3. Un Misterioso Aiutante
Emerald Town pullulava di zombi e cani mutati e, nonostante fosse una veterana, anche per Jill fu difficile riuscire a uscirne indenne. Fra colpi di pistola non andati a segno e morsi schivati per un pelo, la donna mostrò comunque un'invidiabile tenacia. Non le restavano molti caricatori, quindi dovette iniziare a risparmiare le munizioni. Finalmente arrivò alla stazione ferroviaria, incredibilmente vuota e silenziosa. Non c'era traccia di sopravvissuti o di infetti, il che non era affatto un male. Quel luogo, nel suo singolare stile architettonico, con pareti di marmo pregiatissimo e pilastri d'acciaio, era lugubre ed estremamente affascinante al tempo stesso. I treni erano in parte distrutti e la corrente era assente nell'area, quindi era tutto avvolto dalle tenebre, motivo per cui Jill tirò fuori da una delle tasche della cintura una piccolissima torcia per illuminare l'ambiente. Ella si avvicinò alla biglietteria e notò con sorpresa che a differenza del resto dei portoni della stazione, tutti dorati per combaciare con i toni ambrati delle pareti, quell'unica porta dietro le poltrone era nera come la pece.
- Che ci sarà là dietro? - si interrogò Jill. Entrò nella biglietteria, stupendosi che non fosse chiusa. Quando poi tentò di aprire la misteriosa porta scura, constatò che era inamovibile. Quindi rovistò nei suoi jeans e prese un grimaldello, con il quale forzò senza troppi problemi la serratura. Fece per toccare la maniglia, ma si pietrificò non appena udì un boato alle sue spalle. Voltandosi all'istante, vide una creatura alta almeno due metri, dall'aspetto umano se non per la faccia, deturpata e ricucita in più punti. Portava uno spolverino nero che celava sotto di sé delle vesti scure. Era sicuramente un Tyrant, pensò Jill. Ma che ci faceva un Tyrant lì? Quei bestioni erano proprietà della Umbrella, quindi non ha senso che cerchino di impedirle di introdursi nel quartier generale dei loro avversari. Questi interrogativi dovettero tuttavia attendere, perché quel colosso aveva dato inizio alla sua inarrestabile avanzata e Jill non avrebbe mai potuto sperare di sopravvivere con solo una pistola, dell'esplosivo e un coltello. Con una singola spallata, quel gigantesco energumeno sfondò gran parte della biglietteria e la donna si spostò velocemente alla destra del mostro, lanciandogli una granata sotto i piedi. L'esplosione della bomba non provocò danni all'essere, che camminò verso Jill producendo grossi tonfi con i suoi passi pesanti. Sembrava quasi che se avesse sbattuto un piede a terra, avrebbe potuto scatenare un terremoto.
- Cazzo... E ora che faccio...? - mormorò fra sé e sé la fanciulla, prima di sparare un solo colpo alla testa del nemico. Questi si fermò per un istante, ma poi ricominciò a camminare minacciosamente. Nel momento in cui la fine sembrò quantomai prossima, si verificò qualcosa di inaspettato. Un razzo colpì in pieno il Tyrant, provocando una forte esplosione, il cui bagliore accecò Jill per qualche attimo. Quest'ultima, una volta ripresasi, si guardò intorno per capire chi fosse stato a salvarle la vita, ma non vide nessuno. Era troppo buio. Decise dunque di lasciar perdere e scattare verso la porta nera. Quando il colosso fu in procinto di rialzarsi per ricominciare l'inseguimento, un secondo razzo lo travolse con il suo enorme potere distruttivo. Jill varcò quella soglia, trovandosi davanti a un ascensore. Vi entrò e premette l'unico pulsante presente sulla parete destra: un tasto rotondo nero con un cerchio bianco sopra. Il simbolo dell'Obsidian. La donna approdò in una grande struttura sotterranea, con pareti e pavimenti lucidissimi, tutti sui toni del nero e del bianco. La reception era accogliente e ben curata, con tanto di piccola zona delimitata da un muretto bianco adibita a sala d'aspetto.
- ATTENZIONE. RILEVATO INTRUSO NELLA STRUTTURA - disse una voce elettronica attraverso degli altoparlanti. - ATTIVARE UN PROTOCOLLO DI DIFESA IN BASE ALLA MINACCIA INDIVIDUATA.
- Che diavolo...? - gracchiò Jill, estraendo la glock. Dalle bocchette uscì un gas soporifero, che si diffuse in fretta nella stanza. La donna fece di tutto per non inalarlo. Sarebbe stata pronta a morire asfissiata pur di non respirare e soccombere a quei vapori. Tuttavia, fra un colpo di tosse e l'altro, stava lentamente perdendo i sensi. Si aggrappò al banco della reception, poi alla poltrona, graffiandola disperatamente e infine stramazzò al suolo, addormentata. La poverina si risvegliò in quella che aveva tutta l'aria di essere una sala operatoria; Jill era legata al lettino e non poteva muoversi in alcun modo. Era circondata da uomini con camice, cuffia e mascherina. Le strinsero un laccio emostatico attorno al braccio e le mossero la mano in modo che la aprisse e la chiudesse. Una volta che la vena fu visibile, le prelevarono un campione di sangue e lo portarono via.
- Sicuro che basti? - chiese uno dei dottori al collega con la provetta in mano.
- Se servirà una quantità maggiore, la nostra cara donatrice sarà qui a disposizione.
Quegli uomini lasciarono la stanza e Jill, in balia degli anestetici, non riusciva più a capire niente. Aveva la testa a pezzi e vedeva tutto completamente sfocato. La sua lucidità era scomparsa e, nel profondo del cuore, continuava a detestarsi per la debolezza che credeva di mostrare in momenti come quelli. Oltre all'emicrania, a peggiorare il suo stato psicologico era l'estrema monotonia dell'area circostante: era tutto così bianco, eccetto per qualche piccolo dettaglio che di certo non saltava subito all'occhio. Le pareti, il pavimento, il lettino, il soffitto... Tutto di quella tinta luccicante color latte. Trascorsero un paio d'ore, ma alla poveretta parve un'eternità. Era come se i tranquillanti avessero congelato il tempo, impedendogli per sempre di andare avanti. Improvvisamente, sentì dei passi provenire dall'esterno della stanza. Qualcuno entrò e slacciò le cinghie che le bloccavano i polsi e le caviglie e le rimosse gli elettrodi dal corpo. Jill non riuscì a identificare chi l'avesse liberata poiché, nel suo stato, quella figura era poco più che uno scarabocchio. Quella persona se ne andò e la donna rimase stesa per alcuni secondi, salvo poi alzarsi con una certa fatica. Nonostante le girasse la testa, riuscì a muoversi e si avvicinò a un mobile metallico per recuperare la propria attrezzatura depositata lì. Uscì dalla sala operatoria ancora parecchio stordita e, con passi lenti e impacciati, raggiunse una zona relax, con poltrone e un distributore automatico; a terra scorse i cadaveri di alcuni ricercatori, crivellati di colpi, e accanto al fiume di sangue intravide un uzi, ovvero una pistola mitragliatrice, con un caricatore vicino ad esso. Nel suo incedere zoppicante traversò quei corridoi, tutti identici fra loro, mentre si sforzava di riprendere conoscenza. Dopo un po', arrivò per puro caso in un'ampio spazio circolare, tutto in acciaio, con una balconata che percorreva la zona superiore della stanza. Di fronte alla porta automatica da cui Jill era entrata, situata dalla parte opposta della sala, ce n'era un'altra. Appesa al soffitto v'era una grossa capsula trasparente che conteneva il prototipo di un nuovo Tyrant. Riacquisito finalmente un po' di controllo di sé, Jill tirò fuori la glock dalla fondina e si guardò un po' attorno con circospezione.
- Jill Valentine... - esordì con scherno una voce femminile dal nulla. A Jill parve di vedere un'ombra muoversi in alto ed esplose un paio di colpi. I proiettili si frantumarono contro la parete mentre qualcuno spuntò da dietro una delle colonne che sorreggevano la balconata e che si estendevano fino al soffitto. Era una donna molto attraente, con lunghi capelli mossi color del fuoco e occhi di ghiaccio. Indossava una maglietta bordeaux con le maniche corte a sbuffo, pantaloni neri a vita alta e scarpe col tacco basso della medesima tonalità. Le dita erano adornate da preziosi anelli e al collo portava un badge nero con un cerchio bianco: di nuovo il simbolo dell'Obsidian.
- Stella Lord, presumo - disse Jill, puntandole contro la pistola.
- Complimenti per la perseveranza. Non mi aspettavo di vederti in piedi tanto presto - confessò la donna, mettendosi a braccia conserte. - Non hai apprezzato i nostri trattamenti?
- Non proprio. Che volete farne del mio sangue?
- Sperimentiamo. Dopotutto, la scienza deve andare avanti. Lo inietteremo nel corpo di un Tyrant e, se il riscontro sarà positivo, lo testeremo sul campo - spiegò Stella.
- Vuoi iniettarlo in queste oscenità? È veramente grottesco! - esclamò Jill, sparando vari colpi che però non andarono a segno. Lei non si era ancora ripresa del tutto e quella donna malvagia stava correndo, il che fece sì che quest'ultima ne uscisse incolume. Cliccando un pulsante, Stella fece scendere fino a terra la capsula, che il Tyrant distrusse a spallate, piombando fuori furiosamente. Jill schivò giusto in tempo il suo gancio destro e gli trafisse l'occhio con una coltellata, riprendendo poi in fretta la lama per scansarsi dal successivo pugno del mostro. Poi, con una manata, la creatura scaraventò la ragazza a diversi metri di distanza, tramortendola. Ella si rialzò, ma si accorse troppo tardi che stava per essere investita da un calcio del colosso. Poco prima che avvenisse, tuttavia, il Tyrant fu colpito da qualcosa di liquido, che gli liquefece la schiena, mostrando la carne e le ossa sotto l'epidermide. Il misterioso soccorritore di Jill mostrò finalmente il proprio volto: era una fanciulla dalla pelle chiara, con un caschetto corvino e fisico slanciato. I suoi occhi erano celati sotto un paio di occhiali da sole, che contribuivano a dare l'impressione che fosse una donna algida. Indossava un lungo impermeabile beige con bottoni e cintura, una sciarpa grigia e dei guanti in pelle neri. Le gambe erano coperte da calze scure e ai piedi aveva delle scarpe nere con il tacco alto e le suole rosse. Seppur non molto visibile, al collo portava un nastrino color della pece con una decorazione romboidale argentata. Teneva nella mano destra una pistola bianca e nera, mentre nell'altra stringeva delle munizioni speciali contenenti dell'acido. Costei sparò quei proiettili contro il Tyrant finché non fu sicura che fosse morto definitivamente.
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