32- ʸᵒᵘ 𝙥𝙪𝙩 𝙖 𝙨𝙥𝙚𝙡𝙡 𝙤𝙣 ᵐᵉ -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
Lasciate una stellina,
voi ch'entrate ⭐
⚠ Quello che segue è un doppio aggiornamento: assicuratevi di aver letto il capitolo precedente!
⚠ ⚠ Ho fatto un esperimento: verso metà capitolo ci sarà un video. Se vi va potete alzare il volume, premere play, e continuare a leggere con tono. E' stato scritto a tempo di musica, un intreccio di note, parole, sensazioni, e movimenti. Purtroppo funziona solo da PC.
Il giorno seguente, altro non volevo che allenarmi con Jordan. Fresca, riposata, con il SAT lasciato finalmente alle spalle e il sollievo di averlo completato, arrivammo all'Arhena entusiasti di iniziare. Entrati in palestra, andai ad appoggiare la felpa e la borraccia sul solito angolo in fondo alla sala, lasciando Jordan ad accendere le luci. Pensavo che ci saremmo allenati lì perché era l'unico spazio sufficientemente grande per poter provare i salti senza pattini.
«Dove vai, Reed?» Mi richiamò Jordan. Voltandomi, lo scoprii con le spalle appoggiate al muro, con una mano nella tasca dei pantaloni della tuta mentre con l'altra teneva in bella vista un mazzo di chiavi che faceva tintinnare.
«Qui. No?»
Scosse la testa in diniego. «Oggi ti porto alla vera Arhena. Quella che ha dato il nome a questo posto.» Iniziò a cercare una chiave precisa nel mazzo. «Vieni.»
Sapevo che in quella palestra c'era una parte che non avevo mai visto, oltre la porta sempre chiusa accanto all'infermeria. Sapevo che al piano superiore, quello cui si poteva accedere digitando un codice, c'era il suo appartamento. Pensavo che dietro quella porta senza tastierino ci fosse un magazzino. Ma quando Jordan fece scattare la serratura e aprì i battenti per lasciarmi entrare per prima, mi convinsi di essere arrivata in paradiso.
Stavo camminando sulla superficie rettangolare del parquet più chiaro che avessi mai visto. Sui listelli si riflettevano i faretti che costellavano il soffitto e una grande vetrata sul lato corto che lasciava passare la luce del sole. Davanti a noi la luce metteva in risalto dei segni opachi nel lucido del parquet, delle virgole tutte uguali che ci avrei scommesso che quello fosse il punto in cui la maggior parte degli atleti provavano i Salchow. Non avevo dubbi che quella fosse la scia lasciata dal pattino sinistro durante lo stacco di quel salto. Dal lato opposto, dei materassi erano stati agganciati alla parete ed erano stati appesi dei grandi specchi che solitamente si usavano per le coreografie.
Ma accanto a noi, nell'angolo, dei grandi mobili vedevano disposti un centinaio di pattini di varie misure, quelli che si usavano per le prime prove, in attesa di avere un paio di pattini personali. Si riconoscevano perché non erano modelli professionali ma avevano dei graffi ben visibili e delle pieghe negli stivaletti che gli davano un'aria vissuta. Ma soprattutto, emanavano l'odore gradevole che mi fece sentire a casa: sapeva di wd40, il lubrificante usato per la pulizia dei cuscinetti delle ruote. Era la pista più bella che avessi mai visto, e aveva sicuramente le dimensioni regolari per le competizioni.
«Questa è la vera Arhena.» Disse Jordan alle mie spalle trattenendo l'orgoglio, dopo avermi lasciata ammirare quella pista nascosta dietro la porta di una comune palestra. «Nell'antichità all'arena si facevano competizioni e spettacoli, era un enorme spiazzo ricoperto di sabbia. In realtà le arene hanno anche le gradinate per gli spettatori.»
«E qui?»
«Non ci stavano» scrollò le spalle «l'architetto mi ha fatto scegliere tra una pista piccola con gli spalti o una pista grande senza la possibilità di ricevere del pubblico. Non è stata una scelta difficile.» Mi sorrise. Anche io avrei fatto la stessa scelta: meno spazio per le persone e più spazio per pattinare.
«Questo posto è un sogno.» Gli risposi abbassandomi per carezzare quel pavimento liscio, il mio preferito. Era perfettamente verniciato, ma non era una di quelle vernici che facevano scivolare noi pattinatori solo a guardarle. Non c'era ruota che teneva, in certe piste, e spesso ci trovavamo a scegliere di dover faticare nelle trottole in favore di salti sicuri o viceversa.
«Cosa fai?»
«Qui userei le Panther, incrociate con le Mustang. E una Giotto57 come ruota esterna indietro sul pattino destro.» Risposi sicura.
«Giochi a indovinare le ruote da usare senza provare prima la pista, Reed?»
Annuii, perché era il mio gioco preferito e negli anni avevo imparato ad azzeccarci sempre. Solo che non ne avevo mai parlato a voce alta, mi sembrava un gioco stupido, ma ero in estasi perché vivere in un appartamento sopra una pista di pattinaggio era esattamente quello di cui scrivevo nei primi temi delle elementari quando il titolo era "descrivi la casa dei tuoi sogni".
«Lo facevo anche io.» Curvò le labbra all'insù.
Sapevo che il mio era un gioco da fanatici delle rotelle, mi consolò un po' sapere che non fossi l'unica a farlo.
«Perché, se avete questa, vi allenate nella pista fuori al parco?» Domandai cercando di cambiare discorso.
«E' meglio iniziare il riscaldamento, te lo spiego mentre corriamo.»
Giusto, l'allenamento.
Seguii Jordan lungo il perimetro della pista, ascoltandolo parlare tranquillamente nonostante la corsa . «I bambini iniziano perché vedono altri bambini divertirsi. Vanno a giocare al parco con i genitori o i baby sitter, poi vedono noi. Si avvicinano per curiosare, ma nel giro di qualche mese ti assicuro che tutti vengono a provare i pattini almeno una volta. Da quando ci hanno visto fare i sollevamenti, siamo già pieni di prenotazioni per l'anno prossimo.»
«Non ti allenavi già lì anche con Chloe?»
«No, gli agonisti vengono tutti qui. E' più comodo fare preparazione atletica in palestra e, dopo, venire ad allenarsi in questa pista.»
La domanda mi venne spontanea. «Perché non pattini più con lei?» Volevo saperlo. A costo di sembrare impicciona.
«Chloe ha deciso di smettere.»
Mi fermai. «Stavate insieme?» Buttai fuori dai denti.
«Amelia...sei gelosa per caso?» Mi canzonò ripetendo le parole che io stessa gli rivolsi quando Xavier mi si era avvicinato.
«No. Certo che no.» Ripresi a correre e quando passai vicino a lui lo spintonai alla buona senza riuscire a farlo smuovere di un millimetro. «Sono solo curiosa.»
«Siamo stati a letto qualche volta, se vuoi la verità.» Riprese a correre raggiungendomi con poche falcate. «Ma no. Non siamo mai stati insieme. Non siamo nemmeno mai usciti insieme. Mia madre ci ha fatto pattinare insieme perché era brava e adatta alla coppia artistico. I suoi genitori sono disposti a tutto pur di farla crescere. Tutto qui. Storie che hai già sentito, immagino.»
«Già.» Non volevo sapere oltre. Potevo permettermi di essere gelosa di una persona con cui non stavo insieme? No. Nel modo più assoluto.
Ma non potevo negare che con lui stessi bene e che quando eravamo insieme sentivo una tensione mai provata prima.
Gli avevo promesso un primo appuntamento, ma la realtà era che io avevo paura. Lui mi aveva appena confermato di avere già quel tipo di esperienza sulle spalle mentre io non avevo nemmeno mai dato un solo, misero bacio.
Lui stesso lasciò cadere l'argomento Chloe. Non la nominò più, e io non insistetti, anche se avrei avuto un milione di altre domande da fargli a riguardo.
Dopo il riscaldamento, scegliemmo di provare i salti in parallelo, cercando di sincronizzarci il più possibile sugli stessi tempi. Poi slegati i materassoni dalla parete, iniziammo a provare i sollevamenti in sicurezza.
Jordan si rivelò il partner ideale per me. Se quando stavamo per cadere ero abituata a Kevin che mi lanciava sul materasso prima di perdere l'equilibrio senza preoccuparsi di come sarei caduta, Jordan mi proteggeva in ogni modo. A ogni sbaglio si assicurava che l'impatto per me fosse meno forte possibile, prendendomi tra le braccia e cadendo insieme a me. Si scusava, addirittura.
Ma soprattutto, se di solito cercava il contatto con me, durante gli allenamenti era estremamente concentrato, nonostante per sollevarmi le sue mani dovessero stare sul mio inguine o molto vicino al sedere.
Provavamo, sbagliavamo, cercavamo di capire l'errore e provavamo di nuovo, finché il sollevamento non riusciva. Era determinato e non si faceva distrarre da niente, ci credeva quanto me se non di più. A livello atletico, aveva la mia stessa etica del lavoro, e non potei che esserne felice.
In un'ora e mezza avevamo provato tutti i sollevamenti singoli, i salti in parallelo e il Triplo Lutz-Twist, un salto in cui io, una volta messi i pattini e preso velocità, avrei puntato il freno destro per darmi la spinta e aiutare lui, che prendendomi dai fianchi mi avrebbe lanciata in aria per compiere le tre rotazioni richieste. Poi, mi avrebbe ripresa per l'uscita.
Come primo allenamento, ero pienamente soddisfatta. Poche ore di lavoro rispetto a quelle cui ero abituata, stancanti ma così produttive che l'aver saltato i primi due giorni non mi turbò più così tanto.
Una piccola pausa per bere, poi avremmo ricominciato un'altra serie di salti.
«Vorrei provare un'altra cosa, prima.» Lasciai la borraccia a terra e afferrai la mano che Jordan mi tese, e mi guidò fino ad arrivare davanti agli specchi. C'eravamo solo noi due, io davanti e lui dietro di me, lasciando i nostri corpi così vicini da sfiorarsi e i nostri occhi puntati gli uni sul riflesso degli altri.
«Hai paura del buio, piccola Reed?»
«No.» risposi con il cuore in gola.
Sfilò dalla tasca un pezzo di stoffa nero e delicatamente mi scostò i capelli per coprirmi gli occhi e allacciarla sotto la coda.
Il buio.
«Jordan...» Iniziai ad agitarmi.
«Siamo solo noi due.» Sentii soffiare al mio orecchio. «Adesso, facciamo un gioco. Non pensare a come ti muovi, non pensare a come ti vedono gli altri. Pensa solo al tuo corpo che segue le mie mani.»
Il suono dei suoi passi cauti mi circondò, fermandosi alle mie spalle.
Non sapevo cosa avesse in mente, e deglutii la saliva che sembrava essere sparita stringendomi la coda nervosa.
Le note della musica che lui voleva per lo short, iniziarono a suonare.
https://youtu.be/lK0nyFEslKk
I nostri respiri nascosti dalla voce di Audra Mae che riempiva la pista.
Un tocco delicato mi sfiorò il collo, per iniziare a scivolare lentamente verso le spalle e proseguire fino ad avvolgermi la mano.
Non avevo più fiato per emettere un singolo suono. Sentivo il cuore rimbombarmi nel petto mentre seguiva uno spartito completamente diverso rispetto a quella musica.
Portò il mio braccio in alto, poi le sue dita presero a scendere lentamente sulla mia pelle gettando benzina sul fuoco. Era lui a giostrare i miei movimenti con il solo sfiorarmi, e il mio corpo lo seguiva senza opporsi. Dalla spalla scese lentamente lungo la spina dorsale, e di riflesso abbandonai la testa sulla sua spalla, trovando rifugio nell'incavo del suo collo.
It's a new dawn
It's a new day
It's a new life
«Lasciati andare, Amelia...ora.»
For me
And I'm feeling good.
Agguantò il mio bacino con la mano libera, facendo schiantare la mia schiena contro il suo torace. Non mi strinse con forza, ma io non respiravo più.
A tempo di musica mi voltò con uno scatto repentino, petto contro petto, e d'istinto alzai il volto, come se potessi davvero guardarlo. Non vedevo niente, ma riuscivo a sentirlo muoversi, percepivo il suo respiro caldo abbracciarmi le guance, e potei giurare di sentire che le nostre labbra si stessero avvicinando. Come guidata da un incantesimo non ebbi nemmeno bisogno di coraggio per riprendere i suoi movimenti e trasportata dalla musica tracciai con le dita una linea che seguì il profilo del suo collo.
Lo sentii irrigidirsi, impreparato a quella mia improvvisa iniziativa, e la giugulare pulsava all'impazzata contro il mio palmo.
Sperai davvero che mi baciasse lì, bendata, di fronte a uno specchio buio. Era il momento perfetto. Ma la musica continuava a dettare il ritmo di quella danza che mi rese vittima del suo sortilegio, e di nuovo prese a sfiorarmi il braccio fino a spingermi di lato con una mossa decisa.
Mi lasciai accompagnare nel vuoto, sostenuta solo dalla sua mano possente che mi reggeva tra le scapole e poi, una calda pressione sul fianco lambì i miei sensi mentre risaliva placida tra i seni. Mi inarcai, seguendo quel tocco troppo lieve per sentirlo come avrei voluto in quel momento. Mi faceva desiderare di più.
Più il mio corpo gli andava incontro più la sua mano sfuggente allentava la pressione. Mi sfiorò la clavicola prima di stringersi alla nuca per riportarmi in piedi davanti a lui.
Labbra contro labbra, ancora una volta, ma in quel momento le sentii carezzarsi davvero.
«Sei pronta, piccola Reed?»
Baciami.
Se l'istinto fu quello di accoglierlo per conoscere la sensazione delle labbra che si incontrano per la prima volta, Jordan si accorse di quanto fossi in sua completa balia e mi fece di nuovo voltare, ma nemmeno il tempo di capire dove fossi che non perse tempo a sfilarmi la fascia dagli occhi.
Erano tutte lì, le mie emozioni: allo scoperto, davanti allo specchio.
C'eravamo noi, lì. Immobili, mentre la musica continuava a riempire quella pista da sogno portando la tensione alle stelle.
C'ero io, stretta nella sua morsa voluttuosa, con le guance arrossate, il fiato corto, il cuore che batteva tanto da ammattirmi e l'adrenalina a mille. Ma gli occhi, i miei occhi furono quelli che mi colpirono di più. Vivi, ardenti, bramosi solo del tocco di Jordan.
E lui guardava il riflesso di due atleti, il più medagliato d'America e l'eterna seconda, due rivali diventati una sola coppia artistico, due anime che nei giorni si stavano avvicinando sempre di più.
«E' questa, l'Amelia che voglio.»
Bonsoir!
spero che questo tentativo di lettura a tempo di musica vi sia piaciuto!
metto subito il box domande su ig, vi aspetto lì 💜
A presto (spero) 🤞
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