51- 𝙇𝙖𝙨𝙩 𝙘𝙝𝙖𝙣𝙘𝙚 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢

Buongiorno!
I crediti della cheesecake pan di stelle sono da attribuire a me stessa medesima.
Nel senso che l'ho fatta davvero io!


RICORDATEVI DI METTERMI UNA STELLINA O NON VI OFFRO NEMMENO UNA FETTA!

E dopo i ricatti...buona lettura!😂



Essere in testa dopo lo short program mi sembrava tanto bello quanto impossibile da credere.

Mia madre, al telefono, era impazzita. Più del solito.

I nostri piccoli atleti ci avevano riempito di video in cui si erano mostrati riuniti solo per seguire la diretta streaming.

Ellison ci aveva mandato la foto del PC poggiato sulle coperte accanto a una quantità indefinita di fazzoletti usati e decongestionanti nasali.

Il portatile di Lisa, invece, era su un banco di tessuti colorati. Sullo sfondo avevamo notato una lavagna: era a lezione fingendo di prendere appunti quando in realtà seguiva la nostra gara.

Le squadre di hockey e football che Jordan preparava avevano interrotto per qualche minuto i loro allenamenti per non perdersi la diretta del loro preparatore atletico. Xavier era nell'angolino, quasi a volersi nascondere.

A sorprenderci di più, però, fu la foto che ricevetti da Karmen. Al Fairwinds avevano rinunciato alla terapia di gruppo per seguire le competizioni. Nella foto scattata in aula studio, vi erano le nuove ragazze in posa con la Cameron, che avevo salutato prima di partire, e Florence. Il protagonista dello scatto, però, era il dottor Greg: al centro della foto, in piedi dietro al PC, con i pollici versi e un sorriso inquietante.

Sentivamo gli occhi di tutti addosso.

Il giorno della finale anche Jordan era teso. La mascella contratta gli induriva i lineamenti, il pomo d'Adamo deglutiva con più frequenza del solito, segno che anche lui aveva la salivazione azzerata dall'agitazione.

L'allenamento del mattino era filato liscio. Martina ci aveva lasciato la libertà di provare sia il quadruplo che il triplo, per darci la possibilità di essere più sicuri nella scelta finale.

Lasciammo i nostri pattini negli spogliatoi prima di andare alla tavola calda accanto al palazzetto per pranzare.

«Ho passato la serata con la calcolatrice in mano» esordì Martina inforchettando i suoi maccheroni «un triplo ben fatto vale poco meno di un quadruplo imperfetto, e il vostro triplo ha un'ottima percentuale di riuscita.»

Aspettai che il cameriere portasse i piatti di riso a me e a Jordan. «Dici che non vale la pena rischiare?»

«Dico che il nuovo sistema di punteggio premia la pulizia dei programmi. Meno errori si fanno, più alti si va in classifica.» sorseggiò il tè dal bicchiere e deglutì, prima di riprendere il discorso. «Ma, d'altro canto, è anche vero che vi dico sempre di divertirvi, prima di entrare in pista.»

«Quindi?» Chiesi vedendola combattuta.

Cosa si fa, quando si è così vicini alla realizzazione di un sogno?

Si rischia consapevoli che l'errore porterebbe alla rovina?

O si va sul sicuro, giocando ad armi quasi pari con i rivali?

«Possiamo scegliere.» Jordan era già arrivato alla conclusione. «Ti senti sicura con il quadruplo?»

Me lo chiese lasciandomi intendere che qualsiasi cosa volessi fare, lui mi sarebbe stato di supporto.

La verità è che io avevo una voglia matta di portare il salto più difficile. Soprattutto perché, indipendentemente dal risultato, saremmo entrati nella storia: nessuna coppia americana lo aveva mai portato in gara. Era sempre stata una prerogativa degli italiani.

«Voglio fare il quadruplo.»

🛼 🛼 🛼

L'ordine di entrata in pista per la finale vedeva ribaltata la classifica dello short program.

Quindi, se eravamo arrivati primi nello short, avremmo gareggiato per ultimi nel lungo.

Quell'attesa non fece altro che aumentare la tensione, perché più ci si avvicinava alla fine, più gli atleti in pista erano bravi, più i punteggi salivano.

Lo capivamo bene, mentre facevamo riscaldamento dietro la pista, in attesa del nostro turno.

Potevamo ben sentire il pubblico scaldarsi sempre più, in attesa di scoprire quale coppia avrebbe vinto il titolo di Campione d'America.

Quando ci infilammo i pattini, Jordan si alzò in piedi. Iniziò a premere l'interno e l'esterno del pattino, con fare quasi compulsivo.

Scosse il pattino destro in aria, come a volersi levare un insetto di dosso, ma ne uscì solo un preoccupante sferraglio d'Ergal e titanio.

Quando realizzò quanto successo, diventò cadaverico.

«Mi hanno manomesso i pattini.» Concluse annodando le mani dietro la nuca per poi nascondersi il volto tra i gomiti.

Guardavo la facilità con cui gli assi delle ruote convergevano alla minima pressione. Era chiaro che qualcuno avesse allentato completamente la vite sullo sterzo del pattino destro di Jordan.

Se lo sterzo era svitato, le conseguenze sarebbero state disastrose: stabilità in curva pari a zero e assetto sul pattino completamente sballato. Sarebbe stato più facile camminare sulle uova.

Non avevamo nemmeno il tempo materiale di pensare a chi fosse stato e quando, perché eravamo a meno di dieci minuti dalla prova pista ufficiale.

«Porca puttana.» Jordan si abbandonò allo sconforto.

Non so dove trovai il sangue freddo per cercare in tutta fretta la chiave a bussola per sistemare il danno.

Stringerlo avrebbe richiesto pochi secondi. Il problema era riuscire a registrare il telaio sulle abitudini di Jordan. Lo sterzo anteriore, che faceva da perno nelle trottole, doveva essere più rigido rispetto a quello posteriore, di scorrimento. Quelli di Jordan erano così laschi che sembravano fatti di gelatina.

Ritrovarsi senza il pattino era una catastrofe. Jordan non era nemmeno mancino: su quel pattino atterrava dai salti, delineava le spirali e soprattutto avrebbe dovuto sollevarmi nella trottola d'incontro. La destra era la sua gamba portante e la possibilità di sbagliare aveva appena raggiunto livelli stellari.

«Pronti? Finiscono questi e inizia la vostra prova.» Martina restò paralizzata quando entrò nello spogliatoio e vide me con la chiave in mano e Jordan che continuava a piegare gli sterzi in quel modo. «Ok.» Quando capì tutto, prese un grosso respiro a occhi chiusi e iniziò a camminare nervosa su e giù per lo spogliatoio, mentre gli altri atleti se ne stavano seduti nello sconcerto totale. «Ok.»

Si fermò con le mani sui fianchi, poi venne verso di noi: «Allora, abbiamo poco più di sei minuti di prova ufficiale per riuscire a trovare il giusto grado di chiusura. Possiamo farcela.»

«Ma non ci resterà tempo per provare niente.» Entrai nel panico.

Era la nostra gara e stava andando tutto a rotoli per colpa di un qualche deficiente. Il mio cervello entrò nel loop autodistruttivo che volevo evitare a tutti i costi. Eravamo stati scemi a lasciare i pattini nello spogliatoio dopo la prova del mattino. Il mio pensiero andò subito alla stronza di Chloe. Avrebbe davvero avuto il coraggio di rovinare così Jordan?

«Serve testa, ragazzi» picchiettò l'indice alla tempia, enfatizzando le parole. «Oggi serve solo testa. E niente quadruplo.»

Non obiettai.

Mi arresi.

Perché la preparazione mentale che portava alla gara iniziava molte ore prima dell'inizio della musica. Voleva dire centellinare qualsiasi energia fisica e mentale per poter dare il massimo con l'inizio della musica.

E una catastrofe come un pattino manomesso a pochi minuti dalla gara, stava mandando tutto a puttane.

Nei sei minuti di prova ufficiale fui di aiuto a Jordan in ogni modo possibile. Provammo dapprima la sequenza di passi, poi le trottole e infine qualche salto.

A ogni tentativo, a bordo pista, Martina restava con la chiave in mano per stringere o allentare velocemente la vite, sulla base delle richieste di Jordan. Uno scatto in più o uno in meno avrebbe condizionato la performance in modo negativo.

E quando lui arrivò a bordo pista, io provai qualche salto, facendomi spazio tra Chloe e Kevin che provavano imperterriti tra gli applausi del pubblico.

Riconoscevo la traiettoria del Lutz Twist, e quando la seguivano, io li sbirciavo.

Non tentarono nessun quadruplo in prova.

Voleva dire che tutti avremmo portato il triplo.

Chi non avrebbe sbagliato, si sarebbe guadagnato il posto sul gradino più alto del podio.

I cinque punti di differenza nello short sarebbero stati più che recuperabili per loro, se avessimo sbagliato qualcosa.

Loro erano assetati di riscatto dopo la caduta in gara del giorno prima.

Non potevamo permetterci la minima sbavatura.

«Ultimo minuto.» avvisò lo speaker.

Eseguimmo un'altra spirale. Jordan sembrava più sicuro, nonostante non fossimo riusciti a ripetere nessun sollevamento. Poi, all'annuncio di fine prova, dovemmo liberare la pista.

«Quanto te la stai facendo addosso?» mi domandò Jordan dopo aver studiato la mia espressione.

«Non sei messo bene nemmeno tu, stavolta.»

Riuscii a farlo ridere, mentre la musica di Chloe e Kevin cominciò a diffondersi nel palazzetto.

La verità era che quell'imprevisto ci aveva risucchiato le energie mentali. Mi sentivo il petto compresso dall'ansia, e un respiro faticoso che non riusciva ad abbassare il ritmo dei battiti cardiaci.

«Come stai?» Martina si avvicinò a noi a braccia conserte; sembrava essersi rimessa in sesto dopo l'infarto schivato nello spogliatoio. Non sarebbe entrata in gara con noi, ma eravamo una squadra: soffre uno, soffrono tutti.

Quando saremmo entrati in pista, però, lei non avrebbe potuto fare più nulla. Sarebbe stato tutto sulle nostre spalle.

«Meglio.» Jordan continuava a premere il piede tra l'interno e l'esterno, accertandosi che fosse ben regolato. «Sembra essere come prima.»

Quando sentimmo finire la musica dei nostri rivali ci avvicinammo al cancelletto. Tentai con tutte le mie forze di non ascoltare né il tifo del pubblico né lo speaker che stava per dare i punteggi. Ma soprattutto, non volli girarmi a guardare i loro volti sul kiss&cry.

Mi concentrai solo sul colore del pavimento, che sembrava una distesa di sabbie mobili pronte a risucchiarci più che un inamovibile quarzo levigato.

Continuavo a toccare il mio vecchio fermaglio a farfalla, come se potesse calmarmi.

Jordan mi si avvicinò, e infilò un dito nel colletto del mio body per poi tirarlo, avvicinandomi a sé.

«Ti sembra il momento?» Di solito mi prendeva così quando aveva ben altre intenzioni.

«Soffia qui la tua paura.» Mi fissava con uno sguardo pregno di persuasione; voleva che intrappolassi quell'emozione tra il mio corpo e la lycra del vestito.

«Dentro il body?» Non capii le sue intenzioni. Avrei voluto eliminarla del tutto per entrare in pista con serenità, come quando ci allenavamo all'Arhena.

«La paura ci serve addosso, piccola Reed. È quella che va trasformata in adrenalina.»

Ero così nel pallone da non ricordarmi nemmeno che Jordan stava usando con me lo stesso metodo che usavamo con i nostri bambini a casa, quando avevano paura di affrontare i primi salti. Quel pizzico di paura li aiutava a mantenere l'attenzione per affrontare tutto nel miglior modo possibile.

Ma quel giorno, eravamo in due a essere impauriti. Così arpionai la finta t-shirt del suo body, come lui aveva fatto con me.

«Solo se lo fai anche tu.»

Non sapevo quanto potessero essere utili quei trucchi da bambini ma, arrivati a quel punto, tanto valeva tentare il tutto e per tutto. Soffiai dentro il mio costume, e lui fece altrettanto.

Rivolti verso il centro della pista, chiusi gli occhi e cercai il sostegno della mano di Jordan. Strinsi le scapole e allargai il petto, cercando di incamerare più aria possibile. Martina arrivò alle nostre spalle, posando una mano sul fianco di ognuno.

«Tirate fuori le palle.» scandì con una severità che non le apparteneva. «Siate cattivi. E prendetevi quel che vi spetta.»

La interruppe solo lo speaker, che non le impedì di incoraggiarci con la solita leggera pacca sul sedere.

«In pista Amelia Reed e Jordan Davis, Florida.»

Riaprii le palpebre, pronta per entrare, e sentii il fuoco della determinazione invadermi ogni singola terminazione nervosa. Quando guardai Jordan prima di iniziare riconobbi nel miele dei suoi occhi la mia stessa fiamma.

Poco importava quanto ci ripetessimo che eravamo solo noi.

Non era il momento delle smancerie.

Avevamo esattamente quattro minuti e trenta secondi per dimostrare che il primo posto dello short ce lo eravamo guadagnato.

Che eravamo gli unici e soli a meritare il mondiale.

Ultima possibilità.

Di quella gara, ricordo solo che quando iniziò la musica diedi tutta me stessa. Mi sentii al posto giusto nel momento giusto.

Jordan si dimostrò un atleta con la A maiuscola. Pattinava di fianco a me, percepivo la sua tensione e non so come fece a non farsi travolgere da quel che gli avevano fatto.

Salto dopo salto, passaggio dopo passaggio, sollevamento dopo sollevamento, Jordan non si lasciò andare fino a che November Rain non diede inizio alla parte finale della nostra gara.

Eravamo così sfiniti che al termine del programma non esultammo nemmeno.

Nessun sorriso riempì i nostri volti.

Li conoscevo tutti, i modi di dire degli sportivi:

L'importante non è vincere, ma partecipare.

È il viaggio che conta, non la destinazione.

Ma quando ti ritrovi in testa dopo uno short, è difficile considerarlo un gioco.

Per me, non lo era mai stato.

Avevo stravolto del tutto la mia vita per poter arrivare ad avere quella possibilità. Avevo lasciato casa mia, passato mesi in una clinica psichiatrica.

Avevo capito qualsiasi cosa riguardo l'agonismo sano, ma la realtà è che in quel momento mi sentii invasa dal valore malsano che Audrey mi aveva trasmesso sin da piccola: il secondo è solo il primo degli sconfitti.

Non mi sarei accontentata della piazza d'onore, nonostante il viaggio meraviglioso fatto negli ultimi mesi.

Ci tenemmo per mano, dopo gli inchini di saluto, fino all'uscita dalla pista. Martina ci diede le nostre bottigliette d'acqua accompagnandoci al kiss&cry, il salottino in cui avremmo atteso i nostri punteggi con le telecamere puntate addosso. Anche lei si chiuse in un silenzio colmo d'ansia e speranza.

Tutti e tre eravamo consci che quello appena fatto era un ottimo programma, nonostante qualche imperfezione.

Ma sarebbe stato inutile se non avessimo vinto.

Non sapevamo come si erano comportati in gara i nostri rivali, non avevamo voluto sbirciare niente perché altrimenti ci saremmo fatti condizionare. Non potevamo permettercelo.

Cercavo di riprendere fiato mentre i secondi che passavano sembravano scandire un tempo infinito.

I giudici non si sbrigavano. Li vedevo alle loro postazioni, con le cuffiette microfonate in testa. Picchiettavano le dita sul PC, concentrati a studiare allo schermo i rallenty dei nostri elementi tecnici.

«Vi prego, muovetevi.» Li supplicai, come se potessero sentirmi. Mi allungai sulle cosce fino a nascondere la faccia tra le ginocchia, rinfrescandomi il collo con la bottiglietta d'acqua.

Continuavo a ripetere mentalmente tutto quello che avevamo appena portato in gara, cercando di capire cosa avrei potuto fare meglio, se i salti fossero stati sufficientemente alti e veloci, se le trottole avessero avuto il numero di giri necessari per poter essere convalidati.

Tardavano a darci il punteggio, come se quel pomeriggio non avessimo sofferto abbastanza.

Il pubblico stesso aveva iniziato a battere le mani in un ritmo che si fece via via sempre più intenso, pronto a esplodere al momento della verità.

Jordan si abbassò a coprirmi con il busto, avvicinandosi con le labbra al mio orecchio: «Scommetti che abbiamo vinto?» sussurrò in modo che le telecamere non potessero riprendere il labiale.

«Ho già preso tre volte il secondo posto. Il quarto vien da sé, dicono.» Non ero una da proverbi, ma non volevo nemmeno crearmi false aspettative. In quel momento quasi mi pentii di non aver nemmeno sbirciato i volti di Chloe e Kevin quando era il loro turno al kiss&cry. Almeno avrei potuto capire qualcosa di più, durante quell'attesa.

«Pessimista. Se vinciamo, ho una sfida da propor-»

Non fece in tempo a finire la frase, interrotto dallo speaker.

«Punteggio per Amelia Reed e Jordan Davis.»

Non ebbi nemmeno il coraggio di alzare il capo per leggere i risultati sul grande display a bordo pista.

Mi coprii gli occhi e mi appoggiai alla spalla di Jordan in una logorante attesa.

Non mi interessavano i centesimi di punto.

Volevo solo che accanto ai nostri nomi comparisse il numero uno.

Buon lunedì!

Mi scuso per la mano con quattro dita di Amelia, anche questa settimana ho fatto settordicimila tentativi ma quando si parla di pattinaggio...bing non va! Ho anche dovuto tagliare le ruote dei pattini. 

Nel mio immaginario Amelia ha esattamente cinque dita per arto e Jordan non ha un colorito così cadaverico, e spero anche nel vostro.

Non mi scuso, invece, per il finale del capitolo! Ne parliamo questa sera su ig??

A presto  💜

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