvertivo solo l'urgenza di allacciare gli stivaletti e sentirli stringere la caviglia a ogni spinta.
Avevo bisogno che il suono delle ruote che sfrecciavano sul parquet soverchiasse qualsiasi pensiero, senza farmi più sentire il dolore.
I pattini erano il mio rifugio e la pista era sempre pronta ad accogliermi, qualsiasi fosse il mio stato d'animo. Accettava le mie emozioni e ne diventava una compagna silenziosa e imparziale.
Mi aiutò giocherellare a vuoto con gli sterzi dei pattini, disegnare diverse curve immaginarie che finirono in passi coreografici senza bisogno di musica.
Ma in quel momento, tutto quello che avevo sempre considerato importante, il campionato del mondo che sognavo da quando ero bambina, mi sembrava insignificante. Aveva perso valore, era bastato un colpo di pistola per passare da tutto a niente.
Ellison era riuscita a fermare il suo dolore, ma noi che eravamo rimasti ci eravamo trovati a terra agonizzanti.
Mi fermai stanca davanti agli specchi e osservai il mio riflesso. Non era più un problema di chili. Non mi interessava nemmeno delle occhiaie che macchiavano il mio volto scarno.
Dove prima c'eravamo io e Jordan, era rimasto lo spettro di un noi spezzato a metà. Era rimasta solo la rovina di me stessa. Fu quello a rendermi di nuovo irriconoscibile.
Mi sentii divorare così tanto dal dolore e dalla fame che crollai in ginocchio e scoppiai di nuovo a piangere. Tra le lacrime ottenebranti riuscii a vedere le porte dell'Arhena spalancarsi e far entrare la Cameron e Martina, che camminarono veloci verso di me.
E, insieme, mi aiutarono a rialzarmi.
Buon lunedì cuori 💜
Il capitolo non doveva nemmeno essere pubblicato perché continuavo a cancellare e riscrivere, finché venerdì notte è riuscito più o meno come volevo io.
La foto, ovviamente, no.
Vi aspetto stasera su instagram per commentarlo insieme e perché, più tardi, condividerò l'alberello di natale in cui potrete lasciarmi un messaggio che leggerò il giorno di Natale! Lo sapete, vero, che in un'altra vita ero un elfo? (Ciao Fra! Ciao Ale! Contagerò anche voi Grinch, prima o poi!)
PS. Purtroppo wattpad continua a non mandarvi le notifiche dei miei aggiornamenti, vi invito a seguirmi anche qui!
Alla prossima💜
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