Epilogo
Epilogo.
Un anno dopo.
Guardavo con una certa inquietudine la bellissima tavola apparecchiata, sembrava uscita da una rivista di Interior design. Il color crema della stoffa contrastava deliziosamente con le ghirlande e le candele rosse, sparse sapientemente non solo sulla tavola, ma ovunque nella casa. Qualsiasi superficie era stata addobbata e le innumerevoli tortine di noci che occupavano le mensole e il camino sembravano annunciare a gran voce: "Ehi, ma si capisce che è la vigilia di Natale? L'albero è sufficientemente alto e luminoso?".
Deglutii ansiosamente, sperando che tutto andasse per il verso giusto. Mi avvicinai silenziosamente alla porta della cucina, sbirciando all'interno.
Mio padre stava parlando di auto con Anthony – il padrone di casa- che, appoggiato al ripiano della cucina, stringeva in mano un bicchiere colmo di zabaione ampiamente corretto. Il fatto che le cose andassero meglio non significava che lui avesse smesso certe sane abitudini, ma non erano loro due a preoccuparmi.
Le due signore stavano discutendo sul grado di cottura del tacchino e la cosa sarebbe potuta diventare letale.
Eleonor indossava un grembiule con un enorme Rudolph stampato sopra di esso e brandiva il termometro come se stesse decidendo se utilizzarlo come arma verso mia madre, che osava contraddirla.
Eleonor sorrise, splendida come sempre. "Susan, cara, ho letto sulla rivista Fine cooking che la temperatura del tacchino deve essere portata esattamente a settantacinque gradi interni".
Mia madre, per nulla intimorita, osservò il tacchino con superiorità. "Sarebbe più corretta a ottanta".
Credo che Anthony colse la mia espressione ansiosa, perché si avvicinò a Eleonor e le passò un braccio attorno alla vita, pigramente. "Direi che questo è il tacchino più studiato della storia americana; propongo un brindisi!".
Eleonor si rilassò visibilmente, sorridendo raggiante a Anthony. "Mi sembra un'ottima idea!", trillò entusiasta.
Anthony sollevò versò di me il bicchiere - ridendo - e io sospirai sollevata, dirigendomi verso la porta, visto che era appena suonato il campanello.
Aprii già immusonita, sapendo chi avrei trovato sulla soglia.
"Buon Natale, gente!", proclamò Kore entrando in casa tenendo per mano la sua compagna, Emily: una ragazza deliziosa di qualche anno più grande, che mi chiedo come potesse stare con quella pazza. La baciai sulla guancia, sorridendole, lei non meritava il mio astio.
Kore mi scansò senza troppi convenevoli e scrutò verso il salone. "Peter!", urlò senza riguardo per i miei timpani. "Ho qui una busta piena di regali o per caso credi ancora a quella buffonata del signore grasso con il ridicolo abito rosso?".
Emily si corrucciò e le diede una gomitata che Kore ignorò con nonchalance.
Sentii ridere alle mie spalle e mi voltai vedendo arrivare Jason che trasportava Peter sotto braccio, come fosse un sacco, facendolo ridere come un matto. Lo depositò di fronte alla porta; Peter corse ad abbracciare Kore e Emily, lui era troppo buono e per di più trovava Kore incredibilmente interessante.
Jason mi circondò la vita, abbassò la testa e mi baciò la tempia, sorridendo. "Lo so che vorresti ucciderla, a volte lo vorrei anche io".
"Sappi che l' autorizzazione a procedere è permanente".
A dispetto del mio malcontento la presenza di Jason, come sempre, mi fece accantonare i pensieri omicidi. Nonostante adesso mi fossero più chiari i motivi degli atteggiamenti di Kore, avevo ancora difficoltà a farmela andare a genio. Dovevo ammettere però che ce la stava mettendo tutta; il nostro mondo le aveva giovato e per lo meno non doveva più temere di essere sé stessa; cosa che in Inverso la stava portando quasi alla follia.
"Come vanno le cose di là?", mi chiese Jason lasciandomi una scia di baci sulla guancia e il collo.
Ridacchiai. "Come se non lo sapessi...".
Rise anche lui. "Devo ricordare a mamma che deve andarci piano".
Mi voltai verso di lui. "Non so chi delle due mi dia più fastidio".
Inclinò la testa, pensando. "Potremmo stilare una classifica a punti."
Lo spintonai e me ne stavo andando, ma lui mi trattenne per un polso, attirandomi a sé e portando la mia mano sul suo petto, all'altezza del cuore. "Sinceramente, June, se non si sono uccise l'anno scorso dopo che i tuoi si sono precipitati qui per riportarti a casa, non credo che succederà oggi, hanno già un po' di incontri d'esercizio alle spalle".
Ripensai a quei giorni e mi chiesi come avessimo potuto farcela a spuntarla con Al e Susan. Quando il giorno dopo il nostro repentino trasferimento in Nevada i miei si erano presentati alla porta della nuovissima casa dei coniugi Blaine, avevano trovato due genitori vestiti formalmente, con una professione solida alle spalle; Anthony aveva persino indossato la cravatta.
Per non parlare del fatto che io risultavo già ammessa all'Accademia di balletto del Nevada. Non ho proprio idea di quanti soldi avessero sborsato per farmi fare un'audizione fuori tempo massimo e soprattutto senza alcun preavviso, fatto sta che fui naturalmente ammessa e capisco che possa apparire scorretto, ma io ero davvero brava. Quando al telefono avevo annunciato ai miei che mi sarei dedicata alla danza, credo che loro avessero sospettato una fuga d'amore a Las Vegas per fare la ballerina di Lap dance.
Ethan e Jason avevano lavorato alacremente per creare una struttura di balle e documenti credibili, in modo che io potessi vivere il mio trasferimento con meno problemi.
Ormai ero maggiorenne, per cui i miei poterono solo prendere atto che avessi deciso di trasferirmi con il mio ragazzo nella città dei suoi rispettabili genitori. Ovviamente Eleonor si limitò a stare in silenzio e a dire la sua unica battuta- soavemente- al momento giusto. "June è una ragazza meravigliosa, il mio Jason è fortunato ad averla trovata, si vede che ha una famiglia solida alle spalle".
Certo, mi sorbii il biasimo dei miei per non avergliene parlato, per essere stata precipitosa, ma in fin dei conti mia madre aveva sempre desiderato che portassi avanti una carriera nella danza, quindi accettai di buon grado la ramanzina e pace: era un piccolissimo prezzo da pagare, tutto considerato.
Jason mi baciò la mano, sorridendomi divertito. "Andiamo a vedere se Ethan e Amber hanno risolto".
Annuii e mi lasciai condurre nella stanza che Anthony adibiva a studio e che era una versione più curata del suo laboratorio a San Francisco.
Ethan si stava giusto alzando e quando ci vide sorrise. "E' andata anche stavolta".
Era un sollievo. Ethan, Amber, Jason e persino Kore avevano fondato una società che apparentemente si occupava di sistemi innovativi nel campo della comunicazione; in realtà la loro vera attività consisteva nel trarre in salvo quante più coppie riuscissero dal sistema di Inverso. Era un lavoro rischioso e ci erano voluti mesi prima di riuscire a contattare, o meglio ad essere contattati dai primi ragazzi in pericolo. Avevamo diffuso con discrezione e sui siti giusti una semplice immagine: due linee che si incrociavano, quasi a formare una specie di doppia elica di dna. Vi era un numero da contattare e non nego che a volte ci chiamarono persone che niente avevano a che vedere con il nostro scopo. Dopo un po' arrivò una prima telefonata seria, e poi altre ancora. Bisognava essere rapidi e discreti. Portare via da San Francisco ragazzi giovanissimi, spesso appena diciottenni non era sempre semplice. Bisognava costruire identità, far assegnare borse di studio a volte in paesi stranieri. Era un lavoraccio.
Anthony ed Eleonor si adoperavano per fornire tutto il supporto possibile, anche se insieme a Jason portavano prevalentemente avanti la parte di copertura che era anche la nostra fonte principale di reddito, nonché la più legale; però posso dire che per Ethan e Amber le missioni di salvataggio divennero una vera e propria vocazione. Più avanti avrebbero cercato di far fuggire da Inverso il maggior numero di persone possibile: quello era il vero obiettivo.
Amber si accostò a Ethan. "Matt è stato rapidissimo nel dargli tutte le indicazioni".
Già, Matt fungeva da tramite tra San Francisco e la nostra base in Nevada. Si era offerto volontario per fornire assistenza lì sul posto ai ragazzi in difficoltà, fargli capire che non potevano perdere neanche un minuto. Era davvero molto e non potevo che essergliene riconoscente; a niente erano serviti i nostri tentativi di dissuaderlo, avrei preferito che ne restasse fuori, San Francisco dopo tutto era zona di guerra per noi.
Ci raggiunse Eleonor, che ci sorrise e rivolse come sempre un'occhiata soddisfatta a Jason. Era come se ancora non si capacitasse completamente del fatto che avesse potuto davvero metterlo lei al mondo. Avevo visto con i miei occhi il legame tra lei e Anthony riformarsi piano - giorno dopo giorno - man mano che gli effetti dei ripetuti reset mollavano la presa su di lei. Il loro rapporto era particolare: più che un amore travolgente mostravano un'intesa e una complicità rari, tra loro si definivano "soci".
Di pari passo al ricostituirsi del loro legame, vidi l'affetto di Eleonor rivolgersi anche a Jason; stava ancora imparando ad essere una madre, così come Jason stava imparando ad essere un figlio. Per lui i suoi genitori erano dei pari a tutti gli effetti, ma sentivo che dentro di lui maturava un sentimento di attaccamento, oltre che di rispetto, ammirazione e a volte di benevola esasperazione.
"Ragazzi, possiamo sederci a tavola". Eleonor era radiosa e ansiosa di dimostrare al mondo di sapere organizzare un Natale come si deve.
Nessuno osò controbattere, naturalmente, per cui la seguimmo diligenti verso la sala da pranzo.
Jason restò volutamente indietro e mi tirò contro il muro intrappolandomi tra le sue braccia.
"Se tardiamo Eleonor, verrà personalmente a trascinarci ai nostri posti", risi osservando la sua espressione furba.
"Ti ho detto stasera quanto sei bella?".
Finsi di pensarci su. "Mi sa di no, quindi fai pure".
Osservò per un istante il mio abito rosso corto e poi riportò gli occhi nei miei. "Sei stupenda".
"Anche tu non sei niente male".
Ridemmo della nostra vecchia battuta. La felicità di Jason era quasi palpabile, chiunque avrebbe potuto percepirla.
"Sono felice perché ho tutto", mi spiegò facendo spallucce. "E poi adoro questa cosa del Natale! Credi che a Peter piacerà l'astronave da duemilacinquecento pezzi?", chiese contenendo a stento l'entusiasmo.
Ridacchiai. "Certo! Vedrai quanto piacerà anche a Susan!".
Percepì l'ironia e rise, incantandomi come sempre. Mi guardò a fondo, tornando serio e mi baciò tenendo le mani sui miei fianchi. Portai le mie attorno al suo collo e sarei potuta restare lì per sempre se non fossimo stati chiamati a gran voce da tutto il gruppo già riunito al tavolo.
Jason sospirò, sollevando gli occhi al cielo, e andammo a prendere i nostri posti, l'uno di fronte all'altra, incrociando i nostri piedi sotto al tavolo. Osservai la grande tavola: Anthony che chiedeva aiuto a mio padre per tagliare il tacchino; tutti ridevano e parlavano a voce alta, in un allegro chiacchiericcio. Tante persone diverse che erano diventate la mia stupenda famiglia disfunzionale.
Il pensiero di Jason si insinuò nella mia mente ed era ormai raro che lo facesse; eravamo praticamente sempre vicini e non avevamo bisogno di leggere il pensiero, per cui mi stupii. Portai gli occhi nei suoi e osservai.
Vidi lui che a un certo punto si sarebbe alzato davanti a tutti facendo tintinnare una posata sul bicchiere, zittendo l'intera tavolata.
Non prometteva niente di buono. Lo guardai terrorizzata e lui iniziò a sghignazzare, cancellando immediatamente l'immagine e creandone un'altra.
Noi due accoccolati sul tappeto davanti al camino acceso della nostra casa, lui che mi guardava con amore e mi mostrava una scatolina. All'interno c'era un delicato anello in filigrana, due linee sottili si intrecciavano fino a formare il simbolo di ciò che eravamo. Era stupendo... La sua mente indugiò sul mio volto, lasciandomi in sospeso, in attesa di una risposta che solo io potevo dare.
"Sì", risposi convinta.
"Prima o poi", aggiunsi a voce alta, godendomi il suo sorriso soddisfatto. Jason allungò senza neanche voltarsi una mano alla sua sinistra e Peter gli batté il cinque.
"Abbiamo tutta la vita", mi promise senza staccare gli occhi da me, non riuscendo a contenere l'emozione, ben visibile dalla luce meravigliosa del suo sguardo.
Era vero, un bellissimo e luminoso futuro ci attendeva e finché fossimo rimasti vicini saremmo stati invincibili e perfettamente felici, nella nostra dimensione.
FINE
Eccoci qui! Cosa ne pensate della piega che ha preso la loro vita?
Ho cercato di dare un po' di felicità a tutti, li ho fatti soffrire fin troppo! :D (Forse a Matt un po' poca felicità in effetti ahah).
Vi ringrazio ancora, ma lo farò meglio nel prossimo ;)
B.
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