12- 𝙀𝙨𝙘𝙖𝙥𝙚 𝙛𝙧𝙤𝙢 ᶠᵃⁱʳʷⁱⁿᵈˢ - 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢


«Ricominciate da capo. E vedete di sincronizzarvi in quell'axel piatto.»

Io e Kevin stavamo lavorando da ore per ottimizzare il nuovo programma di gara, ma ci bloccavamo continuamente nella riuscita di quel sollevamento. Ad ogni errore, Audrey ci faceva ricominciare il programma dall'inizio.

Giusto il tempo di tornare al punto di partenza, fare il respiro più profondo possibile per farci coraggio, e le note del flamenco che avevamo scelto per quella stagione agonistica ricominciavano. Noi le seguivamo, accentuando ogni sfumatura della musica con un movimento o con una difficoltà tecnica sapientemente creata per noi dal coreografo del Daytona Skating Center.

Una step sequence, un salto in parallelo e un salto lanciato dopo, eravamo pronti per l'axel piatto: un sollevamento in cui partivo all'indietro e mi davo la spinta dal freno destro per aiutare Kevin, che prendendomi per i fianchi mi portava più in alto possibile, stendendo le braccia sopra la sua testa. Quando arrivavo in posizione supina, parallela al pavimento, Kevin iniziava le quattro rotazioni previste per il sollevamento, mezzo giro alla volta in senso anti-orario, per farmi poi atterrare sulla gamba destra, in un'uscita da manuale.

Più eravamo veloci, più il sollevamento avrebbe ottenuto un grado di giudizio positivo rispetto al punteggio base. Spingevamo al massimo, ma non trovando una coordinazione iniziale, il sollevamento non riusciva.

«Non riesco a darmi la spinta giusta se vai così veloce, Kevin. Puoi eliminare l'ultimo passo che fai quando io mi devo dare la spinta dal freno?»

«Non puoi andare più veloce tu?»

«Tra i due sono quella che ha la traiettoria più lunga da fare, anche andando al massimo non riesco a raggiungerti, sei più grande e più forte di me.»

«Non è questione di forza, Amelia. Sto zitto da un po', ma ti sei vista?» Disse indicandomi la pancia con una mano e sistemandosi i capelli biondi con l'altra.

«Grazie, Kevin. Ho già perso due chili, anche se la nutrizionista ha sempre detto che il mio peso è perfetto.» Solo qualche settimana prima Audrey mi aveva tirato uno schiaffo. Mi stavo impegnando a calare, il triplo Toeloop era tornato ad essere uno dei miei salti migliori. Ma ora, ci si metteva Kevin.

«Pensate di farcela entro sera?» ci spronò Audrey, spazientita.

Ci rimettemmo in posizione di partenza, e poco prima che la musica ripartisse, sentii le ultime parole di Kevin: «Ricordati che non è il nutrizionista ad alzarti, ma io.»

Mi svegliai di soprassalto dopo l'ennesimo incubo. Questa volta, Ellison era sotto le mie coperte a tenermi la mano.

«Ti ho sentita agitarti nel sonno, Amelia. Non riuscivo a svegliarti, ma ho visto che con me vicino ti calmavi un po', così ho dormito qui.» Disse preoccupata la mia compagna di stanza.«Spero non ti abbia dato troppo fastidio.»

«Sei stata super. Grazie Elly.» La tranquillizzai. Non mi dava fastidio il fatto che fosse venuta a dormire nel mio letto, c'era spazio per entrambe. Ammirai invece la sua ennesima dimostrazione di amicizia. «Ci si può svegliare più stanchi di quando si è andati a letto?» Domandai.

«Ti ricordo che ieri hai fatto scappare tua madre.» Disse. «Sfido chiunque a non essere stanco dopo una giornata del genere. Non conosco Catherine, ma sei stata brava ad essere cresciuta così bene!» Ironizzò.

«Lo avessi fatto a Daytona credo che ora non avrei più un tetto sulla testa.» Ammisi, chiudendo la parentesi madre degenere. Non avevo voglia di parlarne, in quel momento. «Ieri ho chiacchierato con tuo fratello.» continuai cauta. Sapevo che quando Jordan veniva nominato, Ellison si zittiva. «Ha accennato ad una certa congiunzione astrale...cosa significa?»

«Oh-mio-Dio! Non ci credo!» si esaltò, alzandosi in uno scatto repentino. «E' un miracolo, Jordan non invita mai nessuna ad uscire!» Era in estasi.

«Perchè?»

«Non ha avuto una vita facile, dai dodici anni in poi. Ma non spetta a me dirtelo, non ti offendere.» prese una pausa, quasi dispiaciuta nel non potersi aprire del tutto. «Ma questa cosa ha davvero del miracoloso!»

«Non ti preoccupare, rispetto la scelta.» Dovetti arrendermi, al momento. Non si sarebbe mai sbottonata. «Mi spieghi cosa significa la frase cui ha accennato?»

«Certo.» Disse sistemandosi sul mio letto, pronta alla grande rivelazione. «La congiunzione astrale è un evento che si verifica quando sia Tamara che John della portineria hanno il turno di notte. E' più unico che raro.» Disse con un velo di mistero.

«E perchè dovrebbe essere un evento?»

«Perchè se sono di turno la notte dormono, ovvio. Hanno il sonno pesante e non si sveglierebbero nemmeno se cadesse una bomba a pochi metri da loro. In quella notte, Jordan mi passa a prendere verso mezzanotte, e andiamo in un locale qui vicino a divertirci qualche ora.» Spiegò come se fosse la cosa più naturale del mondo.

«E non sei mai stata beccata?»

«Bisogna farle bene le cose, Amy.» Disse con quello sguardo furbo che avevo imparato a riconoscere. «Sono così felice che ti abbia invitato! Siete strani uguali, voi due. Non chiedermi perchè: sesto senso.» Strani uguali. Ci avrei ragionato in seguito, perchè al momento mi accorsi di due intoppi:

«Non ho nè soldi nè vestiti adatti, Elly. Ho solo tutoni e scarpe da ginnastica.» Riflettei. Per stare segregata al Fairwinds, non avevo portato soldi con me. Inoltre, non essendo mai stata in un locale, ero quasi certa che il mio armadio non avesse nulla di adatto per la serata.

«Non preoccuparti di questo: per i soldi, il proprietario del locale è cliente fisso alla palestra di Jordan. Ha sempre offerto l'ingresso e almeno un drink a mio fratello e ai suoi amici. Per il vestito invece, c'è l'armadio di Lisa.» Disse facendomi l'occhiolino.

«Lisa?»

«Oh, è il paradiso, vedrai!» concluse sognante.

Fu una prima colazione fatta di sguardi complici e risatine sotto i baffi. A Lisa non avevamo ancora chiesto niente, ma Ellison le fece capire in tutti i modi non verbali che necessitavamo assolutamente di lei. Non capii se Greg si accorse o meno dei nostri sotterfugi, perchè  non ricevemmo alcun richiamo.

A colazione finita andammo veloci in camera di Lisa, una stanza uguale alla nostra per arredo ma con le pareti dai toni del lilla. Per l'occasione, aveva espressamente chiesto a Monique, la sua compagna, di non essere disturbata.

«Sarò diretta, Lisa.» Iniziò Ellison con aria concentrata. «Amelia. Al Wave. Prima uscita della vita: puoi prestarle un vestito dei tuoi?» Chiese indicandomi.

Lisa si illuminò: «Assolutamente sì!» Disse andando verso l'armadio per aprirne le ante. Quando l'interno vide la luce, rimasi esterrefatta: nonostante fosse piccolo, era tutto perfettamente organizzato per tipo di vestiario, tessuto e colore. Aveva creato nel ripiano più basso ulteriori mensole, appoggiando il fondo di vecchi scatoloni allo schienale dell'armadio, e nelle grucce in alto erano appesi una miriade di abitini dai colori ordinati in scala cromatica, dal bianco al nero. Mi ricordò l'armadio di casa, con la differenza che se io vi avevo riposto i body di gara, lei aveva quelli che avevano tutta l'aria di essere capi d'alta moda.

«Prova questo!» Disse passandomi un vestitino a spalla stretta impreziosito da tante piccole frange brillantinate.

«Non sembrerò un albero di natale?» Chiesi. Era davvero bello, ma avrei dato troppo nell'occhio.

«Prova con questo, è più sobrio per una prima uscita.» Disse passandomi un semplice tubino nero senza spalline.

«Io vado a prendere il libro magico, così ti faccio un video e vedi come ti sta!» Intervenne Ellison, già alla porta. Al Fairwinds non c'era nessun tipo di specchio, per stroncare sul nascere ulteriori paranoie mentali. Una cosa che apprezzai: sapevo che nel tempo avrei dovuto mettere su qualche chilo, ed ero conscia del fatto che se avessi avuto uno specchio vicino avrei passato il tempo a osservare con terrore le nuove rotondità.

Lisa, senza che le dicessi niente, si voltò a spulciare altri vestiti nell'armadio, lasciandomi la privacy per cambiarmi.

«Hai un armadio davvero sorprendente!» Le dissi.

«Ho fatto la modella per anni» iniziò a raccontarsi «tanti atelier al termine delle sfilate mi regalavano i vestiti. Ho iniziato da ragazzina, per essere autonoma e non chiedere soldi ai miei. Loro me li davano, anche più del necessario, ma me li facevano pesare giudicando ogni mio acquisto. Compravo sì tanti vestiti, ma sognavo la scuola di moda, creare abbigliamento e vederlo addosso alla gente. Per loro, medici, le mie passioni sono sempre state solo frivolezze.» Disse analizzando il passato. «Comunque, ho iniziato a controllare ossessivamente il peso e l'alimentazione per restare nei canoni imposti dalle agenzie, ma sono finita nel tunnel che mi ha portato qui.» Concluse rassegnata. 

Non era solo mia madre, dunque. I nostri genitori ci avevano messe al mondo per darci il miglior futuro possibile, ma avevano creduto che la strada per la nostra realizzazione dovesse passare per il casello della loro approvazione. Non abbastanza seria, la sua passione. Così importante da farne l'unica ragione di vita, la mia. I due lati opposti della medaglia della genitorialità.

«Ci sei entrata, alla fine?» Domandai

«No, ho continuato a sfilare perchè ho preferito avere dei soldi miei. Ma ho messo in parte un bel gruzzolo, appena pubblicheranno le date rifarò i test di ammissione.» Progettava già la vita al di fuori del cancello del Fairwinds.

«Ce la farai, ne sono sicura.» Se lo meritava, ne ero convinta. «Puoi girarti ora.» Avvisai.

Ellison rientrò in quel momento con li libro in mano, in tempismo perfetto.

«Cazzo Amelia, ti sta divinamente! Uno smokey eyes e sei perfetta!» Disse iniziando a riprendermi a trecentosessanta gradi.

«Ho anche la borsa adatta» pensò a voce alta Lisa «aspetta che te la prendo.»

«Ammirati!» Ordinò Ellison, passandomi il suo cellulare.

Premetti play, e guardai la ragazza del video volteggiare su se stessa. Fu guardando il display, nel preciso istante in cui la mia figura era di profilo, che me ne resi conto. La piccola rotondità che diede inizio a tutto, era ancora lì. Era la prima e unica cosa che notai di quel breve video, non mi interessava proseguire oltre.

«Avresti qualcosa di più largo?» Domandai ridando il telefono ad Elly, senza riuscire a guardarle negli occhi. Mi vergognai a rifiutare l'abito di Lisa, perchè loro erano così coinvolte nell'aiutarmi mentre io provavo solo vergogna, notando tutti i miei difetti.

«Ti piacerebbero un top e un paio di shorts sfrangiati?» Chiese Lisa. Come se avessero già messo in conto la mia possibile reazione, si comportarono in maniera esemplare: nessuna delle due azzardò alcun tipo di commento. Si girarono a cercare un nuovo completo nell'armadio senza più nominare il tubino nero, dimostrandomi un'empatia oltre ogni limite. 

«Ti prego Lisa, prestami questo!» Proruppe Ellison sbandierando un mini abito in denim. Aveva due occhi così brillanti e pieni di vita che per Lisa fu impossibile darle un no come risposta.

Quando provai il terzo completo proposto dalle ragazze, mi sentii subito più comoda, e accettai il prestito. Una canottierina bianca decorata con un morbido pizzo sulla scollatura, ed un paio di shorts a vita alta sfilacciati alle estremità. Mi sentii immediatamente a mio agio: era un completo più sobrio, e mi nascondeva la pancia.

«Ci starebbero bene le mie Converse bianche, lì.» Disse Ellison squadrandomi. «Che numero hai di scarpe?»

«Trentanove.» 

«Io trentotto, ma domani sera ti restringi.» Rispose aprendosi in un sorriso che ci fece scoppiare a ridere.

Passammo il resto della giornata ad architettare il tutto per l'indomani, definendo ogni minimo dettaglio e lasciandomi addosso una sensazione di brio che andò in crescendo con l'avvicinarsi dell'ora stabilita per i preparativi.

La sera successiva infatti, dopo aver fatto il bagno e pettinato i capelli in due morbide trecce, andammo a salutare Tamara per la notte, con un'espressione stanca che più finta non poteva essere: prima Ellison e, dopo una decina di minuti io, così da non destare sospetti. 

«Vestiti subito, e spegni la luce.» Mi disse la mia amica appena entrai in camera chiudendomi la porta alle spalle. Obbedii, e quando spensi la luce era già pronta con la torcia del telefono accesa.

«Vieni, ora ti trucco!» Ordinò allegra.

Non mi truccavo mai per occasioni che non fossero le gare di pattinaggio. Fui un po' titubante di sedermi sul comodino vicino al letto di Ellison per affidarmi al suo tocco delicato. Quando dopo pochi minuti ebbe finito di sfumare la matita sulla rima superiore, mi accecò con la torcia del telefono per valutare il suo operato.

«Sono un fenomeno.» Era pienamente soddisfatta. «Se avessi gli occhi del tuo stesso colore, girerei truccata così ventiquattro su ventiquattro. Ho creato un contrasto così perfetto che stasera avranno tutti un certo fastidio tra le gambe!» Disse maliziosa.

«Ellison!» La ripresi. 

«Giusto, scusa. Sarà così solo per Jordan.» Si corresse ridendo.

E ringraziai che fossimo al buio, perchè fui certa di essere diventata rossa come un peperone nel giro di un nanosecondo.

«Prima che tu svenga dalla vergogna, mettiti sotto le coperte dando le spalle alla porta e fai finta di dormire. Mi raccomando, copriti più che puoi con il lenzuolo, così quando Tamara passa per il controllo non si accorge della canottiera di Lisa.» Spiegò nel dettaglio.

Ellison era talmente esperta in piani di fuga, che azzeccò il minuto esatto in cui Tamara schiuse la porta per assicurarsi che fossimo a letto, per richiuderla subito dopo aver dato un'occhiata. Ci vide sicuramente dormire, profondamente.

«Pronta, mia prossima evasa?» Sussurrò quando udimmo l'infermiera alla fine dei controlli chiudere la quinta ed ultima porta. «Ti ho già preparato le scarpe sotto il tuo letto. Aspettiamo una mezz'oretta che Tamara si addormenti e partiamo!»

Non così sorpresa dalla sua efficienza, mi infilai in quelle scarpe strette, pronta a soffrire per una notte intera. Sciogliemmo le trecce, ravvivando le morbide onde rimaste in modo da ottenere un effetto naturale e selvaggio. Il cuore mi batteva a mille, eccitata per la mia prima, ufficiale, uscita. Poco importava se in realtà stessi infrangendo le regole del Fairwinds, avevo quasi diciotto anni, e mi resi conto di bramare una piccola prova di normalità.

Fu così che ebbe inizio la nostra uscita segreta: scavalcammo in assoluto silenzio la finestra di camera nostra, lasciando una piccola scatolina a fare da spessore per fare in modo che riuscissimo rientrare. Seguii Ellison camminare con dei passi silenziosi, abbassandosi per passare sotto alle finestre delle nostre compagne. Solo Lisa era a conoscenza della nostra scappatella, e non ne avrebbe fatto parola con nessuno.

Non andammo in direzione della portineria, dove attraverso la piccola finestra vedemmo John già nel mondo dei sogni: andammo dalla parte opposta, attraversando il giardino e fermandoci a ridosso della siepe. 

«E adesso?» Domandai. Mi guardai intorno, ma nel buio della notte non vidi altre vie d'uscita.

«Scavalchi, ovvio.» Disse in tono scontato cercando qualcosa con le braccia immerse nel fogliame della siepe.

«Stai scherzando, vero?» Non poteva essere.

«Ho la faccia di una che scherza?» Disse in una finta espressione seria.

«Pss. Sono qui.» Chiamò una voce bassa dall'altra parte della siepe.

«E' Jordan, ci sta aspettando.» Mi avvisò, continuando a rovistare tra le foglie. «Dai, ho trovato la scaletta. Metti il piede qui e sali. Io ti seguo.»

«Ellison» chiamai piano, vergognandomi della mia prossima confessione. «Io odio qualsiasi tipo di pianta o fiore. Nascondono ragni e insetti, e ho paura di entrambi.»

«Che cazzo, Amelia. Voli sui pattini a trenta all'ora girando sopra la testa di un deficiente, hai davvero paura di un moscerino?» sussurrò fulminandomi con lo sguardo.

«Ma...»

«Niente ma, Reed. Non rovinarmi la congiunzione astrale. Scavalca, subito. Ti prende mio fratello.»

Fu così risoluta nel parlarmi che altro non mi restò che deglutire, cacciare via la paura e iniziare ad arrampicarmi sui rami della siepe. Fortuna che non ho messo il vestito da albero di Natale di Lisa, pensai. Arrivai in cima e scavalcai, fermandomi in equilibrio sui rami più grossi per valutare come saltare giù. Ero decisamente in alto, rispetto al marciapiede sottostante.

«Salta, ti prendo io.» Disse piano la voce di Jordan. Era in piedi sotto di me, che mi guardava in un perfetto spettinato completato da un jeans strappato e una camicia nera, con le maniche ripiegate a lasciar scoperto l'avambraccio.

«Spostati, ce la faccio da-»

«Ha detto che ti prende lui.» Mi interruppe Ellison spingendomi giù.

Mi sentii cadere nel vuoto, ma due forti braccia mi agguantarono in vita con una presa sicura e delicata. Ci ritrovammo faccia a faccia, occhi negli occhi, come onde cristalline che si infrangono sulla più dorata delle spiagge. Nel buio della notte, mi feci avvolgere da quel profumo.

«Ciao, galeotta.» sussurrò al mio orecchio la voce roca di Jordan.





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