38- 𝙇𝙖 𝙙𝙤𝙣𝙣𝙖 𝙘𝙖𝙣𝙣𝙤𝙣𝙚 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢

Non capivo come Jordan fosse riuscito a rendermi custode del suo passato impervio con tutta quella tranquillità. Sembrava quasi parlasse in terza persona, come se il protagonista di quei fatti atroci non fosse mai stato lui.

Mi ero spezzata a sentirlo rivivere i suoi trascorsi, mentre lui era rimasto impassibile anche nei ricordi più crudi. Cercai di non dare a vedere la sofferenza che avevo provato davanti a tanta cattiveria, mentre me ne stavo stretta nel mio piccolo angolo di mondo tra le braccia di Jordan con il mare alle spalle.

«Vuoi un ricordo?» Domandai dopo aver capito che non voleva più parlare di lui.

«Puoi scegliere quello che vuoi.»

«E' quasi l'alba, Jordan. E' tutto chiuso!»

«Chi lo dice che i ricordi vanno comprati?»

Mi prese la mano e mi fece volteggiare fino a ritrovarmi con la schiena schiantata sul suo petto, e avvolta tra le sue braccia tornite ricevetti un bacio sul capo.

«I ricordi sono ovunque. Guardati intorno e scegli quello che vuoi.»

Mi divertì la sua idea. Intrecciai le dita alle sue e percorremmo il molo fino all'entrata, alla ricerca di qualsiasi oggetto dimenticato, ma era tutto pulito. Non c'era niente al di fuori dei tappetini all'ingresso dei negozi.

Fu lì che lo vidi: anche se appeso al contrario, potevo scorgere il garbuglio del fil di ferro che lo teneva agganciato al cancello. Forse era un'idea esagerata, ma mi faceva ridere il solo pensiero di sfidare Jordan ancora una volta.

Aveva detto qualsiasi cosa, giusto?

«Trovato! Vieni.»

Scavalcai di nuovo l'inferriata del Pier60 e, mentre lui mi seguiva incerto, setacciai ogni angolo intorno a noi per assicurarmi ancora una volta che non ci fossero telecamere di sorveglianza e che il parcheggio restasse deserto.

«Quello lì.» Indicai il quadrato in metallo una volta sicura che tutto fosse come volevo.

«Sei seria?» domandò scettico come non mai.

«Perché, è reato per caso?»

Mi morsi il labbro a trattenere un sorrisetto provocatorio. Bastò quello per convincerlo ad avvicinarsi al cancello e infilare una mano nella rete a maglia larga e iniziare tutto concentrato a snodare l'intreccio. Lo raggiunsi per aiutarlo a sciogliere l'altro nodo. Mi piaceva l'idea di dare il via, insieme, a quella tradizione di ricordi.

«Anche se fosse, per te rischierei.»

Esaltata per la sua frase, mantenni la mia corazza di compostezza per trattenere il turbinio di emozioni che le sue frasi a effetto mi provocavano. Sfilai il mio nuovo oggetto preferito, fermandomi qualche secondo per ammirarlo: una lamiera tonda con lo sfondo rosso e la scritta DIVIETO D'ACCESSO a caratteri cubitali. Era bianca, come la barra che divideva le parole in due righe.

Mi piaceva da matti, e già lo vedevo appeso alla parete del piccolo salotto del dormitorio, accanto al quadro con la farfalla che Elly aveva fregato al dottor Greg.

«Da galeotta a teppista il passo è stato breve.» Risi alla sua battuta e mi sollevai in punta dei piedi alla ricerca di un bacio, ma non arrivai comunque alla sua altezza. Jordan si abbassò a darmi quel che tanto desideravo, e tornammo all'auto camminando con il cartello nascosto tra le mie braccia e la sua mano infilata nella tasca posteriore dei miei jeans.

Mise in moto quando le luci dell'alba iniziarono a rischiarare la notte, e per tutto il tragitto fino al Solaris Key le nostre dita restarono intrecciate anche mentre ingranava le marce, finché parcheggiò all'angolo dello spiazzo davanti al mio dormitorio, lo stesso in cui era venuto a prendermi quasi ventiquattro ore prima.

«Sei stanca?»

«No.» Uno sbadiglio mi tradì. Da una parte, non vedevo l'ora di passare tutto il giorno a letto a dormire. Dall'altra, avrei premuto il tasto rewind per rivivere la giornata più bella di sempre.

Il suo volto si fece più vicino, mi portò i capelli spettinati dietro l'orecchio e annullando le distanze prese ad accarezzarmi il profilo con la punta del naso.

«Adesso, piccola Reed, devi dirmi se ho passato il primo appuntamento o no» mi sussurrò all'orecchio.

«A pieni voti» riuscii a malapena a rispondere prima che le sue labbra reclamassero le mie in un bacio diverso dagli altri. Meno delicato, più famelico e ardente, e ritrassi la lingua per accogliere la sua più in profondità.

Jordan si allungò sul mio lato dell'auto e mi si mozzò il respiro in gola quando mi reclinò il sedile per scavalcare il cambio e sistemarsi con un ginocchio tra le mie gambe.

Svettava su di me con una bellezza tale da lasciarmi completamente disarmata con il cuore che batteva all'impazzata. Sollevai il busto per andargli incontro quando lo vidi flettersi su di me, e mi diede appena il tempo di stringermi al suo torace prima di ricominciare a baciarmi con lussuria. La sua mano scese lungo la schiena, percorrendo le mie curve appena accennate, finché mi stesi del tutto e continuò a farsi strada sotto la felpa a stringermi il fianco nudo, per poi risalire a sfiorarmi il seno.

Jordan bloccò per un solo istante il nostro bacio per cercare il mio consenso.

«Posso fare mia un'altra tua prima volta, piccola Reed?»

Troppo imbarazzata per rispondere, lo riportai a me cercando impaziente la sua lingua per riprendere da dove mi aveva lasciato e fargli capire che , io ero completamente sua.

Jordan si reggeva sul braccio teso stringendo le dita intrecciate alle mie, come a rassicurarmi. L'altra mano sotto la felpa tracciò lentamente una linea sul petto fino ad abbassare la coppa del balconcino scoprendomi un seno. Lo strinse a mano piena prima di dare tutta l'attenzione al capezzolo che accolse tra le sue dita per stuzzicarlo fino a inturgidirsi.

Mi rivolse uno sguardo di pura bramosia che rimase fisso sui miei occhi anche quando mi sollevò del tutto la felpa e mi attirò più vicino a sé, per abbassarsi a stringere tra i denti l'altra coppa e scoprire anche l'altro seno.

Jordan era in grado di sciogliermi con il suo tocco dolce e deciso. Chiusi gli occhi inarcando il busto quando per la prima volta una stilettata di calore mi colpì nel basso ventre.

Il capezzolo venne sfiorato dal lieve accenno di barba che gli delineava la mandibola e quando mi sfuggì un debole gemito in lui si accese un sorrisetto spavaldo, nato dalla sicurezza di chi sa di aver fatto la mossa giusta.

Mi rubò un piccolo bacio, prima di pennellare con la lingua il seno appena scoperto mentre la sua mano prese a scendere lungo il mio corpo, accendendo una lunga scia di brividi.

Ma più la sua mano percorreva centimetri, più io mi irrigidivo. Scattai dal fastidio, quando mi sfiorò l'ombelico e d'istinto cacciai via la sua mano dal mio ventre. Mi distaccai completamente da quel tornado di nuove emozioni. Come se quel corpo che stava scoprendo non fosse più il mio.

«Scusa.» Riuscii a dire piena di vergogna.

Ero rigida, estremamente rigida e troppo insicura di me. Ma il mio corpo restava paralizzato, troppo esitante per rispondere al tocco di Jordan come avrebbe meritato. Andava tutto bene finché i miei difetti se ne restavano coperti sotto strati di tessuto, ma non appena lui li sfiorava mi ricordava che esistevano e che non potevano essere cancellati.

Toccarmi li rendeva tutti estremamente reali e miei. Avevo paura di essere rifiutata, in pista come in quel momento di nuove scoperte. Per un istante, mi sentii ripiombare nel buio. E lui, probabilmente, lo capì.

«Vorrei solo tu capissi quanto sei splendida, Amelia. Sempre. Ogni singola parte di te lo è.»

Si sollevò a scoccarmi un bacio sulla fronte, per rassicurarmi.

«Sono qui per te.»

Un piccolo morso al labbro inferiore, e chiusi gli occhi.

«Solo per te.»

Una scia di baci umidi lungo il collo.

Puoi fidarti.

«Perché sei tu.»

Bastò questo a demolire parte del muro di insicurezze che avevo costruito. Lui aveva gli occhi della sincerità, illuminati dalla lama di sole che penetrava dal finestrino, e mi aggrappai alle sue spalle per attirarlo il più vicino possibile a me e riprendere da dove eravamo rimasti.

Tracciò di nuovo una linea infuocata che dal seno scese, deviando il percorso lungo il fianco, per arrivare a sbottonarmi i jeans e abbassare la zip.

Continuò a baciarmi anche mentre infilò un dito sotto l'orlo degli slip per sfiorarmi l'inguine liscio, risalendo sul monte di venere fino a scendere per schiudermi le pieghe a stuzzicare il clitoride provocandomi un fremito di piacere.

Jordan strinse tra i denti il lobo dell'orecchio prima di penetrarmi con un dito e iniziare un movimento lento, aumentando la velocità man mano che mi sentivo sempre più bagnata.

Mi penetrò con un secondo dito mentre il suo pollice giocava roteando sul mio centro quando i miei fianchi, d'istinto, presero a seguire la sua mano per placare quel calore così intenso che aveva dato inizio a delle pulsazioni di piacere.

Quando io mi spingevo contro la sua mano per il bisogno viscerale di provare sollievo, lui se ne distaccava, così provai a serrare le cosce cercando disperatamente di quietare quella necessità.

«Tieni le gambe aperte, mia piccola Reed, o il gioco finisce.» mi sussurrò all'orecchio.

Più che un gioco, iniziava a diventare una tortura, una ricerca smaniosa di una sensazione che non avevo mai provato.

La sua lingua tornò a dare attenzione ai miei seni leccandoli, stringendone i capezzoli tra i denti per tirarli e lasciarli all'improvviso risucchiandomi in un vortice di piacere. Poi, ricominciava a incurvare le dita dentro di me, e a muoverle dentro e fuori, alternando le attenzioni tra seni e clitoride in un suo gioco che mi stava mandando via di testa.

Un brivido mi percorse la schiena, increspandomi la pelle di piacere e voglie mai provate prima.

E poi, finalmente, il mio bisogno venne appagato quando per l'ennesima volta spinsi il bacino sulla sua mano e lui mi venne incontro, premendo il palmo sul clitoride. Le sue dita scivolavano in me così veloci da intensificare le pulsazioni sul mio centro a tal punto che un'unica ondata di piacere mi travolse, propagandosi in tutto il corpo con piccoli spasmi incontrollati.

Ansimavo, mi mancava quasi il fiato per l'estasi del momento, quando Jordan tornò sulle mie labbra con prepotenza a rubarmi con un bacio il gemito del mio primo orgasmo trasportandomi in un universo di lussuria in cui esistevamo solo noi.

Quando le scosse di piacere terminarono, io ero nell'estasi più profonda. Il cuore batteva ancora a mille, ma ero appagata come non mai.

Il sole ormai era sorto e Jordan tornò al posto di guida, permettendomi di riprendere fiato senza mai togliermi gli occhi di dosso.

«Mi farai impazzire.» Mi disse passandosi le dita tra i capelli.

«Perché?» domandai preoccupata rialzando il sedile.

«Perché non hai la minima idea di quanto ti voglia. Ti porterei a casa con me, Amelia, a continuare quello che abbiamo iniziato.»

«Non mi pare tu sia uno di quelli che aspetta il matrimonio.»

«Assolutamente no» chiarì subito «ma voglio avere tutto di te.»

«Quindi?»

«Aspetterò che tu sia pronta a essere mia, senza limiti. Testa, corpo e cuore.» Capii subito l'allusione al mio comportamento di poco prima.

Mi accarezzò le guance ancora arrossate per cingermi le spalle con un braccio e attirarmi a sé.

Poggiata al suo petto, mi persi a pensare se mai sarei riuscita ad accettare davvero il mio corpo. Se sarei mai riuscita ad apprezzarmi e lasciarmi apprezzare, senza vedere un difetto come un ostacolo. Se sarei mai riuscita a capire che la normalità e la perfezione erano due mondi opposti, ma che la serenità abitava solo in uno di questi.

«Sei stanca, piccola Amy?» Bloccò lo sbadiglio che mi era scappato con una semplice domanda.

«Non sono abituata a stare fuori così tanto.»

«E' perché sei vecchia.» Mi pizzicò bonariamente un fianco, sciogliendo la tensione nell'abitacolo «cosa vuoi che siano tutte queste ore in giro per la Florida?»

«Pensa per te.» Mi staccai da lui roteando gli occhi con finto fare seccato.

«Ci vediamo domani in pista.» mi disse divertito.

«Sarò quella con il deambulatore.» Jordan prese a ridere di gusto quando scesi dall'auto riservandogli un bel dito medio. Recuperai il mio cartello stradale e mi incamminai orgogliosa verso il dormitorio.

Rientrai in stanza e trovai Elly esattamente come quando eravamo al Fairwinds: a dormire beatamente in un groviglio di coperte e capelli e con i piedi a penzoloni.

Per quanto mi stessi impegnando a non fare rumore camminando al buio in punta di piedi, mi caddero di mano sia il cartello che le chiavi di casa, ed Elly sobbalzò dallo spavento fulminandomi con lo sguardo.

«Uccido per molto meno, Reed.»

«Scusami.» mi abbassai, colpevole, a raccogliere quello che mi era caduto. «Però ho portato a casa un cartello stradale.» Lo sventolai a mezz'aria, certa che le sarebbe piaciuto.

«E fu così che le prossime cose che appenderemo saranno le nostre foto segnaletiche.» Si nascose gli occhi sbarrati con un pollice verso, e si infilò di nuovo sotto le coperte riprendendo a dormire con una facilità invidiabile.

«Noi abbiamo controllato che non ci fosse nessuno, però.» Provai a scherzare, ma non ottenni risposta.

Mi sciacquai veloce il viso e lavai i denti, guardando per un solo istante il riflesso sullo specchio che non vedevo dal mio ingresso in clinica. Cosa avesse visto di tanto bello Jordan in una che aveva le occhiaie imposte dall'assenza del sonno, proprio non lo capii.

Raccolsi i capelli e mi fiondai a letto, riuscendo prima a far mente locale sul programma dei giorni a seguire.

Sarei tornata al Fairwinds, per la terapia con la Cameron e un breve check-up con il dottor Greg.

Lisa e Karmen sarebbero state accompagnate all'Arhena, a prendere le misure e definire per bene i body di gara miei e di Jordan.

Ma soprattutto, avremmo ricominciato con gli allenamenti sia al mattino che al pomeriggio, fino all'inizio delle lezioni al college. A fine mese era in programma la nostra prima gara, quella per cui non eravamo assolutamente pronti. Non avevo ancora provato i salti tripli e potevo già pregustare l'ultimo posto in classifica.

Amelia Reed e Jordan Davis. Chi l'avrebbe mai detto.

Mi addormentai poco dopo con il sorriso beato di chi in ventiquattro ore aveva avuto il primo appuntamento, dato il primo bacio, fatto la prima effrazione e avuto il primo orgasmo.

Una vita rinchiusa in un palazzetto e il primo giorno fuori da una clinica psichiatrica avevo provato tutte quelle cose.

Nel libro di poesie,che mi teneva compagnia da qualche mese a quella parte, avevo letto che "anche la follia merita i suoi applausi".

E per una volta, mi addormentai esultando per me stessa. 

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