44- 𝙎𝙝𝙖𝙥𝙚 𝙤𝙛 𝙡𝙞𝙚𝙨 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢

Prima di iniziare a leggere,

mi lascereste una stellina per supportarmi?



«Devi fregartene di loro. Capito?» Jordan mi teneva il viso stretto tra le mani, assicurandosi che capissi per bene le sue parole. «Adesso andiamo in pista. Proviamo le nostre cose, assicuriamo le traiettorie e ce ne stiamo tranquilli fino al momento della gara. D'accordo?»

«Andata.»

Gli afferrai decisa la mano e lo trascinai al cancelletto passando davanti a Audrey che se ne restò a smanettare sul telefono disinteressata.

Non appena entrammo in pista, riuscii a isolarmi quel tanto per ripassare a vista i punti precisi in cui avremmo eseguito tutte le difficoltà, provare la sequenza di passi, le trottole d'incontro e i sollevamenti.

Poco dopo, ci raggiunsero in pista anche Chloe e Kevin.

Stessa categoria, stessi orari di prova pista. Giusto.

Ringraziai il fatto che fossimo lì per una gara di poco rilievo e che la capienza del palazzetto fosse così ristretta, perché avevamo letteralmente gli occhi di tutti addosso.

Nel tempo tra una difficoltà e l'altra, riuscivo a vedere atleti, genitori e altri allenatori parlottare tra di loro, quasi divertiti da questo scambio di coppie in Florida.

Quando l'ansia si faceva sentire nel petto, quando la paura dei loro giudizi mi assaliva, guardavo Jordan: sempre placido in volto che pattinava tra una difficoltà e l'altra come se quella fosse una passeggiata di relax sul lungomare e non il nostro primo banco di prova.

Riuscì a calmare anche me.

Eseguimmo il Lutz Twist, dapprima doppio, per prendere confidenza con la pista. Poi triplo. Riuscì al primo colpo, mentre il pubblico iniziava a scaldarsi tra i nostri salti lanciati e i sollevamenti dei nostri rivali.

Durante quei venti minuti, mi concessi qualche sbirciatina a quello che Chloe e Kevin riuscivano a fare: erano davvero bravi. A giudicare dai loro passi, dovevano aver lavorato su dei pezzi classici. Chloe era così morbida e delicata in ogni movimento coreografico che Kevin quasi stonava accanto a lei.

I problemi per me iniziarono nei salti in parallelo.

La scelta di Martina di portare i doppi in gara, anziché i tripli, si rivelò azzeccata: non mi venivano nemmeno quelli, figurarsi i salti con una rotazione in più.

Ci provavo, fissavo la posizione a ogni tentativo ma la fine era sempre la stessa: per terra.

Era come se le mie gambe non rispondessero ai comandi del cervello.

Al cancelletto, mentre Audrey poteva essere sentita fino al parcheggio per il modo in cui dava ordini ai nostri vecchi partner, la mamma di Jordan aveva capito che ero andata nel pallone. 

Con gesti delicati, che ricalcavano il movimento, mi fece capire il mio errore nel doppio Loop. Commettevo sempre lo stesso stupido sbaglio che non permetteva lo stacco corretto del salto.

All'Arhena, riuscivamo a concludere l'intero long program senza sbavature. Avevamo scelto per quello di semplificare il programma.

Lì, mi sentivo una bambina ai primi allenamenti: inesperta e incapace, quando invece avevo anni di esperienza sulle spalle.

«Liberare la pista, grazie.» L'annuncio dello speaker fermò quel supplizio.

Una volta usciti, Martina mi fermò all'angolo, lontano da occhi indiscreti.

«Il tuo problema è qui, Amelia.» disse picchiettandomi la tempia con l'indice. «Sai fare tutto. Devi solo crederci.»

«Io ci provo, ma non riesco» sentivo la mia voce tremare. «Mi concentro su una cosa e il mio corpo fa tutt'altro.»

«Ci pensi troppo!» Mi prese le mani, stringendole alla forte presa delle sue. «Così ti innervosisci e basta. Adesso andate a togliervi i pattini e voglio che, finché non è ora di andare in gara, stiate fuori. Non ha senso che tu resti qui a farti distruggere dall'ansia.»

Annuii scettica, perché non mi era mai capitato di essere mandata fuori tra la prova non ufficiale e quella ufficiale, subito prima della gara. Di solito, tutti stavano lì ad aspettare il loro turno, ingannando il tempo: chi guardava le altre gare dagli spalti, chi chiacchierava, chi faceva i compiti o chi, come me, leggeva.

«Vi chiamo io quando è ora di tornare. D'accordo?» ci rassicurò Martina.

Ritrovai Jordan ad aspettarmi fuori dallo spogliatoio. Non sembrava arrabbiato per la prova non riuscita, tant'è che non me la nominò nemmeno. Semplicemente, ci rifugiammo in macchina senza distanziarci dal parcheggio ormai pieno.

«Sei silenzioso. Mi dici perché?» domandai in un cipiglio di preoccupazione.

«Perché sono consapevole che serve tempo e sono convinto del nostro potenziale. Sapevamo fin dall'inizio che sarebbe stato difficile. Oggi dobbiamo solo rompere il ghiaccio.»

«Mi scoppia la testa.» Fino a poco prima mi sentivo delle palpitazioni così forti da rendermi il respiro affannato. Più il salto non veniva, più la nausea saliva. Era cessato tutto fuori dal palazzetto, non appena ero salita in macchina.

«Non parliamone più. Ti insegno il mio metodo per ridurre lo stress da gara? Ti va?»

«Non mi dire che ne soffri.» Stentavo a credere che Jordan Davis potesse ritrovarsi alle prese con l'ansia da prestazione.

«Le prime gare dopo l'aggressione, sono state difficili. Mi hanno aiutato questi.» Si spostò per estrarre dal vano, nel poggia braccio, due cubi di Rubik.

«Non li ho mai fatti.»

Incurante della mia risposta, me ne porse uno.

«Spigoli, angoli e centri.» Iniziò a spiegarmi i componenti del cubo. «Il trucco non è pensare ai colori, ma capire i meccanismi. Inizia dal fare una croce bianca.»

Nel tempo in cui io cercavo i quadratini bianchi Jordan lo aveva già risolto, guadagnandosi una meritata occhiata torva da parte mia. Divertito, lo scombinò e mi guidò passo passo nella risoluzione del cubo.

Fu rilassante seguirlo mentre mi concentravo ascoltando il fruscio dei piccoli ingranaggi che portavano le facce al posto giusto con dei clic delicati.

Alla fine scoprii che per risolvere il cubo era necessario imparare a memoria una serie di algoritmi, che andavano eseguiti in base alla disposizione dei vari pezzi.

Riuscii a divertirmi, anche nelle volte in cui avrei voluto lanciare il cubo maledetto fuori dal finestrino. Concentrarmi nella risoluzione di quel rompicapo mi aveva aiutato ad allontanare i pensieri negativi, permettendomi di ritrovare la giusta dose di adrenalina per la gara sui pattini.

Passò qualche ora prima che Martina venisse a chiamarci. Ore che permisero a noi di isolarci e a me di calmarmi, mentre sentivamo le musiche degli atleti rimbombare in palazzetto.

«Vada come vada. Ok?» Jordan mi accarezzò il volto in attesa della mia risposta.

«Sono pronta.» Dissi semplicemente.

Indossati i body di gara, iniziammo a percorrere il corridoio degli spogliatoi per scaldare ancora i muscoli in attesa di entrare nell'area di gara. Continuavo a scuotere nervosamente prima un piede e poi l'altro, convinta così di scaricare la tensione che tornava a farsi sentire.

Ci avvicinammo al cancelletto solo quando finì la musica della piccola coppia in gara. Guardavo a terra, stringendo la mano a Jordan, senza volermi guardare intorno, così da evitare qualsiasi occhiata da parte della mia ex allenatrice che mi ronzava intorno con la sua solita sicurezza.

Era sempre gentile con tutti, in pista.

«Prova pista ufficiale di quattro minuti e trenta più due per Amelia Reed e Jordan Davis, e per Chloe Riley e Kevin Dawson.» A queste parole ci riversammo in pista tutti e quattro. In quei minuti, riprovammo ogni elemento per l'ultima volta prima della gara.

Riuscì tutto. Incluso il doppio Rit, anche se sporcavo l'uscita. Potevo farcela.

«Ultimo minuto» la voce dello speaker rimbombò ancora una volta in pista.

Avremmo potuto continuare ad assicurare qualche salto lanciato in quegli ultimi sessanta secondi prima del nostro turno. Ma avevamo deciso di fermarci e prendere il respiro trovando la giusta concentrazione.

«Pronti?» Martina ci infuse sicurezza con uno sguardo carico di persuasione.

Annuimmo in risposta, bevendo un sorso d'acqua che speravo placasse l'arsura che sentivo in bocca. Il cuore prese a battere prepotente mentre l'adrenalina mi riempiva le vene.

«Sapete fare tutto» ci ripeté. «Entrate nella vostra bolla e non fatevi distrarre.»

«Liberare la pista, grazie.» Annunciò lo speaker. Attesi che Chloe e Kevin uscissero, prima di pulire i freni con la mano e controllare che in ogni singola ruota non ci fosse la minima traccia di brillantini o sporco incastrato. Poteva capitare, e volevo evitarlo. Avrebbe dato disturbo in gara.

Con il volto già indirizzato al punto d'inizio del nostro programma, mi affiancai a Jordan facendo scrocchiare nervosa le ossa delle mani.

«Per la categoria Seniores coppia artistico, in pista Amelia Reed e Jordan Davis, Clearwater Skating Academy.»

Quello era il momento in cui avevo l'abitudine di prendere un grosso respiro, prima di entrare in gara, per dimostrare quello che sapevamo fare.

Ma fu anche il momento in cui lottai con le mie gambe per pattinare avanti, mentre loro fremevano per tornare a casa. Mi sentivo rigida come non mai.

«Divertitevi. Voglio solo questo da voi» ci disse Martina dandoci una leggera pacca di incoraggiamento sul sedere.

Entrammo in pista tenendoci la mano tra gli applausi del pubblico. Non guardai in faccia né i giudici né tanto meno il pubblico. Incastrai lo sguardo a quello di Jordan in uno scambio di taciti assensi e obiettivi comuni. Eravamo ufficialmente nella nostra bolla di concentrazione.

«Siamo solo io e te, piccola Reed.» sussurrò Jordan al mio orecchio mentre gli applausi si affievolivano. «Non dimenticarlo mai.»

Poi, un istante di silenzio riempito dall'attesa dell'inizio della musica.

E quando le note di Don't cry partirono, restammo davvero solo noi. Magicamente, sentii di nuovo le gambe connesse al cervello.

Ogni movimento, ogni difficoltà, era perfettamente studiata per enfatizzare le battute della musica. Stavamo riuscendo in tutto. Avevamo già completato un triplo Lutz twist e il primo dei salti lanciati, quando ci apprestammo a fare il doppio Rit in parallelo.

Nel poco tempo di un respiro, strinsi le scapole, allineai i fianchi e dettai il ritmo del salto prima dello stacco.

Riuscì.

Con la coda dell'occhio, vidi Jordan quasi sorridermi. Ma non potevamo fermarci, la gara era ancora in corso. Completammo altri sollevamenti, prima della trottola in parallelo. Seguii poi Jordan verso la combinazione di salti: due semplici doppi eseguiti uno dopo l'altro senza alcuna pausa in mezzo.

Atterrai in una posizione difficile dopo il primo salto, e provai lo stesso a staccare il secondo, con lieve ritardo rispetto a Jordan.

Per ritrovare l'equilibrio chiusi le braccia troppo tardi, ritrovandomi completamente storta in aria.

Finii a terra.

C'è una cosa che viene insegnata a tutti gli atleti fin dalla più tenera età: quando cadi in gara, ti alzi, indossi il tuo miglior sorriso e continui fino alla fine della musica senza mai arrenderti.

Nella realtà, questo insegnamento si traduce in un millesimo di secondo in cui è d'obbligo il sangue freddo per scacciare il panico che ti assale, rialzarsi e continuare la gara come se niente fosse successo, nonostante la paura del totale fallimento si faccia strada in te più del dovuto.

In uno scatto recuperai la velocità persa arrivando di fianco a Jordan, che mi prese per la preparazione del sollevamento.

«Non mollare», riuscì a dirmi ansante prima di portarmi in alto e girare su se stesso.

Lo ascoltai. Avevamo superato la metà della gara, tutti i muscoli iniziavano a bruciare e il respiro si faceva sempre più affannoso, mentre la musica aumentava il ritmo preparandosi al cambio in November Rain.

Quando l'assolo di Slash partì, sentii il boato del pubblico e le loro mani tenere il tempo della sequenza di passi nella canzone che aveva fatto la storia del rock. Sembrava quasi fossimo un tutt'uno. Non era mai capitato in vita mia di sentire il pubblico coinvolto in quel modo.

Ci ritrovammo addirittura a sorridere, destreggiandoci tra boccole, volte e controvolte. Sotto lo sguardo attento dei giudici, eravamo un tutt'uno: noi, i nostri pattini e il pubblico.

Volevano lo spettacolo e noi, increduli, glielo stavamo dando.

In anni di pattinaggio, non avevo mai visto Jordan divertirsi così in pista.

La trottola d'incontro, la spirale della morte e la musica finì.

Jordan ignorò completamente le proposte della coreografa per il nostro finale, perché mi attirò in un stretto abbraccio facendomi dondolare.

«Sei stata bravissima» mi disse mentre cercavamo di riprendere fiato.

«Ho sbagliato il doppio Toeloop, te ne rendi conto?»

«Chi se ne frega. Abbiamo rotto il ghiaccio.»

Poi, incurante di tutti, schiantò le labbra sulle mie. Fu un bacio rapido, ma il pubblico sembrava non aspettare altro. Il boato durante la sequenza di passi fu niente rispetto a quello che scaturì da quel bacio.

«Non eri tu quello che non voleva effusioni in pista?» Domandai divertita staccandomi da lui per rivolgere gli inchini di saluto al pubblico e alla giuria.

«Che guardino tutti quanto sei stata meravigliosa. E che tutti sappiano che sei mia.»

Mi lasciai trascinare fuori dalla pista, stremata, da Jordan. Ad aspettarci, Martina rideva nascondendosi gli occhi con la mano, forse imbarazzata dal bacio di poco prima.

In circostanze diverse, le conseguenze per quello stupido errore mi avrebbero perseguitata, ma ormai avevo imparato che lei non mi avrebbe mai fatto nulla di male. Mi avrebbe compresa, ben conscia di tutti i rischi del pattinaggio che si realizzano più spesso di quanto si possa pensare.

«Avete fatto divertire anche me» mi disse sciogliendo l'abbraccio per passarci le bottigliette d'acqua «grazie.»

Undici elementi tecnici corretti su dodici e un punteggio che non poteva far altro che migliorare. Ero abbastanza soddisfatta della gara, anche se avrei voluto mangiarmi le mani per essere caduta su un salto che le future agoniste imparano a sette anni.

Ottenemmo, come da pronostico, il secondo posto. La vera sorpresa di quel giorno fu che il nostro punteggio artistico era ben più alto di quello di Kevin e Chloe.

Fu lì che presi consapevolezza del nostro potenziale. Pattinavamo insieme da troppo poco tempo per un punteggio tecnico degno di nota, ma sapevamo entrambi che non era un obiettivo impossibile. Si trattava solo di avere costanza, e non vedevo già l'ora di tornare all'Arhena per riprendere gli allenamenti.

Alle premiazioni Jordan, con l'argento al collo, sembrava addirittura contento di aver perso la sua prima gara in Florida.

Scattammo qualche foto per la pagina social della Clearwater Skating Academy, poi, quando il palazzetto si stava ormai svuotando, Martina mandò fuori Jordan e mi trattenne in pista.

«Vai a rifare la catena di salti che hai sbagliato in gara.»

Le consegnai la mia medaglia e presi la rincorsa per quella combinazione che riuscì con una facilità estrema.

Vaffanculo.

Esiste situazione peggiore di quando le cose ti riescono dopo averle sbagliate nel momento che conta?

«Vedi? Hai dedicato così tante attenzioni al doppio Rit, che non ti veniva in prova, da sottovalutare il più semplice doppio Toeloop. Cosa hai imparato oggi?»

«A non dare niente per scontato» risposi subito, mossa dal rammarico.

«Brava. Vai a togliere i pattini, vi porto a cena fuori per festeggiare.»

Tornai in spogliatoio a cambiarmi quando ormai se n'erano andati tutti. Nel silenzio mi presi del tempo per togliermi tutte le forcine che sentivo ormai conficcate nel cervello e raccogliere i capelli in una treccia più morbida.

Quando mi avviai verso l'uscita sentii delle voci nello spogliatoio maschile.

«Non le avevi detto che mi ero trasferita a Daytona?» Chloe. Un'ondata di pura gelosia mi assalì. Lo ammisi candidamente a me stessa. Quella ragazza non lo aveva calcolato per tutto il pomeriggio e aveva aspettato che ci separassimo per andare indisturbata da lui.

«No.»

«E di quando sei venuto da me implorandomi di avere le foto scattate da mia sorella in discoteca?»

«E' un interrogatorio?»

«Immagino tu non le abbia nemmeno detto dell'articolo del ricovero.»

Una pausa. Non so cosa avrei dato per vedere le loro espressioni.

«Beh, complimenti Davis. Una vita a non volere relazioni per poi basare la prima sulle bugie.»

Non volli sentire altre risposte. Jordan sapeva quanto quell'articolo mi avesse fatto male. Mi si era avvicinato con la scusa di volermi dimostrare la sua innocenza, quando in realtà sapeva già tutto.

In tutti quei mesi non mi aveva mai detto niente, nonostante le mie continue domande a riguardo.

Mi aveva mentito.

Avevo ascoltato a sufficienza.

Me ne andai in silenzio con un'enorme nodo in gola, scappando per l'uscita di emergenza così da non essere vista da Martina. Usai google per trovare la stazione degli autobus più vicina, e inviai un messaggio veloce a Ellison e a sua mamma:

A: non aspettatemi.

Spensi il telefono, perché non volevo sentire nessuno e non ero pronta alla raffica di chiamate che Jordan mi avrebbe fatto non trovandomi più al palazzetto.

Una volta salita in autobus, mi abbandonai finalmente alle lacrime, diretta nell'unico posto in cui ero certa che nessuno sarebbe venuto a cercarmi.

Buongiorno!

Ho quasi paura a mettere il box domande su instagram oggi, vado a metterlo subito per raccogliere tutte le vostre impressioni!

ig: amelieqbooks

💜

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