28- 𝙏𝙝𝙚𝙨𝙚 𝙢𝙤𝙢𝙚𝙣𝙩𝙨 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢

Tra le mani io e Lisa stringevamo un regalo di dimensioni troppo grandi e ci eravamo accorte tardi di non aver preso carta a sufficienza. Lo avevamo avvolto alla buona, usando anche la velina trovata nelle scatole delle scarpe di Lisa. Ci avevamo aggiunto tutte le ciocche trovate in giro nel tentativo di abbellirlo, ma la realtà era che quel regalo carnevalesco sembrava impacchettato da un bambino con evidenti problemi di motricità.

Se normalmente ci saremmo vergognate a regalare un pacco del genere a una persona qualsiasi, quello era solo per Ellison. Un guazzabuglio di colori caotici, vivaci e disordinati che riflettevano esattamente il carattere della persona cui era destinato, ed era perfetto così.

Prepararlo ci aveva aiutato a distrarci, a non guardare quella metà della mia stanza tornata a essere anonima, con il solo materasso rimasto spoglio nell'attesa che le donne delle pulizie venissero a preparare la camera per la prossima paziente. Le scarpette da danza erano state slacciate dalla maniglia dell'armadio per essere chiuse nelle valigie che io stessa avevo aiutato a preparare.

Le cliniche erano sempre state così, mi avevano detto. Ci sono percorsi che iniziano, percorsi che finiscono e poi ci sei tu, nel mezzo, conscia di quel che è stato e di quel che è mentre ricostruisci te stessa fino a ricevere la tua lettera di dimissioni, la prova tangibile che sei pronta a iniziare la vita vera.

Quando io e Lisa arrivammo in salotto ci trovammo davanti al più tenero degli scenari: per quanto la stanza fosse grande, non l'avevo mai vista così piena. C'erano l'intera equipe medica, tutte le ragazze ricoverate e la famiglia Davis al completo. 

Li guardavo, domandandomi cosa volesse dire avere una famiglia così. Il padre che coccola la figlia, dimostrandole il bene che le vuole, così tanto da prendersi giorni liberi da lavoro solo per riaccoglierla in casa e farle l'indomani la sorpresa per cui Elly tanto scalpitava. Una madre, che guarda il marito con gli occhi pieni di amore nonostante siano passati tanti anni. 

Io, che di una vera famiglia avevo solo i ricordi. 

E Jordan, che in tutto questo studiava solo la mia espressione, come se fossi il centro del mondo, standosene in piedi con le mani nascoste nelle tasche dei jeans a cercare di capire cosa mi stesse passando per la testa.

«Siamo qui!» si fece sentire Lisa. 

Ci avvicinammo a Elly per darle il nostro pacchetto regalo.

«Lisa, dimmi solo che nella vita non confezionerai vestiti come incarti i regali.» scherzò Ellison spezzando con qualche risata quella atmosfera carica di emozioni. 

Iniziò a scartare quella confezione con il sorriso sulle labbra, strappando le carte e lasciando cadere tutti i pezzi a terra, finché si ritrovò a stringere tra le braccia un enorme peluche, con un tutù in chiffon e le scarpette da danza allacciate alle zampe. Ci sarebbe piaciuto andare a negozi per trovarlo, ma al Fairwinds era già tanto se ci permettevano di ricevere gli ordini fatti negli shop online. Ci era apparso lì, tra gli articoli consigliati mentre cercavamo qualcosa che avesse a che fare con la danza e ci eravamo subito illuminate.

E dato che la settimana prima avevo trovato la sua felpa con quella scritta troppo imbarazzante per i nostri gusti, ci era sembrato perfetto. 

«Lo adoro! Questo me lo porto al college come portafortuna!» Sinceramente felice per quel regalo, con gli occhi brillanti di vita e un sorriso che non accennava ad andarsene, Ellison iniziò ad abbracciare tutte, una alla volta, per i saluti. Lo capii subito che avrebbe lasciato me per ultima, perché mi si era avvicinata titubante prima di darmi le spalle per andare dalle altre.

«Tu devi essere la famosa Amelia Reed.» Mi voltai a vedere di chi fosse quella voce arrocchita dal fumo e mi trovai di fronte a quello che intuii essere il padre di Ellison. Era un uomo alto e brizzolato, in giacca e cravatta, con gli stessi occhi castani della figlia e lo stesso portamento sicuro del figlio. «Non sai quanto si parla di te in casa nostra, io sono William Davis.» Mi strinse la mano con un caloroso sorriso, nonostante quella frase mi avesse messa in imbarazzo. 

«Piacere mio» dissi forse scontata.

«Suppongo di doverti dare un doppio benvenuto in famiglia: come amica di Elly e come...»

Due mani mi afferrarono le spalle e mi attirarono a sé. «Ti porto in salvo, prima che inizi con le battutine.» Jordan: erano inconfondibili le note vibranti della sua voce e quel profumo che ormai avrei riconosciuto ovunque.

«Stavo per dire solo "partner di pattinaggio"» ribatté ironico William. Ma nessuno gli rispose, perché davanti a me avevo Ellison, con il peluche sotto il braccio e gli occhi lucidi di chi sa che sta facendo un passo troppo importante per essere sminuito con altra ironia.

«Giuro che torno a prenderti.» disse seria spingendo via Jordan per avvolgermi in un abbraccio infinito che trasmetteva tutte le parole non dette.

«Devi, non puoi lasciarmi qui.»

Sapevo che le dimissioni non avrebbero spezzato il nostro legame. Ero più che sicura che l'avrei vista tra i corridoi del college, o in pista durante gli allenamenti con Jordan. Le congiunzioni astrali non sarebbero più esistite, perché noi non avremmo più avuto alcun controllo. Saremmo state libere di uscire.

Avevo ben chiare tutte queste cose, ma salutare Ellison sapendo che non avremmo più condiviso tutte quelle ore insieme, tutti gli sfoghi in camera dopo le sedute di terapia, i giochi e le serie tv mi faceva già assaporare l'aria di nostalgia che stava per imbattersi al Fairwinds.

«Ti stresserò a vita, è una minaccia. Tanto ho come l'impressione che ti vedrò molto spesso.» Provò a scherzare indirizzando un occhiolino a Jordan alle mie spalle.

«Passerò dall'essere chiusa qui all'essere chiusa in un palazzetto.» La avvisai, già sapendo che le ore da dedicare al pattinaggio sarebbero state tantissime.

«Con la differenza che sei tu a volerlo, Amelia.» sciolse l'abbraccio per accentuare la veridicità di quella frase con lo sguardo.

Era un clima festoso, toccante, di quelli che mentre li vivi già sai che resteranno impressi, perché puoi sentirlo sulla pelle il successo delle persone a cui vuoi bene, e parte di quel successo cerchi di farlo un po' tuo prendendone esempio.

Sono le emozioni, i ricordi, a essere eterni. Martina alla nostra prima chiacchierata mi aveva detto così, e non poteva che avere ragione. E lei se ne stava lì a gioire, con il sorriso nascosto dalle mani intrecciate ciondolando sulle gambe da una parte all'altra.

William e Martina, dopo tutti i ringraziamenti per la nuova possibilità data alla loro figlia, presero le sue valigie e si incamminarono verso l'uscita. La Cameron e il dottor Greg accompagnarono Elly fino al parcheggio delle auto, standosene uno da una parte e uno dall'altra, come due angeli che ti aiutano a spiccare il volo una volta per tutte.

E io me ne stetti lì dietro a guardarli mentre si allontanavano, con il cuore che batteva tra sogno e felicità. 

Elly aveva appena avuto il suo lieto fine.

«Sarà presto il tuo turno.» mi si avvicinò Jordan. «Però, ora, vieni via con me.»

Recuperai una bottiglia d'acqua dalla cucina, senza la voglia di tornare in quella che era stata la nostra camera per prendere la mia borraccia e vedere le donne delle pulizie già all'opera. Salii in macchina con Jordan, perché quel venerdì ci sarebbe stato il mio ultimo allenamento in palestra. Poi, avremmo finalmente iniziato ad allenarci per la coppia artistico. 

«Come la vedi questa volta, tua sorella?» Domandai allacciando la cintura.

«Meglio di sempre. Resta un po' sopra le righe, ma non all'eccesso.» Iniziò a raccontare controllando che la strada fosse libera prima di immettersi nella corsia. «Credo sia anche merito tuo, sai? Non ha mai avuto amiche.»

«Una così non può non avere amiche.» Obiettai.

«Non è facile avere amici quando i pregiudizi arrivano prima dell'anima. Le persone sanno essere cattive, quando si ha qualcosa al di fuori dell'ordinario.»

«Stiamo ancora parlando di Ellison?» Jordan parlava spesso in modo criptico, avevo capito che mi nascondeva qualcosa del suo passato ma lo vedevo che non era sua intenzione parlarmene. E volevo insistere, volevo sapere cosa nascondeva, ma ogni volta che ci provavo le sue risposte si facevano taglienti. Lui, diventava tagliente. E le vidi, le sue mani. Per una frazione di secondo, si strinsero così tanto al volante che le nocche sbiancarono e le vene sugli avambracci si fecero ancora più evidenti.

«Elly è la persona più altruista che ci sia» riprese a parlare rilasciando la tensione e ignorando del tutto la mia domanda. «Ma non tutti sono capaci di andare oltre l'anoressia, figurati se sapessero del suo disturbo bipolare. Sei la prima che lo sa, oltre a noi.» Mi confidò.

«Mi interessa solo che stia bene, e che possa ricominciare con la danza.»

«La vedrai sul palco, allo spettacolo di fine anno.»

«Dice che reggerà la scenografia.»

Soffocò una risata sarcastica «Figurati. Le possibilità di frequentare le migliori scuole al mondo si sono chiuse con i ricoveri, ma resta una delle migliori ballerine in zona. Avrà uno dei ruoli principali, ci scommetto.» Jordan ne parlava con fare estremamente orgoglioso, ed ero impaziente di vedere quello spettacolo di cui ancora non si sapeva il tema.

«Hai mai studiato danza classica, tu?»

Annuì. «Fino ai dodici anni.» 

«Poi?» 

La luce del pomeriggio filtrava attraverso il vetro del cruscotto, illuminando il suo profilo abbronzato. Teneva lo sguardo fisso sulla strada, ma capii che la mia curiosità lo aveva messo in soggezione. I suoi occhi tradirono una lieve ansia, perché ancora una volta mi ero introdotta in sentieri intricati. E come ogni volta, lui diventava assente, assorto in quelli che avevo capito essere ricordi non troppo lontani nascosti dal ronzio del motore e dal rumorio delle ruote sull'asfalto.

«E poi siamo arrivati.» Mi liquidò così, entrando nel parcheggio dell'Arhena più veloce del consentito. «Scendi, hai l'ultimo allenamento in solitaria. Lunedì iniziamo insieme.»

Credevo che i nostri viaggi in macchina fossero dei momenti di condivisione importanti, fatti di timidi sorrisi e sguardi di sintonia. Stavamo bene insieme, se l'argomento della conversazione non era lui. 

Spense il motore e scese giocherellando con le chiavi della macchina, chiudendosi in un silenzio che durò finché l'ascensore non ci portò alla palestra. Jordan era quanto di più scostante ci fosse al mondo. Passava dal logorroico al taciturno in tempi record, bastava solo che io facessi scattare l'interruttore del passato.

Iniziai le mie due ore di allenamento mentre Jordan continuava a supervisionare tutti gli atleti, fatta eccezione per me. La squadra di football capitanata da Xavier era sparita, lasciando posto a quella di hockey. Steven era l'unico che tra una serie e l'altra mi si avvicinava per scambiare qualche parola, ed era anche l'unico che Jordan non facesse sparire in tempi brevi. 

Al completamento dell'ultima scheda ero sfinita, nonostante non mi fossi più azzardata ad aumentare a mio piacimento la difficoltà degli esercizi dopo i dolori del primo giorno. Ero andata con calma, così calma che una volta finito mi accorsi di essere la sola rimasta in palestra. Dopo aver cestinato la bottiglietta d'acqua vuota, trovai Jordan ad aspettarmi alle porte dell'ascensore. 

«Hai mai guidato, Reed?» Chiese d'un tratto.

«Non ho la patente e avevo la pista vicino casa, a Daytona. Quindi no, mai. Perché?»

«Tieni.» disse allungandomi le chiavi con aria di sfida. «Prova.»

Non avrei mai guidato la sua auto. Valeva tutti i soldi che non avevo solo a guardarla. 

Con il respiro mozzato mi limitai ad aprirne le portiere e sedermi al lato passeggero, come al solito, e poggiai la smartkey sul cruscotto premendo start. Fino a lì, ero in grado di farcela.

Jordan si sedette al lato guida ridendo. «Tutto qui?»

«Tutto qui.» Lo liquidai incrociando le braccia al petto. 

In risposta, Jordan spostò indietro il sedile del guidatore e si allungò ad afferrarmi i fianchi per trascinarmi con facilità in braccio suo, finché mi posizionò seduta tra le sue gambe. 

Teneva una presa forte e sicura, ma il contatto delle sue mani fredde con la mia pelle ancora accaldata dall'allenamento diede vita a una scia di brividi dall'effetto incendiario. E come una marionetta tra le mani del miglior burattinaio, io lo lasciai fare, abbandonandomi ai sensi. Ero spaventata all'idea di guidare un'auto del genere, ma ero troppo attirata dalla scarica di adrenalina che mi aspettava per oppormi con decisione. 

«Il parcheggio è completamente vuoto, Amelia. Prova. Se stiamo per schiantarci, ti fermo.» Ne era del tutto convinto, lui. 

Io un po' meno. «Se rompo qualcosa?»

«Non rompi niente. Quei pedali sono frizione, freno e acceleratore.» Spiegò come se fosse la cosa più scontata al mondo. «La frizione si usa con il piede sinistro, la schiacci fino in fondo prima di frenare con il piede destro, o prima di cambiare marcia. Si parte inserendo la prima. Tutto chiaro?»

«Sì. Ho chiaro che vorrei il cambio automatico.»

«E' noioso.»

«Sei l'unico americano che non ce l'ha, e devo iniziare a guidare con una macchina grande come un transatlantico con le marce.»

«Non fare la difficile.» Iniziò a sistemare gli specchietti secondo una logica che non capivo. Poi mi prese la mano, invitandomi a premere la frizione e portandomi ad afferrare la leva del cambio per guidarmi a inserire la prima.

«Ora, piano, molli il pedale della frizione. Quando senti che inizia a tremare, è l'ora di premere quello dell'acceleratore.»

Feci esattamente tutto quello che aveva detto. Tutto. Seguii nel minimo dettaglio ogni sua istruzione. Ma, senza nessun valido motivo, l'auto fece un enorme singhiozzo per spegnersi dopo pochi metri facendo più rumore di quel che potessi immaginare. Il mio cuore aveva raggiunto ritmi assurdi, ero talmente spaventata da non riuscire ad emettere un singolo suono, e me ne stetti con gli occhi sbarrati cercando di capire cosa avessi fatto. Jordan, in risposta, prese a ridere lasciando cadere la fronte sulla mia spalla.

«Non siamo su Fast&Furios, piccola Reed. Devi fare piano. Riprova.»

Feci di nuovo come mi aveva insegnato, ma con più cautela, e la macchina iniziò a muoversi dolcemente, a una velocità minima che a me sembrava sempre troppa.

Intrecciò le dita alle mie e le portò al volante, perché eravamo vicini alla parete ed era arrivata l'ora di svoltare. Jordan mi aiutò in tutto, rassicurandomi con la sua presa solida e incasinandomi la testa con il respiro fresco e l'accenno di barba a solleticarmi la tempia. 

«Vedi? E' facile.» Iniziammo a fare lo slalom tra le colonne portanti del parcheggio, e presi un po' confidenza con l'auto, tanto quasi da divertirmi.

«Proviamo a mettere la seconda?»

«Non ti azzardare.» Scattai irrigidendomi, terrorizzata dall'essere così in balia della sua anima, e quando lo sguardo si posò sullo specchietto retrovisore, mi accorsi di non vedere niente dell'ambiente alle mie spalle. Vedevo solo la perfezione di quei riflessi color miele scuriti dalla penombra del garage. 

«Non andrebbe messo in modo da vedere il cruscotto posteriore?»

«Mh-mh» mormorò appena. «Ma non siamo in una strada e preferisco guardare te.»

«Sei un ruffiano, Davis.»

E in un sorriso appena accennato, orientò di nuovo lo specchietto a suo piacimento per poi sollevarmi il mento con una presa decisa.

«Guardati, piccola Reed. Hai gli occhi di chi vuole vivere ma ancora non può.»

E lo vedevo, il mio sguardo riflesso: attraverso due iridi meno spente, più lucide, più vispe. Potevo sentirla, quella voglia di vivere che giorno dopo giorno si faceva sempre più grande. Potevo sentirla, quella voglia di scoprire il mondo accanto a lui. 

«Sono questi, Jordan?» Domandai mentre le sue dita percorrevano i tratti del mio volto tracciando una linea immaginaria che scese lungo il collo e continuò il suo percorso finché le nostre mani non furono di nuovo intrecciate.

«Cosa?»

Deglutii con la salivazione azzerata e sensazioni mai provate prima. «Brividi e adrenalina, ricordi?»

«No.» Mi strinse al petto e portò le labbra a sfiorarmi il lobo per sussurrare le ultime parole prima di riportarmi al Fairwinds. «Vorrei di più di un bacio rubato dopo l'allenamento. Non meriti la fretta che abbiamo in questo momento. Meriti il tempo, Amelia, e io voglio darti il mondo.»

Bentornati su questi schermi!

Allora, avete salutato bene Elly? Oggi bing ha deciso di vestire uguale Jordan e Amelia, magari sente già il clima di gara 😂

Se vi è piaciuto il capitolo, lasciatemi una stellina per aiutarmi a crescere.

Lo so che i ringraziamenti si fanno alla fine, e che tra le persone da ringraziare ce n'è una che merita un capitolo intero (arriverà il tuo momento, cara mia), ma intanto ne approfitto per ringraziare le ragazze che negli ultimi tempi hanno creato dei tiktok appositi per promuovere la storia: 

♥@alysbooks @jjustrebby  @lilyred__ ♥.

Io vi aspetto questa sera con il box domande su ig, 

mi trovate come amelieqbooks!

A più tardi 💜

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